Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: bradbury    06/09/2015    3 recensioni
Lo aveva colpito. Una rabbia accecante lo aveva invaso, a niente erano servite le parole di Castiel. “Sam, tutti quelli che conosci, tutti quelli che ami saranno ormai morti. Tutti eccetto me.”
(metafiction basata sulla 10x22; spoiler per chi non ha ancora visto l'episodio)
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia è dedicata al povero barista che ogni giovedì mattina ha assistito a scene pietose. 



***************************************** NOTE *************************************
Il mio cervello ha partorito questo inno all'angoscia esattamente dopo aver visto l'episodio. Non vi sto a raccontare l'impatto emotivo che ha avuto su di me perchè ci tengo a conservare quel poco di rispettabilità che mi è rimasta, vi basti sapere che erano incluse lacrime e risate isteriche. Ma passiamo alle cose importanti. Questa oneshot è stata scritta in più tempi, nel senso che la prima parte (i due pov di Cas e Dean) l'ho scritta fresca di visione, mentre per la seconda ho lasciato passare la bellezza di tre mesi, perchè in tutta onestà non avevo l'intenzione di pubblicarla ma era semplice sfogo personale per salvarmi dall'implosione. Perciò, chiedo scusa se si percepisce il cambio d'umore fra le due parti e si perde un po' la malinconia che ho cercato di trasmettere. Come sempre spero che ciò che scrivo non faccia pietà e che a qualcuno di voi piaccia. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Un abbraccio. 





 
Castiel restò immobile, disteso lungo il pavimento gelido del bunker. Non provò a muoversi, non provò a vedere se Dean fosse andato via o ancora lì. I suoi occhi erano fissi sulla lama angelica, con l’estremità tagliente conficcata nella copertina di un libro a qualche centimetro dalla sua faccia.

Attraverso il metallo lucido riusciva a distinguere distintamente il proprio riflesso ricambiare il suo sguardo. Il viso era a malapena riconoscibile, una massa di ematomi e tagli, la pelle tinta di un rosso scarlatto che rendeva i suoi occhi ancora più blu. Castiel avrebbe voluto distogliere l’attenzione da quell’immagine ma inspiegabilmente non ne era capace.

Dean avrebbe potuto porre fine alla sua esistenza. Con quella lama sarebbe stato in grado di trafiggergli il petto lasciandolo lì, inerte, finché Sam non fosse rientrato e si sarebbe accorto del suo cadavere abbandonato nel bel mezzo della sala.

Dean però si era bloccato. L’aveva colpito ripetutamente, l’aveva lanciato attraverso la stanza, preso a pugni, gli aveva fatto del male come se davanti a sé ci fosse stato un nemico da annientare e non Castiel, il suo amico e protettore. Castiel non aveva reagito, aveva permesso al cacciatore di mettere a segno i suoi colpi. Eppure, quando era arrivato il momento d’infliggergli il colpo di grazia, Dean era ritornato sui suoi passi e l’aveva risparmiato. Castiel non era morto, respirava ancora anche se a fatica, ed entro le ore successive quei segni sul suo viso sarebbero scomparsi, senza lasciarsi dietro alcuna traccia se non il ricordo. Tutto sarebbe tornato al suo posto.

E allora perché stava piangendo? Castiel vide una lacrima scorrere nel riflesso della lama, lungo la guancia dolorante, avvertendone contemporaneamente il calore e il sapore salato sulle labbra. Non era previsto che gli angeli piangessero, non ne erano capaci e certamente nella sua interminabile esistenza non ricordava di aver mai assistito al pianto di alcuno dei suoi fratelli.

Come al solito Castiel era l’eccezione alla regola.

Un’altra goccia scivolò via, fuori controllo, bagnandogli la tempia. E’ ovvio che possa piangere, pensò con amarezza Castiel, ormai non appartengo più al Paradiso né tanto meno alla Terra. Non era un angelo, non era un essere umano. Non era niente.

Ma Castiel non piangeva per se stesso, l’immensa solitudine e inutilità che sentiva irradiarsi dal centro dello stomaco non erano nulla a confronto della tristezza che provava per l’uomo virtuoso che nonostante gli anni credeva ancora di non meritare di essere salvato.

Castiel piangeva per Dean.

Per il Dean Winchester che aveva tirato fuori dall’Inferno, aveva ricostruito la sua anima dilaniata, l’aveva tenuta fra le mani ed era stato sopraffatto dalla sua purezza. Piangeva per il leader e l’amico al fianco del quale aveva fedelmente combattuto e messo in discussione ciò per cui era stato creato. Per l’uomo che gli aveva insegnato cosa significasse amare.

Curioso come dopo tutto ciò che avevano passato insieme fossero ritornati ad essere due completi estranei. Anche durante il nostro primo incontro ha provato a pugnalarmi, pensò Castiel cercando di alleggerire il peso che gravava sul suo cuore facendo dell’umorismo, ma che finì col produrre l’effetto contrario.

Le lacrime si erano così intensificate al punto da offuscare la vista dell’angelo, al quale non restava altro lasciarle libere. Magari avrebbero portato via con loro la sofferenza, gli esseri umani sembravano sentirsi meglio dopo un lungo ed intenso pianto. Castiel sperò che valesse anche per lui.

Perse la concezione del tempo, anche se la luce della stanza era cambiata indicando che il sole era ormai tramontato. Sam sarebbe rientrato presto, per scoprire che Dean non c’era e che lui se l’era lasciato sfuggire.

Castiel ripensò ancora una volta al dolore provocato dalle nocche di Dean contro la sua mascella, agli occhi freddi, persi, disperati, fissi dentro ai suoi mentre teneva la lama angelica sollevata in aria. E a quel punto capì. Capì il motivo per il quale non aveva reagito, non si era difeso. Non perché il Marchio di Caino fosse più potente della sua Grazia, non perché i suoi poteri non fossero al massimo ma perché non aveva voluto.

Dean poteva anche essersi smarrito ma era ancora lì da qualche parte immerso nell’oscurità. Castiel lo sapeva ed era intenzionato a salvarlo, Di nuovo. Ancora e ancora, non importava quanto tempo ci avrebbe messo, non importava se Dean l’avesse picchiato, evitato o odiato, Castiel non lo avrebbe mai abbandonato. Contrastarlo con la forza anziché aiutarlo avrebbe solamente peggiorato la situazione. Dean sarebbe diventato più irraggiungibile.

Quando Castiel era stato sotto il controllo mentale di Naomi, ciò che aveva interrotto la connessione e l’aveva liberato dal suo vincolo, non era stata la violenza della lotta ma la voce spezzata di Dean. “Ho bisogno di te” gli aveva detto, “siamo una famiglia.”

Era bastato quello per fargli trovare la forza necessaria a combattere. Gli era bastato sapere di contare qualcosa per Dean, gli era bastato sentirsi amato per ritornare ad essere se stesso.

Che Dean lo volesse o meno, sarebbe dovuto bastare anche a lui.
 
*****
 
Dean si svegliò di colpo e ci volle qualche istante prima che ricordasse dove fosse. La testa gli pulsava orribilmente dandogli l’impressione di essere sul punto di esplodere. “Merda” mormorò rauco, mettendosi in piedi e barcollando fino al bordo del letto.

Era colpa dell’alcool. Aveva bevuto più birre di quanto non avesse fatto durante tutta la sua vita, una dietro l’altra, quasi senza sosta, finché non era crollato sulla moquette lurida della camera di motel dove si era rintanato dal giorno prima. Bere per dimenticare. Purtroppo per Dean nel suo caso il risultato non era stato lo stesso.

Aveva sognato Castiel. All’inizio era sembrato un sogno insignificante come tanti altri, poi la barista gli aveva piazzato davanti un altro drink dicendogli che era da parte di un ammiratore. Dean si era girato, ritrovandosi faccia a faccia con l’angelo, il suo volto sfigurato. Se erano delle scuse che voleva, poteva anche sperare in eterno. Si era svegliato.

Era così incazzato con Castiel, talmente tanto che il solo pensare al suo nome gli faceva venire voglia di tornare indietro verso il bunker a completare ciò che stupidamente era stato troppo codardo di finire. La sua rabbia non era dettata interamente dalla maledizione che bruciava sul suo avambraccio ma anche dal tradimento. Castiel gli aveva mentito, non una ma due volte, gli aveva promesso di ucciderlo se le cose fossero diventate pericolose, se lo ricordava bene. Aveva gli occhi blu di Castiel marchiati a fuoco nel cervello e la sua voce che scandiva “certamente” quando Dean gli aveva chiesto di promettere. Invece aveva infranto il suo giuramento, e non contento aveva mentito insieme a Sam tenendogli nascosto il loro schifoso piano di salvataggio che non aveva portato a niente se non alla morte di Charlie. Non doveva essere lei a morire, Sam lo meritava, Castiel lo meritava.

Lo aveva colpito. Una rabbia accecante lo aveva invaso, a niente erano servite le parole di Castiel. “Sam, tutti quelli che conosci, tutti quelli che ami saranno ormai morti. Tutti eccetto me.” Dean non lo voleva accanto, voleva che Castiel mettesse più distanza possibile fra loro e non facesse più ritorno. Non aveva bisogno di lui, tantomeno delle sue stronzate.
Ma Castiel era un testardo figlio di puttana e Dean sapeva che non gli avrebbe mai dato ascolto, preferiva piuttosto mettere a rischio la sua vita pur di salvarlo e questa consapevolezza glielo faceva odiare ancora di più. Aveva continuato a colpirlo, furioso per la sua incoscienza.

Perché per Castiel era così difficile ucciderlo? Aveva paura di perdere l’amicizia di Sam? Di avere la coscienza sporca, di non riuscire più a dormire la notte? Dean non sapeva dare una risposta sensata a quelle domande. Certamente lui non avrebbe avuto alcun problema ad ucciderlo, il fatto che si fosse fermato non significava nulla.

Castiel non aveva mosso un dito per proteggersi, non aveva usato le sue capacità angeliche per parare i colpi. Non aveva paura di essere ucciso? Dean aveva costantemente paura di morire, oh sì, era terrorizzato. Per lui significava diventare uno schifoso demone con le mani macchiate del sangue di centinaia, forse migliaia di persone innocenti. Come Castiel.

Si era fermato. Dean aveva abbassato lo sguardo verso Castiel ed un brivido di puro orrore gli aveva attraversato la schiena, gli veniva voglia di vomitare. Improvvisamente la predizione di Caino divenne reale, sembrava impossibile riuscire a sottrarsi da essa e i suoi battiti avevano accelerato, impazziti. Il Marchio gli ordinava di farla finita mentre un’altra parte di lui, più profonda e troppo spesso trascurata gli urlava di correre via.

Castiel non aveva interrotto il contatto visivo, le sue dita si erano aggrappate intorno al polso di Dean e stringevano. “Dean…” aveva detto, ma poi un rivolo di sangue era sgorgato fuori dalla sua bocca e gli aveva impedito di aggiungere altro. Gli aveva fatto del male. Era un mostro. Dean afferrò la cravatta di Castiel e lo strattonò. “Idiota. Sei un idiota. Avresti dovuto lasciarmi andare. Sono veleno.” Era questa la frase che si ripeteva nella sua testa.

La lama sibilò quando sferzò l’aria e si conficcò a un soffio dal volto di Castiel. Il Marchio lanciò una fitta tremenda lungo il braccio di Dean ma ormai per quella volta aveva perso la sua battaglia. Dean si rimise in piedi, privando Castiel del peso del suo corpo, del peso della sua anima distrutta. Non si era voltato a controllare come stesse, aveva percorso il salone del bunker a grandi falcate ed era andato via.

La prossima volta non lo avrebbe mancato. Dean lasciò una nota di addio a Sam, il senso di colpa non gli permise di fare la stessa cosa per Castiel. Pregò che il suo piano funzionasse.
 
*****
 
Non aveva funzionato. O meglio, una parte del piano aveva funzionato e non era stata quella di Dean. Come risultato avevano ottenuto l’eliminazione del Marchio, la morte di Morte – ironico – e ciliegina sulla torta, la liberazione dell’Oscurità, una delle più malvagie entità sovrannaturali mai affrontate.

Almeno non era morto nessun altro, nonostante per un breve e angosciante periodo Dean avesse pensato che anche Castiel fosse arrivato al capolinea.

Una volta portato a termine il sortilegio, Rowena ne aveva scagliato un altro contro Castiel affinché attaccasse Crowley. Il Re dell’Inferno era riuscito a svignarsela, invece Castiel era rimasto sotto il suo effetto per giorni seminando il panico nelle cittadine limitrofe, finché Dean e Sam non l’avevano recuperato ed erano riusciti a spezzare il maleficio. L’avevano portato con loro al bunker per far sì che l’angelo riprendesse completamente le forze. L’incantesimo gli aveva prosciugato fino all’ultima goccia di energia.

Ci aveva impiegato quattro giorni per ristabilirsi.

Il primo era stato il peggiore. Castiel era rimasto privo di sensi e tremante per tutta la notte. Dean gli era stato accanto seduto su una sedia vicino al bordo del letto, per tenerlo sotto controllo e assicurarsi che non ci fossero complicazioni. Era notte inoltrata quando Castiel aveva improvvisamente sollevato le palpebre e si era guardato intorno disorientato, senza realmente distinguere dove fosse. Aveva cominciato ad agitarsi e Dean era stato costretto ad afferrarlo da entrambe le spalle per spingerlo indietro contro il letto. “Cas, calmati, va tutto bene!” aveva esclamato mentre Castiel continuava a ribellarsi alla sua presa. “Cas, sono io. Dean.” A quel punto gli occhi dell'angelo sembrarono mettere a fuoco il viso allarmato del cacciatore, che avvertì i muscoli tesi di Castiel rilassarsi sotto il suo tocco.

“D-Dean...” aveva mormorato con un filo di voce, “l'incantesimo...il Ma...rchio...tu stai-”

“Sto bene” si era affrettato a rassicurarlo Dean, scostandogli inconsapevolmente via dalla fronte, una ciuffo di capelli impregnati di sudore, “il Marchio non c’è più.”

“B-bene.”

Castiel aveva tirato un lungo sospiro di sollievo prima di svenire di nuovo. Dean gli aveva sistemato meglio le coperte ed era tornato a sedersi al buio in compagnia del silenzio rassicurante del bunker. Solo il mattino successivo si era accorto di essersi addormentato con la mano intrecciata a quella di Castiel.

Il secondo giorno le sue condizioni erano visibilmente migliorate. Aveva finalmente riacquistato conoscenza e migliorava in fretta per via della grazia che scorreva nelle sue vene, nonostante non riuscisse a rimanere in piedi per più di cinque minuti. Dopo l'ennesimo cedimento delle gambe, Dean l'aveva sollevato di peso come una fottuta sposa, trasportandolo a letto e obbligandolo a restarci. "Non azzardarti a sollevare il culo dal materasso, Cas. Intesi?" Castiel aveva serrato la mascella in segno d'irritazione ma alla fine gli aveva dato ascolto.

Il terzo giorno Castiel era praticamente tornato come nuovo. Non era più pallido come un lenzuolo e aveva trascorso la giornata in biblioteca ad aiutare Sam nella ricerca di qualche informazione utile sull'Oscurità. Come se fosse facile. Era tipico dei Winchester risolvere un problema per poi crearne uno biblicamente più grosso, ma per una volta Dean non si sentiva in colpa. Era stanco di provare rimorso. O almeno tentava.

Avere intorno Castiel, osservarlo muoversi nel bunker, dover incrociare il suo sguardo e notare come il comportamento dell'angelo nei suoi confronti fosse rimasto immutate dopo il modo in cui l’aveva trattato, gli rendeva molto difficile ignorare l'accaduto e far finta di non aver provato ad ucciderlo. Magari Castiel faceva solo buon viso a cattivo gioco, probabilmente una volta fuori di lì, la sua unica fonte d’informazione sarebbe stato Sam mentre Dean sarebbe diventato un volto del passato, qualcuno che in tutta onestà, gli aveva creato più problemi del resto.

Dean suppose che l'avrebbe scoperto presto. Gli si strinse lo stomaco. Era il pomeriggio del quarto giorno e Castiel stava impacchettando le sue poche cose nella sua vecchia sacca da viaggio, per poi partire e trovare un posto dove stare per conto suo in una città di cui Dean avrebbe scoperto il nome solo se avesse seguito i suoi spostamenti rintracciando il GPS del cellulare. Non che Dean avesse intenzione di farlo, no.

Il cacciatore continuò a pulire la canna del suo fucile mettendo un po’ troppa insistenza nel movimento. Era così preso ad autocommiserarsi da non accorgersi del suono di passi che risuonarono nel corridoio e del rumore di nocche che bussavano contro la superficie della porta.

“È permesso?” chiese Castiel infilando la testa nella stanza. Dean sussultò impercettibilmente e si voltò a guardare l'altro. Castiel gli sorrise di rimando. Perché viene qui dentro solo quando deve dirmi addio? si domandò distrattamente Dean, con una punta di amarezza. Ignorando quei pensieri si fece forza e si stampò in faccia l'espressione più disinvolta che fosse capace di offrire.

“Ehi, Cas” disse, prima di fargli cenno di entrare. Castiel rimase impalato davanti alla porta chiusa senza ben sapere come comportarsi. Di solito quella situazione era il tipico comportamento di teso imbarazzo fra due persone dopo una nottata di sesso occasionale. Non che fosse quello il caso, lui e Castiel non avevano mai...“Smettila di pensare, Winchester” si rimproverò mentalmente Dean, in modo da poter tornare a concentrarsi sulla figura in trenchcoat e cravatta di fronte a lui.

“Uhm, allora te ne vai?” chiese con apparente assenza d’interesse.

“Appena Sam avrà finito di riempire di benzina il serbatoio della mia auto” spiegò Castiel.

“Fantastico” disse Dean, per poi pentirsene amaramente mezzo secondo dopo. “Non intendevo dire che...uhm, insomma hai capito...non è che io...non ti sto cacciando o qualcosa del gen-”

“Lo so” lo interruppe l’altro, “sono diventato piuttosto bravo a capire cosa vogliono dire gli esseri umani, Dean” gli sorrise ma il cacciatore non ricambiò. Ci provò ma tutto ciò che ne venne fuori fu una penosa smorfia. Se Castiel avesse imparato sul serio a comprendere i comportamenti umani a quell'ora non starebbe andando via.

“Fatti sentire. Se hai bisogno sai come trovarci.” disse infine Dean, alzandosi dal letto per raggiungerlo e dargli una pacca sulla spalla.

“Lo farò” gli assicurò Castiel, facendo un passo avanti, avvicinandosi ancora. Ci fu una pausa durante la quale entrambi continuarono a fissarsi. La mente di Dean cominciò a lavorare freneticamente, alle prese con l’elaborazione di una scusa valida per chiedere a Castiel di non andarsene, di rimanere con loro – con lui – al bunker. Fu Castiel a interrompere per primo il contatto visivo.

“Ci vediamo, Dean” lo salutò.

Ed ecco che erano arrivati all’ultimo atto, ancora pochi istanti e il sipario si sarebbe chiuso. Dean percepiva il battito cardiaco rimbombare nelle orecchie, doveva fare qualcosa prima che a rimanere sarebbe stato solo il rimpianto.

“Intendevi davvero quello che mi hai detto?” disse, l’urgenza nella voce la rese leggermente più alta del normale. Castiel si girò con la sua solita espressione confusa a corrugagli la fronte. “A cosa ti riferisci?”

Dean prese un respiro. “Quel giorno qui al bunker quando…” fece una pausa, perché era un codardo e incapace di ammettere ad alta voce le proprie colpe, “quel giorno hai detto che-“

“Mi ricordo. Parlavo sul serio.”

“E allora resta. Mi dispiace per quello che ti ho fatto e per essermi comportato come uno stronzo. So che sono l’ultima persona con cui vorresti essere, ma preferirei comunque che tu restassi al mio fianco, Cas. Non voglio che mi lasci anche tu.” Dean non aveva intenzione di arrabbiarsi eppure le sue parole erano uscite cariche di aggressività, come se Castiel avesse fatto qualcosa di brutto. Forse Dean era davvero incazzato con lui, perché quell’idiota non capiva di aver stravolto la sua vita, non capiva quanto fosse complicato il loro rapporto e che lui era stanco di chiedere. Voleva che Castiel aprisse gli occhi e gli leggesse dentro senza ogni volta costringerlo a comportarsi come la maledetta protagonista di una scadente telenovela argentina.

Non stava più guardando Castiel, aveva abbassato lo sguardo e serrato i pugni perché mai prima di allora si era sentito così esposto e vulnerabile.

“Dean” lo chiamò dolcemente Castiel, “ti dispiacerebbe guardarmi?” Senza che lui potesse fare niente i suoi occhi saettarono in direzione dell’angelo.

“Non ho intenzione di andare da nessuna parte.”

Dean gli lanciò un’occhiata interrogativa. “Ma se hai appena de-“

“Starò via solo per un paio di giorni, al massimo tre. Sam crede che ci sia qualcosa di utile da sapere sull’Oscurità, in Missouri. Mi sono offerto di controllare.”

“Oh.” Dean rischiava l’autocombustione e provava l’urgente necessità di sparire per il successivo decennio. “Avevo capito male” balbettò, grattandosi nervosamente la testa.

“Come sempre” lo prese in giro Castiel o forse no, data l’espressione mortalmente seria del suo volto.

“Ehi, non è vero.” si difese l’altro, “è colpa tua e della tua pessima capacità di comunicazione se ci sono dei fraintendimenti, amico.”

Dean fece appena in tempo a cogliere la scintilla di sfida negli occhi di Castiel prima che quegli ultimi centimetri che mancavano fra i loro corpi venissero eliminati e la bocca di Castiel collidesse contro la sua.
Il cacciatore spalancò gli occhi, colto di sorpresa e ci mancò poco che indietreggiasse terrorizzato. Fortunatamente, Castiel aveva delle labbra maledettamente invitanti ed una lingua decisamente curiosa mentre le dita che accarezzavano pigramente i capelli alla base del collo, inviavano lungo la sua schiena brividi troppo piacevoli per rinunciarci. Inoltre, sarebbe stato proprio da maleducati non ricambiare. Dean strinse i lembi del trenchcoat attirando Castiel ancora più vicino e gli permise di giocare con le sue labbra, prendendosi tutto il tempo che voleva per assaporarlo.

Aveva fantasticato sul quel momento un numero infinito di volte e quella piccola porzione della sua mente che non era completamente assuefatta dal sapore di Castiel e che riusciva a malapena a ragionare, era assolutamente incredula di quello che stava accadendo. Non era un esercitazione, era la realtà.

Dean si fece sfuggire un lamento di protesta quando Castiel gli morse il labbro prima di interrompere.

“Sono stato abbastanza comunicativo adesso o c’è qualcosa che ti sfugge, amico?” mormorò Castiel contro le sue labbra, con il respiro lievemente affaticato e una luce particolare negli occhi che inviò una scarica di calore dritta nei pantaloni del cacciatore.  

“Uhm. No, direi di no. Tutto chiaro” biascicò Dean, frastornato, come se avesse appena finito di fare un giro nella centrifuga della lavatrice. Castiel annuì compiaciuto dandogli un altro breve bacio, prima di scostarsi e prendere la via della porta.

“Buona giornata, Dean” disse, “è stato bello chiarirmi con te, dovremmo farlo più spesso” aggiunse prima di uscire di scena e lasciarlo lì, da solo e imbambolato come un perfetto cretino.

Che impertinente figlio di puttana, pensò Dean, scuotendo la testa, prima di ritornare a lucidare il suo fucile. Adesso aveva la certezza che Castiel non se ne sarebbe mai andato, sarebbe rimasto con lui per sempre e improvvisamente tutte le sue preoccupazione svanirono. Alla fine in un modo o nell’altro tutti l’avrebbero lasciato che lo volesse o meno, tutti eccetto Castiel. Dean sorrise.





 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: bradbury