A song of
the boy born from ice and fire.
La
prima volta che gli era capitato davanti agli occhi gli era sembrato così terribilmente
diverso da
tutto quello che aveva visto in vita sua.
Uomini
duri, gelidi quasi come l’inverno stesso, erano quelli del Nord.
Lui
era luce, era risa e musica; era come un sole, troppo luminoso per
essere
guardato a lungo, di un calore tanto intenso quanto seducente.
Le
anziane di Grande Inverno dicevano che il sole era una creatura
errante,
nomade, e che quando, un giorno, se ne sarebbe andata, un inverno
perenne
sarebbe sceso sul mondo e il buio avrebbe avvolto ogni cosa.
Forse
il solo toccarlo l’avrebbe fatto fuggire; anche il suo mondo si sarebbe
perso
nel buio della sua assenza?
Se
chiudeva gli occhi, vedeva la curva del mento, le sfumature violette
nei suoi
occhi, il riflesso dei candidi capelli.
Se
ispirava a fondo, riusciva a sentire il suo profumo, simile all’odore
dell’erba
dopo la pioggia.
Se
ascoltava attentamente, poteva udire il suono della sua lira, suonata
sotto la
luce irradiante e pallida della luna, le sue melodie dalla ultraterrena
malinconia.
Dolore
e gioia si alternavano nel cuore di quella che in tanti chiamavano la
Regina
d’Inverno.
Non
avrebbe più visto quel viso amato, né l’avrebbe più sentito cantare.
Qualcosa
era rimasto, si ricordava per impedire alla malinconia d’inghiottirla
nelle
lunghe notti insonni.
Forse
avrebbe ritrovato le cose che amava di lui nel bambino che stava per
nascere,
piccolo barlume di speranza in un tempo così cupo.
Quel
bambino era destinato a fare grandi cose.
Si
augurava di riuscire a crescerlo nel modo in cui suo padre avrebbe
fatto.
Si
augurava di viverlo come un dono, mai come una condanna.
Si
augurava di poter essere il suo sostegno nei momenti difficili.
Si
augurava di poterlo vedere mentre faceva del mondo un posto migliore.
Si
augurava che un giorno sarebbe riuscita a raccontagli la storia di
quell’amore
maledetto, la causa della sua nascita.
E’
l’immagine di lui quella che vede in suo figlio, la prima volta che lo
prende
in braccio.
Scorge
lievi somiglianze, la prima ed ultima volta che lo prende in braccio.
E’
l’immagine di Rhaegar, sorridente mentre canta per farla addormentare,
che la
spinge a pronunciare quelle parole.
E’
l’immagine di suo figlio, bambino senza nome, che cresce coraggioso e
fiero,
esattamente come suo padre, ma senza di lei al suo fianco, a rendere
tutto così
doloroso.
“Promettimi
che non rivelerai a nessuno la sua identità. Promettimi che lo
proteggerai.”
I
suoi occhi supplicanti.
“Promettimelo
Ned, ti prego. Promettimelo.”
La
sua voce è debole, una fitta di dolore parte dal basso ventre e si
espande in
tutto il corpo. Il tempo stringe.
Suo
fratello acconsente. Sta piangendo, nota tristemente.
Lyanna
sorride attraverso il dolore, fredde lacrime scendono sulle guance
scarlatte.
La
stanza è densa di calore, o almeno così le sembra.
Non
vedrà suo figlio crescere, forse non era così che doveva andare.
Il
sangue scorre copioso.
Supplica
silenziosamente gli Antichi Dei del Nord di avere pietà per quel
bambino
indifeso, così innocente.
Stringe
forte la mano di Ned, quasi potesse tenerla ancorata alla vita.
L’ultimo
pensiero prima di chiudere gli occhi è che gli era sembrato di vedere
dei
riflessi violetti negli occhi del neonato.
I
mugolii infantili sembrano sempre più distanti.
Un
giorno, sussurra a se stessa nel suo ultimo attimo di lucidità,
qualcuno
canterà una canzone sul bambino nato dal ghiaccio e dal fuoco.
L’angolino
dell’autrice.
Salve
gentaglia,
se
non si fosse capito, è la mia prima ff su GoT (o AsoIaF, come
preferite) e ci terrei moltissimo a sapere
il vostro
parere - che sia positivo, negativo o neutro – perché sono estremamente
indecisa tra il tenerla e il non tenerla.
Come
potete ben capire, sono una forte sostenitrice della teoria L+R=J
(ditemi che
si chiama così, vi prego) e questo è il mio modo per dire che sì,
Martin, ti
abbiamo beccato, e non cercare di negarlo.
Detto
questo, io mi ritiro nel mio TARDIS a sfondarmi di gelato e a fare
riflessioni
infelici sul mio modo di scrivere.
Bye,
C.