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Autore: Dynamis_    15/09/2015    3 recensioni
"E Ilúvatar provò ancora una volta pietà per il destino toccato ai figli di Hurin, che senza colpe avevano retto sulle loro spalle una sorte fin troppo avversa, e per Beleg, sicché la sua pietà si trasformò in misericordia, che egli amava i suoi figli più d’ogni altra cosa e, come annunciato nel corso dell’Ainulindalë, la virtù offerta agli Uomini era quella di cambiare il disegno dell’Unico e di renderlo perfetto."
Pairing: Túrin x Beleg
E' una "rivisitazione" del capitolo "Di Túrin Turambar" ne "Il Silmarillion". Avrei voluto davvero questo finale.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Beleg Cúthalion, Túrin Turambar
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Di Turin e Beleg │ Cormamin lindua ele lle
 
 
 ̏ […] Fuggì via ratto come il vento, lasciandoli a chiedersi, stupefatti, quale mai follia l’avesse preso; e gli si gettarono alle calcagna. Ma Túrin li sopravanzò largamente; e, giunto alla Cabeden-Aras, udì il frastuono delle acque e vide che le foglie cadevano appassite dagli alberi, come se fosse sopraggiunto l’inverno. Trasse la spada, unica cosa che ancora gli restasse di quanto era stato suo e disse: “Salute Gurthang, tu che non riconosci signoria e lealtà salvo che per la mano che ti impugna. Tu non arretri mai di fronte al sangue.
Vuoi dunque prenderti Túrin Turambar? Vuoi uccidermi in fretta?”
E dalla lama uscì in risposta una fredda voce: “Ma certo, berrò volentieri il tuo sangue, sì da poter dimenticare quello di Beleg mio signore, e il sangue di Brandir ingiustamente ucciso. Ti spaccerò in quattro e quattr’otto”.
Allora Túrin piantò l’impugnatura nel terreno e si gettò sopra la punta di Gurthang, e la lama nera gli sottrasse la vita. Giunsero in quella Mablung e gli Elfi […] e s’avvidero che Gurthang era andata in pezzi.”*
 
Ma egli era Uomo, e come tale non aveva posto al di là delle Grandi Terre, nelle Aule di Mandos, dimora dei Primogeniti di Ilúvatar. E Beleg pianse lacrime di disperazione, poiché egli l’amava e il dono di vita eterna offerto agli Eldar da Eru si era trasformato in mera rovina, né la serenità delle Aule d’Attesa era in grado di conferire pace al suo cuore colmo di mestizia.
E Ilúvatar provò ancora una volta pietà per il destino toccato ai figli di Hurin, che senza colpe avevano retto sulle loro spalle una sorte fin troppo avversa, e per Beleg, sicché la sua pietà si trasformò in misericordia, che egli amava i suoi figli più d’ogni altra cosa e, come annunciato nel corso dell’Ainulindalë, la virtù offerta agli Uomini era quella di cambiare il disegno dell’Unico e di renderlo perfetto.
Trasse a sé Námo** da Aman, e si dice che grande fu il suo disappunto quando il Solo gli imperò ciò che nella Propria mente aveva visto. Ma egli era Eru, e Mandos non aveva diritto di veto sulle Sue decisioni, sicché tacque e si fece strumento del Suo Volere.
Ed egli convocò in Aman Túrin Turambar, figlio di Hurin della stirpe di Bëor, che da solo decidesse per una volta il proprio destino e che un altro dono gli fosse elargito sì da alleggerire il suo dolore: che tornasse ancora tra le sue genti nelle Grandi Terre senza ricordo del dolore che l’aveva afflitto, o che egli si separasse dalla terra per sempre, entrando nel luogo proibito ai mortali sin dalla loro genesi. Ed egli scelse consapevolmente.
Túrin fu il primo tra i Mortali ad essere strappato dalle sue caduche spoglie e condividere il destino dei primogeniti di Eru, lasciando per l’eternità il mondo che l’aveva rigettato, ma serbando dentro di sé il ricordo di ciò che lo aveva piegato, e si narra che nella decisione la sua mente si volse verso Beleg, che a lungo aveva amato in vita, e il cui pensiero non lo aveva ancora abbandonato, ma nulla vi è di certo, poiché nessuno vi era – né Vala, né uomo o Elfo – che potesse narrare di questi fatti all’infuori delle Sacre Terre.
Un canto si levò ad Aman mentre il disegno di Ilúvatar si compiva ed egli traeva dall’oblio il primo figlio per il quale avesse mostrato una così totale compassione. E coloro dei Quendi che erano rimasti in Aman si unirono al canto, arricchendolo con la favella che avevano appreso in tempi lontani.
 
«Aa’ lasser en lle coia orn n’ omenta gurtha │ Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano
aa’ i’sul nora lanne’lle │ possa il vento gonfiare le tue vele
aa’ menle nauva calen ar’ta hwesta e’ ala’quenle │ possano le tue strade esser verdi e il vento accompagnarti
aa’ menealle nauva calen ar’malta │ possa il tuo cammino esser verde e dorato
Hurinhin, vanya sulie! Ennas ad estel! │ figlio di Hurin, che i venti ti siano favorevoli, c’è ancora speranza!»
 
Ed Eru si disse che il suo disegno stava diventando sempre più complesso e che le sue trame erano così intricate da renderlo unico e irriproducibile, poiché andava fuori da ogni sua previsione e gli sembrava strabiliante, mentre Túrin trascendeva a nuova vita e si ritrovava degno di varcare la soglia delle Aule di Mandos.
Le sue spoglie immateriali vennero lasciate laddove l’occhio umano mai aveva posato lo sguardo, sicché i suoi occhi erano ancora chiusi ed egli venne svegliato dal sonno mortale da una voce che a lungo lo aveva accompagnato nel suo incedere.
Edro hin le, tiro na nin! Auta i lomë │ Apri gli occhi, guardami! La notte è passata”.
Perlacee stille di gioia sgorgarono sulle gote di Túrin Turambar Dagnir Glaurunga, che mai avrebbe potuto anelare un epilogo tanto bello, egli che in vita aveva avuto ben poco di cui serbar dolce ricordo, e Ilúvatar si compiacque, poiché lo stesso amore che egli provava per i suoi geniti era in quei due, e i Valar ricordarono le parole del loro padre, che il male nella musica di Melkor avrebbe reso la Vita più degna di essere vissuta, e il Mondo tanto più stupefacente e meraviglioso.***
E Beleg si capacitò di quanto dolore egli stesso avesse provato prima dell’altrui ricomparsa, e lambì le sue labbra con le proprie poiché, così come in vita, l’amava più d’ogni altra cosa avesse visto e incontrato nella sua longeva esistenza, più dell’eternità e delle contrade che aveva calpestato, dell’arco e delle frecce che aveva stretto tra le proprie dita.
A na medui ad gevennir. ****
 
Note
* Da “Il Silmarillion” (J.R.R. Tolkien, Bompiani, pag.409).
** È il vero nome di Mandos, il Giudice.
*** La citazione fa parte de “I Racconti Ritrovati”, non è presente all’interno del Silmarillion perché frutto di una revisione.
**** lett. “E alla fine si incontrarono ancora una volta”.

 
   
 
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