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Autore: ZereJoke94    02/09/2015    4 recensioni
[Henry Cavill]
Appoggiai la testa sul volante e respirai profondamente, pensando che dopo l'anno che avevo appena passato, le cose non potevano fare altro che migliorare. Non era proprio possibile che qualcosa andasse peggio.
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"-Non è un caso se quasi tutti si tengono alla larga da lui- Iniziò, -In fondo lui stesso non chiede altro che essere lasciato in pace, quindi perchè non farlo?-"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

Imboccai l'autostrada distrattamente, e qualcuno dentro una Mercedes che era stata costretta a frenare per non venirmi addosso mentre mi immettevo nella corsia suonò rabbiosamente il clacson una, due, tre volte. Sobbalzai.
Avevo forse deciso di farmi ammazzare o di ammazzare qualcun altro, quel giorno? Dopo neanche un chilometro misi la freccia e mi fermai in una piccola area di sosta, per schiarirmi un pò le idee.
Appoggiai la testa sul volante e respirai profondamente, pensando che dopo l'anno che avevo appena passato, le cose non potevano fare altro che migliorare. Non era proprio possibile che qualcosa andasse peggio.
Mia madre, Dianne, era morta da tre mesi.
Mi salirono le lacrime agli occhi quando mi tornò in mente il giorno in cui il dottore, un anno prima, mi aveva detto che la persona più importante della mia vita aveva un sarcoma dei tessuti molli. Avevo sbattuto gli occhi più volte, senza avere assolutamente idea di cosa fosse e soprattutto quanto fosse grave.
"E' una forma di cancro molto rara e aggressiva" mi aveva spiegato il medico, senza tante cerimonie. "...ma sua madre è una donna giovane, se iniziamo subito le chemioterapie ci sono delle possibilità che possa guarire".
E così erano iniziati i cicli di chemio. Dal canto mio, stavo finalmente per laurearmi in architettura e per i primi due mesi ero riuscita a non mollare e continuare a studiare per dare gli ultimi esami prima della tesi.
La situazione era irrimediabilmente crollata quando, dopo due cicli di chemioterapia, che la facevano stare malissimo e la costringevano a letto per giorni, mia madre aveva deciso che non si sarebbe più lasciata imbottire di quella roba, che distruggeva cellule cattive e buone, senza distinzione. A nulla erano valsi i miei tentativi disperati di convincerla a tentare un altro ciclo prima di arrendersi.
"Anna" mi aveva detto, abbracciandomi "Voglio vivere il tempo che mi resta, non passarlo a letto o peggio...Sappiamo entrambe che queste terapie non servono a niente". Mi aveva tenuto stretta e mi aveva consolata per tutto il tempo di cui avevo avuto bisogno, quando sarei dovuta essere io a consolare lei.
A quel punto avevo abbandonato gli studi e avevamo passato i mesi seguenti come in una campana di vetro, fino al tracollo, una fredda mattina di febbraio. Semplicemente aveva smesso di alzarsi dal letto e quasi di mangiare, in preda a dolori fortissimi, tanto che dovetti portarla in ospedale due giorni dopo.
Morì li, in quella stanza nel reparto di oncologia, mentre le tenevo la mano, lasciandomi sola in quel silenzio ma con l'assordante convinzione di non aver insistito abbastanza perchè continuasse a curarsi.

Alzai la testa dal volante e mi asciugai le lacrime. Dovevo smetterla. Volevo davvero ricominciare a vivere, ma semplicemente non ci riuscivo.
Mi diedi una rapida occhiata sullo specchietto retrovisore. I miei lunghi capelli ramati erano tutti arruffati e le mie iridi verde chiaro erano velate dal pianto. Più che sembrare una venticinquenne, in quel momento sarei stata perfetta come cinquantenne in preda ad una crisi di nervi.
Scossi la testa e misi nuovamente in moto la mia vecchia Golf. Quella volta prestai molta più attenzione mentre mi immettevo nella corsia.
“Woodbourne1” pensai. Il luogo in cui avevo passato tutte le estati della mia infanzia, a casa di mia nonna Susan, la madre di mio padre.
Estati bellissime e spensierate. 
Amavo profondamente quella cittadina di neanche diecimila anime, e avevo sofferto molto quando, all’età di tredici anni, mia madre non aveva più permesso di tornarci, convinta che mia nonna avesse coperto il tradimento di mio padre.
Per un periodo mi era stato proibito perfino di vederla , ma eravamo troppo legate perché la cosa durasse. Tuttavia, quel giorno ero in viaggio per ritornarci per la prima volta da dodici anni.
Mi lasciavo il caos di Londra alle spalle, mentre percorrevo il centinaio di chilometri che mi separavano da quel luogo che ricordavo con tanto affetto e che mi ero messa in testa sarebbe stato la cura alla tristezza cronica che mi attanagliava da mesi ormai. Cambiare aria mi avrebbe fatto bene.
Premetti con più forza il pedale del gas. Volevo arrivare il prima possibile.

Due ore dopo imboccai il viale alberato in cui abitata mia nonna Susan, constatando con sorpresa mista a sollievo che almeno visivamente, quel posto non era cambiato di una virgola.
Le villette, ciascuna con il proprio giardino annesso, si susseguivano l’una accanto all’altra, identiche se non per il colore, che non era uguale in tutte. Mentre avanzavo verso casa di mia nonna, mi ricordai quante volte avessi percorso quel viale in bicicletta, o ci avessi giocato con gli altri bambini che abitavano quella zona. Sorrisi, e mi sentii ancora più fiduciosa su un eventuale effetto benefico che quel luogo avrebbe potuto regalarmi.
Parcheggiai davanti alla casa che mi interessava, di un color rosa antico, e scesi. Mia nonna era ancora una fanatica del giardinaggio, constatai osservando il giardino che appunto era curato nei minimi dettagli. Non una foglia fuori posto o un fiore appassito. Infilai un braccio attraverso l’ampia fessura del finestrino che avevo lasciato aperto e suonai il clacson. Misi le mani nelle tasche dei jeans e mi appoggiai alla macchina, assumendo una posa indifferente, mentre in realtà non vedevo l’ora che la nonna aprisse quella dannata porta.

1) Woodbourne: cittadina immaginaria nel sud dell'Inghilterra.
   
 
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