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Autore: Gwen Chan    05/10/2015    0 recensioni
"Hari Seldon ha previsto il futuro".
L'Impero cadrà e sarà il caos.
Cinque storie. Cinque storie per raccontare le vite di individui a volte straordinari, a volte semplici, ma ugualmente importanti. Il tutto durante il primo secolo della Fondazione.
Perché i singoli sono il punto debole della Psicostoria, il suo angolo cieco.
[CicloDellaFondazione!AU][Prima Classificata al Beware the warning contest/Second edition di Rota]
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Parte Quarta 
“KYTO. Pianeta capitale dell’omonima prefettura, grazie alle sue ricchezze fu spesso oggetto di interesse per i mercanti, tuttavia ...
Trovandosi senza il sostegno dell’impero, optò per una soluzione drastica ... “
ENCICLOPEDIA GALATTICA
 
Jan Visser fumava soddisfatto la lunga pipa. La stiva della nave, ormai vuota delle merci della Fondazione, era piena di tungsteno e di altri metalli preziosi, importantissimi per Terminus che invece ne era sprovvisto. La cabina di pilotaggio scintillava, grazie alla cura maniacale che Jan le riservava, e l’uomo, di Smyrno, già pregustava il pagamento. Per contratto, poteva trattenere l’1% di ogni carico destinato alla Fondazione e rivenderlo privatamente. Inoltre, riceveva uno stipendio in monete d’acciaio, ancora in voga su Terminus. Di recente stava accarezzando l’idea di accettare la ghiotta offerta di un ettaro di terreno coltivabile nell’emisfero sud del pianeta, in un’area non ancora colonizzata, a quasi un secolo dall’arrivo degli Enciclopedisti.
Mentre Jan contava con piacere una serie di crediti, un’astronave si affiancò alla sua. Aspettava il suo arrivo.
“Viaggio proficuo?” domandò poco dopo un mercante dai capelli castani raccolti in un codino, di nome Alfonso Mendes. “Ho un messaggio per te” aggiunse, senza attendere una risposta al precedente quesito. Quindi lanciò una capsula a Jan, che la prese, accigliato. Il cipiglio s’intensificò man mano che la lettura procedeva e il messaggio si autodistruggeva.
“Allora?”
“Jones è riuscito a entrare nell’orbita di Kyto e minaccia di usare la forza se non lo faranno atterrare.”
Kyto si trovava da circa quarant’anni alla periferia dell’Impero. Pur non avendo mai dichiarato la propria indipendenza e considerandosi formalmente ancora parte dei territori imperiali, il pianeta si era trovato di colpo abbandonato a se stesso. Dopo un periodo di spaesamento, il governatore di Kyto aveva deciso che la chiusura nei confronti dell’esterno fosse la soluzione migliore. Solo pochi mercanti di Smyrno e Lys, Jan e Alfonso, compresi, potevano commerciare, in apposite aree assegnate al millimetro. Kyto era ricchissimo di ferro, silicio e platino. Inoltre era in una posizione strategica, l’ultimo pianeta in ogni direzione prima di migliaia di parsec di vuoto freddo siderale.
“Più passa il tempo e più mi convinco che Alfred ragioni con la pistola a raggi atomici che si porta sempre appresso” borbottò Alfonso. Persona altrimenti solare, non ammetteva interferenze nei suoi interessi economici. Jan fece un cenno di assenso, ma già pensava a come ottenere il massimo vantaggio dalla situazione.
“Nemmeno la morte ostacolerà i miei commerci” era il suo motto. Vicino, lontano, in pace o in guerra, amico, nemico, non avevano importanza di fronte alla prospettiva di un lauto guadagno.
Una settimana dopo, Jones aveva fatto cadere per errore - stando alla sua versione - una piccola bomba, su Kyto, per fortuna in mare e con danni collaterali abbastanza contenuti. Il permesso per atterrare non si era fatto attendere.
“La situazione è delicata” disse Jan atono a un Alfred fin troppo entusiasta. Nello stesso momento, Alfonso e un altro paio di uomini cercavano di blandire le autorità locali. “Onestamente, non mi importa dei tuoi metodi o di cosa vuoi fare qui, finché non ostacoli i miei affari. Tuttavia ti sei messo in una posizione scomoda.”
Jones sbuffò: “Bel ringraziamento! Volevo solo aggiungere un altro pianeta alla sfera di influenza della Fondazione ... “
Jan si preparò a spiegare perché la situazione fosse ben diversa. Parlò senza sprecare fiato, perché non era tipo da lunghi discorsi. Il tutto si riduceva a tre punti.
Primo: il governatore di Kyto avrebbe ordinato il suo arresto non appena fosse uscito dall’astronave, adducendo una qualche scusa.
Secondo: Non agiva su mandato diretto della Fondazione, la quale di conseguenza non aveva alcun obbligo nei suoi confronti, nonostante spesso ricavasse beneficio dalle sue azioni.
Terzo: Tra Kyto e la Fondazione sarebbe potuta scoppiare una guerra. I nativi erano persone bellicose e con un forte senso dell’onore. Minacciavano di attaccare se solo Alfred osava fuggire.
“Non conoscono la parola resa.”
Se Jan aveva il suo bel daffare con Alfred, la situazione per Alfonso non era migliore. I Kytoniani avevano un modo di parlare arcaico e ambiguo e ciò gli provocava brividi di inquietudine. “Certamente saranno presi provvedimenti” esordì, nella speranza di convincerli a non arrestare Jones. “Tuttavia, bisogna ricordare che è un mercante che agisce per conto della Fondazione... “ e nel mentre pregava che non si accorgessero del suo bluff.
Uno dei presenti lo interruppe. Gli occhi scuri, dal taglio a mandorla, scintillavano di curiosità. “Fondazione?”
Era la prima volta che il nome veniva udito su Kyto. I mercanti avevano sempre affermato di agire per interesse personale e, comunque, i Kytoniani valutavano più la parola del singolo che i trattati ufficiali tra pianeti. “Vorrei che mi parlaste di questa Fondazione.”
Alfonso era cresciuto sentendo parlare di Seldon e Hardin, prima come eroi da inserire nella fiaba della buonanotte, poi quali padri della Patria sui libri di testo. Eppure, di fronte a Kiku Honda, tale era il nome del Kytoniano, le parole si ingarbugliavano.
“Hari Seldon ha previsto il futuro.”
Raccontò di come il matematico Hari Seldon, convinto che l’Impero sarebbe stato distrutto dalla sua stessa eccessiva specializzazione, aveva lasciato due fiaccole perché gli uomini non vagassero in un’oscurità di eterna disperazione. “Questa è la Fondazione. Ora, io e Jan...”, ma un gesto della mano lo indusse a tacere. Si ritrovò a stringere una tazza di tè bollente, in mezzo a persone che aspiravano le verdi volute di fumo con espressioni eccessivamente pacate.
Lentezza. Contemplazione dell’istante. Dieci minuti per sgranocchiare un pasticcino!
E nel frattempo Alfred scalpitava a bordo della sua Free Eagle, primo di una numerosa schiera di mercanti desiderosi di mettere le mani sul pianeta, rompendo l’oligopolio di pochi fortunati.
“L’Impero è morto!” sbottò con esasperazione. “Vi ha abbandonati e isolarsi non serve a nulla! Altri come Jones arriveranno e ...”
Si accorse che lo fissavano come uno strano animale. Se ne accorse e si convinse di aver rovinato ogni possibilità di accordo. Dopotutto, i Kytoniani erano sopravvissuti quasi cent’anni con i loro metodi, allora perché cambiarli?
“La bomba non è stata un incidente
“Lo sappiamo. Per questo due navi della flotta imperiale sono in prossimità di Smyrno, pronte a far fuoco se il Suo amico decide di fuggire.”
Mendes si promise di vendicarsi su Alfred nella maniera più perfida possibile non appena fossero riusciti a uscire dal ginepraio in cui si era cacciato. Pregò che Jan avesse più fortuna di lui nello spingere Jones a formulare delle scuse ufficiali. I Kytoniani adoravano le scuse. Più elaborate erano, più le apprezzavano.
Si sentiva soffocare. Chiese il permesso di congedarsi nelle stanze che gli erano state assegnate. Gli fu concesso.
Sedeva sul letto, a tracciare col dito una rotta immaginaria verso il soffitto, un libello che fungeva da libro mastro aperto sulla pancia, quando uno sconosciuto aprì; la porta. Allarmato, Alfonso scattò in piedi, le mani che già cercavano un’arma inesistente, poiché gliel’avevano sequestrata prima di farlo sbarcare. Riconobbe Honda.
“Problemi?” indagò, privo del suo abituale buonumore.
“Lei crede che dovremmo aprire il pianeta?”br /> Annuì;. Lo invitò ad accomodarsi. Cinque mercanti si dividevano una porzione del pianeta, minima percentuale rispetto alla superficie totale emersa. Li chiamavano Eletti. Per qualche anno la situazione aveva mantenuto un certo equilibrio, nonostante l’invidia dei numerosi commercianti esclusi dalla ghiotta torta. Ne bramavano una fetta con sempre maggiore insistenza. Quando non erano interessati ai tesori del sottosuolo, chiedevano a gran voce almeno uno scalo per fare rifornimento.
“Kyto non può vincere una guerra senza autodistruggersi. Altri mercanti arriveranno e Alfred ha creato un precedente. Altri provocheranno incidenti ad hoc per mettervi in ginocchio, finché non sareste costretti a cedere. O finché non lascerete un pianeta disabitato. La sostanza non cambia.”
Jan fu più duro, quando Alfonso e Honda salirono a bordo della Free Eagle. Alfred, invece, sorrideva con eccessivo calore. Visser concesse la possibilità di una o più vittorie contro la flotta della Fondazione o dei Quattro Regni. Le aree di influenza erano ancora piuttosto labili. Lodò la caparbietà della popolazione, succhiando la pipa. Soffiava eleganti e perfetti cerchi di un fumo verdolino. Kyto avrebbe continuato a vivere, esattamente come aveva vissuto nel secolo precedente, ignaro della crisi imperiale, di Terminus, di Hari Seldon e della sua Profezia, finché un giorno qualcuno avrebbe sabotato le centrali elettriche. Qualcuno sarebbe riuscito a superare un sistema di sicurezza già blando.
“Le centrali sono indistruttibili.”
“Non avete mai avuto guasti?”
“Mai ... mai” ripeté, con voce sempre più flebile. La pelle già chiara parve impallidire. “Io devo andare.”
Honda se ne andò, con un passo troppo veloce e una mano premuta sulla bocca.
Come prevedibile il numero di guardie fu raddoppiato. I turni divennero serrati. Fu ordinato alle navi in assetto da guerra di tornare alle basi. Il passo verso la completa apertura fu breve.
“Sai, a volte mi pento della nostra decisione” fece Alfonso osservando l’ennesima astronave che atterrava dolcemente in uno dei nuovi spazioporti. “Troppa concorrenza, ma meglio questo di niente, no?”
Jan spuntò distrattamente l’ultima casella dell’inventario. Lo spazio nella stiva aumentava di anno in anno e non perché avesse acquistato un mezzo di trasporto più grande. “Sì;”, ma già ipotizzava nuove mete. Solo la morte avrebbe impedito i suoi commerci. Una splendida villa lo attendeva su Terminus, costruita sul terreno che infine aveva deciso di acquistare.
Per la cronaca, contro ogni logica, Jones e Honda divennero buoni amici, nonostante le barriere culturali. Kyto non entrò mai nella sfera di controllo della Fondazione. Non ufficialmente.

Note d’autore:
Sì, ho preso spudoratamente ispirazione dall’episodio delle Navi Nere e dell’apertura del Giappone.
Jan Visser è Olanda. Alfonso Mendez è Portogallo.
   
 
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