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Autore: Smoking    11/09/2015    0 recensioni
Cos'è che rende una favola una Favola?
Ovviamente un castello incantato, una Principessa in cerca del lieto fine ed un Principe coraggioso che farebbe di tutto per salvarla dal malvagio di turno.
Se cercate tutto questo, se cercate una favola di amore eterno, se cercate il trionfo del bene sul male, non aprite questa storia!
Nella mia, le principesse si salvano da sole e il principe... il Principe????
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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<< Sei una sciagura! >> inveì il Generale Einar contro Mia che, seppur sopraffatta dalla rabbia e dall’umiliazione, era costretta a rimanere in silenzio. La situazione sembrava già critica e urlare contro al Generale avrebbe solamente peggiorato le cose.
<< Ti ho affidato un unico, semplicissimo compito e tu che fai? Non solo non sei stata in grado di portarlo a termine, ma hai addirittura distrutto un intero raccolto!>> imprecò, agitando le braccia, esasperato << Proprio non capisco che cosa ho fatto di male per meritare una simile disgrazia tra i miei ranghi … >>.

Einar continuò a insultarla per quelle che a Mia sembravano ore, ingoiando tutta la sua frustrazione che andò a localizzarsi in un groppo in gola, crescendo di volta in volta che il Generale le affibbiava un nuovo e maligno epiteto.
Alla fine, benché la ragazza provò a dirle che quel disastro era opera di un animale che abitava nel sottosuolo, le cose peggiorarono comunque perché Einar pretese che Mia sistemasse quel disastro da sola, visto che Markus era ferito: avrebbe dovuto trasportare fino alla pianura tutta la terra necessaria per richiudere la voragine, livellare il terreno, zapparlo e ripiantarvi tutte le piante. Probabilmente avrebbe dovuto faticare tutto il pomeriggio solo per richiudere il cratere.

Così verso le tre del pomeriggio, quando raggiunse il campo devastato, scoprì che il lavoro era ancor più faticoso di quello che si era aspettata, soprattutto perché l’unico aiuto che ebbe fu da parte di un agricoltore che le spiegò le basi del lavoro.
L’unico lato positivo fu che Mia riuscì a scrollarsi di dosso la tensione con il duro lavoro fisico e, mano a mano che trasportava la terra e la gettava all’interno della voragine, iniziò a ripulire la sua mente dai pensieri che comprendevano dolorose punizioni per il Generale, sostituendoli con quelli più piacevoli: quando avrebbe parlato con Jennifer, l’allestimento della festa, a quanto le sarebbe piaciuto stare in mezzo alla sua gente per aiutare nei preparativi.

Raramente Mia si era soffermata su pensieri di quel tipo: le frivolezze della vita mondana non le erano mai interessate, ma, per qualche strana e oscura motivazione, l’idea di partecipare alla festa quella sera la elettrizzava come quando le avevano concesso di diventare una Guardiana.
Era bastato rivedere Jennifer per farla sentire più vicina agli altri: a quali altri cambiamenti sarebbe andata incontro se la avesse anche solo salutata?
Con più energia, Mia continuò a riempire la voragine di terra ed a compattarla per bene: ad ogni spalata, sentiva i muscoli farsi più possenti e, invece di osservare il monte di terra che ancora aspettava di essere gettata nel buco, si concentrò su quella che già aveva buttato dentro, seppur pochina.

Quell’eccesso di ottimismo durò per tutto il pomeriggio, proteggendola anche dalla calura della valle, e, quando il sole tramontò dietro le cime montuose, non c’era più traccia della voragine che tanto aveva preoccupato lei e Markus.
Mia riportò la pala e la carriola in una baracca alla periferia della pianura che gli agricoltori avevano adibito a magazzino e, quando realizzò che fino al giorno successivo non avrebbe dovuto pensare al lavoro, iniziò a correre verso la sua casa.
Questa si trovava quasi alla fine della lunga fila di grotte scavate nel monte, praticamente nella zona più distante dal tunnel e dalla festa, che si sarebbe svolta nella spiaggia di granella situata nella parte più a ovest della valle.

Quando mancarono pochi metri prima di raggiungere la sua dimora, Mia si getto ancora vestita nel lago, per scacciare sudore e polvere dai vestiti e dal suo animo: quella sera Mia si era lasciata convincere dalla madre ad indossare un abito confezionato apposta per lei, abbandonando per una sera i suoi inseparabili pantaloni.
Quanto agli abiti che indossava in quel momento sarebbero dovuti essere lavati in ogni caso, quindi tanto valeva farlo subito assieme al suo corpo: una brava lavandaia sarebbe svenuta a quella vista, ma per Mia, spinta da un’inspiegabile euforia, quella era l’idea più brillante che la sua mente avesse mai concepito.

Sguazzò per un po’ nell’acqua, sciacquandosi per bene anche i capelli che, in ogni caso, non si sarebbero asciugati per la sera, e quando uscì dall’acqua completamente fradicia si sentì molto più in forze, come se si fosse tolta di dosso i residui di quella giornata molesta. Anche la curiosità che provava nei confronti dell’animale che aveva fatto crollare il campo era svanita, come se si fosse diluita nell’acqua cristallina.
Gocciolante, Mia entrò dentro la sua casa, si liberò degli abiti bagnati e li appese ad una cordicella stesa per farli asciugare.

Contemplò il vestito confezionato da sua madre che giaceva sul suo letto ed un impeto di ribrezzo la attraversò. Tirando fuori tutto il coraggio che aveva, lo indossò: cucito con una stoffa pesante, l’abito era di un azzurro sbiadito e anonimo, simile al colore del lago quando l’acqua era agitata, e le si apriva largo sui fianchi a nascondere le poche curve di Mia come farebbe una madre protettiva; le spalline a balze ed il grande fiocco bianco posizionato sopra il fondoschiena le ricordavano i vestiti delle bambole di pezza con cui giocava Jennifer da bambina.
Mia indossò un paio di scarpe di tela ai cui lati vi erano due nastri di stoffa bianca da intrecciare lungo la caviglia e, infine, la ragazza si pettinò i capelli ancora umidi con le dita, per dargli un aspetto più ordinato.

Quando uscì dalla grotta, evitò accuratamente di specchiarsi nel lago, onde evitare di far crollare tutto il suo coraggio, e si avviò verso la festa, accompagnata dal suono distante della musica.
La via per giungere alla festa era illuminata da fiaccole e da candele di vario diametro, le cui fiammelle oscillavano leggere come danzanti spiriti di fuoco.
Mano a mano che si avvicinava, Mia sentì la musica farsi più forte e sentì canti mistici interpretati dalle voci melodiose di giovani donne.

Poco prima di giungere al tunnel, Mia notò una figura solitaria seduta sulla riva del lago, impegnata a lanciare sassi verso l’acqua scura con quanta più forza possedesse nel corpo: ci volle un po’ perché la ragazza capisse che si trattava di Markus. Con una certa tristezza, Mia notò che i sassi non raggiungevano mai una buona distanza, ma cadevano con tonfi sordi a pochi metri dalla riva.
Spinta da tenerezza, Mia gli si avvicinò e le posò una mano sulla spalla; lui si voltò, bianco in volto per essere stato scoperto, ma si ricompose subito quando riconobbe Mia, un sorriso materno stampato in faccia.

<< Come va il ginocchio? >> chiese la ragazza, grata a Markus per non aver fatto commenti sul suo abito.
<< Va. >> borbottò lui, che continuò a tirare pietre.
Mia si mise seduta di fianco a lui con non poca fatica: quell’abito era decisamente troppo ingombrante per lei.
Per un po’ rimasero in silenzio, rotto solamente dagli schiamazzi della festa: Markus era particolarmente agitato, con l’espressione di chi conserva un segreto ed ha paura di farselo leggere in faccia. Alla fine parlò:
<< Mia, io posso fidarmi di te? >> si voltò verso di lei e la osservò così intensamente che Mia ebbe paura di delle parole che quel ragazzino di tredici anni avrebbe potuto dirle.

Alla fine, la sua parte più “Guardiana” prevalse << C-certo … >>.
<< Oggi, quando siamo stati al campo ed è successo quello che è successo >> iniziò, osservandosi attorno per paura di essere sentito da terze persone << Io … ecco … io ho avuto paura. >>.
Un po’ sollevata, Mia lo consolò << Capita a tutti di provare paura. >>.
Quelle parole sembrarono agitare Markus ancora di più.
<< No, Mia, non è questo … t-tu non capisci … io … >> balbettò, irrequieto << Quello che c’è sotto di noi, quello che vive nel sottosuolo … io non avevo mai sentito parlare di una cosa del genere … >>.
Si passò una mano sul viso sudato, scostando una ciocca di capelli neri, e prese una boccata d’aria << Mia, rispondimi seriamente. Tu credi davvero che quello che ci ha attaccato sia stato un animale? >>.
<< C-che altro poteva essere? >> disse la ragazza che iniziava a diventare irrequieta anch’essa.

La sua risposta parve accendere una scintilla negli occhi del ragazzo << Per tutti gli Dei, Mia! Ma ti rendi conto che quella cosa ci ha attaccati di proposito? Ti rendi conto che quella cosa ha cercato di … ha cercato di ucciderci? >>.
Mia rimase paralizzata: l’idea di uccidere una persona o un animale era già di per sé terrificante, ma il fatto che qualcuno avesse tentato alla sua di vita era così spaventoso che iniziò a osservarsi attorno, quasi come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro. Imprecò contro se stessa e alla sua stupidità: non aveva minimamente pensato a quell’ipotesi perché non aveva più pensato veramente a ciò che si nascondeva nel sottosuolo.

Si era concentrata troppo sul fatto che la valle era da sempre stato un posto sicuro, privo di pericoli, un luogo in cui tutto andava a finire per il verso giusto.
“Non tutto, Mia.” le suggerì la sua coscienza “Guarda i genitori di Jennifer, guarda il Generale Einar … ”.
Mentre il suo cervello si rimetteva lentamente in moto, un’associazione di pensieri la portò ad una scoperta che rendeva tutto molto più surreale: non era una coincidenza il fatto che quell’attacco avesse avuto luogo proprio il giorno del ritorno della Famiglia Reale. Qualcuno stava tentando alla sicurezza di Dora e di Jennifer, forse anche a quella di tutti gli Umili.

Quelle teorie, che si affollarono nella sua mente spintonandosi a vicenda, Mia le trovò più ingombranti del suo vestito e sentì il bisogno fisico di raccontarle a Markus di cui, dopotutto, si fidava anche lei.
Quando Mia finì di spiegargli, Markus assunse una lieve tonalità di verde.
<< Mia >> sussurrò Markus ed il suo volto, fatto di puro terrore, le si avvicinò talmente tanto che lei riuscì a contargli ogni singolo ciglio << Hai mai pensato di andartene dalla valle? >>.
Quella domanda fu così inaspettata che la risposta di Mia sembrò uscirle fuori per pura inerzia << Sì. >>.

Nel momento in cui la disse, iniziò a sentirsi tremendamente in colpa, ma per Markus quell’unico monosillabo bastò per fargli riprendere un po’ di colore: forse, dopotutto, non era stata la paura dell’ignoto a terrorizzarlo, ma la possibilità di doverlo affrontare da solo.
Mia stava per dire a Markus che avrebbero capito presto di cosa si trattava e di non preoccuparsi (anche se nulla lasciava presagire qualcosa di buono), quando una risata improvvisa alle loro spalle li fece girare, entrambi terrorizzati per paura che qualcosa stesse per attaccarli.

<< Ma che graziosa coppietta al chiaro di luna. >> sghignazzò Einar dietro di loro, in mano un boccale che Mia presunse fosse pieno di vino, le cui botti venivano aperte solamente in occasioni di grandi feste. Einar barcollò leggermente mentre ne ingollava un poderoso sorso e le sue guance iniziarono a tingersi di rosso.
Mia provò pietà per quell’uomo che si reputava il più grande combattente della valle e chiunque avrebbe potuto notare il profondo sguardo di disgusto della ragazza.
Einar se ne accorse << Vedo che ancora non hai imparato a stare al tuo posto, ragazza. >> insieme alle parole sputò i residui di vino che aveva in bocca << E quello che indossi che cos’è? Un patetico tentativo di entrare nelle grazie della nostra comunità? Oppure solamente in quelle della tua cara amichetta Jennifer? >>.

Il groppo in gola di Mia parve appesantirsi: non aveva idea di come il Generale fosse venuto a conoscenza della sua amicizia con Jennifer e, soprattutto, non capiva perché mai avrebbe dovuto interessargli.
<< Il mondo appartiene agli uomini, Mia. >> disse il Generale Einar, compiaciuto dalla “profondità” delle sue parole << Tu puoi continuare a giocare ad essere uno di noi, ma alla fine resti quello che sei: una debole e fragile ragazzetta che pensa di poter cambiare gli avvenimenti. Illusa! Ci sarà sempre qualcuno più forte di te che verrà a dominarti. Gli Dei solo sanno se non sarà così anche per la principessa. >>.
E, scolandosi tutto il contenuto del boccale, se ne andò.

Mia rimase in silenzio, disgustata da quell’uomo, ma rendendosi improvvisamente conto che tutto ciò che aveva detto era vero; Markus, accanto a lei, sembrava stranamente afflitto.
Alla fine, Mia si disse che era ora di andare in cerca di Jennifer, così si alzò, ma prima di andarsene sentì il bisogno di dire qualcosa, qualsiasi cosa a Markus.
Si girò verso di lui e lo fissò in quei grandi occhi verdi, così spaventati dalla vita. << Tu sei un bravo ragazzo, Markus. >> disse Mia << Non lasciare che persone come lui influenzino il tuo pensiero. >>.
E senza aspettarsi una parola dal ragazzo, si voltò e si incamminò verso la spiaggia.





Da quel momento della serata in poi, a Mia sembrò che a vivere fosse un’altra persona, che qualcuno avesse preso possesso del suo corpo e dei suoi movimenti, comandandola come se fosse stata una marionetta.
Troppe cose erano già state dette quella sera, troppe emozioni affollavano la sua mente, così tante da averle fatto perdere il controllo della sua carne, e quell’opprimente senso di insicurezza sembrava essersi incollata alle gambe, che seppur stanche procedevano in avanti spinte da un’energia che mia non pensava possedesse.

Avrebbe voluto correre e mettersi al riparo dal mondo, ma qual è un rifugio sicuro quando la stessa terra in cui stava camminando sarebbe potuta crollare da un momento all’altro?
Si ritrovò nel centro della spiaggia, tra i due falò che troneggiavano sopra gli Umili, ignari del pericolo.
Osservò il suo popolo e non riconobbe neanche un volto, tanto l’alcol li aveva sfigurati; probabilmente non avrebbe riconosciuto neanche sua madre, dispersa in quell’orgia caotica di grida e di libido: nessuna inibizione era stata celata quella notte e nessuno avrebbe diffamato gli altri il giorno successivo perché ognuno era ugualmente colpevole.

“E’ questa la vita che vogliono per me?” chiese la sua mente fuori controllo “Basterebbe un bicchiere pieno per farmi dimenticare? Basterebbe questo finto senso di sicurezza per farmi accettare, per farmi amare? Dovrei prostrarmi a tutto ciò?”.
Il calore sprigionato dai due falò era insopportabile; si allungavano famelici in tutte le direzioni, mangiando l’aria destinata ai viventi.
“Possibile che qualcosa di così bello, sia anche così letale?” si chiese Mia, nessuna connessione logica a collegare i suoi pensieri.

Qualcosa le trafisse il cervello, qualcosa di molto scomodo, qualcosa di molto sbagliato.
Mia scosse la testa per scacciare quel pensiero, ma quel qualcosa tentava disperatamente di farsi ricordare, di farsi largo nella sua mente, spingendo da parte tutto il resto con rabbia.
Mia sapeva che tutto sarebbe cambiato se solo quel qualcosa fosse riaffiorato nella sua coscienza. Doveva impedirlo.
Si avvicinò più che poté ad uno dei due falò; protese la mano verso le fiamme: il dolore fisico avrebbe fatto sparire qualsiasi pensiero … qualsiasi pensiero …

Era così vicina che già pregustava la vista della sua carne bruciata e l’odore che essa avrebbe emanato, quando sentì qualcuno afferrarla per un braccio e trascinarla via, lontana dalla festa, lontana da quel fuoco che stava per lambirle la mano. Chi la stava trascinando doveva essere molto forte, oppure era lei che si era fatta stranamente leggera, lei che ancora teneva l’arto rigido, puntato verso le fiamme che si stavano lentamente distanziando.
<< Si può sapere che diavolo avevi intenzione di fare? >> urlò qualcuno.
Mia si voltò, come appena risvegliatasi da un sogno: aveva già avuto a che fare con la rabbia, ma mai l’aveva vista nei lineamenti da bambola di Jennifer.



  
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