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Autore: aoimotion    06/08/2015    2 recensioni
«Mettiamo le cose in chiaro, Wright… questa è solo una situazione temporanea.»
«Una situazione temporanea» gli fece ecco Wright. «Certo, una situazione temporanea.»
«Non mettere alla prova la mia pazienza» gli intimò Miles, scoccandogli un’occhiata arcigna. «Non farlo.»
Phoenix Wright, venticinquenne, noto avvocato difensore e suo amico d’infanzia, si aggirava per casa sua ridendo come un’adolescente rincitrullita e additando qualunque cosa gli sembrasse interessante.
«Ehi, Edgeworth!» lo chiamò Wright, indicandogli il suo enorme impianto stereo. «Cos’è questo?»
«Arrivaci da solo!» urlò Miles per tutta risposta.

[Lieve OOC, probabilmente]
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NOTE DELL'AUTRICE: la storia si colloca dopo il quarto caso del primo Ace Attorney. Il pairing sarebbe Miles/Phoenix, ma... non c'è davvero nulla di esplicito, è più una bromance che altro. Tuttavia, sono certa che questa one-shot sarà perfettamente funzionale allo scopo (far sclerare le fan della coppia <3), quindi... buona lettura!
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«Mettiamo le cose in chiaro, Wright… questa è solo una situazione temporanea.»
«Una situazione temporanea» gli fece ecco Wright. «Certo, una situazione temporanea.»
«Non mettere alla prova la mia pazienza» gli intimò Miles, scoccandogli un’occhiata arcigna. «Non farlo.»
Phoenix Wright, venticinquenne, noto avvocato difensore e suo amico d’infanzia, si aggirava per casa sua ridendo come un’adolescente rincitrullita e additando qualunque cosa gli sembrasse interessante.
«Ehi, Edgeworth!» lo chiamò Wright, indicandogli il suo enorme impianto stereo. «Cos’è questo?»
«Arrivaci da solo!» urlò Miles per tutta risposta.
Wright assunse un’espressione corrucciata, ma gli ci vollero pochi istanti prima che un altro ‘oggetto fatato’ attirasse la sua attenzione.
“Mi chiedo dove abbia vissuto Wright per tutti questi anni… in una capanna di pescatori, forse?”
«Ehi, ma è fantastico!» esclamò l’avvocato difensore. «Questa tivù è enorme, sembra lo schermo di un cinema!»
Wright si era seduto sul lungo divano di pelle bianca e stava studiando il grande schermo da ogni angolazione possibile.
«Wright, potresti non…» Miles dovette massaggiarsi la fronte per placare l’ira che stava crescendo dentro di lui. «Quel divano… non basterebbero cento dei tuoi stipendi per comprarne uno, ti dispiacerebbe non sedertici sopra mentre indossi quel tuo lercissimo cappotto grigio fatto di pelle di topo?»
«Non è pelle di topo!» protestò l’uomo dai capelli a punta. «La commessa del negozio mi ha assicurato che questo cappotto è 100% riciclabile.»
«Fossi in te non me ne vanterei, Wright. E ciò non toglie che è più sudicio dell’impermeabile del detective Gumshoe, quindi toglitelo subito oppure porta le tue chiappe lontane dal mio divano!»
«Ma sono appena arrivato!» disse Wright, assumendo un’espressione da cane bastonato.
«E ho già voglia di buttarti fuori a calci e prendermi una vacanza ai tropici, pensa che bello. E adesso alzati, prima che lo faccia davvero.»
«Prenderti una vacanza?»
«Buttarti fuori a calci!»
Finalmente, Phoenix Wright si rese conto della gravità della situazione e si lanciò letteralmente per terra, costernato. «No, Edgeworth! Non puoi mandarmi via, non ho un posto dove andare!»
«Sono certo che sotto i ponti ci sia spazio anche per te, Wright» rispose Miles, in tono gentile. «E se hai freddo, puoi sempre dare fuoco a un pneumatico per scaldarti un po’.»
Wright scosse vigorosamente il capo. «Mi dispiace, mi sono lasciato trasportare dall’entusiasmo… è la prima volta che entro in una casa così lussuosa.»
Miles squadrò la penosa figura da capo a piedi, indeciso se mostrarsi misericordioso o perfido.
«Immagino, Wright, che la tua vita sia stata piena di fame e di stenti, e non te ne faccio una colpa. Tuttavia… poiché sei ospite in casa altrui, e poiché l’altrui in questione sono io, mi aspetterei da te un briciolo di autocontrollo in più. Diciamo… abbastanza per non sembrare una dodicenne in calore?»
Phoenix Wright aveva assunto un piacevole colorito purpureo. «N-non mi sono comportato come una dodicenne in calore!»
Miles inarcò un singolo sopracciglio. «Ah, no?»
«… Beh, forse un pochino… anzi, no! Non mi sono sicuramente comportato come una dodicenne! Al massimo una quindicenne, ma non una dodicenne!»
«…» Miles Edgeworth contò fino a cinque prima di degnare il suo ospite di una risposta. «Wright, ti invito caldamente a farti una doccia. Forse in questo modo ti schiarirai le idee.»
Aveva pronunciato quelle parole in un tono che non ammetteva repliche. Phoenix Wright si alzò dal pavimento su cui aveva giaciuto fino a quel momento, si massaggiò il deretano consumato dalle fredde mattonelle del soggiorno, mormorò qualcosa di incomprensibile e si diresse sconsolato verso il bagno.
«Ah, è tornata la pace» sospirò Miles, lasciandosi ricadere sulla sua soffice poltrona beige.
«Ehm, Edgeworth…?»
Fu come se una zanzara lo avesse appena punto sui genitali.
«Cosa c’è.»
La sua non era una domanda, bensì un’affermazione. Un’affermazione stanca e che non avrebbe tardato a caricarsi di odio, se quell’uomo dannato non fosse sparito dalla sua vista entro trenta secondi.
«Io, ehm, non so come dirtelo, ma…»
“E allora non dirmelo.” «Cosa c’è, Wright? Hai dimenticato il pigiamino e vuoi che te ne presti uno?»
Wright deglutì. «Qualcosa del genere...»
Mai come in quel momento Miles Edgeworth desiderò sprofondare nella sua amata poltrona beige. Lì, ne era sicuro, non esisteva nessuna cosa spiacevole: non esistevano omicidi, non esistevano accuse di falsificazione, non esistevano tradimenti né menzogne. E soprattutto… non esisteva Phoenix Wright.
«La padrona di casa mi ha cacciato con una tale foga che non ho fatto in tempo a prendere quasi nulla» tentò di giustificarsi il povero avvocato. «Tranne, beh… le cose che ho addosso, sostanzialmente.»
«E quella valigia che ti sei portato appresso, Wright? È piena di aria, forse?»
«Ho preso qualche oggetto personale! Qualche, ehm… rivista sugli avvocati, il mio spazzolino...»
“Ma certo, ti sfrattano perché non hai pagato l’affitto e la prima cosa che pensi di portare in salvo è… una pila di riviste sugli avvocati.” Quella logica non faceva una piega. Era la logica di Phoenix Wright, in fin dei conti.
Miles aprì la bocca per replicare, ma la richiuse senza proferir parola. Poi la aprì di nuovo, ma anche in quel caso nessun suono riuscì a fuggire dalla sua gabbia toracica. Al terzo tentativo, il sudore aveva cominciato a bagnargli la fronte. «… Apri quell’armadio e prendi quello che vuoi» mormorò a denti stretti, coprendosi il volto con la mano. «Prima che ci ripensi.»
Miles non vide i movimenti di Phoenix, ma udì distintamente lui che spalancava le ante del suo grande armadio di mogano e vi frugava dentro come un ladruncolo di bassa lega.
“Phoenix Wright sta rubando la mia biancheria”, pensò Miles, e un vago sorriso si formò sulla sua bocca.
“E io gli sto permettendo di rubarla.”
Il sorriso sul suo volto fu sostituito da un’espressione a metà tra il disgustato e il furente. «Wright!» tuonò, trovando finalmente il coraggio di guardarlo mentre si addentrava nei meandri del suo guardaroba. «Allontanati subito da quell’armadio!»
«Ma!» Wright riemerse dal mare di indumenti con un pigiama a righe blu stretto tra le braccia e… un paio di boxer con gli orsetti in testa a mo’ di copricapo. «Proprio ora che avevo trovato un cambio di vestiti!»
«Quelle mutande…!» Miles era arrossito fino alla radice dei capelli, ne era certo. Gli diede bruscamente le spalle e urlò: «Metti via quei boxer, Wright! Per l’amor del cielo, mettili via immediatamente!»
«Ma perché?» protestò Wright. «Sono sicuro che tu non li abbia mai indossati, neanche una volta. Che problema c’è se li prendo io?»
«C-cosa ne sai che non li ho mai indossati?»
«Perché li ho… odorati? Hanno quel classico odore di biancheria nuova e mai utilizzata… sanno un po’ di naftalina, ecco.»
«Sorvolerò sul fatto che hai annusato la mia biancheria come un maniaco, ma tu metti via quelle dannatissime mutande adesso
Se Miles avesse potuto scegliere il momento esatto in cui sarebbe morto, sicuramente avrebbe scelto quel frangente. L’immagine di Wright che annusava i suoi boxer con gli orsetti era… no, non doveva pensarci. Era troppo giovane per finire al reparto di neuropsichiatria. Doveva lottare per scacciare quella visione funesta dalla sua mente. Era una questione di vita o di morte.
«Ne ho preso un altro paio» disse Wright dopo un po’, leggermente deluso. «Ecco, guarda.»
Riluttante, Miles gettò una rapida occhiata alla nuova scelta dell’avvocato difensore: un paio di mutande blu elettrico su cui campeggiava la parola ‘KING’, scritta a caratteri cubitali sul bordo inferiore sinistro. Erano talmente brutte che Miles si chiese quali sostanze stupefacenti avesse assunto affinché il commesso lo convincesse a comprarle.
«Questi sono probabilmente i boxer più orribili che possiedo, Wright» commentò seccamente. «Hai davvero ottimi gusti in fatto di biancheria intima.»
«Com’è che riesci ad insultarmi anche quando si tratta della tua biancheria, Edgeworth?!»
«Prenditela con la tua capacità di renderti ridicolo in ogni contesto» ribatté Miles con un sorriso tagliente. «È una dote preziosa, la tua.»
 
Circa mezz’ora dopo, l’avvocato dai capelli a punta riemerse dai meandri del bagno con un’espressione contenta e soddisfatta.
«Dal sorriso stupido che hai stampato in faccia, deduco che la doccia sia stata di tuo gradimento.»
Miles sedeva alla scrivania e stava consultando un fascicolo di un vecchio caso in cui aveva rappresentato l’accusa.
Wright fece una smorfia.
«Beh, sì… direi di sì.»
«Puoi anche elogiare il bagno di casa mia, non ti mangio mica.»
«Mi hai detto di non comportarmi come una dodicenne in calore, ricordi?»
«Non sei capace di apprezzare qualcosa senza esaltarti, Wright?»
«E tu non sei capace di tenere a freno la lingua, Edgeworth?»
Miles rise piano. «Non dovresti parlarmi in questo modo. Dopotutto, ti sto ospitando a casa mia.»
«Come hai detto tu prima, è solo una situazione temporanea.» L’avvocato difensore si avvicinò al divano con fare circospetto. «Niente in contrario se mi siedo, vero?»
«Indossi i miei vestiti, quindi ho la certezza che sono puliti. Fai pure come se fossi a casa tua.»
Phoenix sorrise, come se Miles gli avesse appena fatto un’importante concessione, e si stravaccò bellamente sul sofà. «Ah, sarebbe fantastico avere un divano così in ufficio…»
«Non ricordo di averti dato il permesso di spiaggiarti sul mio divano, Wright.»
«Come sei noioso, Edgeworth. Hai detto che potevo fare come se fossi a casa mia…»
«Ah.» Miles si tolse gli occhiali e si stropicciò le palpebre stanche e pesanti. «In teoria sarebbe un modo di dire…»
«Ascolta, Edgeworth.» La voce di Wright giunse alle sue orecchie, più bassa e seria del solito. «Mi dispiace di esserti capitato tra capo e collo in questo modo. Cercherò al più presto un’altra sistemazione, non devi preoccuparti.»
«Più che un’altra sistemazione, dovresti cercare i soldi per pagarti l’affitto» lo redarguì Miles, sbadigliando. «In ogni caso, sono stato io stesso a proporti la cosa. Se tu mi dessi fastidio, Wright, non ti avrei certo offerto ospitalità in casa mia. Non sono così altruista.»
«È che, come dire… non mi sembri molto felice di avermi qui.»
Miles aggrottò la fronte. «Andiamo, Wright. Ti ho prestato il mio pigiama e le mie mutande, è ovvio che…»
«Che…?»
Già, era ovvio che… cosa?
Miles avvertì una stretta mortale all’altezza dell’esofago e deglutì a fatica.
«N-niente, lascia perdere.»
«Edgeworth…?»
«Sono stanco» annunciò all’improvviso, alzandosi dalla sedia con un movimento esagerato. «Penso che andrò a dormire, e tu dovresti fare lo stesso.»
Wright lo guardò, confuso. «Edgeworth, sei sicuro di…»
«Sto bene!» esclamò, a voce più alta del dovuto. «Sto bene» proseguì in tono più calmo, «non preoccuparti per me. Pensa a riposare, hai avuto una giornata impegnativa.»
Miles non voleva essere duro con il suo vecchio amico, ma ogni volta che aveva a che fare con lui il suo sangue freddo veniva magicamente meno.
E le espressioni sofferenti che quell’uomo-porcospino mostrava in risposta alla sua totale incapacità di comunicazione erano semplicemente la ciliegina sulla torta.
“Come dovrei comportarmi con te, se mi guardi con quella faccia mortificata?”
«Come vuoi» rispose Wright, alzandosi dal divano. «Grazie per quello che stai facendo per me, Edgeworth. Lo apprezzo davvero tanto.»
“E io apprezzo la tua compagnia, quindi siamo pari”, fu sul punto di rispondere. Ci volle tutto il suo autocontrollo per impedire a quelle parole di lasciare la sua bocca. Era già tanto che fosse riuscito a formularlo, un pensiero simile. Come gli saltavano in mente certe frasi da telefilm?
«Edgeworth?» la voce di Wright lo riportò bruscamente alla realtà. «Sei diventato tutto rosso. Non è che hai la febbre?»
«No!» ribatté con voce isterica. «Non ho la febbre, sto bene! Buonanotte!»
Edgeworth si lanciò verso il corridoio, desideroso di seminare Wright e le sue domande inopportune.
Ma la voce dell’avvocato lo raggiunse ancora una volta, prima che potesse svoltare l’angolo. «Edgeworth… dove dovrei dormire, stanotte?»
«Ah… già, hai ragione.» Miles tornò indietro, pensieroso. «Ora che ci penso… non ho una stanza degli ospiti.»
Lo disse con calma, ma dentro di lui qualcosa era appena esploso facendo un baccano assordante.
Per un istante, un solo, singolo istante, Miles pensò che questo potesse portare a una sola conclusione. Una conclusione che gli attorcigliò le budella per quanto era assurda e inconcepibile.
«Beh, allora mi accomoderò sul divano.»
«Sul… sul divano?» Miles sgranò gli occhi come se Wright gli avesse appena rivelato una delle grandi verità dell’Universo.
«Ehm… sì? Dove ti aspetti che dorma, per terra?»
«Non posso negare che ti si addirebbe» rispose Miles, mentre tentava di scacciare gli ultimi residui di quei pensieri inopportuni. «Ma non ti ho certo invitato a casa mia per farti giacere sul pavimento come un cane randagio.»
«A giudicare dalla tua faccia, Edgeworth… da te mi aspetterei questo e altro.»
«Ti citerò in giudizio per calunnie, Wright.»
Miles si diresse verso l’armadio e ne tirò fuori un paio di coperte di lana. «Vedi di non morire assiderato» proseguì, lanciandogliele addosso, «altrimenti non potrò denunciarti.»
«Certo, come no…» Wright sistemò il cumulo di coperte alla bell’e meglio e vi si ficcò sotto in un batter d’occhio. «Beh… buonanotte, Edgeworth.»
Era lampante che Phoenix stesse all’ordine e alla pulizia come il detective Gumshoe stava agli aumenti di stipendio. Miles sospirò, ferito nel cuore da quell’uomo che non sapeva neanche stendere un paio di coperte con un minimo di criterio.
«E-Edgeworth, cosa stai…»
«Quello che non fai tu» replicò, afferrando il lembo inferiore delle coperte. «Perché un avvocato della tua fama non sa preparare un giaciglio per la notte?»
Phoenix Wright divenne color cremisi. «Cosa c’entra questo con–»
«C’entra eccome» gli assicurò Miles, mentre infilava la prima coperta sotto il cuscino più in basso. «Come puoi difendere i tuoi clienti se non sai neppure badare a te stesso?»
«Edgeworth» gracchiò Wright, disperato. «Non trattarmi come un bambino, e non farmi da balia! E non guardarmi con quello sguardo di sufficienza!»
«L’accusa non accoglie nessuna delle obiezioni della difesa.»
«Va’ via!» lo supplicò il collega. «Non farmi sentire più imbecille di così!»
«Sarebbe difficile raggiungere un simile traguardo, Wright.»
Quando ebbe sistemato anche la seconda coperta in modo decoroso, Miles si allontanò dal divano e fece un piccolo inchino. «L’accusa ha finito, Vostro Onore.»
«Grazie» mormorò l’uomo con un filo di voce. «Ti voglio bene, mamma.»
Miles rise di quel comportamento puerile. Aveva venticinque anni, ma ai suoi occhi Phoenix Wright non era cambiato di una virgola. E questo, Miles lo doveva ammettere, non gli dispiaceva affatto.
“Ogni volta che rischio di perdere me stesso, mi basterà guardare te per ricordarmi chi sono.”
«Dovresti guardare la tua faccia, Wright. Sei il miglior spettacolo a cui abbia mai avuto occasione di assistere.»
«Edgeworth, per quanto ancora intendi prenderti gioco di me?» Phoenix Wright aveva le guance rosse per la vergogna e la bocca contratta in una smorfia che Miles trovò assolutamente deliziosa.
«Finché non smetterai di avere quell’espressione sconfitta» rispose Miles, con un sorrisetto sarcastico. «O finché non mi stancherò di farlo.»
Durante il tragitto dal commissariato di polizia, in cui aveva incontrato Wright e appreso del suo improvviso sfratto, fino a casa sua, Miles Edgeworth era rimasto completamente in silenzio, chiedendosi quale assurda e illogica ragione lo avesse spinto a offrire asilo a quell'uomo.
Ma adesso che lo guardava, lì, disteso sul suo divano e avvolto dalle sue coperte, con quella faccia da cucciolo perseguitato dalla sfortuna, Miles se n’era reso conto.
In fondo, era lo stesso motivo per cui recarsi in tribunale aveva cominciato ad essere un piacere, oltre che un dovere.
«Potresti smetterla di sorridermi come se fossi una povera bestia?!» esclamò Wright, puntandogli il dito contro. «Mi oppongo alla tua arroganza, Edgeworth!»
Questa volta, Miles rise. Fu una risata breve e contenuta, ovviamente, ma il calore che lo avvolse in quel momento era qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto comprendere.
«Sembri proprio un pulcino, Wright. Un piccolo, grazioso pulcino abbandonato da mamma chioccia.»
E poi… senza che lo realizzasse, senza che potesse fermarsi a riflettere… gli pose una mano sulla testa e gli scompigliò delicatamente i capelli.
Non era un gesto dal significato particolare. Solo… doveva farlo. Doveva sfogare quell’ondata di tenerezza in qualche modo. Doveva trasmettere a Wright il suo affetto, doveva fargli capire quanto importante fosse per lui la sua amicizia. Doveva trovare un modo per mostrargli la sua gratitudine, per tutto quello che aveva sempre fatto per lui.
Quei sentimenti… quei sentimenti che Miles aveva sempre tenuti sigillati nel suo cuore, adesso stavano facendo di tutto per venire fuori. Se non li avesse tenuti a bada…!
Miles ritirò immediatamente la mano, come se avesse appena toccato un braciere ardente.
Phoenix lo guardò, confuso. Miles ricambiò il suo sguardo, incapace di staccarsi da quegli occhi così maledettamente limpidi, sinceri e penetranti.
«Edgeworth…?»
«Dimmi.»
«Tu hai appena… ehm…»
«Erano in disordine» si giustificò Miles, con voce atona. «I tuoi capelli… erano in disordine. Sai che non sopporto il disordine, Wright.»
«Ah.» L’avvocato difensore sembrava… deluso. «Uhm, mi dispiace di averti turbato con i miei capelli disordinati.»
«Non fa niente, è acqua passata.»
«Okay.»
«Va bene.»
Un silenzio imbarazzante scese sull’intera abitazione. Anzi, il mondo stesso parve ammutolire di fronte a quella scena assolutamente surreale.
Miles si sentiva sul punto di soffocare. Doveva dire qualcosa per spezzare la tensione o sarebbe morto nel giro di pochi minuti.
Fortunatamente, Phoenix Wright sembrava sentirsi esattamente come lui. «Ehm, io andrei a dormire… sai, domani devo svegliarmi presto e…»
«Certo» concordò Miles, meccanicamente. «Sono perfettamente d’accordo con te, Wright.»
«Bene, mi fa piacere. Quindi… buonanotte?»
«Certo, sono perfettamente d’accordo con… ehm. Cioè, volevo dire! Buonanotte!»
Tre erano le cose che Miles Edgeworth detestava di più al mondo: il crimine, la sciatteria e… Phoenix Wright. Accidentalmente, però, Phoenix Wright rientrava anche nella lista delle cose a cui lui teneva di più, e questo gli causava una quantità di problemi non indifferente.
Miles si cacciò selvaggiamente sotto le coperte e soffocò un urlo contro il cuscino, chiedendosi perché Wright fosse un tale imbecille e, contemporaneamente, perché lui fosse un tale imbecille.
Ma d’altronde… solo un idiota poteva avere così a cuore un altro idiota.
 

 
   
 
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