Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: kamony    20/09/2015    12 recensioni
Questa è un'ipotetica fine de L'attacco dei Giganti, ovviamente come me la immagino io. La storia è ambientata proprio appena Titani e Giganti sono stati definitivamente sconfitti e Levi...
[Lo scoprirete leggendo!]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi Ackerman, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Prima Notte di Quiete

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Levi Ackerman non dormiva quasi mai. Tre quattro ore per notte era il massimo che riusciva a concedersi. Era forse colpa dell’adrenalina che gli scorreva nelle vene come una droga, o forse era semplicemente affetto da qualche patologia del sonno.
Questo aveva coadiuvato non poco a renderlo irritabile, insofferente e soprattutto lo aveva trasformato in una sorta di teina dipendente.
Il liquido caldo e ambrato, con quell’aroma inteso di bosco che, ad ogni sorso gli accarezzava il  palato, era diventato il suo miglior alleato nel tamponare la stanchezza da insonnia cronica, che a fasi alterne lo colpiva durante la giornata.
Dormire così poco aveva contribuito anche scavare quelle occhiaie bluastre, sorrette da una fitta ragnatela di piccole rughe, che cerchiavano, esaltandoli, quegli occhi così particolari: inflessibili e grigi. Due fessure di ghiaccio tagliente, che con una sola stoccata erano capaci di valutare nemico e grado di pericolo.
Levi, un uomo, all’apparenza freddo e distaccato, quasi un dissociato,  non aveva pace.
Nonostante la calma fredda ed il controllo ferreo, dentro di lui si contorcevano i demoni di un’esistenza consumata al margine, forgiata nel dolore e temprata nella rabbia.
Cinismo sarcastico, insolenza sfacciata, mancanza di tatto. Erano il suo marchio di fabbrica. Tutte maschere che indossava, una dietro l’altra, a seconda del caso e dell’occorrenza, per difendersi dal mondo intero e da se stesso. O forse non indossava nessuna maschera. Era semplicemente fatto così. Una persona particolare. Fuori dal comune. Con un carattere così pieno di spigoli,  che suo malgrado, non poteva fare a meno di lasciare il segno.
La cosa certa era la sua forza. Fisica ed interiore, di cui sapeva, senza ombra di dubbio, fare un ottimo uso.
Ma era stanco, molto stanco.
Questa guerra era durata troppo a lungo e si era lasciata dietro una scia infinita di vite spezzate, molte delle quali avevano spezzato, un poco alla volta, anche lui.
Ora però era tutto finito.
Non sembrava neppure reale, eppure era accaduto: i titani erano stati sconfitti e i giganti erano stati abbattuti, tutti, fino all’ultimo esemplare, che era appena crollato a terra, con il solito tonfo sordo, finendo di consumarsi tra fumi e lapilli nell’autocombustione. Il vento stava disperdendo quel fumo pesante, tossico, residuo di quell’ultimo mostro, portandosi per sempre via un’era di terrore e prigionia, che aveva quasi estinto l’umanità.
Era stato in quel momento che finalmente si era lasciato cadere sull’erba, a braccia aperte, e aveva guardato il cielo.
Azzurro, luminoso, interrotto dalle fronde degli alberi, che frusciavano lievi, al tocco della brezza. Era come se il mondo si fosse fermato. Anche le grida di gioia ed i rumori circostanti si erano come magicamente sfumati, attenuati, ovattati, simili ad echi lontani. C’erano solo lui ed il cielo…
Quanto poteva essere bella quella luce così calda e limpida? E quanto straordinaria era la natura che sembrava quasi sussurrare timidamente, attraverso quelle chiome mosse da vento, un lieve canto di libertà, che lo cullava come una ninna nanna.
Fu abbracciato da quella sensazione che mai aveva provato nella sua vita: pace.
Si sentiva così bene, quasi totalmente libero da quella rabbia impotente ed  incancrenita che lo attanagliava dentro da anni. Era come se si fosse tolto un peso enorme.
Era così leggero. Quasi una piuma.
Rimase ancora fermo, a respirare a pieni polmoni l’odore dell’erba e a godersi la vista di quel tetto azzurro che gli riempiva l’anima.
Non male! pensò. Esattamente come la prima volta che era uscito in ricognizione dalle mura e aveva visto da vicino la natura circostante, ammirando la volta celeste sopra la sua testa. Da allora non l’aveva quasi fatto mai più.
Chiuse un attimo gli occhi, come per entrare in comunione con ciò che lo circondava, quasi volesse farne parte come un corpo unico.
Quando li riaprì, la luce stava calando in modo gentile, dai caldi raggi del sole era passata alla timida e fresca brezza del crepuscolo. La sentì lieve sulla pelle,  fu quasi come una carezza sul suo viso magro e affilato, che lo fece rabbrividire un po’.
Poco lontano c’era sempre aria di festa, tutti urlavano felici ed increduli, come in un rito liberatorio.
Fu allora che decise di andarsene. In silenzio, senza far rumore e senza salutare nessuno.
Era felice che i suoi ragazzi fossero arrivati tutti indenni alla fine di quell’incubo assurdo e crudele. Più felice ancora era che fossero sopravvissuti anche Erwin e Hanji. Erano stati i due maggiori artefici di questa grande vittoria, sarebbe stato crudele ed ingiusto se non avessero potuto goderne. Si rese conto che svignarsela così, senza neppure un congedo, forse era ingiusto, ma lui era stanco. Voleva andare via, altrove, lontano.

«CAPITANO!».

La voce di Eren lo scosse e sì girò. Lo vide che correva in modo affannato verso di lui, e dietro tutti gli altri. Anche Erwin ed Hanji si erano accorti e seguivano i ragazzi in una corsa folle.
Lui che era in piedi, vicino al suo cavallo, li guardò non capendo.
All’improvviso si erano fermati tutti come distratti da qualcosa.
Che comportamento bizzarro… forse non l’avevano visto e lo stavano solo cercando? Si chiese confuso.
Era l’ora di andare. Non poteva attendere ancora. Non si fermò oltre a pensare. Forse era meglio così.
Era convinto che gli addii fossero inutili e facessero solo male. Del resto non avrebbero mai colmato l’assenza, lo sapeva bene, quella veniva alimentata dai ricordi, allora agli altri, meglio non aggiungere anche quello del congedo.
Montò a cavallo e tirò le redini. Non si voltò e partì al galoppo.
Gli sembrava di correre sulle ali del vento. Una sensazione così bella e così vivida che gli dava quasi l’impressione di volare.
Poi, improvvisa come una mannaia, calò la notte: cupa, fredda, senza luna. Le tenebre sembravano più fosche che mai, ma Levi era tranquillo, non c’erano più pericoli. I mostri erano stati sconfitti
.

*

Erano rimasti sconvolti. Nella frenesia nessuno si era accorto che mancasse Levi. Erano certi che fosse nelle vicinanze, leggermente in disparte, ma presente, come era solito fare.
Invece era lì, disteso su quel prato. Gli occhi grigi sembravano brillare, limpidi e trasparenti riflettevano la luce del cielo. La cosa straordinaria era che il suo viso appariva disteso ed era illuminato da un sorriso sereno, come se contemplasse qualcosa di meraviglioso. Nessuno ricordava di averlo mai visto sorridere così. La sua espressione era bellissima e li colpì come uno schiaffo in pieno viso. Era fermo, immobile. Con le braccia aperte e i palmi a contatto con l’erba. Dall’orecchio destro gli sgorgava copioso un rivolo di sangue. Il rosso acceso della linfa vitale gli aveva macchiato il colletto della camicia e il suo prezioso foulard.
Hanji pensò che si sarebbe incazzato a morte per via di quelle macchie, gli parve quasi di udire la sua voce irritata: Guarda qui che schifo. Tch! e le venne il magone.
Erano scioccati, nessuno si era reso conto, che nell’abbattere l’ultimo gigante rimasto in piedi, per poter  finalmente aprire le porte della libertà, il capitano era caduto.
Lo pensavano da qualche parte a riflettere bevendo tè. Lontano, ma vicino. Schivo, silenzioso, defilato, com’era Levi quando la battaglia era finita e lui si concedeva il riposo del guerriero.
Invece se n’era andato.
Per sempre.

*

Alla fine della galoppata arrivò ai piedi di una radura che s’insinuava in una fitta foresta. D’istinto lasciò il cavallo, gli dette una pacca per farlo allontanare e proseguì a piedi. Come entrò nella boscaglia intravide subito tra gli alberi una figura che gli  si fece incontro.
«Madre?» chiese incredulo, quando capì chi fosse, correndo verso di lei, con il cuore in gola.
Kuchel lo accolse tra le sue braccia e lo strinse a sé «Bambino mio, è da molto che ti stavo aspettando» gli disse con dolcezza.
«Perdonami» sussurrò alla donna angosciato e confuso. Quella colpa era rimasta nel suo cuore, crescendo ogni giorno.
«Non c’è niente di cui io debba perdonarti» lo consolò con l’amore che solo una madre può nutrire per il proprio figlio.
Levi alzò la testa e la guardò. Era così bella, serena, sembrava  davvero felice.
«Non ti ho protetta, non sono riuscito a salvarti… ti ho lasciata morire sola in quel letto, guardandoti spegnere come una candela» le disse addolorato.
«Eri così piccolo Levi, non potevi fare niente per me» lo rassicurò.
«Guarda quello che sei diventato! Hai salvato così tante vite, hai messo la tua esistenza al servizio degli altri, sono così fiera i te» aggiunse carezzandogli il viso riempiendo il suo cuore con il suo sguardo così pieno d’amore.
Quelle parole, magicamente, misero a cuccia gli ultimi subdoli mostriciattoli che  gli morsicavano l’anima. Quelli che gli avevano fatto credere per una vita intera di non essere completamente capace di proteggere chi amava, di essere un inutile e violento assassino, che lo straziavano ogni volta che qualcuno per cui provava affetto moriva, alimentando il suo senso di colpa, nato in quel bordello puzzolente, quado lei era morta sola e malata, senza che lui potesse muovere un solo dito per aiutarla.
«Sono così stanco madre… ho tanto bisogno di pace…» ammise abbandonandosi di nuovo tra le sue braccia.
«È tempo che tu riposi, figlio mio. Appoggiati e dormi» gli disse carezzandogli piano i capelli. Lo tenne tra le sue braccia. Lo cullò, finché la pace totale non lo rapì e tutto si dissolse in un raggio di luce, che in un lampo silente sparì.

Quella, per Levi, fu la sua prima notte di quiete.


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Buonsalve! È  quella disgraziata dell’autrice che vi parla.
Non uccidetemi!
Mi è uscita così, ogni tanto l’angst si impossessa di me e mi fa scrivere queste cose…
E comunque a mia discolpa è anche colpa di certe fan art, infatti queste due mi erano così piaciute tanto, che non sapendo scegliere le ho inserite entrambe.
Isayama tu non ti azzardare a farlo MAI! Ok?
E niente grazie a chiunque abbia letto e a chi vorrà lasciarmi un commento, o anche un insulto :P fate voi, mi rimetto al vostro buon cuore!
Scherzi a parte spero che questa mia idea vi sia piaciuta. Io amo fare l’introspezione dei personaggi, sondare il ,loro intimo, immaginare i loro pensieri, le loro sensazioni  più nascoste e recondite, proprio come se fossero esseri umani veri. Mi piace immaginare che cosa pensano e come vivono gli accadimenti della loro vita, come reagiscono quali sono le loro gioie e i loro dolori. Perché è questo che mi spingere a scrivere. Questo che avete letto è un po’ come introietto Levi. È così che attraverso i suggerimenti lanciati da Isayama io lo percepisco e così ve l’ho restituito, grazie di aver letto questa mi interpretazione dei fatti.

PS per chi segue la long aggiornerò in settimana, vi chiedo scusa, ma all’ispirazione non si comanda, quando arriva, comanda lei! :P

Disclaimer: Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.

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