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Autore: piccolo_uragano_    03/09/2015    0 recensioni
«Forse non siamo mai stati niente. Forse ci siamo presi in giro per sedici anni, Luca.»
«Forse ci siamo amati per sedici anni senza rendercene conto, invece.»
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Se Luca avesse una migliore amica di nome Lara, che non ha paura del giudizio della gente e che per Luca è la sua famiglia da sedici anni? E se poi accadesse dell'altro?
Non so cosa mi passi per la testa, ma questa storia girava tra i miei neuroni da una vita.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Luca Benvenuto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo due: e invece sei tu.
(o ‘sei la mia famiglia’, o ‘compagni di esistenza’)


Erano le otto e trentasette del mattino del giorno dopo, e Lara stava suonando insistentemente il clacson sotto al portone del condominio dove vivevano Luca e Adriano. Intanto, all’interno della piccola automobile si sentiva ancora la canzone della sera prima. Dopo due minuti Luca spalancò il portone, con due grosse occhiaie e una felpa grigia.
«Buongiorno.» salutò Lara.
«Ciao.» rispose lui.
«Dormito poco?» chiese, con un sorrisetto malizioso.
«Non farti strane idee, Mancini. Abbiamo litigato.»
Lara si rattristò. «Mi dispiace.»
Luca passò i successivi dieci minuti a sfogarsi, e i due rimasero chiusi in auto anche quando arrivarono a destinazione, perché lui si stava ancora sfogando (Adriano non sembrava volersi trovare un lavoro serio) e Lara non aveva assolutamente voglia di entrare. Solo in quel momento, Luca notò che la maglietta della ragazza non portava nessuno stemma, nessun logo o nessuna scritta: era una camicia di jeans, una semplice camicia di jeans. I capelli erano raccolti in una semplice coda elegante e portava due orecchini a forma di stellina ai primi due buchi, e tutti gli altri (tre sul lobo sinistro, due sul destro) sfoggiavano dei piccoli brillantini.
«Hai dormito da tua madre?» chiese, cambiando argomento.
Lara si guardò, allarmata. «Puzzo?»
«Al massimo profumi. Casa di tua madre ha un buon profumo.»
«Beh, fatti accompagnare da lei al lavoro, domani.»
«Non hai una tua maglietta in macchina? L’ultima volta che ti ho visto indossare una camicia davamo la maturità!»
«Non infierire. Dovrò stare alle regole di mia madre fino a quando quel figlio di buona donna non avrà liberato casa mia dalle sue robacce.»
«Perché non stai da noi?»
«Credevo che tu e il tuo ragazzo aveste altro da fare, piuttosto che ospitare una vagabonda.»
Luca guardò fuori dal finestrino con aria malinconica. «Lo credevo anche io.»
«Scusa, non avrei dovuto dirlo.» sussurrò Lara.
«Non fa niente.»
«Oh, ho un regalo per te.» si ricordò improvvisamente Lara. Estrasse dalla borsa gigante un cd.
«Ligabue?» chiese Luca con un sorriso. «Ma Ligabue piace a te
«Si, ma il commesso era carino, il cd è una bomba e Ligabue ti piacerà, prima o poi, che tu lo voglia o no.»
Luca le baciò la guancia per ringraziarla, rise e uscì dall’auto. Lei fece lo stesso, e, in quel momento, un uomo con i capelli grigi e la divisa da agente girò l’angolo e salutò Luca.
«Parmesan!» rispose lui. «Posso presentarti il nostro ultimo acquisto?» chiese con tono fiero, indicando Lara.
La donna tese la mano. «Ispettore Lara Mancini, molto piacere.»
Come i suoi colleghi la sera prima, l’uomo rimase folgorato da quella sua ingenua bellezza. «Sovraintendente Antonio Parmesan, lieto di conoscerla, ispettore.»
«Parmesan, non darle del lei.» lo mise in guardia Luca.
L’uomo sorrise. «D’accordo, allora: è un piacere conoscerti, Lara.»
Luca strizzò l’occhio a Lara e le fece segno di seguire Parmesan verso l’ingresso del Commissariato.
Lei era bravissima a non mostrarlo, ma Luca sapeva che la sua migliore amica era davvero agitata all’idea di dover cambiare di nuovo ambiente. Ma lei era così, lei era una trottola, lei ferma in un posto per più di due anni non ci sapeva stare. L’unica persona che era riuscita a restarle accanto per più di ventiquattro mesi era lui, l’unico sopravvissuto a sclerate, pianti, periodi di totale apatia e periodi in cui sembrava che avesse bisogno di sedersi e stare ferma per tre secondi. Ma lei era fatta così, e lui non l’avrebbe mai cambiata di una virgola per nessun motivo al mondo.
Una volta varcata la soglia del Commissariato, il vicequestore aggiunto, Giulia Corsi, che li attendeva all’ingresso, sorrise a Lara studiandola segretamente.
«Immagino che lei sia Lara Mancini.» le disse.
Lara, abile nel non tradire agitazione, sorrise. «Sembra di sì.»
La Corsi le porse la mano destra. «Commissario Giulia Corsi, lieta di conoscerla: ho sentito grandi cose su di lei.»
Lara le strinse la mano, mordendosi la lingua per la forma di cortesia che il Commissario usava nei suoi confronti. «Posso dire la stessa cosa di lei, commissario.»
La Corsi mostrò a Lara quella che sarebbe stata la sua scrivania, in una stanzetta alla sinistra dell’ingresso, e incaricò Luca di farle fare il giro del Commissariato, ignara del legame tra i due.  L’intero Distretto apprezzò subito quella nuova figura femminile e quando ebbe finito il giro, la Corsi la fece chiamare nel suo ufficio.
Lara bussò timidamente, ricevendo un invito ad entrare.
«Salve, Commissario.» disse, entrando ma tenendosi sulla soglia. «Mi ha cercata?»
«Prego Mancini, si accomodi.»
Lara prese posto su una delle due sedie davanti alla scrivania.
«Mi parli un po’ di lei, ispettore. Ho sentito di grandi casi risolti – tra cui un caso risolto con un Maxi Processo e cinque ergastoli per cui sento il dovere di complimentarmi, davvero.»
Lara sorrise. «Amo il mio lavoro, Commissario.»
«E posso chiederle come mai non si è mai fermata nello stesso commissariato per più di … ventisette mesi?» chiese, controllando dei documenti.
«Ho un carattere molto difficile. Solo quattro persone sono state in grado di rimanermi accanto per più di ventisette mesi.»
«Immagino si tratti dei suoi familiari, allora.»
«Beh, si tratta di mia madre, che mi sopporta dalla bellezza di trentuno anni – okay, quasi trentadue - di mia sorella Ludovica, che ha diciannove anni, e …»
«Diciannove anni?» chiese la donna stupita. «I suoi genitori quanti anni hanno, mi scusi?»
Lara sorrise. «Mi scusi, Commissario, mi sono spiegata male. Ludovica non è propriamente mia sorella, è la figlia di mia madre e del suo secondo marito. Mia madre mi ha avuta a ventiquattro anni, ed è stata sposata con mio padre fino ai ventisei. Ora è un’allegra signora di cinquantasei anni.»
La Corsi sorrise all’idea di quella famiglia allargata. «E suo padre?»
«Io e mio padre non parliamo da quando avevo diciassette anni, Commissario. Il cognome che porto è il cognome di mia madre.» replicò Lara, come se l’argomento non la toccasse affatto, come se suo padre fosse qualcosa di assolutamente lontano e che non la riguardava.
«Mi dispiace. Mi diceva di queste quattro persone, quindi …»
«Mia madre, il suo secondo marito – deceduto quasi due anni fa – mia sorella, come le dicevo, ed infine il migliore amico che potessi desiderare.»
«Immagino si tratti del nostro ispettore Benvenuto.» rispose lei con un sorriso.
Lara rimase stupita. Luca aveva detto che la Corsi non sapeva della loro amicizia, e non avrebbe voluto che quella notizia varcasse la soglia dell’ufficio del Commissario: l’avrebbero presa per una raccomandata, ed era l’ultima cosa che voleva accadesse. Aveva sempre odiato chi si faceva raccomandare, perché lei era per la lealtà e la purezza del cuore. Il pensiero che qualcuno arrivasse in alto grazie ad un nome o ad un’amicizia la faceva arrabbiare, e Lara arrabbiata non era un bello spettacolo.
«No, non me lo hanno detto. Vede, ci sono cose che si capiscono al volo, e il vostro modo di guardarvi e di comunicare senza usare le parole lasciava ben poco all’immaginazione.» Lara abbassò lo sguardo, e, se ne fosse stata in grado, sarebbe arrossita.  «Non si preoccupi, Mancini: non avrei accettato di prenderla con noi se non fossi stata certa che il suo legame con Benvenuto non interferirà minimamente con il suo lavoro ed il suo leggendario intuito.»
Lara sorrise. «La ringrazio, Commissario. Spero di non deluderla.»
«Sono certa che non accadrà: intanto, lavorerà con Belli e Ardenzi, per vedere con loro come se la cava con questo caso.» le allungò un fascicolo. «Si tratta di un tredicenne morto suicida la scorsa settimana, ma non ha lasciato un vero e proprio motivo. La madre è disperata, e io sono riuscita a tenere lontana la stampa, ma non durerà.»
Lara annuì. «Ho capito, Commissario. Inizio subito.» la salutò con un sorriso e uscì dall’ufficio.
Trovò Luca appoggiato al muro, intento a fissarla e a sorridere. «Allora?» chiese, con sguardo curioso.
«Allora, la gente non lavora, qui? O la cena di mia madre ti è rimasta sullo stomaco e vuoi vomitarmela addosso?»
«Sei solo gelosa perché tua madre mi ama.» rispose lui alzando le spalle, ma lei si era già diretta alla sua scrivania, si era seduta e aveva aperto il fascicolo.
«È la convinzione che frega la gente.» rispose, osservando il fascicolo.
«Questa è la frase che ripeti di più al mondo, insieme a ‘ho fame’ e ‘vaffanculo’.»
«E ‘ti odio’ a che posto è?»
«Secondo posto. ‘Vaffanculo’ è più diretto.» si sedette sulla scrivania e osservò le foto del ragazzino che si era suicidato. «Su che lavoriamo?»
Lara alzò gli occhi e lo guardò. «Ti odio, ho fame, vaffanculo, è la convinzione che frega la gente e cercami Mauro Belli e Roberto Ardenzi
«La aggiungiamo alle frasi che ripeti di più?»
«Si, dato che lavoro con loro e non con te e la tua amica.»
Luca incassò il colpo e si alzò chiamando a gran voce Roberto e Mauro, mentre Lara, cercando di non darlo a vedere, sorrise, si sciolse i capelli e scosse la testa, mentre controllava un messaggio che le era arrivato sul Motorola.
«Benvenuto, notizia bomba: Giorgio mi ha liberato la casa, non devo più stare da mia madre.» disse, con una nota di gioia nella voce.
Luca le sorrise, mentre Roberto e Mauro entravano in ufficio.

Lara entrò in casa, sudata, vestita da corsa, con i capelli raccolti ma comunque spettinati. Era ora di cena, ormai.
Quella casa era sì, dispersa nel nulla, ma sembrava uscire direttamente dai suoi sogni. Prima di tutto, viveva di nuovo da sola, e questo non poteva che essere un bene. Per il resto, era una semplicissima struttura formata solo da pian terreno, ma costruita in modo da avere un’ampia zona giorno e quattro camere da letto, tre bagni ed un garage a cui si accedeva direttamente dalla cucina. Entrando, sulla destra, oltre ad un muretto, si estendeva la gigantesca cucina, con tanto di bancone centrale per cucinare con i due sgabelli per quando Lara era sola. Accanto al bancone di marmo chiarissimo, c’era un tavolo da pranzo con sei sedie. Davanti alla porta d’ingresso, tre divani circondavano un camino, e, più a sinistra, due poltrone erano rivolte verso ad una televisione. Accanto a questa televisione, vi era la porta per la prima stanza da letto, quella di Lara, e il bagno adiacente. Dall’altra parte della casa, invece, (quindi alla sinistra del camino) un corridoio portava alle altre tre stanze. La prima era più grande di quella di Lara, ma non aveva il contatto diretto con il giardino che la donna adorava. Era la camera di Luca, quando litigava con Adriano, o, prima ancora, quando non aveva dove andare. All’inizio anche lui viveva lì. Subito dopo la stanza di Luca, c’era il ‘bagno piccolo’, poi un’altra porta conduceva al piccolo studio di Lara, con delle librerie di faggio che arrivavano al soffitto, piene di libri, manuali e fascicoli. La terza porta della zona est portava al terzo bagno, e l’ultima ad una camera da letto che non veniva usata quasi mai, se non da Ludovica o dal vecchio amico di passaggio. La camera di Lara, il salotto, la camera di nessuno ed il corridoio avevano delle gigantesche porte finestre che conducevano al giardino, al centro del quale vi era una gigantesca piscina, un tavolo da esterni, un griglia ed un albero con una casetta per bambini, perché (Lara ne era sicura) presto o tardi avrebbe trovato “quello giusto” e avrebbe avuto quei quattro bambini che aveva sempre sognato.
Entrò in casa sfinita da quella corsa, con il sole che stava tramontando, trovando Luca Benvenuto ai fornelli della sua cucina.
«Ehi.» disse, con il fiatone. «Sei stato sfrattato?»
Lui si voltò a guardarla. «No, mi sono preso un momento io. Ti va una pasta?»
Lara si diresse verso la sua stanza. «Adriano sa che sei qui?»
«Non gliel’ho detto, ma sa che sei la mia famiglia. Ah, mi ha chiamato Roberto, ha litigato con Francesca, la sua compagna, e …»
«Sta venendo qui?» urlò Lara dal bagno.
«Si, è un problema? Mi aveva chiesto di venire da me, quindi …»
«Figurati, casa mia è sempre aperta, soprattutto ora che sono sola.»
Luca sentiva l’acqua scorrere e Lara canticchiare Wake me up when september ends. Sorrise mentre buttava la pasta nell’acqua bollente. Era tutto così naturale, tra di loro. Eppure, si erano conosciuti quando lui era in cerca di sé stesso e lei girava con la salopette, i capelli tinti di tutti i colori possibili, gli anfibi rossi e quella solita matita nel capelli che le stava sempre benissimo. Erano al secondo anno di liceo, il primo giorno di scuola. Lui aveva appena cambiato quartiere, e aveva deciso di lasciare il liceo classico per passare allo scientifico. Quando lui entrò in classe, presentato a quel gruppo di ragazzi come ‘quello nuovo’, l’unico banco disponibile era quello in ultima fila, accanto a quella ragazzina un po’ strana che si mangiava le unghie ed era seduta come un muratore. Quando lui le aveva detto di essere omosessuale, un anno e mezzo dopo, erano già molto amici. Lei aveva alzato le spalle e aveva detto «E io il mese prossimo mi tingo di rosa, che ne pensi?» lui aveva riso e l’aveva abbracciata. Dopo quel piccolo segreto, erano diventati inseparabili.
Il citofono suonò e lui si diresse ad aprire la porta e Roberto e a Mauretta, con un grande sorriso.
«Robè, benvenuto. Ciao piccola.» fece un buffetto sul naso alla bambina mentre Roberto entrava in casa.
«Ciao, Luca, scusa … davvero, è che Mauro è a cena con Germana, sai, è il suo compleanno, e …»
«Non ti preoccupare.» lo rassicurò Luca. «Lara arriva, credo sia ancora in doccia. Puoi mettere le vostre cose nella stanza in fondo al corridoio, guarda …» gli indicò quella stanza che non usava mai nessuno, contenente un letto matrimoniale e una scrivania. Roberto ringraziò di nuovo e si diresse verso la stanza indicata con la bambina e una grossa borsa, mentre Lara, con i capelli ancora bagnati, uscì dalla sua stanza indossando una canotta grigia e dei pantaloncini di cotone.
«Ehilà, Ardenzi.» disse, con un sorriso. «Fai come se fossi a casa tua.» poi notò la bambina, e si illuminò. «Oddio, e questa principessa chi è?»
La bambina sorrise.
«Lei è Mauretta Ardenzi.» le disse Luca.
«Ciao, Mauretta.» Lara si chinò per essere alta quanto lei. «Io sono Lara, tanto piacere.»  porse la mano alla bambina che la strinse timidamente.
Luca non poté fare a meno di sorridere, guardando come Lara si entusiasmava davanti ad una bambina. Aveva sempre amato i bambini, e sarebbe stata una bravissima mamma, un giorno. La cosa meravigliosa da vedere, era che anche i bambini amavano lei. Per strada le sorridevano, e quando passeggiavano nei parchi, la guardavano come se si aspettassero che si chinasse a giocare con loro. Lei, con quel suo sorriso contagioso, agitava la mano in segno di saluto e prendeva Luca a braccetto, ripetendo che un giorno ne avrebbe avuto uno anche lei.
In quel momento, Lara alzò gli occhi, incrociando quelli di Luca. E i loro sorrisi dicevano tutto.

Tra i divani ed il camino, c’era un tavolino di legno scuro. Erano le tre del mattino e quel tavolino era stracolmo di foto, documenti, appunti. Riguardavano Lorenzo, un ragazzino di tredici anni che si era tolto la vita, e nessuno era riuscito a capire perché. Lara fissava quegli appunti e le foto di quel bambino impiccato, cercando in ogni modo di venirne a capo, con un indizio, una traccia da seguire. Aveva passato il pomeriggio a parlare con i genitori divorziati di questo ragazzino, e non era riuscita a fare a meno di pensare a quando lei aveva tredici anni, una sorella di pochi mesi, un padre che non era in grado di volerle bene e troppe lacrime da versare.
Vera, la madre del ragazzino, lo descriveva come un figlio che la riempiva di soddisfazioni, con una buona media scolastica e degli amichetti affidabili. Gli altri bambini del condominio, che avevano parlato con Mauro, dicevano che, sebbene fosse imbranato a giocare a calcio, era simpatico. I professori, interrogati da Roberto, avevano dato un riscontro positivo.
Lara scosse la testa. «Perché?» sussurrò, tirando con la sigaretta. Non fumava spesso, fumava quando era nervosa. E non risolvere un caso la rendeva nervosa.
Sentì la porta della camera di Luca aprirsi, e si girò quel tanto che bastava per vedere il suo migliore amico in maglietta e boxer uscire dalla camera in punta di piedi.
«Buonasera.» gli disse.
Lui si spaventò. «Che ci fai sveglia?» poi notò la sigaretta e il tavolino sommerso di documenti. Conosceva quel genere di situazione. Bastava una domanda perché Lara iniziasse a vomitare fiumi di parole e trovasse la soluzione da sola. «Oh.» disse. «Non ne vieni a capo?»
«Indovinato.» rispose Lara, tornando a guardare tutti quei fogli. Spense la sigaretta e si mise le mani nei capelli. Prese una foto che ritraeva il biglietto lasciato, che diceva solo ‘perdonami mamma’. «È come se si trattasse di due ragazzini diversi. Quello che si è impiccato e quello che mi ha descritto sua madre.» Luca si sedette accanto a lei. «Sua madre era … era come se fosse fatta di vetro e fosse stata davanti a me per terra in mille pezzi, Luca.»
Lui le accarezzò i capelli crespi. «Il padre?»
«No, lui era una roccia, sembrava che non gli importasse. Ha una seconda moglie e un secondo figlio. Questo ragazzino e sua madre appartenevano alla sua vita precedente.» scosse la testa, passandosi la lingua sulle labbra che sapevano ancora di Marlboro. «Tu … tu come fai? Voglio dire, quando hai un caso così, e non ci trovi né capo né coda, come fai?»
Luca sorrise. «Chiamo la mia amica Lara … anzi, direi, la compagna della mia esistenza, Lara … non so se la conosci, è una tipa carina, rompipalle, testarda, ma è intelligente, e … la soluzione la trova sempre.»
Lara lo guardò sorridendo. «Puoi ripetere?»
«Chiedo a Lara, la compagna della mia esistenza. È una tipa, carina, ro-»
Il sorriso di Lara si allargò. «Da quando mi trovi carina?»
«Oh, ehm, immagino da quando la Agnello di latino mi disse ‘prego, accomodati vicino alla Russo, lì all’ultimo banco’, più o meno da lì.»
Lara scosse la testa, appoggiandosi alla spalla di Luca. «Eri carino anche tu, si. Ma il cognome di quel verme non si può sentire.»
«Dovresti chiamarlo.»
«No.» replicò lei secca. «Ha detto di non farmi più vedere.»
Parlare con Lara di suo padre era come parlare ad un ebreo di Hitler.
«Lara?»
«Dimmi.»
«Prendiamo la moto e andiamo a vedere l’alba al mare?»

Esattamente un’ora dopo, Lara stava parcheggiando il vecchio scooter sul lungomare. Il cielo si era colorato di un dolce azzurro chiaro, e i primi colori dell’alba erano già visibili al di là del mare. Un bar stava aprendo, e la radio passava e invece sei tu, di Cesare Cremonini, cantante che loro adoravano. Corsero fino ad arrivare quasi alla riva, e videro i primi raggi del sole cominciare a sbucare dall’orizzonte.
«Erano anni che non guardavamo l’alba al mare, sai?» sospirò lei. Era una cosa che usavano fare prima che Luca convivesse, prima che alla madre di Lara venisse diagnosticato l’Alzheimer e prima che entrambi spegnessero trenta candeline.
Lui, in tutta risposta, la abbracciò da dietro, posandole la testa sulla spalla, annusando il suo odore che lo faceva sentire a casa.
E invece sei tu,che hai fatto di me un uomo migliore. E invece sei tu, che hai fatto per me un mondo migliore.
 
   
 
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