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Autore: Inessa    05/10/2015    15 recensioni
[college!AU] [AU!Tutti umani] [Sterek]
Ovvero, i goffi tentativi di uno studente di Letteratura di corteggiare uno studente di Astrofisica tramite battute sdolcinate a sfondo (vagamente) scientifico.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: L'idea è banalissima e cliché e mi è venuta in mente leggendo questo e questo post sul sito Physics-Astronomy. Ho deciso di scriverla perché sono in totale blocco scrittorio da mesi, e quindi ho pensato “chissenefrega?”, infatti è brevissima.
Premetto che, come uno dei protagonisti, nemmeno io capisco una cippa di fisica, quindi chiedo perdono per le banalità.
Chiedo anche perdono a chi segue Gossip Wolf e ogni tanto mi chiede che fine abbia fatto: sono viva, ma straimpegnata, infatti ho un sacco di fanfiction iniziate e mai finite nel mio computer ç__ç Gossip Wolf la porterò a termine, devo solo avere un po' più di respiro (anche l'ultimo capitolo di quella è iniziato e non ancora terminato, ma vi assicuro che esiste e che vedrà una fine). Grazie per la pazienza :)

Love, Physics and Post-It Notes

Ovvero, i goffi tentativi di uno studente di letteratura di corteggiare uno studente di astrofisica tramite battute sdolcinate a sfondo (vagamente) scientifico.





Derek era una persona molto precisa. Laura sosteneva fosse affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo, che gli faceva raddrizzare i quadri nelle case di persone sconosciute, mettendo in imbarazzo se stesso e il resto della famiglia. Ma quello era successo una sola volta e Derek era solo nervoso, perché la famiglia Argent lo inquietava. E poi, secondo lui Laura nemmeno sapeva cosa significasse “disturbo ossessivo-compulsivo”, ma amava ripetere a memoria le espressioni che sentiva nei telefilm polizieschi. E una persona che si esprimeva a furia di citazioni di Olivia Benson non era nella posizione di giudicare la psiche degli altri, tanto meno quella di Derek, grazie mille.

Se qualcuno glielo avesse chiesto, Derek si sarebbe definito più un tipo a cui piaceva rettificare , correggere gli errori, se vogliamo. Per esempio, quando si sedeva a studiare in biblioteca - ultima scrivania a destra, ultima fila, accanto alla finestra - tendeva a posizionare il libro in maniera che il margine fosse perfettamente in parallelo con il bordo della scrivania. E le penne in maniera che fossero in parallelo al margine del libro... e così via. Non amava il caos, okay? E se qualcuno pensava che fosse noioso e avesse un manico di scopa infilato da qualche parte non era un problema suo.

Quindi, quando un pomeriggio piovoso d'autunno Derek andò a sedersi in biblioteca, dopo le lezioni, e trovò un quadratino di carta arancione fosforescente che recitava:


La pioggia mi deprime, ma il pensiero che verrai anche tu qui a studiare mi illumina la giornata. È come se fossi tu il mio sole, al centro del mio uggioso universo di studio.”


Derek aggrottò le sopracciglia, perché quella roba era... inquietante, per dirne una. Ma anche totalmente inesatta, senza contare che la biblioteca era di proprietà di tutti e il minimo sarebbe stato rispettare gli spazi comuni, senza lasciare in giro i propri goffi tentativi di corteggiamento. Derek si guardò in giro, perché dopotutto lui era una persona civile e magari il proprietario del post-it si era alzato da poco e lo aveva semplicemente dimenticato, ma la biblioteca era quasi deserta, come sempre subito dopo pranzo. Intravedeva giusto un paio di teste oltre le lampade a metà della sala, e le lunghe gambe di un ragazzo seduto in maniera scomposta e inappropriata un po' più vicino a lui.

Stava quasi per appallottolare il biglietto e buttarlo nel cestino, ma le parole sole e centro dell'universo gli fecero di nuovo storcere il naso. Decise allora di fare un favore all'ignoranza dell'autore di quella dichiarazione inquietante e poco originale, girò il foglio e scrisse.


Il Sole non è al centro dell'Universo, non è nemmeno al centro esatto del Sistema solare, a dirla tutta. E l'Universo è in espansione, quindi non esiste il 'centro dell'Universo'. Potrebbe essere dovunque.”


Rettificare. Il suo problema non era tanto l'ordine, quanto la voglia di rettificare. Dai quadri storti alle fesserie come quella. Fissò di nuovo il post-it sulla scrivania, sotto la lampada, nella stessa posizione in cui lo aveva trovato (forse un po' più dritto), e finalmente aprì libro e quaderno degli appunti per mettersi a studiare.



Erano i primi giorni del nuovo semestre e il nuovo orario di Derek era spietato, tanto che, senza accorgersene, aveva abbandonato i suoi buoni propositi e ricominciato ad assumere dosi sempre più consistenti di caffeina. Inoltre, il corso di Meccanica quantistica gli stava facendo totalmente perdere la testa. Il tutto, insomma, gli aveva fatto dimenticare presto dell'episodio del post-it arancione, finché, un giovedì pomeriggio, non ne trovò un altro.


Non riesco a credere che tu abbia risposto in maniera così pesante ad un complimento.

Capisco la tua intelligenza superiore, sei uno studente di astrofisica, ma non dovresti avere in te un minimo di caos per capire l'Universo?

Nonostante tutto, non riuscirei a resistere un giorno senza vedere le tue sopracciglia da lupo, come la Terra non resisterebbe senza il Sole.”


Derek si rigirò il post-it tra le mani. Stavolta non era arancione, ma verde evidenziatore, ed era stato attaccato al paralume con un segnalibro adesivo, ma la grafia era la stessa del precedente, spigolosa e a tratti difficile da leggere. Pure stavolta, intorno a lui c'erano solo pochi studenti, come sempre all'inizio del semestre, quando tutti hanno l'illusione di avere tutto il tempo del mondo. Nessuno, comunque, sembrava prestargli attenzione, quindi Derek si sedette, perplesso, a rileggere il post-it.

Aveva dato per scontato che il primo messaggio fosse stato dimenticato sulla scrivania da uno studente distratto. Invece, a giudicare da quanto leggeva adesso, l'autore era tornato e aveva letto la sua risposta. Il che, da solo, sarebbe anche potuto non significare niente, se non fosse stato per le parole 'studente di astrofisica'. Derek si sfregò la punta del pollice contro la guancia, perplesso, domandandosi se qualcuno lo stesse prendendo in giro. Dopotutto, sedeva sempre alla stessa scrivania, perché era piuttosto isolata e lui riusciva a trovarla quasi sempre libera, anche nei giorni più affollati. Magari qualcuno se n'era accorto e per quello aveva lasciato lì il post-it, sapendo che prima o poi Derek lo avrebbe trovato.

La battuta sull'avere in sé un minimo di caos gliela faceva spesso Laura, ma per fortuna lei era lontana chilometri, quindi difficilmente poteva essere l'artefice.

Decise di rispondere di nuovo, in maniera spiccia. Se qualcuno stava cercando di prendersi gioco di lui (dopotutto, le matricole a volte tendevano a comportarsi come se pensassero di essere ancora alle scuole superiori), prima o poi si sarebbe stancato.


Anche se il Sole sparisse, la Terra continuerebbe ad esistere. E persino alcune forme di vita. In trentamila anni, potrebbe addirittura trovarsi un nuovo sole.”





Il messaggio successivo non si fece attendere, arrivò proprio il giorno dopo. E non da solo. Sulla scrivania di Derek, in fondo alla biblioteca, c'erano stavolta un post-it azzurro e un caffè in un bicchiere di carta. Dalla condensa che si intravedeva sotto il coperchio di plastica, Derek intuì che doveva essere ancora caldo, e ne ebbe la conferma quando lo toccò con le dita. Non era bollente, ma chiunque fosse stato a metterlo lì doveva averlo fatto da pochi minuti.

Il post-it, stavolta fissato sotto il caffè così da non volare via, recitava


Questa è la cosa meno romantica che abbia mai sentito sull'Universo, i miei sentimenti sono stati profondamente feriti. Ti ho portato lo stesso un caffè.

Tranquillo, è nero come la tua anima i buchi neri, dovrebbe piacerti.”


Derek si alzò e, fingendo di dover appendere la giacca nell'attaccapanni all'ingresso, diede un'occhiata alle scrivanie, sperando di scorgere un movimento o uno sguardo particolare. Se il misterioso autore del messaggio aveva lasciato lì il suo caffè da così poco tempo, c'era la possibilità che fosse ancora in biblioteca. Purtroppo, nulla attirò la sua attenzione, a parte un tipo con una felpa rossa e le cuffie alle orecchie che picchiettava la penna sul computer portatile davanti a lui a ritmo di musica. Uno di quei tipi che Derek non avrebbe mai capito, perché non c'era verso che potesse concentrarsi in quel modo.

Quando tornò a sedersi e afferrò il caffè, notò che questo aveva lasciato un alone marrone sul post-it, e quasi imprecò. Se il tipo voleva mettere alla prova il suo non definirsi affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo, ci stava riuscendo benissimo. Poi sollevò il coperchio e annusò il contenuto, scettico, mentre girava il post-it per decidere se e cosa rispondere, ma sul retro trovò un secondo messaggio.


Non l'ho avvelenato!”


Nell'angolo in basso a destra c'era una faccina con gli occhi a croce e la lingua di fuori, che sembrava suggerire il contrario. Scosse la testa, e sbuffò una risata suo malgrado.


Grazie!”


Scrisse semplicemente. Un po' manteneva il sospetto che il giorno dopo avrebbero trovato il suo cadavere riverso sulla scrivania per avvelenamento da cianuro, ma cercò di farsi rassicurare dal fatto che il caffè non emanasse odore di mandorle amare (o di altro di sospetto, per la cronaca).





Quando Derek si era limitato a ringraziare il suo corrispondente misterioso, lo aveva fatto un po' nella speranza di scoraggiarlo dal prodigarsi in ulteriori approcci. Dopo qualche giorno di silenzio, però, si sentì un po' dispiaciuto. Era arrivato ad ammettere tra sé e sé che per quanto strani e per certi versi un po' inquietanti, quei messaggi erano stati una sorta di diversivo alle sue giornate di studio. E poi era sopravvissuto al caffè, quindi forse il tipo che li scriveva (Derek aveva deciso da un pezzo che dovesse essere un ragazzo, per via della grafia) non era pericoloso, ma solo incapace di interagire come i comuni esseri umani.

Il sospetto di aver dissuaso l'autore dei messaggi, combinato con gli attriti che aveva avuto con Finstock, il professore di Magnetoidrodinamica, lo fecero arrivare quel giorno in biblioteca parecchio di cattivo umore. Mentre percorreva la sala a grandi falcate, per raggiungere la sua scrivania, sentì qualcuno bisbigliare e ridacchiare ad un volume poco consono per una biblioteca, per quanto questa fosse come sempre semivuota. Voltandosi riconobbe il ragazzo che aveva già visto in precedenza, quello che ascoltava musica studiando, e vide che stava parlottando con un suo amico con i capelli arruffati e la mascella un po' di traverso. Li zittì con un sibilo, e ignorò l'occhiata perplessa che i due si erano lanciati tra di loro nel sentirlo.

Il caffè caldo pronto ad aspettarlo sulla scrivania lo lasciò interdetto e spense in un attimo i suoi bollori.


Niente da correggere a proposito dei buchi neri, Mr Perfezione?

Solo per questo ti meriti un altro caffè!”


Suo malgrado, mentre si sedeva, Derek si lasciò sfuggire un sorriso.


No, stavolta ci hai preso.

I buchi neri sono neri.”



Il tuo sarcasmo mi ferisce profondamente.

Ma, Dio, con quel sorriso potresti illuminare una delle tue galassie.”


Derek arrossì, nonostante la frase sdolcinata, e bevve il primo sorso dell'ennesimo caffè dello sconosciuto.


Se anche illuminasse la galassia più vicina, dovresti aspettare comunque due miliardi e mezzo di anni per vederlo.”



Fidati, sono bravo ad aspettare. Soprattutto se ne vale la pena.”


“Ti stai scopando qualcuno, ultimamente?” domandò Isaac una mattina, mentre entravano in aula per la lezione delle 8.00.

“Scusa?” chiese Derek di rimando, lanciandò un'occhiata apologetica alla ragazza davanti a loro, che si era voltata di scatto.

“È da un po' che ti vedo più... sciolto,” spiegò Isaac, facendo spallucce.




Ti vedo sorridere sempre più spesso.

Forse questa galassia si avvicina? È plausibile, no?

Una collisione tra due galassie?

Andromeda e la Via Lattea?”



Derek guardò interdetto il post-it. Stavolta era di nuovo arancione, come il primo, e la domanda aveva un suo senso. Andromeda era la galassia più vicina e secondo certe ipotesi era pure in avvicinamento. Sentì un po' di affetto per il suo interlocutore, all'idea che si fosse documentato su qualcosa che non conosceva per lasciargli uno dei suoi messaggi.


Qualcuno ha fatto i compiti, sono colpito.

È plausibile, e anche molto.”


Scrisse, e non era più sicuro di quale fosse l'oggetto della conversazione.





Caspita, ce n'è voluta per colpirti!

O forse gli alieni sono tornati nel sistema solare, ti hanno rapito e sostituito?”


Gli alieni non sono mai stati nel Sistema Solare.”




Davvero? Dillo ai seleniti.”


Derek scosse la testa, mormorando scettico, “Seleniti.” Poi rise con fare un po' sconsolato. Chiunque il suo corrispondente segreto fosse, doveva essere un tipo assurdo. “Seleniti” era uno dei nomi di fantasia degli abitanti della Luna e, se fossero esistiti, lo sbarco sulla Luna per loro sarebbe equivalso ad un'invasione aliena.


Mi spiace darti questa delusione, ma i seleniti non esistono.”



Cosa sono questi pregiudizi?

Non dirmi che sei uno di quelli con l'assurda convinzione che siamo gli unici nell'universo.”


Non era la prima volta che gli succedeva, ma Derek in quel momento si ritrovò schiacciato dal desiderio di parlare faccia a faccia con il suo interlocutore. Ultimamente i messaggi tra di loro si erano intensificati, ma a volte, a cadenze più o meno regolari, capitavano uno o due giorni di silenzio, che Derek attribuiva ad un'incongruenza tra i suoi orari e quelli dell'altro.

Ma anche se si fossero scritti tutti i giorni, per quanto Derek apprezzare la vibrazione e l'attesa, una decina di parole al giorno non si avvicinavano minimamente a ciò che avrebbe voluto. Il suo interlocutore sembrava divertente, intelligente e arguto, con una buona dose di sarcasmo. Dopo i primi tempi, in cui Derek aveva tentato di scoprire chi fosse, tentando per esempio di arrivare in biblioteca qualche minuto prima di quanto fosse sua abitudine, aveva deciso di rinunciare e di mantenere l'aura di mistero.

Gli sembrava di stare dentro una bolla surreale e aveva paura che conoscere di persona il suo interlocutore potesse farla scoppiare e rovinare quei momenti di cui aveva imparato a godere.Per un attimo pensò di accennare ad un eventuale incontro, un'idea che gli martellava la testa dalla discussione sulle galassie in collisione. All'inizio aveva pensato che sarebbe stato l'altro a cogliere la palla al balzo e trasformare quella conversazione in una metafora, ma poi non lo aveva fatto. Quindi Derek scosse la testa, e si prodigò semplicemente a spiegare che no, non credeva che fossero soli nell'Universo, ma per numerose ragioni la vita sulla Luna non era possibile.



E quindi mi stai dicendo che però è possibile che non nel Sistema Solare, ma da qualche parte nell'Universo, in questo momento, qualcuno stia combattendo delle guerre stellari?”


Derek non poteva dire di non esserselo aspettato. Il ragazzo del mistero era così assurdo, a volte, che una battuta simile era del tutto in linea con il suo personaggio.


Mi stai mettendo di nuovo in bocca parole che non ho detto.”





Il post-it successivo (verde), era stato accompagnato, oltre che dal caffè, da un muffin al burro d'arachidi e cioccolato.


Mi sono fatto perdonare, Derek?”


Derek deglutì, mentre una goccia di cioccolato cadeva su uno dei suoi quaderni. Provò a pulire la pagina con un tovagliolo, ma non fece che lasciare una scia di cioccolato. Decise di infischiarsene.


Tu conosci il mio nome, ma io non conosco il tuo.”


Scrisse, senza rispondere alla domanda.


Passò una decina di giorni senza che Derek ricevesse una risposta. Prima pensò che al suo ragazzo del mistero avessero semplicemente cambiato l'orario di qualche lezione. Poi si disse che forse si era beccato un'influenza, come era successo a molti, dato che si trovavano in pieno novembre. Tuttavia, visto che nell'ultimo messaggio che gli aveva mandato, Derek aveva domandato in maniera poco implicita il nome del suo interlocutore, non poteva fare a meno di farsi martellare il cervello dall'idea che il tipo lo stesse evitando.

Cercò di convincersi che, dopotutto, se l'altro non voleva rivelargli nemmeno il suo nome, forse era meglio così. Lui sembrava sapere parecchie cose su Derek, ma non voleva condividere con lui nulla, ed era inquietante o quantomeno ingiusto. Cos'aveva da nascondere? Era un professore? Il vecchio bibliotecario? Era davvero tutto un piano di Laura per rompergli le palle? Il tizio aveva i brufoli? Derek poteva sopportare un po' di brufoli.

Non si era accorto di essersi lasciato trasportare dal vortice di pensieri e di aver preso a picchiettare furiosamente con la matita sul legno della scrivania, fin quando un bicchiere di carta caldo non venne piazzato con uno scatto davanti a lui, interrompendo i suoi movimenti nervosi.

D'istinto, Derek si allontanò dalla scrivania, e poi seguì con lo sguardo la linea della mano che teneva il bicchiere. Risalì con gli occhi fino al polso, al gomito, alla spalla, e poi si ritrovò faccia a faccia con un viso familiare.

“Stiles,” sussurrò un ragazzo alto e magro, con il fiato un po' corto. Era il tizio che ascoltava la musica con le cuffie, quello che Derek non capiva mai come facesse a concentrarsi.

“E, per la cronaca, se il centro dell'Universo può essere dovunque, per quanto mi riguarda, potresti essere anche tu.”

“Cos'è uno stiles?” chiese Derek, confuso, senza riuscire a seguire il filo logico che apparentemente stava seguendo l'altro.

“Oh,” il ragazzo sollevò la mano che teneva il bicchiere e si grattò la nuca, un po' imbarazzato. “È il mio nome. O meglio, è un soprannome, ma ci sarà tempo per rivelarti quel trauma che è il mio vero nome, tutta la fisica del mondo non ti ha ancora preparato per pronunciarlo,” concluse ridacchiando.

Derek continuava a guardarlo come fosse davvero un alieno.

“Siccome mi hai fatto capire che volevi sapere il mio nome, ho pensato di... rompere il mistero,” il ragazzo, Stiles, ridacchiò. “E quindi il messaggio di oggi te lo dico a voce.”

Derek lo vide inspirare, come se stesse prendendo fiato prima di urlare, poi venne investito da un fiume di parole: “ La cosa pazzesca è che ogni atomo del tuo corpo è arrivato da una stella che è esplosa. E gli atomi nella tua mano sinistra probabilmente vengono da stelle diverse di quelli della tua mano destra. È la cosa più poetica che so della fisica: sei fatto tutto di polvere di stelle.

Stiles aveva parlato tutto d'un fiato, stropicciandosi le mani, e Derek era combattuto tra l'impulso di schiaffarsi una mano in faccia, imbarazzato, e l'attirare a sé il ragazzo. Era innegabile che una parte di sé ne fosse affascinata e intenerita.

“E ti ho inquietato da morire. Avrei dovuto continuare con i bigliettini, invece di imbarazzarmi per la vita,” disse ancora Stiles, facendo un paio di passi indietro. “Scusa, tolgo il disturbo.”

Si voltò e fece per allontanarsi, e solo allora Derek si accorse di essere stato imbambolato e in silenzio per tutta la durata del monologo incoerente di Stiles. Allora si alzò e lo afferrò per una mano, in modo da fermarlo.

“Aspetta,” sussurrò. “Ti va di ricominciare da capo?” chiese, e indicò a Stiles una sedia. Sedettero insieme alla stessa scrivania e, quando Derek vide Stiles alla luce della lampada, si rese conto di quanto distrattamente lo avesse guardato nelle settimane precedenti.

Stiles aveva uno sguardo furbo e degli occhi marroni magnetici. E, Dio, come facevano le sue labbra ad essere reali?

Approfittando del fatto che quel giorno la pioggia cadesse in maniera così copiosa che in pochi si erano avventurati a lezione e quindi la biblioteca fosse più deserta del solito, entrambi rimasero a parlare a lungo, nella penombra, cullati dal rumore della pioggia che picchiettava sui vetri.

“Sono uno studente di Letteratura,” spiegò alla fine Stiles, “È per questo che scrivo certe castronerie sulla fisica, ti vedevo spesso in biblioteca, sempre solo e serio. E bello da morire," ammise, con un sorriso. "Volevo attirare la tua attenzione."

“Credimi, ci sei riuscito,” rispose Derek, sbuffando una risata. “Però quella frase sulla polvere di stelle è stranamente accurata.”

“Oh, quello,” Stiles ridacchiò, grattandosi la nuca. “È una citazione che ho letto da qualche parte e poi l'ho imparata a memoria per ripetertela.”

“Non riesco a credere che tu sia reale,” Derek rise di nuovo. Poi allungò una mano e la posò piano sull'avambraccio di Stiles. “Posso baciarti?”

Il volto di Stiles si accese, e lui si sporse un po' verso Derek. “Non posso credere che me lo stai chiedendo,” sussurrò, per poi prendere il volto di Derek tra le mani e baciargli lentamente le labbra. D'istinto, Derek le schiuse con un sospiro. Si fece travolgere dalla sensazione confortante di avere Stiles vicino, dal suo buon odore, dal calore che emanava oltre i vestiti. Rabbrividì quando Stiles approfondì il bacio, gli accarezzò la lingua con la propria, senza però accelerare il ritmo, ma mantenendo una sorta di lento languore. Derek sentiva una sorta di formicolio alle spalle, come se avesse sottopelle una sorta di energia che pulsava.

“Stiles,” mormorò contro le sue labbra, quando Stiles cominciò a vagare con le mani sul suo torace. “Siamo in biblioteca,” gli fece notare contro voglia.

“Sì,” Stiles lo baciò di nuovo. “E stiamo pomiciando,” un altro bacio. “Qual è il problema?”

Nessuno , si disse Derek, fiondandosi di nuovo sulle labbra di Stiles. E non sarebbe stato nemmeno un problema quando Stiles avrebbe invaso la sua scrivania isolata, spostando le sue penne e i margini dei suoi libri, e portando in generale un po' di caos nell'ordine della sua vita.

Dopotutto, delle stelle sono morte, affinché tu potessi essere qui oggi. E chi era lui per lamentarsi dell'operato di una galassia?

Stiles passò la prima notte da Derek un giorno di dicembre. La mattina dopo, suo malgrado, Derek dovette alzarsi presto per andare a lezione e lasciare uno Stiles caldo e addormentato dentro il suo letto.

Nelle settimane passate a frequentarsi e conoscersi, Stiles non aveva mai smesso di far trovare a Derek dei post-it sulla scrivania, spesso con frasi mielate su Luna, stelle e soli. Un giorno Derek aveva deciso di controbattere, puntando sulle frasi d'amore più trite della Letteratura. Ogni volta che citava Shakespeare, Stiles sbarellava, sembrava indeciso tra ridere e soffocarsi con le sue stesse mani.

Quella mattina, quindi, prima di uscire di casa, Derek afferrò un blocchetto di post-it abbandonato sopra il divano – da quando Stiles aveva cominciato a frequentare il suo loft, casa sua sembrava il deposito di una cartoleria. Scelse un post-it arancione e rifletté sulla frase da dedicare a Stiles in quella giornata. Vedendolo a pancia in giù, al centro del suo letto, con le spalle larghe in bella mostra e la parte inferiore del corpo, dalla base della schiena in giù, coperta dal lenzuolo, Derek ripensò alla notte trascorsa, e decise che quella era decisamente un'occasione da Romeo e Giulietta.

Scrisse quindi con cura la sua citazione sul post-it e poi lo adagiò sul cuscino accanto a Stiles.

Avrebbe pagato oro per restare e vedere la faccia di Stiles quando lo avrebbe letto, ma il dovere lo chiamava, quindi gli diede un lieve bacio sulla fronte ed uscì di casa, guardandosi indietro.

Buona notte, buona notte! Lasciarti è un dolore così dolce che direi buona notte fino a giorno.”




Fine.





Note Finali: La citazione che Stiles dice di aver imparato a memoria (e anche la frase "delle stelle sono morte, affinché tu potessi essere qui oggi") è di Lawrence M. Krauss e viene dal libro A Universe from Nothing: Why There Is Something Rather Than Nothing. L'ultimo post-it di Derek, invece, viene da "Romeo e Giulietta".
   
 
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