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Autore: Evilcassy    10/02/2009    2 recensioni
Che la fortuna aiutasse gli audaci, Kagura Onigumo ne aveva già avuto prova. Scappata illesa (e creduta morta)a Parigi, ora cercava di rifarsi una vita completamente nuova, diversa, e soprattutto, LIBERA. E quando si trovò davanti alla vetrina di uno studio fotografico, a Montmartre, dove un cartello affisso segnalava la ricerca di una commessa, pensò che la ruota della fortuna avesse iniziato a girare per il verso giusto. Per Lei. - Spin-Off di This Time Around - [/SOSPESA -INCOMPLETA]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Kagura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '- This Time Around -'
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Complainte de la Butte

Complainte de la Butte.

 

Premiere Chapitre : Mon rêve épanoui

 

Parigi, 2004.

 

Seduto sul letto, la schiena contro la testiera lignea del letto, il ragazzo fissava i suoi piedi nudi, che spuntavano dalle lenzuola  stropicciate. Mosse le dita, come per testarne la sensibilità. Poi sospirò, gettando la testa castana all’indietro.

Un filo di luce filtrava dalla porta del bagno, attraversava il corridoio, e si gettava contro il muro della camera. Il ragazzo la fissò per qualche istante, attendendo che il filo di luce divenisse uno spicchio e che proiettasse quel’ombra così familiare. Quel’ombra che attendeva, e che allo stesso tempo, quasi, temeva.

Ci stava mettendo tanto, come al solito.

Perse lo sguardo alla finestra, in quella fetta di cielo notturno che la tenda verde non riusciva a coprire mai.

E che lui non voleva affatto coprire. Non gli piaceva il troppo buio, come non apprezzava la troppa luce, nella sua stanza. Perché il buio celava ai suoi occhi la bellezza di quel corpo, muscoloso e abbronzato, che si mescolava accanto a lui, tra le lenzuola.

Ma la luce era anche peggio, perché mostrava cosa realmente fosse: una mera illusione.

Sospirò nuovamente, gli occhi che vagavano tra la stoffa della tenda. Vedeva il palazzo di fronte, le finestre tutte buie, chiuse. Nessun altro amante malinconico su un letto vuoto, con cui scambiarsi qualche incoraggiamento.

Sentì la porta del bagno aprirsi cigolando, e non poté fare a meno di guardare l’ombra che, come aveva previsto, si stagliava contro la parete, per una frazione di secondo, prima che il click dell’interruttore facesse spegnere la lampadina.

 Un’ombra maschile, non molto alta, ma dai lineamenti ben marcati, muscolosi.

Udì i suoi passi scalzi sul pavimento e poi varcare la soglia della stanza da letto in penombra.

Incrociò le gambe, rizzandosi a sedere, cercando di cancellare qualsiasi espressione negativa dalla faccia. Che stupido che era, a costringersi nella parte dell’amante spensierato e soddisfatto della situazione. Eppure non poteva fare a meno. Lo vide raggiungere i suoi vestiti, gettati a terra a fianco del letto, e a raccoglierli, posandole sulle coperte aggrovigliate. Poi si sedette, dandogli la schiena, infilandosi uno ad uno, lentamente, gli indumenti.

“Vai di già Bankotsu?” chiese, avendo cura di inserire una nota di infantile dispiacere nella voce. Allungò un piede nella sua direzione, accarezzandogli la schiena, scostandogli la treccia di capelli corvini che gli scendeva tra le scapole. “Avevi detto che ti saresti fermato in città anche domani…”

Lui non reagì al contatto. Si infilò la maglietta e poi la camicia, abbottonandola. “Domattina dovrò svegliarmi presto, e non dovrò mostrare di aver avuto una serata movimentata. Si alzò per infilarsi il paio di stretti blue jeans che l’altro aveva apprezzato così tanto.

“Domani sera? Posso invitarti a cena?” domandò, fingendo indifferenza.

“Ho il volo domani pomeriggio.” Rispose Bankotsu.

“Ah. Torni presto a Lille, questa volta. E’ stata proprio una toccata e fuga.” Il tono acido della frase non riuscì proprio a trattenerlo.

L’altro sospirò, sedendosi nuovamente sul letto, vicino a lui. Lo coprì con le lenzuola, come se fosse un bambino riluttante ad andare a dormire. “Jakotsu…” sospirò nuovamente, alzando lo sguardo verso il suo volto.

Gli occhi, quei due opali iridescenti che lui non avrebbe mai smesso di ammirare, brillavano nella semioscurità. “Devo dirti una cosa.”

“Fai pure.” Disse il ragazzo castano, cercando disperatamente di darsi un tono noncurante. Quando Bankotsu usava quella frase, per lui significava qualcosa di tremendo. “C’entra la tua ragazza?”

Bankotsu annuì, distogliendo lo sguardo dall’altro. “Ti ho sempre detto che ti avrei fatto soffrire. Iniziò. “Eppure tu non hai smesso di cercarmi.”

“Beh, nemmeno tu l’hai fatto.” Si sforzò di allargare le sue labbra nel suo sorriso più genuino. Doveva ringraziare la penombra, o Bankotsu avrebbe notato che le sue labbra erano tirate nervosamente. “Avanti, spara, non lasciarmi sulle spine!”

“Mi sposo.”

Questa non se l’aspettava.

Aveva sempre creduto –sperato – che la ragazza di Bankotsu fosse una copertura, o che fosse una storiella passeggera, con cui riempire il tempo che era costretto a passare a Lille.

Non riuscì nemmeno a tenere il sorriso sforzato. “Ah.” Ripeté. “Così giovani?” si sforzò di parlare, cercando in tutti i modi di mantenere un tono neutro. “Senza convivere prima?” Non gli stava riuscendo bene.

“Quindi è… un addio?”

Bankotsu rispose che era meglio di si.

“Già, in effetti. E’ meglio così. Sai… il matrimonio è molto importante, è una cosa che… che ti cambia la vita. Ed è molto impegnativo… perciò… si, è meglio lasciar perdere le avventure. Decise di smettere di tentare di parlare. La voce gli tremava troppo.

L’altro si alzò, prendendo la giacca abbandonata su una poltrona ed infilandosela. Gli si avvicinò, sfiorandogli nuovamente la guancia pallida. “Mi dispiace, non volevo che finisse così. Sembra serio, e sincero. Come era sempre sembrato. Ma lo era mai stato davvero? 

“Non hai mai voluto che finisse in modo diverso. O che le cose si evolvessero” si, questo doveva almeno dirglielo. Si voltò di scatto verso il comodino, aprì il cassetto e ne estrasse un pacchetto di sigarette. Le lunghe dita affusolate lo aprirono e ne estrassero una. Se la infilò tra le labbra, poi prese dal cassetto anche l’accendino e l’accese. La fiammella illuminò per un istante anche il volto di Bankotsu, così vicino ora al suo. Sembrava che i suoi occhi fossero lucidi. Si tolse la sigaretta dalla bocca, espirando il fumo sulla sua faccia. Lo vide chiudere le palpebre e soffocare un colpo di tosse. Salutista com’era, aborriva il vizio del fumo, detestava l’odore di tabacco e non sopportava sentirlo su di lui. Per questo, quando lo veniva a trovare, Jakotsu si sforzava di non accenderne neanche una. E di arieggiare la casa, di cambiare le lenzuola. Di usare quel bagnoschiuma al muschio bianco che a lui dava il mal di testa, ma che a Bankotsu piaceva tanto.

E di cucinargli al quelle polpette alle verdure, tutte filamentose ed insapori, che lui doveva mangiare ad occhi chiusi per non vomitare.

Ma ora non aveva più importanza. Ora non occorreva più nessuno sforzo, nessun sacrificio da parte sua.

Quando la nuvola di fumo si dissolse dal suo viso, Bankotsu non si era mosso di un millimetro. Aveva solo aperto gli occhi. “Mi dispiace” ripeté. “Tu non sai quanto… avrei dovuto starti alla larga.”

Per quanto ora si sentisse in bilico sull’orlo del precipizio, Jakotsu ponderò i momenti che aveva passato insieme a lui. Quattro anni di incontri, prima assidui poi sempre più rari, anelati, sospirati. E sempre segreti.

Perché Bankotsu aveva una reputazione da difendere. Lui era un leader nello sport, lui era la medaglia d’oro della nazione agli ultimi mondiali di Karate. Lui aveva aperto una palestra, grande e famosa, a Parigi. Ed un’altra, sempre grande, nella sua città natale, Lille. Dove aveva anche una ragazza. Una fidanzata.

Jakotsu in tutti quegli anni l’aveva ammirato, capito, supportato. Aspettato. Si era comportato prima di tutto da amico, e poi da innamorato. C’era però da riconoscere che Bankotsu non aveva mai cercato di illuderlo. Gli aveva sempre detto la verità in faccia. Non nuda e cruda, questo era vero. Ma non l’aveva mai nascosta.

“Sei stato leale con me. A tuo modo.” Mormorò, un colpo alla sigaretta per far cadere la cenere. Per terra. Ma ora il disordine in camera non aveva importanza. Poi aspirò un’altra boccata.

Bankotsu gli spostò, con delicata forza, le dita e la sigaretta dalla bocca, e le sostituì con le sue labbra. Sembrò prendere in sé il veleno del fumo, a toglierlo, insieme al respiro, ai battiti del cuore e all’ultima illusione, da Jakotsu.

Un bacio d’addio.

Si staccò e si allontanò, camminando lentamente verso l’uscita. Sembrò quasi tentennare. Poi riprese decisione ed uscì dalla stanza. Pochi passi nel corridoio ed era giù uscito dall’ingresso, chiudendo la porta alle sue spalle.

Jakotsu chiuse gli occhi con decisione. Quel momento doveva tenerlo per sempre con sé, come monito alle relazioni future.

E sarà difficile che decida di averne una seria, dopo questa esperienza. Si disse. Si alzò e si diresse verso la finestra, aprendola un poco per fare uscire il fumo. La strada sotto casa era vuota. Alle due di un martedì notte (o di un mercoledì mattina, che dir si voglia), anche le grandi arterie della città erano vuote. Figurarsi una delle poche viuzze anonime di Montmartre.

Gli prese improvvisamente la foga di uscire, di distrarsi, di dimenticare.

Pensò di perdersi tra qualche locale a Pigalle, di conoscere un uomo – un uomo qualsiasi che lo trovasse almeno un poco attraente – e di portarlo in quella camera dove, solo mezz’ora prima, aveva gridato di piacere il nome del suo (ex) amante.

Ma poi desistette. Chi lo avrebbe aperto poi, il negozio, l’indomani mattina?

A proposito, doveva trovarsi un’assistente. Ormai iniziava ad avere un discreto giro di conoscenze, che lo trattenevano per ore fuori dal negozio per servizi fotografici di vario genere. Era meglio assumere qualcuno che stesse al banco e che svolgesse le mansioni più elementari.

Bene, ottima idea.

Domani avrebbe cercato subito. Avrebbe messo fuori un bel cartello.

 

Si staccò dalla finestra, e fissò il letto. Tra quei cuscini l’aveva baciato, accarezzato, amato. Che stupido idiota che era stato a sprecare tempo e giovinezza rincorrendo un sogno che scappava con fermezza da lui.

E adesso c’era ancora l’impronta del suo corpo sul materasso! E il suo odore sul cotone delle lenzuola! Se avesse controllato, probabilmente avrebbe trovato anche uno dei suoi lunghi, lucenti capelli neri su uno dei cuscini.

Spense la sigaretta con rabbia nel posacenere. Poi raccolse le lenzuola spiegazzate, tolse le federe dei cuscini e ne fece fagotto. Si diresse al bagno e gettò il tutto, con forza, dentro la lavatrice. Impostò il programma, riempì la vaschetta di detersivo e l’avviò.

Rimase per qualche istante incantato dall’oblò. Poi si diresse dentro la doccia.

I suoi vicini di casa non sarebbero stati contenti, ma questo era un problema secondario. Attese in un angolo del box che l’acqua calda scorresse, poi si tuffò completamente sotto il getto confortante.

 

Quasi sorrise, scuotendo la fradicia chioma ribelle. Suonava strano soffrire d’amore (Si, perché il suo era amore – quello di Bankotsu no, forse. Ma il suo lo era eccome!) a Parigi, la città dove ci si innamorava per antonomasia.

Gli venne in mente uno dei suoi film preferiti, ambientato proprio in quella città. Sotto l’acqua scrosciante, cantilenò a mezza voce il motivetto con cui si apriva la scena iniziale, una strofa che aveva sempre sentito sua:

There was a boy...
A very strange enchanted boy.
They say he wandered very far, very far
Over land and sea,
A little shy and sad of eye
But very wise was he.
And then one day,
One magic day, he passed my way.
And while we spoke of many things,
Fools and kings,
This he said to me,
"The greatest thing you'll ever learn
Is just to love and be loved in return."

 

C’erano ancora tante cose là fuori. Stolti e Re.

Tra le tante cose per cui valeva la pena vivere, ce n’era una in particolare: Le sorprese.

 

 

 

 

Arieccomi, prima del previsto!!!

In realtà non riuscivo a staccarmi completamente dalla storia che avevo appena terminato… Continuavo a pensarci, e nonostante avessi anche altri soggetti (sicuramente più interessanti di questo) da prendere in considerazione per scrivere, non ho potuto fare a meno di partorire questa…idiozia.

Questa FanFiction è da considerarsi uno Spin-Off di This Time Around. Sono gli anni di Kagura (e di Jakotsu! – Numi del Cielo, com’è OOC) in Francia.

Ciò vuol dire che non dovete per forza leggervi il mio precedente lavoro. Cercherò di rendere le due cose il più indipendenti possibili l’una dall’altra. Purtroppo temo che qualche collegamento tra le due sarà inevitabile, ma cercherò di circoscriverlo il più possibile

NOTE: il titolo deriva da una canzone della colonna sonora di MOULIN ROUGE! (uno dei miei film preferiti), così come il titolo del capitolo ne è un verso. Complainte de la Butte significa ‘la canzone malinconica del Colle (Montmartre)’, mentre il significato del nome del capitolo è “Il mio sogno svanisce”

Ed è proprio a Moulin Rouge che Jakotsu pensa sotto la doccia, canticchiando la prima strofa di Nature Boy, con cui si apre il film.

 

Spero di fare un buon lavoro.

Grazie intanto per aver letto almeno questo capitolo.

E.C.

 

 

 

 

 

   
 
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