Serie TV > Orphan Black
Ricorda la storia  |      
Autore: Alex96_    01/09/2015    1 recensioni
[SPOILER TERZA STAGIONE]
E' una AU che segue le vicende della 3x06 e 3x07 secondo la mia visione personale di ciò che sarebbe dovuto accadere.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Helena, Paul Dierden, Sarah Manning
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sarah non riusciva a venire a termini con quella realtà più simile a un incubo nel quale Paul era morto e lei avrebbe dovuto vivere in un mondo in cui lui non c’era con la consapevolezza di essere la causa della sua morte.
Si era passata le mani tra i capelli bagnati e aveva lasciato che il calore dell’acqua riscaldasse le sue membra intorpidite. Eppure nonostante avesse girato al massimo la manopola dell’acqua calda e fosse in grado di vedere il rossore che stava affiorando sulla sua pelle, non riusciva a sentire altro che gelo. Aveva visto uomini morire davanti ai suoi occhi e lei stessa aveva compiuto azioni atroci di cui non pensava sarebbe mai stata in grado, ma questa era la prima volta che un uomo si sacrificava per permettere a lei di vivere. Tutto questo per amore.  Era questo che Paul aveva implicato poco prima di andarsene per sempre: che l’amava.
Lacrime amare avevano iniziato a scorrere sulle sue guance e si era ritrovata a gridare il suo straziante dolore grata che il rumore delle vecchie tubature della doccia non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno. Doveva stare da sola. Aveva bisogno di soffrire da sola e non voleva avere attorno a sé S. né tantomeno Helena.
Loro non potevano capire quello che stava provando, soprattutto perché non riusciva a comprenderlo appieno neanche lei. Si era lasciata scivolare contro il muro della doccia e aveva raccolto le ginocchia al petto lasciando che lacrime, sporcizia e sangue si mischiassero insieme andando giù per lo scarico.
Ricordava la prima volta che aveva visto Paul – o, per la precisione, la sua immagine – appeso sul frigo di Beth: le era sembrato solo un bel corpo, probabilmente accompagnato da un cervello piccolo. Ma poi l’aveva fottuto sul bancone della cucina e ancora nel letto che condivideva con Beth e la loro relazione era cambiata drasticamente perché nonostante la fatica di essere due persone e la consapevolezza di ingannarlo lasciandogli credere di essere la sua fidanzata morta erano opprimenti, non poteva negare che il sesso con Paul era uno dei migliori diversivi dalla merda della sua vita.
Finché non era più solo sesso, finché non aveva iniziato a considerarlo una delle sue persone – qualcuno da proteggere – e lui aveva capito tutto. Così lei era diventata Sarah e anche se solo per una notte le cose erano andate bene. Erano Sarah e Paul, senza cloni o la DYAD Institute alla loro ricerca o pericoli mortali dietro ogni angolo.
Era stato più di quanto lei si sarebbe mai aspettata e anche se avevano trascorso solo poche ore insieme, erano bastate per creare le basi sulle quali si fondava la fiducia che riponevano l’uno nell’altra. In quella notte avevano abbattuto tutte le barriere presenti tra loro e si erano riscoperti e, anche se faceva male ammetterlo, amati.
Ma come tutte le cose nella sua vita era andato a puttane. Prima con Kira, poi Paul era passato dal lato del nemico con Rachel – era stato tremendamente difficile fermare Helena dall’ucciderla, perché solo vederla insieme a Paul per pochi secondi l’aveva ferita a livelli che non credeva potesse ancora soffrire e l’aveva sfiorata il pensiero di come avrebbe potuto prendere la situazione Beth se solo li avessi visti – e poi aveva scoperto la sua vera identità di militare e lui l’aveva tradita insieme a S.

Eppure ora riusciva a capire che in un suo modo poco ortodosso, sia Paul che Siobhan erano sempre stati dalla sua parte. Lui aveva sempre cercato di proteggere sia lei che Kira anche se non era mai stato in dovere di farlo. Sua figlia non era una sua preoccupazione e loro non erano mai stati realmente una coppia, neanche quando lei si fingeva Beth. Ma nonostante non lo fossero, Paul era stato buono con lei e aveva fatto del suo meglio per proteggerla, amandola a distanza. E lei aveva sprecato tutto quel tempo ad odiarlo, a considerarlo il nemico e a volerlo morto.
Un altro grido straziante aveva squarciato la sua gola e questa volta sapeva che qualcuno sarebbe arrivato ma non le importava, voleva concedersi di provare tutto il dolore per quell’amore perso e mai realmente avuto e non le interessava chi sarebbe accorso. Sentiva soltanto il suo cuore frammentarsi in mille pezzi e le sue membra lacerarsi dal peso di aver causato la morte di Paul.
Solo dopo quelle che le sembravano ore, con la gola secca e la temperatura della doccia quasi completamente gelida, era uscita dalla doccia trovandosi di fronte Helena.

“Che diavolo fai, testa di rapa?”

Helena aveva sorriso tutta denti e aveva indicato la porta.

“Questa vorrai vederla, sestra.
 


 
***


Si era concessa il tempo per asciugarsi e mettersi dei vestiti puliti perché Helena aveva detto che non era urgente. Così si era recata di nuovo nel locale e i primi occhi che aveva incrociato erano quelli della padrona della taverna che si era apprestata a ringraziare, poi si era voltata verso il tavolo dove aveva lasciato S. e sua sorella e non poteva credere all’illusione che le presentavano i suoi occhi.

Si era aggrappata ai margini del bancone per evitare di cadere perché era più che sicura che le sue gambe avrebbero ceduto molto presto. L’immagine che i suoi occhi la inducevano a vedere non poteva essere altro che frutto dello stress al quale era sottoposta: forse era troppo esausta e malnutrita da avere delle allucinazioni, o forse era ancora nella sua cella e il resto era soltanto un incubo dal quale non si era ancora svegliata. Non riusciva a muoversi, ma aveva leccato le sue labbra aride nel tentativo di bagnarle con un po’ di saliva per inumidirle.

“Non è possibile. Non è reale, non può esserlo.”

Si era voltata verso sua madre e l’aveva vista sorridere con fare incoraggiante.

“È vero chicken, possiamo vederlo anche noi.”

Eppure non riusciva ancora a crederci. Con passi incerti gli si era avvicinata talmente tanto da poter sentire il suo respiro spezzato infrangersi sulla sua pelle. Respirava. Paul respirava e la guardava con quei suoi magnetici occhi azzurri in attesa di una sua mossa. Aveva osservato con particolare attenzione il suo corpo statuario sporco di sangue, sudore e sabbia e non riusciva a capire dove iniziassero e finissero le sue ferite; sapeva solo che lui era lì e che le sue mani stavano tastando addominali, pettorali e bicipiti forti fino a fermarsi su delle guance perfettamente cesellate.

Paul. Com’è possibile che tu sia qui?”

La sua voce era troppo instabile per apparire come poco più di un sussurro, ma sapeva che lui l’aveva sentita quando aveva posato le mani sui suoi fianchi in quella che era una carezza delicata, completamente in discordanza con le sue strette possessive, e aveva posato la fronte sulla sua per condividere nuovamente la stessa aria e rinchiudersi nella loro bolla personale.

“Ho sganciato la bomba sapendo il tempo che mi avrebbe dato per scappare. Gli spari di Virginia sono andati quasi tutti nel kevlar e sono scappato. Non è stato difficile trovarti dopo.”

Sarah sapeva che avevano molte cose di cui discutere: c’erano piani da fare e passi da essere messi in moto, doveva avvertire Fee che stava bene e mettersi in contatto con Kira, ma in quel momento riusciva solo a vedere gli occhi di Paul nei suoi.
Così languidi e disperati e non aveva potuto far altro che rafforzare la presa sulle sue guance per farlo piegare in avanti fino a congiungere le loro bocche. Non avevano chiuso gli occhi e per un lungo momento avevano continuato a guardarsi mentre le loro labbra continuavano a toccarsi. Il che era strano e inquietante ma a Sarah non poteva importare di meno perché aveva bisogno di assicurarsi realmente che Paul fosse vivo e che stesse okay e i suoi occhi avevano bisogno di mantenere quel contatto per accertarsene.
Ma poi Paul aveva chiuso le palpebre e serrato le braccia attorno alla sua vita sollevandola da terra e la sua bocca si era fatta più audace. Lei gli aveva succhiato il labbro inferiore – qualcosa che sapeva gli faceva emettere un rumore gutturale che aveva l’effetto di farle arricciare ogni volta le dita dei piedi – e gli aveva circondato il collo con le braccia. E come ogni volta che lo baciava, il resto del mondo veniva risucchiato via: non c’era nessuna S. e i suoni di baci fatti da Helena erano solo un pallido brusio di sottofondo così come i rumori del locale. Tutto era ovattato e dimenticato.

Importava solo la bocca di Paul contro la sua, le loro lingue ingaggiate in una danza sensuale e instancabile e i loro corpi che si riabituavano l’uno all’altro. Così come le sue mani si avventuravano su spalle larghe e forti e andavano alla ricerca di braccia alle quali aggrapparsi e addominali da graffiare, così quelle di Paul marcavano i nodi nella sua spina dorsale e tastavano la rotondità dei suoi fianchi e si avventuravano a solleticarla sulle costole per tornare poi tra i suoi capelli e sul suo viso.
Non sapeva davvero per quanto tempo avevano continuato a baciarsi in piedi nel bel mezzo di un locale sperduto nel deserto del Messico, ma quando aveva sentito che il corpo di Paul si stava appoggiando sempre di più al suo per supporto e che il suo respiro era decisamente più frammentato, si era districata dalla sua presa e la prima immagine che aveva registrato era la sua espressione sofferente.

“Vieni, devi sederti.”

In un batter d’occhio era riuscita a portarlo al tavolo grazie all’aiuto di Siobhan e l’aveva visto rilassarsi, anche se per poco.

“Il proiettile cattivo di Paul lo sporcaccione deve andare via e serve ago per chiudere ferita da coltello sestra.”

Aveva annuito d’impulso ancor prima di memorizzare accuratamente le parole di Helena perché sì, avrebbe fatto tutto quello che era necessario per restituire a Paul la salute che aveva compromesso per permetterle di fuggire. L’avrebbero rimesso in sesto e avrebbero lasciato il Messico e forse sarebbero anche stati in grado di ripristinare tutti gli orrori compiuti dalla loro creazione.

Gli aveva stretto la mano che teneva poggiata sul tavolo e subito splendidi occhi azzurri erano guizzati nei suoi e non aveva certamente bisogno di ringraziarlo apertamente per sapere che aveva capito. Era bastato che girasse il palmo e intrecciasse le dita alle sue per esprimere tutto quello che non era capace di dire a voce.

Grazie. Mi dispiace. Ti amo anch’io.

Ma un giorno l’avrebbe fatto con l’occasione giusta. Per il momento dovevano limitarsi a superare un merdoso giorno alla volta con la consapevolezza, per la prima volta, di poter contare l’uno sull’altra. Erano insieme e potevano affrontare qualsiasi schifezza la vita volesse gettargli addosso. 






Note dell'autrice:

Mi prendo soltanto un momento per ringraziare chiunque sia arrivato fin qui nella lettura! Questo mio piccolo delirio è perché NON accetto ciò che gli autori hanno fatto con la 3x06 e non potevo non scriverci sopra. Spero vogliate farmi sapere come vi sembra la storia, 
Alex.

Dove potete trovarmi: Profilo EFP - Pagina Fb - Profilo Fb
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Orphan Black / Vai alla pagina dell'autore: Alex96_