Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: niclue    19/09/2015    0 recensioni
Di come Castiel migliorò la vita a Sam e Dean senza cambiare di una virgola, nonostante una nazione intera lo stesse facendo.
Conosciuta anche come "L'avventura del fato omofobo del Texas."
Il mio personale contributo (in ritardo) per festeggiare la legalizzazione negli USA. #LoveWins
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo VI: Nuovi e Maturi

 

Tornarono in motel il più in fretta che poterono: c’era molto di cui parlare e pochi posti in cui farlo.

 

Passarono velocemente davanti alla reception, dove Amber era seduta dietro il bancone, un libro tra le mani. Alzò lo sguardo al loro ingresso, occhieggiandoli curiosamente e fissando di nuovo gli occhi sul libro appena intercettò il sorriso che le rivolse Sam, arrossendo fino a far risaltare le lentiggini.

 

Dean e Castiel si affrettarono per le scale, fiondandosi nella loro stanza e chiudendo la porta subito dopo l’ingresso di Sam.

 

Castiel rimase in piedi accanto all’ingresso, osservando Dean passeggiare nervosamente avanti e indietro nello spazio tra il tavolo e il suo letto; Sam, invece, andò a sedersi al tavolo, con un sospiro.

 

“Dunque,” cominciò, “ricapitoliamo tutto quello che sappiamo.”

 

Dean gli mandò un occhiata, annuendo, ma non disse una parola. Aveva troppi pensieri nella testa per poterli semplicemente mettere a parole. Castiel rimase in silenzio, perfettamente immobile.

 

“Okay,” sussurrò Sam tra sé, e si schiarì la voce. “Sappiamo che chiunque abbia ucciso le coppie ha usato la stregoneria— Dean, non mi fissare così, nemmeno a me piacciono le streghe, lo sai. Non l’ho organizzato io. Comunque. Sappiamo che anche l’assassino del reverendo Dunnets usa la magia.” Suor Alice aveva ricontrollato tre volte: le cinque carte appartenevano al mazzo del reverendo. “Possiamo essere ragionevolmente certi che sia la stessa persona ad agire. Ora dobbiamo solo capire chi è e come fermarla,” concluse Sam, con un sorriso debole.

 

Dean lo guardò male. Solo?

 

Si fermò in mezzo alla stanza e cominciò a considerare, a voce misurata, “Chiunque sia lo stregone, conosceva abbastanza bene Dunnets da sapere l’esistenza del mazzo di carte e del quadro; non sembrava proprio una ciliegina messa sul momento.” Sam ci pensò su e si ritrovò d’accordo. “E deve essere anche stato in contatto con le coppie,” continuò. “E qual è il posto in tutte e sette le vittime sono state?”

 

“La chiesa,” rispose Castiel con calma.

 

“Esatto, la chiesa,” ripeté Dean.

 

“La chiesa,” ripeté a sua volta Sam. “E chi è che passa tanto tempo nella chiesa da passare inosservato durante la celebrazione di un matrimonio e da conoscere così bene un sacerdote? E che, oltre a tutto, sia violentemente omofobo?”

 

“In Texas, parecchia gente,” rispose Dean, strofinandosi stancamente la mano sul viso. Si lasciò cadere sul letto e si tolse giacca e scarpe.

 

“Dean,” fece Sam con impazienza, ma Dean lo interruppe subito.

 

“Sam,” gli fece il verso e proseguì, “non ti puoi aspettare che chiunque, nel convento, ammetta con tanta semplicità di odiare gli omosessuali, ti pare? E non possiamo nemmeno andare alla ricerca di suor Morgana.”

 

“C’è una cosa che vi siete dimenticati,” intervenne Castiel. I fratelli Winchester si voltarono verso di lui, negli occhi verdi un misto di confusione e aspettativa. “I trenta pezzi d’argento nel Tempio,” puntualizzò, ottenendo in cambio dei sorrisi indulgenti.

 

“Cas, ce ne ricordiamo,” lo rassicurò Sam, ma a quanto pare Castiel non ne volle sapere.

 

“Di questo non ne dubito, Sam,” sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Quello che penso è che vi stia sfuggendo il significato sottinteso di quelle carte,” chiarì, riabbassando lo sguardo e alternandolo tra i due fratelli.

 

“Beh, che si alludesse a Giuda lo avevamo capito,” borbottò Dean, prestando però attenzione al filo che univa il senso delle parole dell’angelo.

 

“Certo, quello è ovvio,” confermò Castiel, annuendo, “ma cos’era Giuda?”

 

“Era un traditore,” rispose prontamente Sam. “Il traditore.”

 

“Precisamente,” annuì Castiel. “Quindi, per quale motivo mettere il più significativo simbolo di Giuda Iscariota accanto al cadavere di un uomo? Pensate come se invece di quelle carte ci fosse stato un foglio con sopra scritto SEI UN TRADITORE. Sarebbe la stessa cosa. Il punto chiave è capire chi ha tradito Gregory Dunnets e come. Questo lo si può chiedere al convento.”

 

Appena la voce di Castiel si spense, nella stanza regnò la più sbalordita delle quieti.

 

Sam cominciò a boccheggiare, cercando qualcosa da dire, le guance che si arrossavano per la vergogna di non averci pensato prima; Dean, invece, fissava il suo angelo ad occhi spalancati, come se lo vedesse per la prima volta.

 

Certo, sapeva che Castiel fosse intelligente: era un maledetto Angelo del Signore, era brillante addirittura per la sua specie. Era solo che ogni volta che mostrava di avere qualcosa in più oltre ai suoi begli occhioni blu Dean doveva prendersi qualche attimo per assaporare per bene l’immagine dell’angelo nel suo splendore.

 

“Beh?” chiese Castiel, stranito dal loro silenzio. “Cosa c’è?”

 

Quando poi, dopo quella domanda, Dean si alza per andare a baciarlo con fermezza sulla bocca giustifica le proprie azioni dicendosi che non avrebbe potuto fare diversamente nemmeno se lo volesse.

 

Non che ci sarebbe mai stato un momento nella sua vita in cui non avrebbe voluto Castiel.

 

Alle sue spalle sentì suo fratello ridacchiare e lo ignorò, preferendo concentrarsi su qualcosa di molto più importante e interessante. Tipo le mani di Castiel che gli accarezzavano i fianchi. Oh, addio stanchezza, ma salve, eccitazione da preliminari!

 

Dopo un lungo attimo si divise finalmente dall’angelo – cercando di non prestare troppa attenzione al gemito sofferto di quest’ultimo, ampiamente compreso – e si voltò verso Sam, che li guardava con un sorriso, senza però allontanarsi dal suo spazio personale.

 

“Guardone,” lo apostrofò ghignando. Sam alzò gli occhi al cielo, ma lui non demorse. “Non c’è una bella ragazza mora con cui preferiresti passare il tempo?”

 

Sam aggrottò la fronte, confuso. “Pensavo dovessimo tornare alla chiesa,” obiettò.

 

“E’ da stamattina che lavoriamo, per oggi è più che sufficiente,” rispose Dean. “Possiamo benissimo tornare domani.”

 

“Come vuoi tu,” concesse Sam, non del tutto convinto. Si alzò dalla sedia, liberandosi anche lui di giacca, cravatta e scarpe eleganti. Afferrò un paio di pantaloni jeans e una camicia a quadri rossa e si diresse in bagno per cambiarsi.

 

Appena il fratello minore fu fuori dalla sua vista – o meglio, loro lo furono da quella di Sam – Dean si avventò nuovamente sulle labbra piene di Castiel, gemendo silenziosamente al contatto umido ritrovato e stringendosi addosso l’intero angelo.

 

Però, Sam non chiuse completamente la porta, ma la lasciò accostata. Dopo qualche attimo Dean capì il perché.

 

“Ragazzi,” chiamò Sam dalla stanzetta.

 

Dean si staccò dalla bocca di Castiel appena in tempo per rispondere con un “Che c’è?”

 

“Secondo voi, c’è davvero possibilità con Amber?”

 

Castiel frenò il percorso che le sue labbra avevano incominciato a tracciare sul collo di Dean, meritandosi un’occhiataccia dal compagno, al quale rispose con uno sguardo severo. Dean si morse il labbro inferiore, frustrato, mentre Castiel volgeva la testa verso la porta del bagno ed esclamò, “Non possiamo saperlo, Sam, sta’ a te.”

 

Dean stava cercando di togliere il trench coat a Castiel mentre aggiungeva, “Poi stava leggendo Lo Hobbit, è di sicuro il tuo tipo,” con un ultimo sforzo riuscì a sfilare il cappotto dalle braccia combattive dell’angelo e gli piazzò un bacio sulla guancia mentre gettava l’indumento sul letto senza alcuna cura. “E se non il tuo, allora quello di Charlie,” aggiunse, ripensandoci. Dal bagno risuonò una breve risata.

 

“Non credo, sai,” sopraggiunse Castiel, cercando di tenere a bada i tocchi di Dean. “Da come ti guardava, le sue preferenze apparivano abbastanza chiare.” Con uno scatto all’indietro, sfuggì un’ennesima volta dalle braccia di Dean che cercavano di afferrarlo.

 

Dean ghignò. Non era la prima volta che giocavano così; a volte uno dei due non era in vena di coccole ma alla fine veniva ben presto contagiato dall’entusiasmo dell’altro – solitamente l’uno era Castiel e l’altro era lui, ma anche lui aveva i suoi giorni no che si evolvevano in nottate decisamente piacevoli – e presto era diventata una delle sue attività preferite da fare insieme a Castiel. Aveva un posto assicurato nella top five.

 

Avanzò ancora, con sguardo predatorio facendo quindi indietreggiare cautamente l’altro. Quando però l’angelo si accorse di starsi dirigendo inconsciamente verso il letto – e dove voleva Dean – deviò subito direzione realizzando, però, con un attimo di ritardo, che ovunque avesse deciso di andare si sarebbe trovato con le spalle ad un letto. Dean sorrise ancora più malignamente, leccandosi teatralmente le labbra pronto ad attaccare per l’ultimo colpo— quando la porta del bagno si aprì e Castiel ne approfittò per pararsi alle spalle di un Sam profumato e preparato per uscire.

 

Dean scattò fino a trovarsi faccia a faccia con fratello e si piegò sulle ginocchia, girandogli attorno per cercare di intercettare l’angelo fuggitivo. “Cas, non vale così,” si lamentò, ricacciando un sorriso, “ne avevamo già parlato. Non vale utilizzare gli animali come scappatoia.”

 

La mano di Castiel si andò a poggiare sull’avambraccio di Sam, come per cercare sostegno e si affacciò a poco a poco da dietro la sue schiena. “Ma qui non ci sono animali,” replicò, perplesso.

 

Dean ghignò. “Io vedo un alce che ti copre, guarda un po’,” rispose prontamente, alzando lo sguardo divertito verso Sam, il quale non riuscì a nascondere un sorriso mentre Castiel scoppiava a ridere.

 

Sam si spostò per andare verso il suo letto, rimproverandoli, “Dovreste smetterla con questo gioco da bambini. Potreste farvi—“ si bloccò, ripensandoci. “Tu, Dean, potresti farti male. Nessuno dei due è tanto leggero e—“

 

Dopo aver alzato gli occhi al cielo, Dean scelse di approfittarsi del momento di stallo e con una piccola rincorsa placcò un Castiel ancora ridacchiante e lo spinse sul suo letto, torreggiando su di lui. Fece in fretta a bloccargli i polsi ai lati del corpo e fissò il suo sguardo provocatorio negli grandi e oltraggiati occhi blu di Castiel. Continuò a fissarlo, ansimando, e dopo un po’ scoppiò a ridere anche lui, non riuscendo più a reggere quello sguardo così comicamente offeso.

 

“Puoi andare, Sammy, divertiti,” si rivolse al fratello, senza però girarsi, temendo che a ogni sua distrazione il suo ostaggio potesse liberarsi.

 

Castiel ghignò, fissandolo dal basso. “Sam se ne è già andato da un bel pezzo, Dean,” gli fece sapere, con tono lievemente canzonatorio.

 

Di riflesso, Dean si voltò a controllare, cadendo però nella trappola che aveva previsto e quasi scongiurato.

 

Con un colpo di reni, infatti, Castiel ribaltò le loro posizioni, sovrastandolo completamente; il piccolo sorrisetto che gli rivolse, mentre gli bloccava i polsi come stava facendo lui fino a pochi minuti fa, non riuscì a farlo irritare quanto avrebbe dovuto.

 

“Ma non vale,” si imbronciò, invece.

 

“Beh, anche tu prima hai barato!” ribatté Castiel. “Ora siamo alla pari.”

 

“Ho comunque vinto io,” insistette Dean.

 

Castiel roteò gli occhi al cielo. “Certo, si vede,” concordò, in tono sarcastico.

 

Poi, un lampo di malizia illuminò il suo sguardo e lo stomaco di Dean fremette d’anticipazione.

 

Con lentezza esasperante, l’angelo si chinò su di lui sfiorandogli le labbra con le sue, deviando poi per un punto sul mento, dove lasciò un piccolo bacio umido. Da lì seguì tutta la linea della mascella con tanti piccoli baci asciutti, fino ad arrivare al suo orecchio destro.

 

In quel momento si accorse di non avere più alcuna pressione sui polsi, ma non gliene sarebbe potuto importare di meno. Con lentezza, poggiò le dita sui fianchi di Castiel, scavando sotto gli strati di vestiti che ancora indossava. Castiel respirò profondamente nel suo orecchio, e un brivido lo scosse fino alla punta dei piedi; poggiò la bocca leggermente più in basso, sul punto di congiunzione con la mascella, e si inumidì le labbra, sfiorandogli la pelle del viso con la punta della lingua.

 

A quel punto, Dean, in preda alla frustrazione, con un ringhio afferrò la nuca di Castiel e lo indirizzò verso il punto esatto in cui voleva sentire quel respiro caldo.

 

***

 

Sam Winchester, secondogenito di John e Mary, tramite del diavolo, scampato alla morte più volte di un gatto nero sulla Route 66 e più volte salvatore del mondo, nonché aspirante avvocato alla Stanford era appoggiato al muro che lo nascondeva dalla reception, piegandosi anche sulle ginocchia per essere sicuro di non essere visto.

 

Perché si nascondeva? Non lo sapeva nemmeno lui.

 

In realtà sì, lo sapeva.

 

Era spaventato.

 

Non da Amber. Era una ragazza molto carina, certo, ma non si nascondeva perché imbarazzato o messo in difficoltà da lei. Non ha mai reagito in modo così inetto a causa di una sola ragazza.

 

Era la situazione che lo faceva indietreggiare piano piano.

 

Perché per la prima volta nella sua vita poteva finalmente guardare il viso di una bella ragazza ed immaginarsi un futuro con lei, un futuro attuabile con lei.

 

Solitamente andava con ragazze conosciute di sera e dimenticate quella dopo; belle ragazze, magre, alte, sfrontate e sicure di sé. Piccole storie per soddisfare dei bisogni.

 

Nemmeno con Jessica o Amelia si era sentito in tale agitazione: con la veterinaria, inizialmente per la sua attitudine dura, che non lo faceva nemmeno sperare in un amicizia; in secondo luogo, per le idee sulla vita da cacciatore inculcate da suo padre e da Dean: ha sempre vissuto quella storia giorno per giorno, come si vive una vita da Winchester, non sapendo cosa avrebbe riservato il futuro e non passandoci quindi troppo tempo a pensarci. Poi, quando le cose si fecero serie e andarono a vivere insieme, beh— il passo ormai era fatto, non c’era tanto da pensare o spaventarsi.

 

E con Jessica— con lei invece…

 

Nonostante fossero passati dieci anni dall’ultima volta in cui la poté stringere tra le braccia e sussurrarle qualche parola d’amore tra i ricci biondi – la vera Jess, non qualche illusione del Diavolo tentatore – credeva ancora che fosse lei la donna della sua vita. Non avrebbe mai smesso di amarla. Ma quando si conobbero erano così giovani, appena ventenni – chi pensava all’amore della vita a vent’anni? Tra loro era nata come una semplice storia, incerta ma piena di tenerezza e passione, come lo sono tutti i giovani amori. Ma dopo diversi anni, sapeva che lei era quella giusta. Se solo lo avesse capito prima, magari—

 

No. Stop. Time out.

 

Marcia indietro e riparti.

 

Ma ora, dopo la discussione con Dean, conoscendo sempre di più questa ragazza così diversa dal genere con cui usciva di solito (magari era il destino dei Winchester, finire con qualcuno che mai avrebbero pensato) e apprendendo nozioni sempre più favorevoli, così sconcertantemente favorevoli, Sam sente il bisogno di doversi fermare per tre secondi e respirare a fondo. Un, due, tre. Un, due, tre. Uff.

 

Perché con questa bella ragazza che vive a venti miglia da lui, legge i suoi stessi libri, studia con la sua stessa passione, beh— con questa ragazza non solamente potrebbe costruire qualcosa.

 

Potrebbe far durare qualcosa.

 

Per questo non poteva lasciarsela scappare.

 

Con quel pensiero in testa, Sam si spinse via dalla parete con un colpo di reni e marciò con decisione nella hall, verso il bancone, dietro al quale sedeva sempre Amber, con un libro in mano e una gomma da masticare in bocca, annoiata dalla calura estiva.

 

Eccetto quel giorno, a quanto sembrava.

 

Al suo posto, infatti, sedeva una signora sui cinquant’anni passati, alta e magra con dei capelli neri tagliati poco più in giù delle orecchie. Al suo ingresso nella hall, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, masticando contemplativamente una gomma (Sam corrucciò la fronte per un attimo appena registrate le due azione) e dopo un lungo momento in cui Sam si sentì come passato dai più accurati raggi-x dell’emisfero settentrionale, sorrise melliflua. “Tu sei l’amico di Amber,” constatò.

 

Sam non poté fare altro che annuire.

 

Dopo un altro lungo momento in cui la donna lo continuava a fissare, persa in chissà quali pensieri, Sam si sentì come in dovere di dire qualcosa. “Ehm, volevo—“

 

“E’ fuori, nel giardino. Va’ da lei,” lo interruppe, con la voce roca, ma sorrise in modo un po’ più sincero.

 

Sam ricambiò il sorriso, sollevato. “La ringrazio, signora,” si affrettò a dire per poi uscire.

 

“Ragazzo,” la fermò la donna. “Prima di tutto, chiamami Nancy. Odio essere trattata da vecchia,” bisbigliò, stringendo gli occhi in un tic irritato.

 

Sam annuì, lentamente.

 

“E poi,” aggiunse Nancy, “mia nipote è di là.” Stese un braccio abbronzato a indicare il corridoio dove si trovava la sala da pranzo. “L’uscita è oltre la mensa,” spiegò, riabbassando poi gli occhi sulla pagina che stava leggendo fino a quel momento.

 

“Oh,” fece Sam. “Oh! Grazie mille, sig— Nancy, buona giornata,” si affrettò a correggersi, per poi andare per la direzione indicatagli. Se fosse rimasto nella stanza qualche attimo in più, avrebbe sentito Nancy mormorare mestamente alle pagine del suo romanzo, “Almeno è un bel ragazzo.”

 

***

 

Il cortile del motel non era nulla di eccezionale, ma era abbastanza curato, con il minimo indispensabile, in linea perfetta con il resto dell’edificio.

 

Appena si usciva c’era un piccolo spazio di giostre per i bambini: uno scivolo giallo, un paio di altalene, delle piccole moto a molla e una costruzione per arrampicarsi. Intorno allo spazio vi erano delle panchine.

 

Oltre allo spazio del parchetto si estendeva un largo prato, la maggior parte all’ombra – e qui Sam stesso dovette alzare la testa di molto – di un’enorme quercia, probabilmente plurisecolare.

 

Era proprio sotto ai suoi rami abbondanti di foglie che era sdraiata Amber, rilassata sotto l’ombra piacevole in quella giornata in cui l’aria era secca e il sole severo.

 

Sam s’incamminò verso di lei con passo tranquillo, osservandola con divertimento mentre si muoveva continuamente, cercando una posizione confortevole sulla terra dura, e ad ogni gesto le cuffie le cadevano dalle orecchie.

 

Era uno spettacolo spassoso.

 

Arrivato a mezzo metro dalla punta dei suoi piedi nudi – le scarpe erano accanto alla borsa, sul telo dove era accomodata – si fermò e si schiarì la voce. Ma rendendosi conto che si era rimessa le cuffie capì che non lo aveva sentito.

 

“Hey,” tentò, ma la ragazza nemmeno aprì gli occhi.

 

Decise, quindi, per un approccio un po’ rischioso ma in questo modo almeno si sarebbe fatto notare.

 

Si lasciò cadere a terra in ginocchio e si avvicinò di poco, gattonando. Distese le braccia in avanti, mettendosi in una posizione stabile e allungò le dita fino a posizionarle sotto le piante dei piedi della ragazza, cominciando poi a picchiettarli.

 

Un mezzo urlo sorpreso fu la reazione – attesa – della ragazza, che scattò seduta, guardando Sam con occhi grandi e stralunati. Si tolse in fretta le cuffiette dalle orecchie, ritirando di riflesso le gambe per incrociarle, e fiatò, “Sei forse impazzito?!”

 

Dal canto suo, Sam non riusciva a smettere di ridere dell’espressione spassosamente oltraggiata sul viso di Amber. “Scusa,” rispose, tra le risate, “è che, la tua faccia,” e riprese a ridere.

 

Amber alzò gli occhi al cielo mentre un’intensa ondata di rossore le coprì le guance, rinvigorendo le macchioline scure sparse per il viso. “Hai finito?” borbottò, alternativamente guardandolo male e fissandosi i piedi nudi.

 

“Okay,” disse Sam, alzando le mani in scusa, “mi dispiace. Era divertente,” si giustificò, con un sorrisetto.

 

Amber, suo malgrado, sorrise, scuotendo la testa a sé stessa. “Ti serve qualcosa?” gli domandò infine. “Non sei venuto solo per farmi il solletico.” Si fermò, ripensandoci. “Non sei uno di quei malati perversi per i piedi, vero?” chiese seriamente.

 

Sam alzò entrambe le sopracciglia, incredulo e preso in contropiede. “Certo che no,” rispose, sbattendo più volte le palpebre, “volevo solo parlare un po’ con te.”

 

A quello l’espressione di Amber si ammorbidì, un sorriso che tirava gli angoli della sua bocca e uno scintillio malizioso nello sguardo, e replicò “Quindi i tuoi amici ti hanno cacciato dalla stanza?”

 

Sam aggrottò la fronte, confuso, e la ragazza accennò con lo sguardo a una finestra del primo piano, con la luce accesa e le tende tirate. Non aveva notato che ci fosse una finestra che desse sul giardino. Beh, non aveva nemmeno notato che ci fosse un giardino ma non è questo il punto.

 

“Beh, loro,” cominciò, leggermente in imbarazzo, per poi fermarsi subito.

 

Si trovavano in Texas. E seguivano un caso di un assassino texano omofobo. Perché si trovavano in Texas.

 

Per quanto sembrasse adorabile e innocente, con le sue guance rosse e lo sguardo basso, Amber era pur sempre una ragazza conosciuta da poco, che aveva una famiglia del Texas; non poteva essere sicuro che non avrebbe reso la loro situazione molto più problematica.

 

 Amber alzò un sopracciglio. “Devo pensare male?” chiese. “O sono solo una bromance?”

 

Sam fece per rispondere, per poi fermarsi. Alla fine domandò, “Una cosa?”

 

“Una bromance,” ripeté Amber. Attese qualche secondo per un possibile segno di riconoscimento da parte da Sam. Infine sbuffò e si spiegò, “sai, quelle amicizie tra ragazzi che vengono sempre scambiate per altro.”

 

Sam sbuffò una risata, sviando lo sguardo, per poi puntarlo sui fili d’erba tra le sue dita.

 

“Diciamo,” riprese, “diciamo che è più di una bromance.” Alzò uno sguardo allo stesso tempo allusivo e speranzoso, pregando che capisse e che non facesse una scenata omofoba.

 

Invece, Amber batté le mani, deliziata, sorridendo ancora di più. “Lo sapevo!” squittì, felice. “Mio zio mi deve venti dollari, ora. Sono una grande, sì.”

 

Sam la fissò sbigottito, per poi ridacchiare. “Avevate scommesso?” chiese, divertito.

 

 Amber scrollò le spalle, un’espressione timida sulle labbra. “E’ un passatempo come un altro,” si giustificò. “Anche se all’inizio non ero sicura che non fossi tu quello invischiato con uno dei due,” ammise, con un sorriso furbo.

 

Lo sguardo di Sam passò dal divertimento al disgusto, con un lieve cenno di esasperazione. “Uno dei due è mio fratello,” precisò, con voce lamentosa.

 

L’espressione di Amber si fece più seria, assomigliando a quella di Sam. “Occhi Verdi è tuo fratello?” chiese, più retoricamente che altro. Alla conferma di Sam sospirò, “Ecco. Voi due siete una bromance.”

 

Sam scoppiò a ridere, seguito a ruota da Amber.

 

Dopo qualche attimo, domandò, “Quindi non ti crea problemi che…?”

 

Amber aggrottò la fronte. “Certo che no,” replicò, quasi offesa. “Anzi, tutto il contrario.”

 

All’occhiata confusa di Sam, si spiegò. “Degli amici dei miei genitori sono gay e sono delle persone meravigliose. Poi,” aggiunse, “alla mia di chiesa, a Smith Center, il reverendo James ci insegnava ad amare, non come Emerson.” Sputò fuori quel nome con un disprezzo che Sam non avrebbe mai immaginato da lei. “E poi,” continuò, dopo qualche secondo, “ormai non possono più farci niente, no? Ormai li devono accettare in tutti e cinquanta gli stati. Anche in Texas,” affermò, un piccolo sorriso sulle labbra.

 

Sam sorrise di rimando, nonostante un pensiero gli stesse ronzando in testa. Dove aveva già sentito quel nome…

 

“Cinquanta stati di gay,” replicò, guardandola con affetto mentre scoppiava a ridere.

 

Passarono qualche attimo in un silenzio agiato, osservando un bambino che giocava con la madre su una delle altalene; ogni tanto si rubavano delle occhiate e si regalavano qualche piccolo sorriso.

 

Infine, Sam domandò, “Cosa fai questa sera?”

 

Amber si irrigidì e si voltò a fissarlo con un’espressione indecifrabile in volto. “Perché me lo chiedi?”

 

Sam aggrottò la fronte. “Pensavo di uscire insieme, se ti va,” si affrettò ad assicurare, passandosi una mano tra i capelli, impensierito dalla sua reazione. Però alla fine il solito rossore fece capolino.

 

“Scusa,” mormorò Amber, “mi avevi sorpresa. Mh, va bene?”

 

“Okay,” rispose Sam, alzandosi dalla posizione inginocchiata che aveva mantenuto per tutto il tempo. I muscoli delle sue gambe gli mandarono un caloroso ringraziamento. Allungò una mano per aiutare Amber a tirarsi in piedi. “Dove vuole andare, signorina?” domandò, con tono fintamente formale.

 

Amber ridacchiò, alzando leggermente gli occhi al cielo. “Conosco un posto molto carino da queste parti,” cominciò, raccogliendo le sue cose da terra. “E’ il pub dove avevo incontrato Cas ieri sera,” spiegò.

 

Sam alzò le sopracciglia, sorpreso. “Avevi incontrato Cas?” chiese.

 

Amber annuì, tranquilla. “Sì, è stato davvero carino,” rispose casualmente, con un piccolo sorriso.

 

Sam sorrise di rimando, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Ho concorrenza?” chiese con una risata.

 

“Non credo,” replicò Amber, mordicchiandosi appena un’unghia, “tuo fratello ha l’aspetto di uno che non vorrei avere come nemico.”

 

“Credimi, non lo vorresti,” affermò seriamente, scatenando un’ennesima risata dalla ragazza. Poteva abituarcisi. “Andiamo?”

 

“Certo.”

 










 

 

 

 

Eccola

Okay, sono in ritardo, lo so. Non lagnatevi, gne gne.

Okay, mi dispiace davvero, ma, sapete, Settembre, impegni, scuola, schifo. E il caldo. Dannazione il caldo.

Comunque, vi regalo questo capitoletto di passaggio in attesa di quello nuovo che non so quando arriverà ma arriverà.

Molto bene, ho fatto il mio dovere. Ringraziate Emma per questo.

Ora mi do, vado a morire, cià. (semi-cit)

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: niclue