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Autore: DARKOS    17/09/2015    1 recensioni
[Era una bella giornata alla Twilight Town University, mentre la
campanella che annunciava l’inizio delle lezioni squillava
rumorosamente. Roxas saliva in fretta i gradini dell’ingresso
principale, a disagio. Era nervoso perché era il suo primo
giorno come matricola, e non aveva idea di cosa lo aspettava.]
Pubblico ora una storia che mi entusiasma davvero molto, un AU dove i membri dell'Organizzaizone si ritrovano all'Università!
Io sono sempre stato un fan delle famose commedie americane su questo genere, quindi mi ci sto divertendo parecchio. Ecco il primo capitolo!
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Organizzazione XIII
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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NOBODIES UNIVERSITY – PARTE OTTAVA

Ovunque andasse, tutti si fermavano a fissarlo. Terzo anno, secondo anno, matricole come lui: chi distoglieva in fretta lo sguardo, chi lo fissava apertamente sperando in un pretesto per menare le mani, chi mormorava malignità al suo passaggio. Roxas pensava che la cosa peggiore al mondo era risultare invisibile alle persone; ora avrebbe tanto voluto esserlo.
Non si poteva dire che il consiglio studentesco perdesse tempo. Marluxia doveva essersi prodigato, per far sapere a tutto il campus gli orribili misfatti a suo carico nel minor tempo possibile. Quanto in fretta la gente credeva alle bugie. Era come aveva detto Xemnas: la gente non vuole la verità, vuole una storia, vuole dei buoni e dei cattivi, e vuole che alla fine i buoni trionfino sui cattivi. Non c’era posto per la verità.
Alla fine, il tragitto del biondino si arrestò. Stanza 713. Col cuore tremante, Roxas bussò ed entrò.

La camera era molto meno affollata dell’ultima volta, sia per oggetti che per persone. Mancavano un sacco di libri, effetti personali, persino il computer; e riguardo alle persone, c’era solo Demyx, con in mano uno scatolone. Questi notò la porta aperta e l’intruso.
“Ah. Sei di nuovo qui.”
Il tono era gelido, di una serietà che mai si sarebbe aspettato da Demyx. Evidentemente le notizie erano arrivate anche lì. Roxas si tirò un po’ indietro, a disagio.
“Tranquillo Roxy, non mi ci sporco le mani con te. Non sono una persona violenta. Ora, se sei venuto a prendere qualcos’altro da questo posto fai pure, non mi importa più. Altrimenti, fammi un favore e levati di torno.”
“Dove… dove sono gli altri?” chiese la matricola confusa.
Demyx assunse un’espressione stupita. “Dove sono gli altri? Beh, vediamo: Zexion sono venuti i genitori a prenderlo, e chissà quando rivedrà la luce del sole, Axel non lo so, perché non me lo dici tu? L’ultima volta che l’ho visto, Saix e Xaldin lo stavano scortando. Quello è il tuo settore, mi sembra.”
“Demyx…”
Lui lo superò con uno spintone. “Roxas… non sono nemmeno arrabbiato o in cerca di vendetta. Vivi e lascia vivere è il nostro motto, e se ci riesci, combina un qualche scherzo: e tu ce l’hai fatta, eccome. Ci siamo cascati tutti in pieno. Ma non chiedermi ora di comportarmi in modo amichevole o anche solo di starti a contatto. Non dopo Lexaeus.”
Gli occhi del biondino si spalancarono. “Perché? Cosa è successo a Lexaeus?”
Il musicista si girò un’ultima volta. “Perché non vai a vedere con i tuoi occhi?”

L’infermeria dell’istituto vantava materiali all’avanguardia, per ogni evenienza possibile. C’era chi diceva che tutto quell’armamentario era eccessivo per dei ragazzi, ma vista l’importanza di alcune giovani promesse, non si era badato a spese.
E Roxas ringraziava quell’eccesso, ora che vedeva in che pietoso stato era ridotto l’amico.
Lexaeus era incosciente, con fasciature e pesanti stecche su tutto il corpo. Una mascherina per l’ossigeno lo aiutava a pompare ossigeno nei suoi malandati polmoni. La faccia era piena di lividi, rendendo il volto a stento riconoscibile.
Pareva che fosse stato attaccato da vari membri dei club sportivi: quello di judo, quello di basket, quello di rugby. Ovviamente, la versione ufficiale era che fosse caduto dalle scale: perfino nella loro situazione di superiorità non avevano avuto il coraggio di affrontarlo lealmente.
Un velo di lacrime coprì gli occhi di Roxas, mentre osservava forse la più dolorosa delle ingiustizie. Lexaeus era un ragazzo gentile e un fine pensatore, che non chiedeva altro di vivere tranquillamente senza rinunciare ai suoi ideali. Non se lo meritava.
‘Qual è la giustizia qui? Come si può tollerare una cosa del genere, e lasciarla impunita?’ Pensava, tormentato. Mai prima d’ora aveva trovato la sua impotenza così dolorosa. Scosse la testa affranto.
“Non si può fare niente. La forza e la paura fanno girare il mondo, e chi non si piega viene spezzato.”

Un rumore lo fece svegliare di soprassalto. A giudicare dalla luce all’esterno, doveva essere mezzogiorno passato. Roxas si alzò, intorpidito, identificando l’origine del rumore. Studenti che parlavano allegramente, sotto la sua finestra. Chiuse le imposte e si ributtò sul materasso.
Era passata una settimana, e le vacanze di metà anno erano finite. Le lezioni riprendevano, gli studenti tornavano nelle aule; solo Roxas rimaneva dov’era, incapace di muoversi. Si era rintanato nella sua stanza per tutto il tempo, mangiando raramente e dormendo la maggior parte del tempo. Meglio che trovarsi sotto l’odio collettivo del campus. Anche se non se ne curava troppo: nulla aveva più importanza.
Ormai anche Xion doveva aver fatto ritorno. Si chiese se avesse già saputo degli eventi, e cosa ne pensasse. Xion, la ragazza che lo aveva difeso e che aveva creduto in lui…
I suoi pensieri furono interrotti quando Luxord entrò nella camera, con un sorriso tirato in volto. Roxas non l’aveva più visto, immaginando che fosse andato direttamente in vacanza, o che non volesse più stare con un delinquente come lui.
“Ah, Roxas. Sei sveglio. Bene. Ehm… dormito bene? Ero passato anche prima, ma appunto, non eri in condizione di parlare.”
Il suo comportamento suscitò un vago interesse nella matricola. Luxord era di solito così eloquente, così spensierato, e ora parlava a scatti. Nervosismo per le cose che aveva fatto il compagno? Ma in quel caso, non sarebbe venuto lui a parlargli di sua volontà, per ben due volte.
“Non hai sentito, Lux? Non sono nient’altro che un criminale, che per giunta ha tradito i suoi compari. Meglio se non ti fai più vedere assieme a me.”
“Ah… certo. Quello. Io…”
“Sai una cosa?” Roxas si alzò e fissò fuori dalla finestra. “Prima di venire qui, probabilmente ero come gli altri. Sarebbe bastato non incontrare Axel, e sarei stato fra la massa, credendo a tutto ciò che il consiglio mi propinava. E chi lo sa, forse sarebbe stato meglio così.”
Girandosi, però, il biondo vide il suo compagno genuflesso, che toccava il pavimento con la fronte. “Luxord?”
“Perdonami! È stata tutta colpa mia! Sono stato io a dire a Xigbar del vostro piano! Non pensavo sarebbe andata a finire così!”
Sulle prime Roxas non capì il senso di quelle parole. Poi realizzò, anche se non riusciva ad accettarlo. Afferrò Luxord per le spalle, pur essendo più piccolo di lui.
“Che cosa vorresti dire? Perché avresti fatto una cosa simile?”
“Io… loro sono venuti da me. Una ragazza mi ha dato un appuntamento, e poco tempo dopo ero circondato da colossi, e Xigbar mi ha iniziato a fare delle domande. Diceva che non sarebbe successo nulla di grave, e che se non avessi risposto non mi avrebbero mai fatto promuovere… ma te lo giuro, non avevo idea di cosa vi avrebbero fatto: non mi hanno detto nulla, mi hanno solo estorto le informazioni. Ma ti capisco se mi odi. Sono io il vero cattivo qui, un vigliacco. Puoi anche picchiarmi, se vuoi.”

No, Roxas non voleva picchiarlo. Capiva perché Luxord aveva fatto quello che aveva fatto: la paura, e il non voler affrontare da solo una battaglia già persa in partenza. Come al solito, Xemnas e i suoi alleati vincevano perché molti erano spaventati, e gli altri erano troppo pochi e troppo isolati per poter fare qualcosa.
E lì, Roxas realizzò la vera importanza dei Nobodies, le vere ambizioni di Axel: il suo non era un Gruppo dove facevi quello che volevi e combinavi scherzi, serviva a riunire chi voleva combattere, e tutelare chi aveva paura. Un sogno magnifico, una speranza per tutti.
E un sogno che poteva, anzi, doveva rinascere. Mollò la presa sul compagno e andò a vestirsi.
“Luxord”, disse Roxas, con voce salda. “Alzati e accompagnami. Usciamo.”
“Uscire? Va bene, ma a fare cosa?”
“A vendicarci.”
   
 
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