Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: toluene    24/09/2015    5 recensioni
{ AU | Pastel!Jean | Punk!Marco | accenni (molto accennati) di Spingles | fluff | perdonate, è l'ora }
Cit//:

Armin era intelligente, pacato e spesso era anche la persona che sapeva risolvere i problemi di tutti, quindi quando disse a Jean che probabilmente avrebbe dovuto confessarsi, o almeno tentare di parlare con Marco seriamente, il ragazzo non aveva trovato modo di rifiutare. Fino a quando si trattava di Sasha che iniziava a straparlare di come sarebbero stati la coppia perfetta Jean lasciava correre, in fondo Sasha non era quella che aveva ragione, Sasha era quella che mangiava e che sbavava dietro a Connie, un amico di Marco. E quando lei insisteva su quanto sarebbe stato bello fare un’uscita a quattro lui capiva ancora di più quanto la ragazza stesse impazzendo.
Ma poi era arrivato Armin, con i suoi occhioni azzurri e i capelli biondi e il maglioncino color giallo canarino, dicendogli che nonostante parlare non fosse il suo forte, doveva comunque provarci – perché oramai era evidente che la cotta di Jean fosse molto più che una cotta – il ragazzo aveva seriamente iniziato a dubitare che Sasha fosse nel torno.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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art by: inprensibilis
 
Hello Kitty plushies and Hot Topic shirts


 
 







Marco Bodt era un personaggio particolare. Dal suo modo di vestire, al suo modo di approcciarsi agli altri. Persino al suo modo di parlare.
Sfoggiava il classico aspetto da punk: giacche senza maniche di pelle, bracciali con e borchie, undercut tinto e persino un’intera metà del corpo tatuata. Eppure, Marco era anche una delle persone più innocenti e gentile dell’intera scuola e questo nessuno lo capiva.
Forse era il cozzare del suo aspetto con la sua personalità, forse era il fatto che nonostante tutto Marco fosse davvero un bel ragazzo, ma Jean si ritrovò con una cotta colossale per il ragazzo tatuato.
Jean, se possibile, era l’esatto contrario di Marco: indossava colori pastello, i capelli tinti di un dolce color miele, che poi finivano in un marrone cioccolato, era magro e sembrava fragile. Ed era anche terribilmente timido e sarcastico.
E probabilmente proprio per questa totale differenza fra i due che i loro amici si aspettavano che non solo uscissero assieme, ma persino si fidanzassero.
Marco non sembrava essere a conoscenza di questa cospirazione, mentre Jean arrossiva ogni volta che Armin – probabilmente uno dei suoi amici più stretti – ne faceva menzione.
Armin era intelligente, pacato e spesso era anche la persona che sapeva risolvere i problemi di tutti, quindi quando disse a Jean che probabilmente avrebbe dovuto confessarsi, o almeno tentare di parlare con Marco seriamente, il ragazzo non aveva trovato modo di rifiutare. Fino a quando si trattava di Sasha che iniziava a straparlare di come sarebbero stati la coppia perfetta Jean lasciava correre, in fondo Sasha non era quella che aveva ragione, Sasha era quella che mangiava e che sbavava dietro a Connie, un amico di Marco. E quando lei insisteva su quanto sarebbe stato bello fare un’uscita a quattro lui capiva ancora di più quanto la ragazza stesse impazzendo.
Ma poi era arrivato Armin, con i suoi occhioni azzurri e i capelli biondi e il maglioncino color giallo canarino, dicendogli che nonostante parlare non fosse il suo forte, doveva comunque provarci – perché oramai era evidente che la cotta di Jean fosse molto più che una cotta – il ragazzo aveva seriamente iniziato a dubitare che Sasha fosse nel torno.
Insomma, Sasha non era certamente una persona sana per pensare già ad un doppio matrimonio su una spiaggia della California, perché nemmeno lei aveva fatto tanti progressi con Connie, ma forse – e soltanto forse – aveva ragione riguardo a Marco.
I due avevano qualche classe insieme – biologia e storia americana –, e qualche volta si erano persino parlati. Spesso si scambiavano qualche occhiata nel corridoio, ma poi Marco veniva richiamato da qualcuno e puntualmente distoglieva lo sguardo con un sorriso stampato sulla faccia piena di lentiggini.
Era impossibile concepire così tante lentiggini su una sola persona, eppure Marco sembrava non rispettare le leggi delle concezioni mentali. La sua intera esistenza era un paradosso e Jean iniziava sempre di più a voler contare una ad una quelle lentiggini, anche se significava stare anni a tracciare ognuna di esse con il dito.
Poi, dopo un’altra chiacchierata con Armin sul fatto che doveva seriamente muoversi, o Marco avrebbe trovato qualcun altro e lui non avrebbe più avuto alcuna possibilità, il ragazzo decise di fare la sua mossa.
Si avvicinò all’armadietto del ragazzo più alto – non che sapesse esattamente dove fosse, ovvio. Jean non stava minuti interi a fissarlo e non aveva memorizzato la sua posizione –, stringendosi nel maglione color pesca. Si stava pentendo di essersi messo anche la camicia a fiori, ma si abbinava alle scarpe che aveva deciso di mettersi e Jean era sì, una persona sarcastica e scorbutica, ma anche con un ottimo senso della moda.
Si portò una mano ai capelli, arrotolandosi una ciocca color miele attorno alle dita, in un tic nervoso. Iniziava già ad arrossire, pensando a ciò che avrebbe potuto dire al ragazzo dalle giacche di pelle e le maglie dei Misfits – ancora una volta, Jean non aveva di certo fatto ricerche sul ragazzo tramite facebook o instagram, per niente –.
Nei suoi scenari migliori Marco rifiutava delicatamente, con un suo solito sorriso. In quelli peggiori si prendeva gioco di lui e dei suoi pantaloni color carta da zucchero. E se c’era una cosa che Jean amava era il color carta da zucchero.
Tutti quei pensieri così negativi iniziarono a fargli dubitare della sua capacità di rapportarsi con le altre persone e proprio quando aveva deciso di andarsene la voce di Marco lo raggiunse da dietro le spalle.
«Oh, ciao Jean. Mi stavi aspettando?»  la voce di Marco era molto diversa da ciò che ci si aspettava da uno che si vestiva in quel modo.
Era delicata, calda e ispirava subito simpatia.
Il moro sorrise, sistemandosi i libri in braccio. Portava una camicia a quadri rossa, jeans strappati sulle ginocchia e un paio di anfibi che probabilmente avevano visto giorni migliori. I suoi soliti bracciali con le borchie erano stati sostituiti da una bandana bianca legata al polso e portava una collana che molto probabilmente era una riproduzione dei doni della morte di Harry Potter, ma non poteva esserne sicuro, dato che era in parte nascosta dalla camicia.
Jean aveva anche notato che il dilatatore all’orecchio sinistro era più ampio. Ingoiò della saliva a vuoto, cercando di trovare le parole per dirgli che: “Sì, Marco. Ti stavo cercando.”
Sinceramente il biondo era anche piuttosto stupido che il ragazzo lentigginoso si ricordasse del suo nome, ma evidentemente il nome Jean non era molto comune nella scuola e nonostante quasi tutti lo pronunciassero male – John, Gene e altre storpiature – Marco sembrava aver subito capito come pronunciarlo.
Da quello che sapeva Marco aveva origini brasiliane, ma il padre doveva essere del Belgio, e molto probabilmente era anche per quello che il ragazzo riuscisse a pronunciare bene il suo nome. Incredibile quante informazioni si potevano ricavare soltanto dopo una serata passata su Facebook.
Jean si passò una manica del maglione sulla fronte e mentre stava per aprir bocca, Marco lo fermò.
«Ecco, in realtà io ti stavo cercando» sorrise, il ragazzo con il maglione pensò persino di aver percepito dell’imbarazzo.
Marco si tolse lo zaino pieno di spille di band che Jean aveva soltanto sentito nominare e lo aprì, sistemando un attimo i libri per terra. Tirò fuori un pupazzo di Hello Kitty, con una corona di fiori azzurri e verdi ed un vestito... color carta da zucchero.
«Ecco... lo avevo visto ieri mentre stavo andando da Hot Topic e...  niente, mi ha ricordato di te. Sinceramente non so che colore sia, ma ho visto che ti piace, quindi... beh, quindi te lo vorrei dare» sorrise gentile, portando le braccia in avanti per dare il peluche a Jean.
Il ragazzo più piccolo afferrò il regalo, osservandolo. Gonfiò le guance, trattenendo il fiato e per poco persino le lacrime. Strinse il peluche in mano, era morbido e profumava di Marco.
Arrossì fino alla punta delle orecchie e mente sentiva il petto bruciare riuscì a borbottare qualcosa.
«Cosa?» chiese Marco, riprendendo lo zaino in spalla.
«C-c-arta... carta da zucchero» ripeté di nuovo Jean.
«Il co... il colore. È carta da zucchero» disse, ricordandosi come respirare di nuovo.
«Oh» rispose semplicemente Marco.
«Oh, bene! Buono a sapersi, così so cosa chiedere in caso dovessi farti un altro regalo» rise, come se avesse detto la frase più stupida ed insensata del mondo.
Il biondo trattenne di nuovo il fiato, portandosi l’Hello Kitty di pezza al petto.
Oramai non riusciva più a trovare le parole adatte per dire qualcosa e tutto ciò era pressoché frustrante.
«Ehm, Marco... io, ecco, in teoria avrei voluto chiederti s-se... sempre se non sei troppo occupato!, se ti andrebbe, non so – si interruppe e prese un altro respiro, senza guardare negli occhi il più alto – magari ti piacerebbe uscire un giorno... tipo, come un... un app– non riuscì a finire la frase, rischiando di morire per autocombustione.
Marco sorrise, il suo sguardo si era ancora più addolcito, riempiendosi di affetto e felicità e qualsiasi altra cosa Jean riuscisse a trovare di positivo nel mondo.
«Un appuntamento?» domandò sussurrando Marco.
Jean annuì, non riuscendo ad esprimersi.
«Beh, il peluche era anche un pretesto per chiederti qualcosa del genere, quindi sarei molto felice di accettare» disse il moro, allungando una mano per stringere dolcemente il braccio di Jean, lasciandoci una carezza.
Era la prima volta che i due si toccavano volontariamente.
«Ti va bene se venerdì, dopo la scuola, andassimo a fare un giro?» continuò il più alto.
Jean annuì di nuovo, arrossendo e sprofondando il volto nel colletto della camicia.
«Ottimo allora! Aspetterò con ansia il fine settimana» due fossette su due guance lentigginose.
Marco si chinò verso il volto di Jean, lasciando un bacio sulla guancia leggero come il tocco di una farfalla, ma caldo come un raggio di sole una mattinata di agosto.
Il moro sorriso di nuovo davanti alla faccia pressoché rossa dell’altro, che stringeva quasi convulsamente il peluche di Hello Kitty.
«S-sì! A venerdì» riuscì a mormorare Jean, ancora traumatizzato dal bacio.
Marco rise, voltandosi per raggiungere la sua classe. Alla fine del corridoio si girò di nuovo verso Jean, salutandolo con la mano ed un sorriso ebete sul volto.
Il ragazzo biondo capì che non sol lui era davvero emozionato per l’appuntamento.


 
*


 
«Quindi te lo ha regalato lui?» chiese Sasha, sporgendosi verso il tavolo per osservare il peluche del gattino bianco.
Jean annuì, dando un morso al suo panino. Si era tolto il maglione pesca e ora indossava solamente la camicia a fiori con le maniche tirate fino al gomito.
«Jeanbo... è una cosa dolcissima!» quasi gridò la ragazza con la coda di cavallo.
Indossava un vestito a balze rosa confetto, che faceva un bel contrasto con la sua carnagione scura. Sasha era davvero carina, per questo Jean si stupiva che Connie non avesse ancora fatto qualche proposta. La mora sarebbe anche andata a chiedere, ma era “una della vecchia scuola” come si definiva lei, e sperava che fosse lui a fare la prima mossa.
«E imbarazzante» disse, osservando il peluche che sbucava dal suo zaino verde menta.
«Oh, andiamo, non fare come tuo solito. Ami quel peluche»
«Umpf» borbottò, finendo il suo panino, per poi alzarsi e prendere lo zaino.
«Ora ho matematica, devo sbrigarmi o il professor Smith inizia a brontolare» le disse, incamminandosi verso l’uscita della mensa.
Sasha annuì, mentre ancora mangiava qualsiasi cosa sua madre le avesse preparato.
Proprio quando stava per uscire dalla sala, Marco vi entrò, facendolo bloccare un attimo sul posto. Arrossì e poi abbassò il volto.
«E-ehi» mormorò, portandosi una mano ai capelli.
«Ehi» sorrise Marco, passandogli al fianco. Gli diede una carezza sulla schiena, con il suo sguardo dolce e affezionato.
Jean sarebbe morto a causa di tutte quelle attenzioni.
 


 
*

 
 
Venerdì arrivò prima di quello che Jean si era aspettato. Quel giorno aveva passato metà mattinata a scegliere ciò che voleva indossare e aveva optato per una camicia dalle maniche corte bianca e dei pantaloni con le bretelle. Color carta da zucchero.
Aveva preso il primo paio di scarpe che gli era capitato sottomano, troppo in ritardo per pensarci ancora sopra.
Aveva quasi perso il pullman, ma lo sguardo che Marco gli lanciò quella mattina non appena lo vide gli fece capire che la scelta era quella giusta.
Si videro ancora durante la pausa pranzo, Marco indossava una canottiera nera e la sua classica camicia a quadri, ma quel giorno si era arrotolato le maniche fino al gomito, permettendo a Jean di vedere il tatuaggio e per poco non era svenuto, perché Dio, Marco era davvero bellissimo.
Il moro gli sorrise, dal suo tavolo, salutandolo con la mano.
Jean accennò ad un saluto, troppo imbarazzato per rispondere seriamente.
L’ultima ora del venerdì l’aveva passata ad osservare l’orologio, contando ogni secondo che lo divideva dall’appuntamento che aveva sognato per un bel po’ di tempo.
Quando questa suonò, Jean si lanciò praticamente fuori dalla porta, dirigendosi verso il parcheggio della scuola. Sapeva che Marco aveva una macchina e che lo avrebbe aspettato là davanti.
Lo individuò facilmente, qualsiasi cosa nella figura di Marco attirava lo sguardo di Jean: dal suo sorriso ai suoi radi capelli tinti, dai piercing alle orecchie alle lentiggini.
Quando adorava quelle lentiggini, le avrebbe baciate tutte quante.
Jean raggiunse Marco, un po’ insicuro di quello che avrebbe dovuto fare, ma quando il ragazzo lo abbracciò si sciolse nella stretta salda delle braccia del moro.
E, cielo, lo stava davvero abbracciando?
Jean trattenne il fiato, avvolgendo le braccia attorno al petto del ragazzo, sospirando poi quando riuscì ad abituarsi alla nuova sensazione.
Era decisamente una bella sensazione.
«Ti va se andiamo?» chiese Marco, affondando il volto nel colletto della camicia bianca del biondo. Il moro poté giurare di aver annusato zucchero filato, ma non disse niente.
Il più piccolo annuì, stringendo la camicia di Marco fra le dita prima di lasciarla andare ed allontanarsi dal ragazzo.
«Posa pure lo zaino nel sedile posteriore» gli disse, aprendogli la portiera come un gentiluomo di altri tempi.
Così fece, per poi sedersi al sedile del passeggero.
«Dove andiamo?» trovò la voce per chiedere.
«Uh, un bel posto» gli rispose, sorridendo e mettendo in moto il motore.
«Se vuoi ti lascio scegliere quello da ascoltare» gli propose gentile Marco, uscendo dal parcheggio.
«Nah, non saprei comunque niente di quello che ascolti... uh, qualsiasi cosa tu voglia ascoltare andrò bene»
Marco sorrise ancora più ampiamente, voltandosi per un secondo verso il biondo.
«A me piacerebbe ascoltare la tua voce» gli disse, provocando a Jean un arrossamento praticamente immediato.
«Arrossisci così spesso?»
«N-no! Insomma, no, non se non mi dicono cose così!» pian piano Jean iniziava a sciogliersi, riuscendo a parlare con Marco senza rischiare di bollire.
Il moro rendeva tutto più semplice, lo metteva a suo agio e lo faceva sentire apprezzato. Vestirsi con colori pastello ed essere omosessuale non era il meglio in un liceo di adolescenti idioti, Jean lo aveva subito sulla sua pelle, ma con Marco era diverso. Marco non lo prendeva in giro per i suoi gusti, anzi era lui il primo a sentirsi a disagio per essere così diverso dal biondo.
Quando Jean si accorse che Marco aveva fermato la macchina si lanciò un’occhiata attorno. Era uno spiazzo ampio, probabilmente una volta era un parcheggio per camion. Il cemento era crepato in più punti e le linee bianche che delimitavano lo spazio erano cancellate dal tempo.
In qualche angolo giaceva qualche macchina abbandonata e verso la fine del parcheggio c’era una casupola in rovina.
«Questo è il mio... mh, posto speciale» rispose Marco ad una domanda non fatta.
Jean annuì, affiancando il più grande che si dirigeva verso la casupola. Il moro allungò una mano verso quella del più piccolo, allacciando le proprie dita con quelle dell’altro. Il biondo sobbalzò preso contropiede, ma poi sorrise anche lui, dando una leggera stretta alla mano del più alto.
Marco sembrò illuminarsi come il sole, mentre apriva la porta con i cardini un po’ arrugginiti della casa.
L’interno era stranamente illuminato, una poltrona ed un divano di seconda mano erano proprio davanti alla porta, un tappeto rosso carminio sul pavimento e centinaia di libri sparsi ovunque. Qualche fiore e uno stereo con CD sparsi ovunque.
Sembrava proprio Marco, di Marco. Tutto urlava Marco in quella stanza.
Ancora un poco impacciato Jean si sedette vicino al ragazzo, torturandosi le mani in grembo.
Marco mise un CD nello stereo, sorridendo quando Jean alzò lo sguardo impressionato.
«Frank Sinatra?»
«Solo perché indosso le magliette dei Sex Pistols non significa che non sappia apprezzare anche altri generi» rise Marco.
«Ti va di ballare?» chiese poi, un sorriso ancora più ampio.
Jean annuì.
«Ti avverto che non sono bravo»
«Non importa, nemmeno io lo sono» lo rassicurò.
Avvolse le braccia attorno ai fianchi magri e ossuti di Jean, sorridendo come un bambino davanti ad una bancarella di dolciumi.
«Mi sei sempre piaciuto. Nel senso di piaciuto, piaciuto. Avevo pensato di chiederti di uscire molto tempo fa, ma non avevo mai trovato un pretesto per farlo» mormorò Marco, appoggiando il mento sopra la testa di Jean.
Il biondo sospirò nell’incavo del collo del ragazzo più alto, stringendo di più la presa attorno al collo di Marco.
«Per me è lo stesso...»
«Siamo piuttosto stupidi, eh?»
«Tu sei stupido» borbottò, mettendo il broncio, il biondo.
Marco rise, e la sua risata rimbombò per tutto il petto del biondo. Anche quando le canzoni finirono e non ci fu più niente da ballare, rimasero abbracciati nella penombra di quella casupola.
 


 
*
 


Jean si guardò allo specchio, sbuffando, per poi sistemarsi il colletto della camicia lilla.
«Ti avevo detto niente succhiotti» borbottò, tornando a sedersi sulle gambe di Marco.
Il ragazzo ridacchiò, accarezzando tutto ciò che poteva raggiungere di Jean.
«Scusa, tesoro»
«Non chiamarmi tesoro»
«Aw, ma lo so che ti piace» Marco lasciò un bacio a bocca aperta proprio sotto l’orecchio del biondo, ricevendo un sospiro rotto in cambio.
Jean si voltò, per baciarlo per bene, mordicchiò il labbro inferiore, già rosso per tutti i baci che si erano scambiati prima.
Marco si staccò, cercando qualcosa nel suo zaino.
«Ecco a te» gli porse un sacchetto a fiori, con un ghigno stampato in volto.
Jean sbuffò, anche se in realtà non vedeva l’ora di aprire il regalo.
Tirò fuori un peluche di Hello Kitty, con in mano un lecca lecca arcobaleno e un vestito a pois rosa e verdi.
«È bellissimo, grazie» strinse il regalo al petto, lasciando un bacio sul naso del suo fidanzato.
«Anche io ti ho preso qualcosa, sai?»
Marco alzò le sopracciglia, aspettando di ricevere il suo regalo. Non appena Jean gli porse una scatola non aspettò nemmeno un minuto prima di strappare la carta. Quando aprì la scatola quasi scoppiò a ridere.
Dentro c’era una maglietta con sopra un’Hello Kitty in versione punk, con tanto di borchie e teschi.
«È bellissima, Jean» rise ancora, lasciando un bacio sulla guancia del ragazzo più giovane.
«Il tipo di Hot Topic mi ha guardato male, però»
«Non ne dubito... è anche per questo che ti amo» il sorriso ampio di Marco si fece di nuovo largo sul suo volto, facendo comparire le fossette che Jean tanto adorava.
«Ti amo anche io, mpf– Marco, niente succhiot– Marco


















 
Of immunopathology pathologies:

OMG, è quasi l'una Kenji, tu domani hai una versione di Greco, non puoi permetterti certe cose, KENJI COSA FAI.
Pubblico Jeanmarco, ecco cosa faccio. Non so quanto possa essere ben scritta, non so quanto possa essere gradevole, ma se non la pubblicavo oggi esplodevo. Metaforicamente, ma sì esplodevo. E niente, scusate per aver distrutto il fandom ;-;
Vado a dormire, heh.
Kenji.
   
 
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