Sesto
Capitolo
Una
volta divenuto consapevole
della posizione di Rose, si stupì di non averci pensato
prima. Certo, c’era
sempre la possibilità si
fosse aperto un portale che li aveva divisi, rispedendo lui indietro e
lei avanti, non si sa dove. Ma ora,
visto il
paradosso, l’unica opzione plausibile era quella.
Rose
era a pochi metri da lui.
Non
permise neanche a quella
frase di finire di essere formulata nella sua testa e si
alzò repentinamente,
facendo sobbalzare i suoi interlocutori. Senza proferire parola corse
fuori
dalla sede del Torchwood, rimanendo accecato dalla luce del sole che
picchiava
sulla piazza.
“Dottore!
Dove stai andando?” una
voce lo raggiunse, ma non si voltò per scoprire a chi
appartenesse.
“A
cercare Rose!” gridò, prima di
sparire tra le porte di legno blu della cabina.
Si
dette dello stupido più volte,
perché non era stato abbastanza razionale in quella ricerca,
annebbiato dai
suoi stupidi e umani sentimenti.
Cosa si fa di solito quando si perde qualcosa?
Si torna nell’ultimo posto in cui si ricorda di averla vista.
Con
questo modus operandi in
mente il Signore del Tempo superò la sala comandi,
dirigendosi in corridoio,
prima di aprire la stessa porta che aveva spalancato con Rose il giorno
prima,
in circostanze diverse.
Ok,
non era sicuro fosse passato
quel preciso lasso di tempo, il gomitolo
temporale era piuttosto aggrovigliato nella sua mente, ma qualcosa non
andava.
Era
sicuro la porta fosse quella,
nonostante la fretta si era premurato di controllare bene.
Anche
il paesaggio era piuttosto simile.
Un lago, un albero.
E
allora perché?
Semplicemente Rose non era lì. Il posto non era quello.
L’erba
era di un’altra tonalità
di verde, con troppi fiori viola e
gialli, come prima cosa. E l’albero era una quercia e non un
salice, come
doveva essere.
Era
la stanza sbagliata, decretò,
chiudendo la porta senza neanche varcare la soglia.
La
riaprì subito dopo titubante,
non senza nutrire un briciolo di speranza.
Il
paesaggio era nuovamente
cambiato.
Un fitto canneto con un piccolo stagno con le rane
e coperto di
libellule svolazzanti. Niente da fare.
Ad
una terza porta spalancata, la
stanza era ancora diversa.
Un prato ben curato all’inglese con una
fontanella sotto un melo.
Poi
ancora, Un campo di papaveri e un
abbeveratoio per mucche.
E
di nuovo, una piscina con il trampolino.
Una tinozza piena d’acqua sporca e
insaponata sotto un pero.
Qualcuno
si stava decisamente
facendo due risate, dedusse. Ma quel qualcuno doveva avere un umorismo
davvero pessimo, se pensava fosse
divertente
riproporre lo stesso paesaggio modificato. Gli elementi
erano sempre gli stessi, acqua, albero/qualcosa di alto, e
sempre nella stessa posizione. Dopo di che, il resto era lasciato al caso, come in una lista di
abbinamenti pazzi.
Era
talmente sfiduciato da non
reagire neanche quando Jack gli posò una mano sulla spalla
per confortarlo. Non
lo aveva sentito arrivare, ma era troppo abbattuto per mostrare la
minima
emozione, fosse anche semplicemente di stupore.
Restarono qualche minuto ad
osservare
l’improbabile stanza dinanzi ai loro occhi, poi il Dottore
sospirò e si tirò
indietro per chiudere la porta.
*
Rose
lo aveva capito fin dalla
prima volta che le aveva parlato. Non avrebbe scoperto niente se la sua
misteriosa interlocutrice non avesse voluto, non importava quanto
sfiancanti
sarebbero state le sue domande.
Era
seduta su quel tiepido e finto
prato da alcuni minuti, passando
il tempo ad osservare la figura in piedi davanti a lei, cercando di
capire che
tipo di alieno fosse, e ad ogni sua
ipotesi mentale, che fosse campata in aria o con un minimo di
fondamento,
riceveva una risatina divertita in risposta. Dopo aver scritto una
lista
immaginaria abbastanza lunga, ed essere stata puntualmente derisa,
aveva
rinunciato anche a quel diversivo, sdraiandosi più
comodamente contro il
pavimento erboso della stanza.
Il
Dottore sarebbe dovuto venire
da lei - per qualche oscuro motivo noto solo a Lampadina
woman - e nonostante Rose Tyler non fosse il tipo che
mollava, stare in quella stanza senza risposte e senza la causa dei
suoi
problemi da una settimana a questa parte le dava tutto il tempo di
pensare in
tranquillità sul da farsi. Insomma, stava accettando
più o meno di buon grado
la situazione, perché prigioniera o meno, era lontana dal
Dottore e dai suoi
due cuori che non avrebbero mai ricambiato i suoi sentimenti.
Doveva
rassegnarsi, imparare a
bastarsi e insegnare al suo cuore a non
sbattere contro la sua cassa toracica cercando di uscirle dal petto,
come
prima cosa.
Avrebbe
modellato i suoi
sentimenti in modo tale da rientrare nei canoni di amicizia. Non si
sarebbe
fatta spezzare il cuore da un affascinante alieno viaggiatore come in
uno
squallido filmetto di serie B, in cui lui ripartiva verso mondi
sconosciuti,
lasciandola sola a ricostruire i pezzi della sua vita.
Se
era destinata ad essere
abbandonata, come Sarah Jane e tante altre prima di lei,
l’avrebbe fatto con
dignità, senza piangere per un amore che non sarebbe mai
potuto essere
ricambiato.
Stava
andando benissimo con il
suo training di autoconvincimento, quando uno sbuffo più
forte degli altri la
costrinse ad alzare lo sguardo.
“Credi
sul serio di poter
semplicemente dimenticare?”
le disse
la donna, come sempre con il suo tono apparentemente indecifrabile, che
nascondeva
malamente una punta di ironia.
“Lui
mi lascerà, è inevitabile”
rispose lei mestamente.
“Anche
se dovesse accadere”
cominciò lei, alzando la voce ad un sopracciglio inarcato di
Rose “Anche se
dovesse accadere, non pensi sia meglio godersi il viaggio
con tutte le sue bellissime
complicazioni, piuttosto che passarlo a reprimere qualcosa per paura di
essere
abbandonati?"
Il
tono della donna si era fatto
via via più dolce, assumendo una sfumatura quasi materna,
ben distante dalla
derisione che l’aveva contraddistinto fino a quel momento.
E’ meglio aver amato e perso che non aver
amato affatto.
*
Il
Dottore non aveva più parlato
da quando la porta si era richiusa, lasciandosi guidare da Jack nella
sua sala
comandi ed ora stava lì in silenzio ad ascoltare le ipotesi
dei membri della
squadra.
Quella
situazione lo stava
distruggendo interiormente. Un’altra speranza si era
frantumata miseramente
davanti ai suoi occhi quando, illuso di riabbracciare presto la sua
Rose, si
era trovato davanti quelle stanze che, in rapida successione, gli
avevano fatto
venire il principio di un’emicrania.
O
almeno la sensazione era
quella. Non poteva dirlo con certezza, non avendo mai avuto un mal di
testa in
vita sua.
Ad
ogni modo, c’era qualcosa di
profondamente sbagliato in tutto quello. Il suo Tardis non lo aveva mai
tradito, non aveva mai fatto sparire una stanza, soprattutto se
all’interno
c’era quanto di più caro avesse al mondo.
Sospirò,
prima di alzare lo
sguardo e prestare attenzione a quanto stava dicendo Jack.
“E’
evidente che qualcosa la
tiene in ostaggio” fece sicuro “E questo qualcosa
controlla anche la tua
cabina, Dottore, impedendoti di raggiungere Rose” aggiunse
guardandolo
direttamente.
“Il
problema è che non ho idea di
cosa possa essere” replicò lui affranto
“Il Tardis è praticamente impermeabile
ad ogni invasione”.
Seguì
un momento di silenzio, nel
quale tutti si lasciarono sfuggire un sospiro impotente. Avevano poche
speranze
di ritrovare la ragazza, se chi la teneva in ostaggio non si fosse
palesato.
“Mi
chiedo cosa voglia” biascicò
a mezza voce Ianto, dando voce al pensiero principale di tutti.
Questo
misterioso rapitore alieno, infatti,
non rientrava minimamente nei
canoni dei misteriosi rapitori alieni che ognuno di loro aveva
incontrato.
Come
prima cosa, qualsiasi
manigoldo, spaziale o meno, si sarebbe messo in contatto con il
Dottore,
cercando di ottenere qualcosa in cambio. In questo caso non
c’era stato nulla
di teatrale nel rapimento, era accaduto quasi per caso, e nessun essere
vivente
aveva chiesto riscatti.
Era
come se Rose fosse sparita
nel nulla, come se la ragazza fosse già
la ricompensa sperata.
In
quel caso l’alieno che si era
impossessato della sua compagna di viaggio non aveva fatto i conti con
la sua
esistenza quasi inesauribile. Aveva del Tempo
a disposizione, avrebbe potuto rivoltare il Tardis e tutte le sue
stanze, alla
ricerca di quella radura, alla ricerca di Rose, fino
all’ultima porta.
“Tu
la ami?” la voce di Gwen si
fece largo tra i suoi pensieri, e senza accorgersene si
ritrovò ad annuire
quasi distrattamente.
“Sì,
la amo”.
Prima
che la sua frase fosse
conclusa, un'altra si sovrappose, echeggiando nella sala comandi.
E’ meglio aver amato e perso che non aver
amato affatto.
*
La
frase risuonò nella radura,
costringendo la ragazza a riflettere.
“Hai
detto, se dovesse accadere”
cominciò titubante.
La
Donna Luminosa si voltò verso
di lei sorridendo, probabilmente aspettandosi le sue parole,
invitandola a
proseguire.
Rose
si schiarì meglio la voce,
cercando di esprimere al meglio quello che voleva dire.
“Non
c’è un se dovesse
accadere” precisò dopo qualche istante
di silenzio.
L’altra fece per ribattere, poi tacque, permettendole di
chiarire il punto.
“Non
c’è, e sai perché?”
continuò
l’altra retoricamente “Perché io sono
umana. Una povera, stupida ragazza con un
cuore solo che si è innamorata di questo universo e vorrebbe
vedere tutto ma
non può, per colpa del suo povero, stupido cuore umano, che
prima o poi cesserà
di battere.”
La
Donna continuava a sorridere
senza dire nulla e la cosa non faceva altro che infastidirla.
“Ma
non è solo questo” disse poi,
sputando le parole quasi con rabbia “Il mio piccolo, stupido
cuore umano non
ama solo l’universo. Stelle e pianeti sono belli,
sì, ma il mio
cuore” sottolineò il concetto
portandosi una mano al petto “il mio cuore ama anche qualcuno. E questo amore fa
più male dell’altro, perché mille soli
e lune non possono reggere il confronto con il Dottore”
concluse svuotata,
ritrovando il suo posto sul prato.
Alzò
di poco lo sguardo,
osservando la Donna Luminosa sorridere. Probabilmente era sembrata
estremamente
patetica, ma quello era ciò che provava, ed era inutile
mentire, soprattutto in
quel momento.
Non
aveva senso far finta di star
bene quando sei chissà dove in una cabina immensa con una
donna sconosciuta che
ti legge nel pensiero. Chiunque sarebbe crollato, e lei, Rose Tyler,
faceva
parte della categoria. Non c’era
niente
di speciale in lei, era solo un’umana, ribadì.
Ed essere lei significava
essere abbandonata da affascinanti alieni in cabina. Le due cose
andavano a
braccetto e non avrebbe potuto farci niente.
Perché,
nel corso del tempo,
della storia, che Rose Tyler fosse innamorata del Dottore non era
importante. Lei non era importante.
In 900 anni di tempo e spazio non ho mai conosciuto
qualcuno che non
fosse importante.
“Ehi,
quella è la mia
battuta” una voce conosciuta la fece
voltare di scatto.
Nella
radura c’era il Dottore,
come lo aveva lasciato giorni prima, arruffato
e sorridente.
Non riuscì neanche ad alzarsi per lo stupore. Ma il suo
alieno era già lì, che
la tirava su e l’abbracciava forte per non lasciarla
più.
*
Note
dell’Autrice:
Hola!
Lo so, sono imperdonabile,
è più di un mese che non aggiorno e bla bla bla,
però sorridete, i nostri
ciccipuzzoli si sono riabbracciati!
Come
capitolo è corto, ne sono
consapevole, ma doveva finire così e non mi va di scrivere
cose in più se non
sono necessarie. Avevo pensato di scrivere l’epilogo insieme
a questo capitolo,
così sarebbe stato più lungo, ma sono egoista,
non voglio abbandonarvi così
presto e quindi vi faccio aspettare ancora un po’ :3
Spero
possiate perdonarmi per
tutto, ritardo, lunghezza, angst,
errori che sicuramente mi sono sfuggiti, e scrivermi tutto
ciò che non vi sta
bene (ma anche complimenti eh, noncopritemidiinsultiviprego)
in una recensione :)
Lascio
i sentimentalismi per l’epilogo
(che ancora non scrivo ma giuro di
essere puntuale questa volta) e vi do appuntamento alla prossima
settimana (non
so di preciso il giorno, massimo venerdì prossimo).
Baci,
L.