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Autore: Impossible Prince    07/08/2015    1 recensioni
"Qui il nemico è silenzioso, viscido. Si muove sinuosamente, dentro e fuori di te, ogni suo movimento è un sussulto, e ogni suo passo è puro orrore, orrore perché ti ricorda il vuoto lasciato da chi non c'è più."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fluttuava su di me da ore, e non me ne ero semplicemente accorto.
Sì, non te ne accorgi mai quando arriva la morte.
Non te ne accorgi una settimana prima.
Non te ne accorgi il giorno prima.
Non te ne accorgi ventitré ore prima.
Non te ne accorgi dodici ore prima.
Non te ne accorgi cinque ore prima.
Non te ne accorgi tre ore prima.
Te ne accorgi dieci minuti prima.
Io non mi ero accorto di nulla. Dall’alto piombava con il suo fare cupo, con la sua ascia e si avvicinava sempre più alla terra, con il suo mantello e il teschio. C’era aria di morte, ma io non l’avevo avvertita.
Paradossalmente, avevo passato tutto il pomeriggio a dormire, dopo aver fatto le ore piccole inseguendo una qualche persona che però non mi si filava, probabilmente. Eppure dentro di me provavo una sorta di sensazione di inquietudine, come minuti che precedono il terremoto. Tutti tacciono all’improvviso, poi un boato e a quel punto, dipende da quanto siamo vicini all’epicentro, ma ecco che la terra comincia a tremare. Quel giorno ero nel periodo in cui tutto tace misteriosamente.
E il boato? Il boato non arrivava, ma sarebbe arrivato, oh potete contarci. E la morte avrebbe appoggiato i suoi piedi sull’uscio di casa mia, cominciando la sua lenta camminata, dirigendosi verso la vittima.
Neanche in quel momento sentii l’odore della morte, eppure mi è passata affianco, mi ha osservato. Il suo teschio si è voltato, ha guardato la mia figura lasciare un paio di messaggi al telefono, girarmi sul letto, chiudere gli occhi e tornare a dormire. E io avrò guardato nella sua direzione, ho potuto vedere il suo mantello sfilacciato, rovinato, eppure non l’ho percepita. L’ho lasciata proseguire lentamente. Un passo ogni dieci minuti.
L’ho lasciata andare, l’ho lasciata compiere il suo destino.
Tempo fa scrissi queste parole.
«Parole come “fulminante”, “irreversibile” e “non c’è nulla da fare” assumono tutto un significato diverso quando vengono dette a te.
Il terreno sotto i tuoi piedi si sbriciola e le mura della stanza accanto sembrano volerti inghiottire. Ho provato a resistere. Abbiamo provato. Abbiamo cercato anche delle soluzioni. Ma quelle parole, quelle dannate parole, hanno un significato preciso: il tuo destino è segnato e non c’è nulla che tu possa fare perché venga cambiato.
Puoi anche battere mille allenatori nella tua vita, ma la morte non la puoi combattere. Devi sottometterti e sperare che giunga in fretta, per evitare che possa far ancora più danni di quelli ch deve fare a prescindere.
Diventano tue amiche quelle parole. “Irreversibile”diventa un mantra e vivi ogni giorno con l’ansia che possa essere l’ultimo.
Ma paradossalmente non è mai l’ultimo e quindi cominci a pensare che accadrà domani, non oggi. La settimana prossima, non questa. Il mese prossimo. Forse anche l’anno prossimo. Hai tutte le carte in regola per sopravvivere, no?
Sciocchezze. Gli amici spesso ti deludono, ti pugnalano alle spalle e anche questi tre amici lo fanno.
In un colpo la tua schiena ha tre bellissime ferite sanguinanti e quello che pensavi accadesse domani, il mese dopo e l’anno prossimo accade oggi. Tra le tue braccia, senza che tu possa davvero capirci qualcosa».
Poi il boato avvenne, quello del terremoto. E la terra cominciò a tremare sotto i piedi, e tremava, tremava. Tremava perché noi siamo niente davanti alla morte, tremava perché nonostante la preparazione psicologica di mesi e mesi, poi rimani spiazzato davanti al fenomeno.
E così il boato è arrivato, potente, inesorabile, ci siamo tappati le orecchie mentre lui rimbombava dentro il nostro cervello, con la stessa potenza con cui caddero le bombe sulla Germania, sul Giappone, sul Vietnam, sull’Afghanistan, sulla Siria, sull’Iraq.
E la terra cominciò a tremare, violenta, senza sosta, per mesi. A volte si fermava, ci lasciava prendere un po’ di fiato, e poi rieccola, leggera, ma onnipresente, per farsi ricordare e per ricordare che la morte era atterrata in casa nostra, ha fatto la sua camminata e si è presa chi doveva prendersi, strappandolo con forza tra le nostre braccia.
Ti rimane un pugno di ricordi, mentre il vuoto si forma dentro e fuori di te. E non lo puoi combattere il vuoto, non puoi combattere qualcosa che non esiste.
E quindi rimani lì, inerme, sotto questa tortura, che è la peggiore delle torture; perché negli altri casi dai al nemico l'informazione che vuole e ti sbatte in una cella con i ratti, prendi fiato e poi al massimo ti da un proiettile in testa e finisci di soffrire il male fisico, ma qui?
Qui il nemico è silenzioso, viscido. Si muove sinuosamente, dentro e fuori di te, ogni suo movimento è un sussulto, e ogni suo passo è puro orrore, orrore perché ti ricorda il vuoto lasciato da chi non c'è più.
Non ti puoi neanche alzare e dargli un ceffone. Chi o cosa vuoi colpire? Puoi farlo, certo, puoi sentire l’aria entrare tra le tue dita, accarezzare il palmo della mano, ma cosa hai ottenuto?
Come lo riempi il vuoto?
Dimenticando il male?
Ricordando il bene?
Sostituendo?
Trovando le piccole cose che ti portando ad andare avanti?
Oh, la vita è una rottura di coglioni gigantesca. E il paradosso di questa rottura di coglioni lo capisci proprio nel momento in cui vedi finire quella di qualcun altro. E lì comprendi che è la cosa più preziosa che si ha. Ma a volte il dolore è così forte, così straziante, così accecante che se ne farebbe a meno.
   
 
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