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Autore: fireslight    30/09/2015    0 recensioni
[Crossover: Once Upon a Time − Hunger Games]
Avevano sempre avuto niente, loro due, se non l’uno che poteva sempre contare sull’altro.
Questo e cibo fresco, cacciato di frodo, qualche arma e il proprio bagaglio di delusioni e tristi ricordi.
E anche quando non aveva avuto niente, aveva sempre avuto Emma.

[Killian/Emma♥ − CaptainSwan!centric][AU, What If • Slice of life, Dramatic • 6.841 words]
Genere: Azione, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Scegliendo il disonore

{they will not have our war}
 
 
Il treno correva per i binari da quasi un giorno, impaziente di raggiungere la capitale. Emma trascorreva il tempo in un oblio di fredda indifferenza, ignorando le parole dell’accompagnatrice designata al proprio distretto.
Che differenza avrebbe rappresentato, dopotutto?
Vero, sapeva cacciare, ma sarebbe stato diverso. Cacciare esseri umani sarebbe stato diverso.
Di fronte a lei, Killian Jones pareva l’individuo più tranquillo del mondo. Avevano entrambi diciotto anni, una vita ancora da vivere davanti. E stavano andando a morire.
«Emma?»
Tutto questo non aveva senso. Sarebbero dovuti scappare nei boschi, quando ne avevano avuto la possibilità, avrebbero dovuto..
«Swan, guardami.»
«Cosa vuoi?»
Il suo tono era stato monocorde, freddo come ghiaccio. Killian allungò una mano, intrecciando le loro dita. Osservandoli così, nessuno li avrebbe detti simili: tanto chiassoso e vanitoso lui, quando silenziosa e timida lei. Eppure avevano condiviso esperienze affini, se non uguali. Adesso, avevano in comune la prospettiva di una morte imminente.
«Ce la faremo.» le disse, guardandola negli occhi. Emma avrebbe voluto  disperatamente credergli, alla fine.
Erano cresciuti insieme, lei e Killian. Insieme avevano cacciato, insieme avevano condiviso ogni cosa, ogni preda, ogni sospiro di sollievo per non essere stati scelti alla Mietitura, anno dopo anno. Fino a quel giorno.
Avevano un gioco, una loro tradizione sin da quando si erano incontrati nei boschi ed Emma per poco non gli aveva conficcato un coltello in un occhio per lo spavento.
Vince prima chi cattura tre conigli in mezz’ora. Il più delle volte era Emma, a vincere, scagliando i suoi coltelli come frecce da un arco; Killian, d’altro canto, aveva metodi più persuasivi e indulgenti. Ciò per cui era famoso nel 12, poco importava che si trattasse di conigli o ragazze: intrappolava chiunque, nelle sue studiate trappole di predatore.
Non che di ragazze ne avesse avuto molte, comunque: c’era stata solo qualche effusione, prima che incontrasse Emma.
«Dimentichi la regola fondamentale. C’è un solo vincitore.» ricordò lei cupa, anche se ammetterlo ad alta voce faceva male.
Alcuni minuti dopo, il treno si era fermato. Fuori dal finestrino, folle urlanti li attendevano alla stazione e Capitol City li attirava a sé, coprendoli con la sua viscida, falsa ombra di benevolenza.
«Vedi, Swan» le sussurrò mentre attraversavano la stazione, diretti al Centro di Addestramento. «Io non voglio diventare come loro.»
Killian le aveva indicato a distanza un gruppo di persone vestite con abiti di ogni forma e colore, l’indecenza di chi non conosce la povertà dei distretti − o la sofferenza di chi conserva solo la propria dignità come il più potente dei talismani.
«Neanche io, ma−»
«Tu non capisci, Emma, non ancora.»
Lui l’aveva fermata, prendendole un braccio, intrecciando le loro dita, di nuovo.
«Stravolgeremo il sistema, Swan. Io non ho intenzione di morire e lasciarti morire in quell’Arena, e tu?»
Completamente pazzo. Se non lo avesse conosciuto come conosceva se stessa, Emma avrebbe pensato che fosse diventato completamente pazzo.
«D’accordo. Affronteremo tutto questo insieme.»
«Ottimo, Swan. Io e te,» le mormorò sulla fronte, avvicinatosi con finta provocazione, un sorriso malizioso in volto. «Ci capiamo sempre.»
Emma non aveva potuto fare a meno di ridacchiare, tornando subito seria − del resto, Killian aveva sempre saputo come strapparle un sorriso.
 
 
«Eri bellissima.»
Aveva riconosciuto la voce dietro di sé, eppure non si era voltata, rimanendo ad osservare le luci della capitale dall’alta terrazza del Centro di Addestramento.
Anche il tocco delle sue mani, forti ma delicate al tempo stesso, indurite dal lavoro e dalle loro attività nei boschi, che le sfioravano una spalla, timide. Aveva riconosciuto pure quelle.
«Anche a te quel completo stava bene.»
«Come darti torto.» una pausa, un silenzio rumoroso che si spezzava. «Credi che avremo mai la possibilità di indossare altri abiti che, be’, non sappiano di carbone?»
Lei aveva sorriso, voltandosi ad osservarlo. Killian sembrava tranquillo, eppure lo conosceva e sapeva per certo che non era così: la linea rigida delle spalle, l’espressione nervosa e il sorriso forzato. Non era lui, quello.
«Non lo so, Killian.» si torturò le mani, indecisa su cosa dire − quali parole sarebbero state di conforto? − «Non lo so.»
«Ti stava d’incanto, quel vestito, Swan.»
Lei aveva sorriso di nuovo, senza scomporsi, intrecciando silenziosa le loro dita, in un gesto volto a calmare entrambi.
Dopo le interviste di quella sera, ci si aspettava che avrebbero riposato per il giorno seguente, quando sarebbero entrati nell’Arena. Invece erano entrambi lì, su una terrazza ai confini del cielo, senza alcuna possibilità di fuga.
«Emma,» Killian le prese il viso tra le mani, facendo quasi scontrare le loro fronti, con il respiro corto. «Non è la fine, lo sai, vero? Possiamo farcela, io e te. Lo abbiamo sempre fatto.»
«Sì, ma sarà diverso.»
«Dovremo fuggire dal bagno di sangue, all’inizio. Poi sarà facile. Troveremo dell’acqua, e qualcosa da mangiare. Penso che avremo diversi sponsor, hai notato come ci guardavano quei tizi vestiti strani, dopo la sfilata?»
Tuttavia, avrebbe voluto frenare il suo entusiasmo: ovvio, era l’adrenalina che entrava in circolo, la paura di non farcela, della morte, di lasciare ogni cosa come terra bruciata dietro di loro.
Non che avessero molto, alla fine, a cui tornare nel distretto 12. Quel molto, comunque, sarebbero stati ancora loro due.
«Jones, frena. Calmati.» lo interruppe preoccupata, il sorriso del ragazzo che si congelava all’istante. «Cosa ti fa credere che ce la faremo, eh? Come fai ad essere così ottimista?»
Se non l’avesse conosciuta come conosceva se stesso, Killian avrebbe pensato che avesse paura, che fosse spaventata − no, terrorizzata. E probabilmente era così.
Avevano sempre avuto niente, loro due, se non l’uno che poteva sempre contare sull’altro. Questo e cibo fresco, cacciato di frodo, qualche arma e il proprio bagaglio di delusioni e tristi ricordi.
E anche quando non aveva avuto niente, aveva sempre avuto Emma.
Prima che lei potesse protestare, Killian la prese tra le braccia, stringendosela contro. Emma sapeva di lacrime mai versate, del profumo degli alberi nel vento, di ceneri e fuoco e sangue; del loro sangue versato per una vita migliore.
«Swan, non moriremo. Hai la mia parola. Che c’è, dopo tutto quello che abbiamo passato, non ti fidi di me?»
«Non è questo il punto.»
«E allora, di grazia, saresti così gentile da spiegarmi qual è?»
«Insomma, è solo che−»
Stava andando nel panico, decisamente. Quando accadeva, allora doveva essere veramente turbata. Avrebbe dovuto smuovere la cenere del fuoco della ribellione che le scorreva nelle vene finchè fosse stata ancora calda.
«Emma,»
«Lo sai, Jones, maledizione!»
«No che non lo so, se potessi spiegarmi..»
Oh, lo sapeva, invece. Lo sapeva eccome.
Un’occhiataccia ben più pericolosa dei suoi coltelli, quella, ma con un po’ di determinazione si sarebbe sfogata.
«Tu e io, insomma, noi−»
«EMMA!»
«Non posso perderti, Killian!»
Adesso, il tono della sua voce era davvero alto, stravolto e lei infuriata più di quando andavano insieme a caccia e lui aveva la sfortuna di calpestare dei rami secchi, facendo scappare il pranzo o, a seconda delle situazioni, la cena e i due pasti seguenti.
«Non posso, non voglio perderti, la sola idea che tu possa morire in quell’Arena mi distrugge.»
Lui rimase lì in piedi, di fronte a lei che si muoveva avanti e indietro per la stanza come una fiera in gabbia. Non che avesse mai dubitato che tra loro ci fosse più dell’amicizia − certo, era palese che fossero più che amici, − ma nessuno dei due lo aveva mai confidato all’altro.
Quei loro baci, alle volte, lontano da tutto e da tutti, lo avevano provato. E il fatto di non averne mai parlato, dopo, perché andava bene così a entrambi, che ognuno fosse presente quando l’altro ne aveva bisogno, senza renderlo del tutto ufficiale.
Renderlo ufficiale avrebbe cambiato le cose.
«Swan,» le sussurrò, avvicinandosi lentamente e abbracciandola, di nuovo, poggiando il mento sul suo capo, carezzandole la schiena e i capelli. «Va bene, Swan, va tutto bene. Neppure io posso o voglio perderti, altrimenti chi si occuperà del cibo e delle trappole nei giorni pari, se ai dispari ci penso io?»
La sentì reprimere un sorriso contro la sua spalla, ma non l’avrebbe lasciata andare. Non ancora.
La presa sui fianchi si fece più serrata sebbene confortante ed Emma non protestò. Erano più vicini di quanto non lo fossero mai stati nel 12, nonostante trascorressero buona parte della giornata insieme. Più vicini che mai, adesso, tranne quando si trovavano nella foresta.
«Non riesco a immaginare una vita senza che tu mi stia intorno, Swan» ricominciò, più serio e controllato, perché se fosse stata la loro ultima notte, tanto valeva darsi ai sentimentalismi. «Perché ho perso troppo, e tu sei l’unica cosa che mi sia rimasta. Ed anche l’unica cosa bella, a dirla tutta.»
«Mi dispiace,» tentò di spiegare lei contro la sua spalla, la voce sottile come quella della bambina che era stata un tempo − o che forse non era mai stata − «Mi dispiace, Killian.»
«Non hai di che scusarti, Swan. Credimi. Ma adesso dovremo riposare, quindi.. Sì, buonanotte.»
Si era diretto malfermo verso il salone dell’enorme attico, verso la sua stanza. La voce di Emma lo aveva raggiunto in corridoio: per inciso, lo aveva raggiunto il suo piede, infilato rapidamente tra la porta e lo stipite.
Emma lo aveva guardato con un sorriso, quello che Killian adorava più di lei. Determinata come sempre.
«Posso dormire con te, stanotte?»
L’attirò a sé, baciandole la fronte. Si esibì in un finto, elegante inchino con il capo, sorridendole complice.
«A sua disposizione, milady.»
 
 
Erano rimasti in sei, quando un colpo di cannone era risuonato come uno sparo nella quiete della foresta.
Ora, cinque. Loro, il ragazzo del 2, entrambi i tributi del 4. All’inizio era stata dura, se non di più. Emma aveva pensato che se non ci fosse stato Killian, con lei, sarebbe morta ormai da tempo.
Ma erano insieme, adesso, ed era questo che contava.
«Ho trovato la cena.»
Anche le sue trappole, piazzate intorno al precario accampamento, avevano fornito loro una buona aspettativa di vita. Killian era tornato con una lepre attaccata alla cintura, il sorriso soddisfatto e cinico di chi disprezza il mondo e lo da a vedere.
Curioso che gli Strateghi non avessero ancora deciso di farli saltare in aria, come i due ragazzi del 7.
O quelli dell’11 sgozzati dai Favoriti, la ragazza del 10 affogata nel piccolo lago vicino alla Cornucopia − lago che doveva essere più profondo di quanto sembrasse − e tutta una serie di morti più o meno atroci a cui non aveva voglia di pensare.
All’improvviso, Emma aveva sentito il lieve rumore di rami spezzati provenienti dalla direzione in cui Killian aveva catturato la lepre e dove il ragazzo se ne stava in piedi, un facile bersaglio per chi veniva da dietro.
«A terra!»
Il coltello fendé l’aria con un sibilo, conficcandosi nel petto del ragazzo del 2, apparso come un fantasma da dietro un gruppo di alberi.
Alcuni istanti dopo, il colpo di cannone si era levato nel cielo, comunicando a chi era rimasto nell’Arena che l’intero gruppo dei Favoriti era stato completamente eliminato. Killian si era voltato di scatto a guardarla, ancora piegato sui talloni al suolo, quasi in preda allo shock. Quasi, appunto.
Si era ripreso subito, a dire il vero, perché le si era avvicinato, scoccandole un bacio in fronte, mormorandole con un sorriso orgoglioso: «Ottimo tiro, Swan.»
«Sarebbe meglio spostarsi, comunque. Cerchiamo un posto più a nord, e più riparato.» consigliò lei, e così avevano fatto.
Alla Cornucopia, avevano avuto il tempo di prendere un paio di zaini e non è che vi avessero trovato molto dentro. In seguito, obbligati dalle circostanze, avevano recuperato dai cadaveri che si lasciavano indietro tutto ciò che potevano, dalle armi al cibo e i vestiti − accuratamente lavati al ruscello sotto le insistenze di Killian.
«Ehi, Swan, fermati.» la richiamò, indicandole una piccola radura, protetta a nord da rocce e alti cespugli. «Qui andrà bene.»
Era ormai sera, e il sole stava calando.
 
 
Poco prima dell’alba, si erano rimessi in cammino. Per andare dove − o fare cosa − nessuno dei due ne aveva un’idea precisa.
«Dove credi possano essere?»
Il tono di Emma era tutto sommato indifferente, ma Killian la conosceva da anni: l’andatura fin troppo cauta, i sensi perennemente all’erta come se si aspettasse che qualcun altro sbucasse dai pressi degli alberi circostanti.
«Mah, non saprei.» le rispose, facendo attenzione nel superare i massi nel fiume all’interno del quale camminavano già da diverse ore, controcorrente, per non lasciare tracce. «Potrebbero essere tornati alla Cornucopia.» Emma aveva rischiato di scivolare un paio di volte, in quel tratto, ma lui l’aveva sempre sostenuta. «O può darsi che si stiano strangolando non lontano da qui, chissà.»
A quell’affermazione che mostrava un tono a metà tra lo speranzoso e il sarcastico, Emma si era voltava a guardarlo, alzando gli occhi al cielo e ridendo di gusto.
«Sei particolarmente ottimista, oggi.»
«Io sono sempre ottimista, Swan.»
Qualche minuto dopo, avevano trovato un posto riparato nel quale pranzare con il resto della lepre del giorno prima, quando l’inno di Capitol City era partito sopra le loro teste, imperioso e portatore di nuove notizie.
«Attenzione, tributi, attenzione.» quella era la voce del presentatore, preceduto dagli squilli delle trombe. «Il provvedimento che prevede la vittoria di un solo tributo è stato annullato. Adesso, potranno essere incoronati due vincitori,» si era guardati entrambi, sconvolti e sorpresi. «a patto che siano del medesimo distretto.»
L’avviso era stato ripetuto un’altra volta, per sicurezza.
«Non ci credo.»
Killian sembrava il più sconvolto tra i due. Tuttavia, Emma non ne comprendeva la ragione. Non era stato lui a dire di non voler morire e lasciarla morire nell’Arena? Non era lui a volere che fossero entrambi a vincere, stravolgendo il fragile sistema costruito negli anni dal presidente?
«Killian!» lo chiamò, accorgendosi del fatto che si fosse allontanato di diversi metri e, adesso, fosse seduto in riva al torrente. Lo raggiunse, sedendosi accanto a lui.
«Non eri tu a dire che ce l’avremmo fatta entrambi?»
Il ragazzo si voltò, osservando con attenzione la sua espressione confusa.
«Certo che sì, Swan.» l’acqua fresca era una piacevole alternativa alle lunghe camminate per il bosco sotto il sole cocente. «Ma non immaginavo finisse così. Insomma,» precisò, alzando gli occhi al cielo. «adesso abbiamo tante possibilità di vincere noi quante ne hanno be’, i pescatori
«Lo so, ma possiamo ancora farcela.»
«E poi,» continuò Killian, in tono volutamente offeso, «Questa era la mia strategia, cavolo! Me l’hanno rubata da sotto al naso, Swan, te ne rendi conto?»
Emma poggiò il capo contro la spalla di lui, osservando il sole tramontare in lontananza. «Dovremo andare a cercarli, Killian. Prima finisce questa caccia al tesoro, meglio è.»
Lui rise, tetro. «No, Swan. Ti dico io che faremo. Questa parte dell’Arena è nostra, giusto?» Emma annuì, chiedendosi dove volesse andare a parare. «Bene. Se noi siamo qui, presumo che loro siano dalla parte opposta e presumo anche, come sarebbe logico, che siano rimasti insieme come noi. Cominciamo a fare terra bruciata. Non lasciamo loro né acqua ne provviste. Costringiamoli ad andare dove vogliamo che vadano.»
Emma ponderò quelle parole, riflettendoci sopra. Avrebbe potuto funzionare, dopotutto. Ci avrebbero messo un po’ a individuarli, ma la parte difficile sarebbe venuta dopo, quando..
«Hai una mente diabolica, Jones!» esclamò, rendendosi conto di ciò a cui Killian stava pensando.
Trappole ovunque, ecco cosa, e ogni possibile congegno che sarebbero riusciti a piazzare. E delle loro tracce disseminate in maniera così fintamente evidente per l’intera arena, che i tributi del 4 le avrebbero seguite senza esitare, convinti di poterli eliminare.
«Capito adesso, Swan?»
«Certo che sì, andiamo, pirata
«Li attireremo come falene, e.. Ehi, a chi hai dato del pirata?»
 
 
Ci era voluta un’altra settimana di fatica e imprecazioni che Emma era sicura Killian avesse praticamente urlato al cielo con l’unico obiettivo di esasperare lei − o come probabilmente più chiaro, gli Strateghi.
Killian si era da sempre schierato contro la dittatura di Capitol City, più o meno apertamente, certo e lei, da brava amica quale era − e da persona pragmatica, perché due cacciatori erano meglio di uno − aveva sempre fatto del suo meglio per rabbonirlo.
«Emma, ci sei?»
Killian le venne incontro a passo svelto, scendendo dal basso crinale di una piccola collina.
«Si, quella era l’ultima rete.»
«Perfetto, ora andiamo.»
Emma inarcò un sopracciglio, perplessa. «Andiamo dove
«Alla Cornucopia, no?» ribatté ovvio. «È là che li aspetteremo. In qualunque posto si trovino ora, il calore del sole starà già accendendo i falò, vedi?»
Le si avvicinò con un sorriso, alzandole dolcemente il mento in direzione nord, ed Emma vide il filo grigio dei fuochi in lontananza.
Si misero in cammino nel primo pomeriggio, sotto il sole cocente e con la fretta di giungere per primi nel luogo in cui erano stati scaricati come animali a combattersi e a morire, come se le loro vite avessero un valore pari a zero. Il che, per Capitol City e i suoi stravaganti cittadini, poteva anche essere vero.
«E adesso che si fa?»
Killian si guardò intorno per un po’, cercando di individuare rumori o movimenti sospetti ai margini della radura, che cedeva a est il passo per i boschi e a ovest be’, non sapevano davvero cosa ci fosse a ovest, del resto non c’erano mai stati.
«Aspettiamo, Swan.» disse, sedendosi sull’erba con fare annoiato. «Sono quasi del tutto sicuro che, con o senza le nostre trappole, gli Strateghi faranno in modo che si avvicinino. Per i loro standard, questi Giochi sono durati anche troppo.»
«Troppo? Perché in media quanto dovrebbero durare?»
«Non ci hai fatto ancora caso?»
Emma notò che c’era una nota di cupo divertimento nella sua voce, come una nota stonata in una sinfonia.
«A cosa, esattamente? Sono stata un po’ impegnata a cercare di rimanere viva.»
«Be’, allora te lo dico io.» le fece cenno di sedersi accanto a lui, quasi sulle rive del laghetto. «Perché ho contato ogni singolo giorno da quando siamo entrati qui.» continuò e, ad un tratto, Emma capì quanto fosse stanco di quella situazione. Killian poggiò il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e inspirando il profumo della sua pelle, assorto. «Siamo qui dentro da quasi tredici settimane, Emma.»
Lei rimase in silenzio per un po’, sfiorando distrattamente il braccio del ragazzo al suo fianco.
«Tredici settimane.» ripeté, come se non lo avesse sentito del tutto. «Tredici settimane.»
«Deprimente, sì.»
«Controlliamo le armi, Killian.»
Alzandosi in fretta, passarono in rassegna ciò di cui disponevano: un paio di lattine di carne in scatola e bottiglie d’acqua, qualche benda e delle pillole per la febbre distribuiti negli zaini. Portavano le armi in vista: un paio di corte spade legate alla cintura, coltelli infilati negli stivali e altri da lancio che Emma aveva recuperato dal ragazzo che aveva ucciso del 2 e che si erano distribuiti in un secondo momento.
«Non preoccuparti, Swan, abbiamo−»
«Shh, zitto.»
Killian inarcò un sopracciglio con fare indispettito, per niente preoccupato. «Hai fatto shh a me?»
«Ho sentito dei rami spezzarsi, da quella parte, forse−»
«Emma.» la trattene per un braccio, gli occhi seri e l’espressione nervosa, guardinga come poche volte lei lo aveva visto. «Non andare. Lascia che siano loro a venire da noi.»
«Potrebbe essere l’unica possibilità di eliminarli, Killian.» Emma lo guardò, stanca e determinata insieme. «Prima finiamo, meglio è, credimi. Torneremo a casa.»
Improvvisamente, due ombre comparvero al limitare dell’alta vegetazione a ovest. I tributi del distretto 4 parevano decisamente stanchi quanto loro, ma meno in forma: si muovevano a scatti come animai impauriti, scoordinati, in procinto di stramazzare al suolo e addormentarsi all’improvviso.
Non dovevano essere abituati a rimanere per tanto tempo senza l’elemento nel quale erano cresciuti, al contrario di loro, che di quei boschi ne avevano fatto un rifugio sicuro.
Killian vide il ragazzo del 4 estrarre un coltello dalla cintura e scagliarlo contro di lui, evitandolo con un breve scarto laterale. Decisamente una pessima mira, e la stanchezza contribuiva a rendere nulli i riflessi.
«Non finirà bene, vero?» chiese Emma retorica, lanciandogli un’occhiata, poco prima che la ragazza di fronte a loro le si avventasse contro.
In breve, si persero di vista − il che era abbastanza ironico date le dimensione della radura e la scarsità di combattenti − nell’enorme campo aperto che costituiva la radura intorno alla Cornucopia, lottando per non soccombere. Emma tentò di respingere gli attacchi vani di quella ragazzina minuta che poteva avere al massimo quattordici anni, ma sembrava agguerrita e pronta a scattare come se non vedesse cibo da giorni, come un leone affamato alle prese con un gladiatore.
Ad un tratto, mentre le torceva il braccio dietro la schiena per evitare una pugnalata al petto, tutti e quattro avvertirono uno stridio rauco avvicinarsi da nord. Uno stormo di strani uccelli, un incrocio a metà tra corvi e falchi, di sicuro modificati geneticamente.
Emma vide Killian prendere le distanze dal ragazzo con cui stava lottando, scagliare un corto pugnale contro uno degli uccelli che gli si era avvicinato troppo: il volatile cadde al suolo, ucciso, e dallo squarcio nel petto cominciò a fuoriuscire un liquido incolore, strano.
«Emma, allontanati da quella roba!» l’urlo di Killian le giunse ovattato. Voltandosi ad osservare quello strano stormo, la ragazzina ne aveva approfittato, ferendola al braccio. Cadde al suolo, vedendo sovrastarla adesso con un coltello di almeno trenta centimetri. Nell’attimo in cui si stava chinando per ucciderla, l’espressione stravolta e rabbiosa, Emma rotolò nell’erba, estraendo il piccolo pugnale da caccia che teneva nello stivale: vide una serie di emozioni passare come incise a fuoco sul volto della ragazzina, un misto di inattesa sorpresa e sconvolta curiosità. Il pugnale le si era piantato nel petto, attraversando di netto le cavità delle costole, dritto nel cuore.
Si alzò da terra, guardandosi intorno, trattenendo a stento un urlo di disgusto.
«Killian!»
Lui non si vedeva da nessuna parte; in compenso, la terra era invasa dai cadaveri degli uccelli modificati e grandi pozze di quel liquido trasparente si addensavano in un insieme di erba e rami e foglie sfrigolanti e putrefatte.
Acido, pensò Emma con orrore.
Una volta, nel distretto 12, lei e Killian ne avevano visto gli effetti su un cadavere umano che avevano trovato nella cavità di un albero caduto. Avevano avuto gli incubi per settimane.
In preda alla confusione, urlò ancora il suo nome, più e più volte, finchè la voce non si ritirò in gola e, a quel punto, era troppo stanca anche per piangere.
Non che avesse in programma di farlo.
«Killian!» urlò ancora, nell’attimo in cui, voltando lo sguardo verso il lago, intravide una sagoma scura avanzare in quella direzione, a circa un chilometro di distanza.
Del resto, dopo tanti anni di reciproca sopportazione, − tutto ciò che avevano condiviso come fossero un’unica persona − avrebbe riconosciuto Killian Jones ovunque.
 
 
«Non avvicinarti, Swan.»
Un passo, poi un altro. Lentamente, per non essere respinta.
«Dov’è il tizio del 4?»
«Morto.»
Emma notò con apprensione che era praticamente steso a ridosso di un tronco vicino ad una sponda del lago, l’espressione contorta dal dolore.
Avanzò verso di lui, ma Killian fu più veloce e piantò nel terreno un coltello, un tacito invito a non avvicinarsi.
«Cos’hai, sei ferito?»
Altri due passi. Gli occhi di Killian erano stravolti e la tenevano d’occhio quasi con frenesia.
Lui la evitò, tenendosi stretto al petto il braccio sinistro, la mano coperta dalla giacca scura. Non un comportamento da lui, pensò Emma. Se c’era una cosa che Killian Jones non aveva mai, mai avuto, quello era il pudore del proprio corpo.
«Killian, cosa..?»
Emma lo vide sorridere mesto, negli occhi una scintilla di tristezza. «Ricordi cosa ti dissi la notte prima di entrare nell’Arena, prima di addormentarci?»
«Mi dicesti che non volevi che ti cambiassero.» ricordò, confusa, ignorando i suoi avvertimenti e sedendosi sull’erba, accanto a lui, le spalle a toccarsi. «Che non volevi diventare di loro proprietà, non avresti voluto nulla che ti legasse a loro.»
«Esatto, Swan. Una memoria di ferro, la tua−» trasalì di dolore, alzandosi d’improvviso e immergendo la mano sinistra nelle acque scure del lago, gettando di lato la giacca.
«Che diavolo mi stai nascondendo, Killian?»
La vide farsi avanti in fretta e, prima che potesse fermarla, Emma gli aveva preso il braccio, tirandolo verso di sé e costringendolo in quel modo, a stare in ginocchio di fronte a lei.
L’acido aveva quasi sciolto le falangi di tutte le dita e grandi bruciature di estendevano a chiazze sul palmo e il dorso della mano, facendo somigliare l’arto a un insieme male assortito e sconnesso di pelle e ossa.
Killian stornò lo sguardo, osservando con aria assente il sole dietro le fronde degli alberi, a ovest.
«Killian..» mormorò Emma, e lui non potè fare a meno di guardarla. Se si aspettava di trovare terrore e disgusto nei suoi occhi, dovette ricredersi.
Emma lo guardava come aveva sempre fatto, solo con un’indicibile tristezza in viso, tristezza che le aveva visto un'unica volta nella vita, quando i suoi genitori erano morti e a sedici anni sapeva già badare a se stessa.
«Mi dispiace, Swan.»
«Che diamine ti salta in mente, Jones. Non è colpa tua.» s’interruppe, guardandolo da sotto le ciglia chiare. Odiava quando faceva così e lei lo sapeva: era l’unico modo per vincere le sue difese.
Emma era sempre stata la sua debolezza, e lui quella di lei. «Com’è successo?»
«Stavo lottando con il tizio del 4.» cominciò, assente. «Senza che nessuno di noi lo avesse fatto, gli uccelli hanno cominciato a venire giù dal cielo e dai loro corpi usciva acido, Emma. Eravamo a terra e un istante dopo ho urlato, credo − molto poco virile da parte mia, lo ammetto − e mi sono trovato la mano in questo stato.» indicò l’arto malridotto, un sorriso tetro sul viso coperto di sudore e polvere e sangue.
«Lo hai ucciso tu, il tributo del 4?»
«Caduto in una pozza di acido.» le indicò una sagoma scomposta nell’erba, a diversi metri da loro. Anche a quella distanza, gli abiti strappati e la pelle bruciata, Emma aveva capito che il ragazzo era morto per le ustioni. «Mi duole non essere riuscito a farlo fuori prima io.»
«Non dire così, per favore.»
Killian sorrise noncurante, facendo un cenno alla Cornucopia e guardando poi il cielo. «Perché non succede qualcosa, o non vengono a prenderci, tanto per cominciare?»
«Magari dobbiamo farci trovare lì.» suggerì lei, pratica come sempre. «Andiamo?»
Impiegarono qualche minuto ancora. Il tempo di sciacquarsi il viso e le mani nel lago, per Emma di fasciare delicatamente la mano sinistra di Killian, mentre questi borbottava tra sé, pensieroso, osservando le bende chiare con blando interesse.
«A Capitol City hanno la chirurgia plastica, sai?»
«No, Swan, non voglio che mi progettino una mano nuova, grazie tante.» esclamò, un sorrisetto che si faceva strada sul viso provato dalla stanchezza, ma ancora pieno di vita e di voglia di lottare. «Gli chiederò qualcosa che li lascerà di stucco. Vedrai, Swan. Aspetta e vedrai.»
«Non sembri turbato dalla perdita.»
«Sono stato turbato per i primi cinque minuti, a dire il vero.» ammise adesso, pensieroso. «Mi domandavo che faccia avresti fatto.»
«Aspetta, che faccia avrei dovuto fare?»
Si fermarono nei pressi della Cornucopia, attendendo un segnale che non arrivò, almeno nell’immediato.
«Mi aspettavo che ne saresti stata disgustata, Swan. Che non mi avresti guardato come avevi sempre fatto. Magari mi avresti anche strangolato, chissà.» rifletté con un sorriso indolente, fintamente dispiaciuto.
«Come liquidi in fretta il nostro amore, Jones.» rise lei, abbandonando per qualche istante l’oblio di apprensione in cui sentiva di poter sprofondare.
Un paio di ore dopo, quando già avevano cenato e pensavano di dover trascorrere un’altra notte nell’Arena da soli, − il che sarebbe stato leggermente inquietante − gli alberi verso est avevano cominciato a tremare come investiti da un potente getto d’aria improvvisa.
Alzando lo sguardo al cielo, videro profilarsi nel cielo notturno un Hovercraft, probabilmente il loro mezzo di trasporto via dall’Arena.
«C’è qualcosa di sbagliato.» tentò di urlare Emma, la voce confusa tra i sibili e i ronzii del motore dell’enorme veicolo.
«Come, Swan? Credevo non ti piacesse, questo posto.»
«Infatti è così.»
Poi, il frastuono si interruppe all’improvviso, come se quell’aereo fosse più un sofisticato ologramma che non pezzi e pezzi di metallo assemblati insieme.
Dal cielo, videro cadere due piccoli paracadute argentati.
Killian aprì il suo con qualche difficoltà, sgranando gli occhi dalla sorpresa e dalla rabbia non appena ebbe finito di leggere il biglietto che vi era all’interno, fissato al collo di una piccola fiala trasparente.
«Che diavolo..» cominciò, furioso, ma Emma era già al suo fianco, l’espressione disorientata.
«Che significa “Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive”, è uno scherzo?»
La fiala di Emma era uguale alla sua e Killian temette per un momento che, se lei l’avesse stretta ancora tra le mani, il vetro si sarebbe spezzato, disperdendo il suo contenuto. E qualcosa, − forse l’istinto, quel sesto senso di cui si era sempre fidato − per quanto strano e sciocco fosse, gli suggeriva di far attenzione all’innocuo quanto sconosciuto liquido trasparente all’interno.
«È veleno, non è così?»
Le parole che avevano letto entrambi, recapitate nello stesso identico modo, ne erano state la più atroce delle conferme.
Killian rimase in silenzio per qualche minuto, riflettendo.
Secondo gli Strateghi, uno dei due sarebbe stato debole e ad un certo punto lo avrebbe bevuto, permettendo all’altro di vincere. Ma nel caso in cui nessuno dei due avesse voluto farlo,  o meglio ancora, se..
«Swan.» sussurrò nella notte, il fruscio degli alberi in lontananza. «Non credo sia veleno, vogliono solo capire quanto siamo disperati per crederci. Beviamolo insieme.»
«Ci ucciderà, noi non−»
«No, no Swan.» scosse la testa. «È solo una stupida prova. Credono di poterci separare, ma non è così.» l’attirò a sé, poggiando la fronte su quella della ragazza.
«Non possono permettersi di non avere un vincitore. Così ne avranno due. Alla fine di tutto questo, se non decideranno di ucciderci fuori di qui, torneremo a casa, Emma. A casa, nel 12.»
Adesso, quella voce le arrivava soffusa, calma e leggera come se stesse fluttuando nell’aria. Ma se non avesse funzionato, se quello fosse stato realmente veleno..
«Non possono permettersi di non avere un vincitore.» ripetè Emma, come in trance, convinta del ragionamento di Killian. Aveva avuto ragione, sin dall’inizio. Quella farsa dei due vincitori era stata solo l’innesco per una bomba di dimensioni ben più grosse.
Si strinsero per brevi istanti, le fiale ancora in mano. Se non fosse stata così tremendamente rifugiata in un luogo, nella sua testa, dove gli Hunger Games non esistevano ed entrambi vivevano ancora insieme nel 12, Emma avrebbe potuto sentire l’impercettibile quanto timido mormorio di Killian. «Ti amo, Swan», dritto nella sua testa.
Per sicurezza, pensò di dirglielo a sua volta.
«Ti amo.» sussurrò contro la sua giacca, il sorriso di lui ancora impresso nella mente, poco prima della fine.
Poi, gli squilli delle trombe che precedevano gli avvisi e l’inno di Capitol City li avevano bloccati come una scossa elettrica.
Ma quello che doveva succedere, era già accaduto.
Avevano già contato fino a tre.
 
 
Quando aprì gli occhi, Killian Jones pensò di trovarsi in paradiso. La luce era accecante e bianca e fastidiosa, quindi no. Il paradiso non poteva avere quell’aspetto.
Chiuse gli occhi, per qualche minuto. Li riaprì, guardandosi intorno. Alla sua sinistra, c’era un letto anonimo sul quale era stesa una sagoma familiare: quella non era per niente anonima.
Allora cercò di ricordare gli ultimi avvenimenti, ma sembrava sparito tutto, come una scritta cancellata da un foglio di carta.
Un libro dalle pagine bianche sul quale poter scrivere una nuova storia, più adatta e favorevole alla situazione.
«Killian?»
L’ultimo ricordo che aveva era.. Doveva ricordare.
Forse il tizio del 4, in quella pozza di acido. No, troppo lontano.
«Killian, cosa..?»
Non andava affatto bene. Aveva sempre avuto una memoria invidiabile. Forse, poteva essere che.. Lui ed Emma alla Cornucopia. L’Hovercraft, i paracadute argentati.
Fiale, e veleno.
Veleno, ecco la chiave!
Avevano bevuto quel veleno pochi istanti prima che la voce del presentatore dei Giochi li fermasse.
«Jones, mi senti?»
Un tempo, da bambino, ricordava di aver fatto qualcosa di enormemente stupido. Le aveva detto che sarebbe potuto rimanere ad ascoltare la sua voce per ore.
Gli occhi si fecero subito pesanti, l’effetto di sonniferi e tranquillanti e chissà quale altra strana schifezza.
Perdonami, Swan. La tua voce per ore, certo, ma forse un’altra volta.
 
 
Questa volta non si sarebbe addormentato come un bambino, era da escludere. In compenso non c’era più la luce bianca e accecante e fastidiosa. Quantomeno un passo avanti.
La stanza sembrava essere la stessa dell’attico che era stato loro riservato prima che iniziassero i Giochi.
«Killian?»
Ricordò di essersi alzato di scatto dal letto, le braccia pronte in posizione d’attacco. Il viso di Emma si allontanò dal suo campo visivo per avvicinarsi lentamente, un’altra volta.
«Swan..» la sua voce, poi, somigliava a quella di una cornacchia, rauca e sconosciuta alle sue orecchie.
«Come ti senti?»
«Dovrei chiederlo io a te.»
Emma sorrise, sedendosi di fronte a lui sul letto. Aveva ancora quel suo sorriso in volto, un sorriso che Killian aveva ricordato soprattutto nei periodi più bui.
«Allora fallo.»
«Come ti senti?»
«Bene, solo ancora un po’ di mal di testa. E crampi allo stomaco a mai finire, tu?»
«Non si direbbe che stai bene, allora. Ma sono combinato come te.»
Si studiarono a lungo, alla ricerca, forse, di ferite che non si potevano vedere. Emma era pallida, con segni scuri sotto agli occhi, ma stava bene; i suoi capelli erano di nuovo biondi come il sole, liberi dalla polvere e dalle essenze dei boschi.
«Vieni qui, Swan.» le fece cenno di stendersi accanto a lui, ed Emma poggiò il capo sul suo petto, lasciandosi stringere dolcemente, fidandosi come aveva sempre fatto.
«Cosa mi sono perso? Raccontami.»
«A quanto pare, quello nelle fiale era davvero veleno, ma non mortale. Induce in uno stato catatonico, molto simile alla morte, con incubi e allucinazione ed effetti collaterali vari. Lo abbiamo bevuto tutto, quindi su di noi ha avuto effetti un po’ più gravi. Ma i medici di Capitol City si sono superati, sai?»
Killian inarcò un sopracciglio, scettico.
«Davvero?»
«Oh, sì.» continuò lei. «Ci hanno ripulito dal veleno rivoltandoci come calzini, e.. guarda la tua mano.»
La sua mano..? Ma certo, adesso ricordava anche quello.
All’inizio, quando si era svegliato, non se ne era neppure accorto. Il peso di qualcosa di nuovo non lo aveva turbato semplicemente perché non credeva di averci lasciato un mano, nell’Arena.
«Wow, e questo cosa sarebbe?»
«Ti ricordi da bambini, quando giocavamo nei prati vicino la Recinzione? E quando poi abbiamo scoperto quel lago nei boschi? Giocavamo a−»
«Pirati e principesse.» terminò Killian con un breve sorriso.
Al posto della mano, l’arto che arrivava esattamente al polso, vi era un uncino in metallo, color argenteo, lucido come uno specchio. E pericoloso, davvero tanto.
«Perché diavolo mi hanno messo questa roba, Swan?»
«Nell’Arena, mi hai detto che non avresti voluto una mano nuova, e così ho pensato−»
Emma lasciò la frase in sospeso, come se alla conclusione dovesse arrivarci da solo. Cavolo, come aveva fatto a capire che era esattamente quello a cui aveva pensato, che avrebbe chiesto proprio un uncino al posto della loro fantastica, nuova mano supertecnologica?
«Sei stata tu, Swan?» le chiese sorpreso, sfiorandole il viso con la destra, sorridendole complice.
«Temo di sì.»
«Era esattamente quello che avevo pensato di chiedergli, sai? Dopotutto, siamo i vincitori. E se vinci gli Hunger Games devi pur avere uno straccio di privilegio, una volta uscitone vivo.»
Emma rise appena, ripensando alle parole che si erano detti prima di ingerire il veleno.
Non era sicura di aver sentito bene, allora.
«Killian?»
«Mh? Sì, ti ascolto.»
Inspirò a lungo, prima di cominciare. «Prima del veleno, io−»
Lui sorrise, scuotendo il capo.
«Mi ricordo. Ho detto che ti amo, Swan»
Magari non era il luogo né il momento adatto per conversazioni del genere, ma avevano rimandato anche troppo.
«Perché è quello che avrei dovuto dirti anni fa’, ma non avevo mai trovato il momento giusto.»
Le probabilità di morire avevano dissipato una nebbia che li aveva tenuti parzialmente all’oscuro di ciò che avevano provato per tanti anni. Che senso avrebbe avuto, quindi, ignorarsi ancora?
«E se non erro, − correggimi se sbaglio, non ricordo ancora tutto alla perfezione − lo hai detto anche tu.» Killian volse altrove lo sguardo, il tono distante. «Ma se è stata solo la foga del momento, Swan, io ti capisco e non−»
D’un tratto, Emma gli aveva preso il volto tra le mani attraversate da ragnatele di sottili cicatrici argentee, guardandolo un istante negli occhi prima di baciarlo.
Ed era stato un bacio disperato, strano, confuso, ma piacevole, dannazione se era stato piacevole.
«Non dire niente, okay?»
Lui annuì, convinto, mentre Emma sembrava disorientata al punto da dovergli confessare di aver ucciso una zanzara con un fucile.
«Non è stata la foga del momento. È che.. Abbiamo rimandato per anni e quello sembrava il momento giusto. Non voglio che questo cambi le cose tra noi, e tu lo sai. Tutto ciò che voglio adesso, Killian, è tornare a casa.» prese un bel respiro, fissandolo prima di parlare. «Voglio tornare a casa con te, Jones.»
Killian la strinse a sé, il viso di Emma contro la sua spalla, il suo profumo ad annebbiargli i sensi. Non sembrava vero, averla di nuovo vicino, dove avrebbe potuto proteggerla.
«Ci torneremo, Swan. Affrontiamo queste scimmie volanti, prendiamo il treno e andiamo a casa.» la guardò negli occhi, baciandola poi sulle labbra, a lungo. «Andrà tutto bene, te lo prometto. Siamo insieme ora, non ti accadrà niente di male. Capito? Sei con me, Swan.»
Fece per guardarla, ma Emma era già poggiata contro il suo cuscino, il viso coperto per metà dal lenzuolo, addormentata.
«Non permetterò che ci separino, dolcezza.» le sussurrò tra i capelli con un sorriso, più determinato a starle accanto di quanto non lo fosse mai stato.
Mezz’ora dopo, stavano recuperando le notti di sonno perdute.
 
 
Il treno correva per i binari da quasi un giorno, impaziente di lasciare la capitale. Killian trascorreva il tempo nascosto nella propria mente come un lupo nella sua tana che cerchi di capire perché la sua preda gli sia sfuggita.
«Cosa faremo,» qualche attimo dopo, percepì una voce sottile provenire dalla sua sinistra. «Cosa faremo quando torneremo a casa?»
Emma era seduta a gambe incrociate sull’ampio divano in pelle, accanto a lui, il capo contro la sua spalla.
Killian si chiese quand’è che quella era diventata un’abitudine, ma abbandonò il tentativo − era piacevole, confortante, potersi aggrappare a qualcuno che gli fosse familiare ed Emma, così magra e pallida dopo essere sopravvissuta nell’Arena, era un peso, seppur lieve come una piuma, più che gradito da sopportare.
«Non lo so, Swan.» le disse atono, e dentro di sé la voragine si spalancò inesorabile, un vuoto nero difficile da riempire. «Cercheremo di dimenticare, suppongo.»
«Non voglio dimenticare.»
Le labbra di Emma erano sulle sue, adesso e Killian non potè fare a meno di sorridere, stringendola a sè quando si separarono.
«La mia era la peggiore delle alternative, me ne rendo conto. Hai idee per un brillante piano di recupero post-Arena?»
La vide sorridere, i lineamenti del viso più spigolosi ma con delle tracce che gli ricordavano la ragazzina pelle e ossa che era stata diversi anni prima, con quella sua dolcezza nascosta, inaspettata.
«Torniamo alle nostre vite.» propose lei. «Cibo, caccia e la nostalgia dell’acqua calda di Capitol City.»
Killian rise, scompigliandole i capelli lunghi.
«Credo che farò a meno dell’acqua calda, Swan. Del resto, abbiamo il nostro personalissimo lago ghiacciato in mezzo ai boschi, cosa vuoi che sia l’acqua corrente della capitale, eh?»
Il tremo si fermò alla stazione del 12 con un breve fischio. Dal finestrino, videro la gente accalcarsi oltre le ringhiere di protezione − sorrisi e occhi caldi e stanchi, visi sporchi di fuliggine, un panorama sorprendentemente familiare.
Poco prima di scendere, Killian le prese una mano.
«Per il pubblico.» ci tenne a precisare, un poco in imbarazzo, ma Emma lo conosceva e sapeva che quello era un modo per ridare fiducia a entrambi.
Killian le aprì la portiera dell’automobile − presumibilmente l’unica in tutto il distretto − e tenne le loro mani unite, le dita intrecciate e i corpi vicini finchè non oltrepassarono l’arco in pietra del Villaggio dei Vincitori.
«Una nuova casa, a quanto pare.»
«Oh, non essere ingrato, Jones. Stasera si cena da me, intesi?»
Emma lo salutò con un sorriso, poco prima di dirigersi verso la prima casa a destra del sentiero, antecedente alla sua.
«Porta quella bottiglia che avevi nascosto nel tronco di quell’albero nel bosco, magari beviamo qualcosa.»
«Mi stai diventando un’alcolista, Swan? Potrei preoccuparmi.» le urlò Killian, non riuscendo a reprimere una risata di cuore.
«Dovremo festeggiare, invece. E dovrei essere io a preoccuparmi, Jones.» ribatté lei, guardandolo negli occhi, anche da lontano, − Emma aveva sempre avuto il fegato di guardarlo negli occhi, sempre − «Non erano i pirati ad andare matti per il rum?»





 

Note dell'autrice.

Well, I come back. Questa l'ho scritta praticamente mesi fa, ma non avevo ancora trovato occasione di pubblicarla per cause di forza maggiori. Spero che in buona parte l'universo di Hunger Games sia conosciuto e be', come è chiaro, Killian ed Emma abitano nel distretto 12 e vengono sorteggiati per i Giochi. Ora, per molti versi questa shot ripercorre il primo libro della trilogia, ma con parecchi elementi frutto della mia testolina da fanghérl (?) di entrambi gli universi.

Non so, ce li vedo moltissimo in veste di tributi e quindi eccoci qui. But, qualche precisazione.
1) la frase 
Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive” è palesemente ripresa da HP e i Doni della Morte perchè sì, mi è parsa indicata alla situazione;
2) le abilità di Emma come cacciatrice sono puramente una mia invenzione - quelle di Killian come ironico seduttore, no, ew;
3) l'uncino al posto della mano sciolta dall'acido, be', è stata una mia idea per delineare meglio il personaggio di Killian che in questa storia non è chiaramente un pirata - nell'animo un po' sì, però shh;
4) la frase «Come liquidi in fretta il nostro amore.» è riadattata dal film Città di Ossa, dalla saga di Shadowhunters;
5) il titolo della shot è una citazione di Wiston Churcill, perchè sì, aww.

Penso di aver davvero finito con le note - davvero lunghe, e me ne scuso.
Btw, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, soprattutto per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi (l'IC è un po' un mio punto fisso, yep) e soprattutto sarei contenta se qualche addicted to HG mi facesse sapere cosa ne pensa, ew.
Alla prossima, un bacio
fireslight
  
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