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Autore: OfeliaMontgomery    06/08/2015    1 recensioni
|| Claribel Ravenstorm frequenta il secondo anno all'accademia Ravenstorm, scuola gestita dal padre adottivo. Claribel è una mezza-demone ed è costantemente presa in giro per il suo aspetto e il suo sangue demoniaco e, secondo ai suoi compagni simile a Samara di The Ring. Claribel, in realtà è una ragazza molto timida e molto sensibile, infatti più volte si ritrova a piangere nella sua stanza. All'accademia Ravenstorm vi sono anche altre razze miste, tra cui: mezzi-vampiri, mezzi-licantropi, mezze-streghe e stregoni, mezze-fate, mezzi-elfi e mezze-sirene. Infatti la sua unica amica si chiama Aqua ed è una mezza-sirena.
Ma un giorno l'arrivo di un nuovo alunno sconvolgerà la vita di Claribel. Scoprirà da lui la verità sul suo vero padre che la sconvolgerà tremendamente. Persone che ha sempre pensato la odiassero, si avvicineranno a lei per aiutarla nella sua battaglia contro al suo stesso padre, ovvero Lucifero in persona. ||
[AGGIORNAMENTI SETTIMANALI]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentivo la ghiaia scricchiolare sotto ai miei piedi e l'aria fredda e mattutina accarezzarmi il viso e scompigliarmi i lunghi capelli color carbone.
Ero molto in ansia per l'inizio del nuovo anno scolastico, anche se conoscevo a memoria la Ravenstorm Academy perché mio padre era il preside e sin da bambina avevo vissuto con lui in quella scuola. La verità era che ero in ansia perché mi sarebbe toccato rivedere i miei compagni di scuola, che non facevano altro che prendersi gioco di me e parlarmi male alle spalle. Nessuno amava molto la mia razza. Io ero un mezzo-demone; mia madre era un'umana, morta dandomi alla luce e mio padre – mai conosciuto – era un demone. Il mio vero padre era un demone. Il padre con cui vivevo, era il mio papà adottivo ed era un semplice umano con la vista sul mondo paranormale. La Ravenstorm Academy non ero una semplice accademia, ma ben sì una scuola di persone non completamente umane.
«Oh, guardate Samara è arrivata!» sentii gridare a gran voce dietro alle mie spalle poi iniziarono a sghignazzare fra di loro. Sentii una forte fitta al cuore. Abbassai lo sguardo intimorita e con piccoli passi, mi avviai verso l'entrata della scuola. Tutti mi chiamavano Samara, come il personaggio di The Ring, perché avevo lunghi capelli neri come il carbone, grandi occhi rosso sangue con la pupilla verticale e la pelle bianca come il latte. E secondo i miei compagni facevo paura e ribrezzo per via del mio sangue.
Mio padre mi aveva detto di non dare ascolto alle scemenze che mi dicevano, ma ero difficile provare indifferenza quando sentivi il cuore farsi pesante e la voglia di piangere farsi sempre più forte. Erano così crudeli con me, quando io non avevo fatto altro che essere gentile con loro.
Nell'accademia vivevano varie specie tra cui: i mezzi-demoni, mezzi-vampiri, mezzi-licantropi, mezze-streghe e stregoni, mezze-fate, mezzi-elfi e mezze-sirene. Tra queste specie, quelle più disprezzate e odiate c’erano: la mia razza perché dicevano che eravamo dei mostri sanguinari; i vampiri che chiamavano assassini o succhiasangue; i licantropi che nonostante li trovassero affascinanti, avevano terrore di loro; ed infine le sirene, di aspetto sensuale ed elegante, venivano disprezzate per via del loro sguardo incantatore, difatti le avevano rinominate incantatrici maledette. C'era questo odio-amicizia fra razze che mi scombussolavo ogni volta. Non sapevo mai a chi rivolgere la parola e a chi no.
«Claribel!» una voce alta e allegra si sentii fortemente nell'aria. Quella voce stava chiamando proprio me. Era Aqua, la mia unica amica. Aqua era una sirena ed era di una bellezza disarmante. Aveva folti e lunghi capelli color azzurro pastello, sempre tenuti raccolti in due trecce e, due piccoli e allungati occhi color malva, senza traccia di pupilla. Le sirene non avevano la pupilla, ma solamente l’iride. Aveva le labbra sottili e ben proporzioniate. Aveva un fisico slanciato ed era magra come un chiodo. La pelle era pallida con sfumature azzurre intorno al viso e sulle braccia e sulle gambe.
Come ogni studente, Aqua, indossava la uniforme dell'accademia e le stava, ovviamente, d'incanto. La gonna marrone a pieghe le lasciava scoperte le gambe magrissime e chilometriche che si ritrovava. La camicetta bianca era nascosta sotto al maglioncino nero che indossava. Si intravedeva solamente il colletto che fuoriusciva da sotto di esso. Il maglioncino le fasciava alla perfezione il fisico secco che si ritrovava. Su di esso, sul taschino vicino al cuore, c'era lo stemma delle sirene. Una semplice onda azzurra con sfumature bluastre. La uniforme era uguale per tutti, cambiava solamente lo stemma per ogni razza. Lo stemma dei mezzi demoni era una stella a cinque punte rovesciata.
«Ciao» la salutai con un velo di allegria nella voce. Lei alzò un sopracciglio, incrociò le braccia al petto e iniziò a guardarmi dubbiosa. «Beh, che succede? Quei pezzi di merda ti hanno rotto il cazzo nuovamente?» mi domandò incavolata Aqua piazzandosi davanti al mio campo visivo e fissandomi con i suoi occhi color malva. Quando mi fissava in quel modo mi metteva sempre in soggezione e nonostante glielo avessi ripetuto una miriade di volte di finirla, lei continuava, perché sapeva che era l'unico modo per strapparmi una confessione. Abbassai lo sguardo ed iniziai a fissarmi le all-star nere e un po' vecchiotte che indossavo, pur di non incrociarlo con quello di Aqua. Mi sentivo a disagio e in imbarazzo. Sapevo che se le avessi detto che avevano già iniziato a prendermi nuovamente in giro, lei si sarebbe catapultata da loro e gli avrebbe presi a calci in culo uno per uno, fino a quando non si fossero scusati con me.
«Aqua, lascia stare. Andiamo in classe» scossi la testa e cercai di non far tremare la voce mentre glielo dicevo. Aqua emise un forte sospiro poi annuì rassegnata. Con passi svelti entrammo a scuola. Per i corridoi dell'accademia incontrammo altri mezzi-demoni e due mezze-sirene che ci salutarono allegri. Entrammo nell'aula per gli incantesimi demoniaci e la trovammo esattamente come l'anno scorso a parte per qualche piccolo cambiamento. I banchi era messi in stile 'scacchiera' come l’anno precedente. La cattedra mezza scassata, di fronte ai banchi, era stata sostituita da una perfettamente nuova e con le gambe della stessa misura e non come quella precedente che traballava tutta. Il grande armadio di legno scuro, contenete vecchi libri di incantesimi e vari oggetti per completare il tutto, era esattamente nello stesso punto dell’anno precedente: sul lato destro della classe, vicino alla porta. Le pareti erano rimaste di quel pallido giallino, che mio padre riteneva un bel colore allegro e adeguato per un’aula scolastica. Alla sinistra dei banchi, si trovava la grande vetrata colorata che rappresentava le varie razze con al centro un cuore di ghiaccio, segno di pace fra di esse. Non sapevo quante volte ci avevo perso ore a fissarla perché era magnifica e coloratissima. Ogni pezzo di vetro colorato che era stato incastonato al suo interno, rendeva magica la vetrata. Come ora ad esempio. Se non fosse stato per Aqua, che mi aveva riportata alla realtà con una gomitata, sarei stata immobile in mezzo alla stanza a fissarla come una ebete.
Aqua si schiarì la gola per avere la mia attenzione, «Che ne dici di metterci nei banchi la infondo?» indicò due banchi vicino alla vetrata e infondo alla stanza. Annuii decisa poi svelte, ci andammo a sedere ai nostri nuovi posti. Pochi minuti dopo la classe iniziò a riempirsi. Tutti i miei compagni dell'anno precedente, entrarono nella mia visuale. Chi come quelli della mia razza che mi salutarono tranquillamente e chi come fate, elfi e licantropi che iniziarono a fare battutine e a sghignazzare fra loro. Aqua lanciò occhiatacce cariche di odio alla capo branco delle fate che ricambiò volentieri. «Problemi incantatrice?» domandò acidamente Eleanor, la capo branco.
Aqua scoccò la lingua contro al palato «Sì, fiorellino. Lasciate in santa pace Claribel o ve la vedrete con me» rispose acida e con uno sguardo carico di odio. Io assistevo alla scena senza riuscire a proferire parola e senza riuscire a fare niente. Non riuscivo nemmeno a difendermi da sola. Anzi non volevo difendermi da sola, perché sapevo che le avrei prese di sicuro e anche perché io non ero un tipo a favore della violenza. Ero timida, quindi anche se avrei proferito parola contro di loro, non sapevo se sarei riuscita a continuare il battibecco o a rispondere con e alla violenza.
«Oh oh la nostra cara Samara ha la guardia del corpo» commentò divertita Eleanor poi puntò i suoi occhi giallo canarino, senza traccia di pupilla come le sirene, nei miei rossi dalla pupilla verticale e dall'espressione terrorizzata, «Non parli? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» domandò velenosa, scostandosi un ciuffo di capelli viola da davanti il viso per potermi scrutare meglio.
«H-ho l-la lingua» balbettai imbarazzata, tenendo lo sguardo puntato sul pavimento grigio topo della classe. Sentivo il cuore battermi violentemente nel petto e le guance scaldarsi e tingersi di rosso. Eleanor scoppiò in una finta e fragorosa risata, le sue amiche o meglio cagnolini, la seguirono a ruota, facendomi sentire sempre di più fuori posto.
«Il demonietto ha parlato» mi schernì lei, puntandomi un dito smaltato di rosso addosso e ridendo nuovamente.
«Fata, è meglio per te che la smetti! Non penso che tu ti voglia ritrovare le ali incenerite o strappate dalla sottoscritta» Aqua era già in piedi e con violenza aveva alzato da terra Eleanor, prendendola dal colletto della camicia. La stava letteralmente fulminando con lo sguardo e continuava a stringere di più la presa intorno al colletto, impedendole di respirare. Ad Eleanor mancava il fiato e si dimenava sotto alla presa ferrea di Aqua.
«Signorina Ao, veda di rimettere con i piedi per terra la sua compagna» la professoressa Hill fece la sua entrata in scena. La professoressa Hill era un demone completo ed era di una bellezza disarmante. Aveva lunghi capelli color rosso sangue e piccoli occhi arancioni con la pupilla verticale. Un fisico a clessidra, con un seno prosperoso, messo sempre in evidenza dalle camicette scollate e eccessivamente attillate.
Aqua lasciò andare Eleanor. Solamente dopo averla fulminata con lo sguardo, tornò al suo posto e si calmò un po'.
Ero sempre stata sola, sin da bambina. La mia unica luce era stata ed era Aqua. Aqua era arrivata all'accademia che aveva circa quattro anni; mio padre si prese cura di lei come una figlia e per me divenne automatico chiamarla e definirla una sorella. La sorella che non avevo mai avuto, ma che avevo sempre desiderato.
C'erano stati anche altri bambini all'accademia (ora miei compagni di classe), ma con loro non ero mai riuscita ad andare d'accordo. L'unica con cui avevo instaurato una certa amicizia e affetto fu Aqua. Per me era normale definirla sorella perché nel cuore sentivo che era così. Lei per me c'era sempre stata, mi aveva sempre protetta e risollevata quando stavo male. E ancora adesso lo faceva. Io cercavo di fare il possibile per ricambiarla. Cercavo anche di intralciarla il meno possibile e di sostenerla qualsiasi scelta avrebbe deciso di prendere.
«Tesoro, ti senti bene?» Aqua mi picchiettò due dita su una spalla per riportarmi al presente. Mi girai verso di lei e con un sorriso finto e tirato, le dissi che andava tutto bene. Sapevo che non dovevo mentirle, ma non volevo che si preoccupasse ancora. E soprattutto per una cosa, che con grande dolore e un po' di determinazione, riuscivo a gestire da sola. Ah, ma a chi volevo mentire. Sapevo che appena avrei messo piede nella mia camera, sarei scoppiata in un pianto disperato.
Ma questo Aqua non doveva venirlo assolutamente a sapere. Se sapeva che sprecavo ancora lacrime per loro avrebbe: prima preso a mazzate me e poi avrebbe ucciso di botte chiunque mi aveva fatta piangere. E di vederla sospesa dalle lezioni per colpa mia e della mia debolezza e anche per via dei nostri compagni, non mi andava affatto bene.
«Bene ragazzi, iniziamo la lezione di oggi» esordì allegra la professoressa, battendo freneticamente le mani fra loro. Sentii Aqua sbuffare alle mie spalle ed io mi lasciai sfuggire un lieve risolino che la mia migliore amica percepì chiaramente.
La professoressa passò dei fogli alla mezza-vampira, che si trovava nel banco di fronte alla cattedra, e le disse di passarli al resto della classe. Nel frattempo che i fogli venivano consegnati ad ognuno, la professoressa Hill iniziò a spiegare cosa dovevamo fare.
«Il foglio che vi sta arrivando fra le mani non è un semplice pezzo di carta, bensì un foglio demoniaco, cioè con disegnato sopra un pentacolo che vi servirà ad evocare un demone minore. La lezione di oggi è: evocare demoni minori con il vostro sangue» spiegò la professoressa divenuta stranamente seria, «Non a tutti funzionerà al primo colpo. Probabilmente il maggior successo di possibilità di riuscita dell’evocazione, sarà ottenuta dai mezzi-demoni, dai mezzi-vampiri e dalle mezze-streghe e stregoni» concluse battendo le mani fra di loro.
Un brusio di dissenso si levò tra i miei compagni di classe. Dall’altra parte della classe si scatenò il caos più totale. Avevano già iniziato ad insultarsi fra razze. Ed io entrai nel panico perché volarono insulti anche verso di me. Dicevano che i mezzi-demoni, i mezzi-vampiri e le mezze-streghe erano in netto vantaggio, solamente perché possedevano sangue demoniaco.
Anche i licantropi possedevano sangue demoniaco, ma a differenza dei demoni e dei vampiri, loro facevano più fatica a controllare ed ad usare la magia.
«E’ perché siamo migliori!» urlò Jacob, un mezzo-demone dai capelli nero blu, a due banchi più avanti dal mio.
«Tappati quella cazzo di bocca demone! Anzi lavatela con l’acido! Noi siamo i migliori» gridò il capo branco dei mezzi-licantropi guardando in cagnesco Jacob. Era un ragazzone, grosso quanto un armadio a due ante e alto almeno due metri, con due braccia e due gambe enormi, che se voleva ti poteva spezzare l’osso del collo con una sola mossa. Aveva la pelle abbronzata e i capelli e gli occhi color cioccolato fondente. Aveva l’aria sempre incazzata; non l’avevo mai visto sorridere, solo imprecare, dare ordini o minacciare chiunque gli si parava davanti.
«Ragazzi!» strillò furiosa la professoressa, creando un aura violacea intorno al suo corpo e facendo volare in aria la cattedra nuova. Ecco svelato il motivo per cui la vecchia cattedra era tutto sgangherata.
Tutta la classe calò in un silenzio di tomba, poi si sentì il capo branco dei licantropi fare spallucce e tornare al suo posto, come se non fosse accaduto nulla. Jacob si riaccomodò al suo posto, ed infine la professoressa tornò normale e con ella, anche la cattedra che si schiantò pesantemente al suolo, emettendo un grande boato. Per fortuna la cattedra ne uscì illesa, se non per qualche scheggiatura intorno alle gambe.
La professoressa invece si risistemò i capelli, lisciò la gonna poi si schiarì la voce ed infine tornò a spiegare la lezione.
«Dopo aver preso il foglio demoniaco, dovrete pungervi un dito con un ago, che ora farò passare per i banchi, ovviamente ognuno avrà il suo e far cadere una goccia sul pezzo di carta, più precisamente dentro al pentacolo e sussurrare: invoco un demone minore. Dopo di ché, strapperete in due il foglio e il demone scomparirà» spiegò la Hill, passando una scatolina di plastica trasparente, contenente gli aghi, alla ragazza di prima. La ragazza si prese un ago e poi passò la scatolina al compagno dietro alle sue spalle. Dopo che tutti ebbero preso un ago, la professoressa Hill decretò che il primo ad iniziare sarebbe stato sorteggiato dal registro di classe.
«Bene, il primo ad iniziare sarà la signorina Ravenstorm» decretò la professoressa muovendo l’indice sul registro di classe. Quando sentii chiamare il mio nome sobbalzai sulla sedia e arrossii vistosamente.
Con le mani tremolanti e con il cuore in gola, presi in mano l'ago e mi punsi l'indice destro, da cui iniziò a fuoriuscire una gocciolina del mio sangue nerastro. Pigiai sulla ferita, facendomi uscire più sangue e emettere un versetto di dolore, poi lasciai cadere delle gocce sul foglio di carta, centrando in pieno il pentacolo.
«I-invoco un demone minore» sussurrai balbettando imbarazzata. Avevo gli occhi di tutta la classe puntati addosso. Mi sentivo a disagio. Magari l'evocazione avrebbe fatto cilecca ed io mi sarei ritrovata sommersa di insulti sulla mia incapacità e sulla mia inutilità di mezzo demone.
Ma tutto ciò non accadde perché il foglio demoniaco iniziò a brillare di una luce rossa e fastidiosamente accecante. Chiusi istintivamente gli occhi e non vidi cosa accadde in quel preciso istante, ma da dietro alle mie spalle sentii Aqua gridare che era fiera di me e allora capii che ci ero riuscita. Aprii lentamente gli occhi, misi a fuoco ciò che mi trovavo davanti al viso e poi gli strabuzzai scioccata. Un piccolo, ma proprio piccolo, demone minore, alto quasi quindici centimetri, si trovava davanti a me, dentro al pentacolo. Aveva la pelle verdognola, gli occhi erano piccoli come due bottoni dal colore blu marino e da sotto la chioma castana si intravedevano due piccole corna simili a pietre nere. Dure e appuntite. Il piccolo demone inclinò la testa di lato e iniziò a fissarmi con i suoi dolci occhioni blu.
«C-che carino» commentai sorridendo al piccolo demone, che aprì la bocca e provò ad imitare le mie stesse azioni. Provò a sorridere, ma non ci riuscì benissimo. Gli uscì più una smorfia strana che un sorriso. Lo trovai ancora più dannatamente carino.
«E' un demone minore delle foreste. E' innocuo. Il loro scopo è quello di tenere al sicuro la foresta in cui sono nati o stati assegnati» spiegò la professoressa, tenendo un dito puntato in aria e parlando con un tono serio.
«La sua specie sono i Zurkoi. I zurkoi hanno un vocabolario molto limitato e cercano molte volte di copiare le espressioni umane» continuò la Hill. Guardai con attenzione il zurkoi e gli sorrisi nuovamente.
«Claribel» mormorò lo zurkoi con voce esile e infantile, allungando le sue piccole e corte braccine verso di me.
«Conosce il mio nome» esclamai confusa e allo stesso tempo felice.
«Sì, perché sei stata tu ad evocarlo. Se gli darai un nome, lui apparirà ogni qual volta che userai il pentacolo» mi disse la professoressa sorridendomi.
Lo guardai arricciando il naso, e dei miei compagni di classe fecero dei versi disgustati e poi scoppiarono a ridere. Mi rattristai nuovamente. Ecco che il mio momento di felicità dovuta a qualcosa che ero riuscita a fare con le mie forze, veniva spazzata via da delle stupide e insensate risate.
«Ciuu, ciuu» mormorò lo zurkoi, muovendo le braccia in avanti e indietro. Giusto, la professoressa aveva detto che dovevo dargli un nome se volevo che apparisse ancora, «Mmh, che ne dici di Ciuuin?» domandai allo zurkoi che saltellò nel pentacolo, poi fece la smorfia di prima che stava a significare un sorriso.
Eleanor scoppiò a ridere, «Scusate, ma non proprio non posso trattenermi. Che nome stupido, dato da un mezzo demone idiota» continuò a sghignazzare coprendosi la bocca con una mano.
«Signorina Lambert perché non prova a farlo anche lei?» domandò severa la professoressa, inchiodandola con lo sguardo al suo posto.
Eleanor fece scoccare la lingua contro al palato poi mi lanciò un’occhiataccia che mi fece trasalire ed infine provò ad evocare il demone minore.
Ciuuin saltò fuori dal pentacolo e arrampicandosi sul mio braccio, si sedette sulla mia spalla ed infine si nascose sotto ai miei capelli corvini.
«Che c’è piccolino?» gli domandai turbata, andandogli a toccare un piedino scoperto. Lo sentii emettere quello che sembrava essere una timida risata, «Ciuu, ciuu» iniziò a giocherellare con delle ciocche di capelli, nascondendosi sotto ad essi.
«Gli piaci proprio» esclamò Aqua, facendomi girare dalla sua parte. Le sorrisi timidamente poi annuii, «Anche a me piace» replicai nuovamente allegra.
«Piacere Aqua» Aqua sorrise a Ciuuin che aveva fatto sbucare fuori la testa, da sotto la mia folta chioma.
«C-ciuuin» replicò il mio zurkoi muovendo una manina in avanti e creando nell’aria una coroncina di fiori, «P-per Aqua» mormorò lui.
Aqua si allargò in un grande sorriso poi prese la coroncina che stava ancora a mezz’aria e la indossò tutta contenta.
«Grazie piccolino» sussurrò lei poi riprese a seguire le evocazioni degli altri.
Dopo un interminabile ora, la campanella suonò e noi dovemmo alzarci per cambiare aula. Era passata solamente la prima ora e già ero stanca degli insulti appena presi. Non sapevo come avrei fatto a superare l’anno. Sentivo che le lacrime stavano provando insistemente ad uscire. Stavo cercando di farmi forza per trattenerle, almeno fino alla pausa intervallo.
Aqua riuscì ad evocare un demone minore, dopo varie imprecate e tre prove, prima di quella decisiva. Eleanor, invece, fece cilecca tutte le volte che aveva provato e si era anche beccata una sgridata da parte della professoressa per avermi derisa dato che a me l'esercizio era uscito alla perfezione.
«Seconda ora: Controllo dell’elemento dell’Acqua con il professore Lawrence ‘sono un figo’ Hudson» esclamò allegra Aqua, passandomi davanti per uscire come un fulmine dalla classe.
Ciuuin piegò la testa di lato e mi guardò confuso, «Niente piccolino, niente» dissi accarezzandogli delicatamente la testa. Ciuuin mosse le braccia in aria poi sussurrò un lungo «ciuu» ed infine anche noi uscimmo dalla classe.

 

  
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