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Autore: Kisa89    08/10/2015    2 recensioni
Quando la tigre raggiunse il mandorlo lo trovò sterile e spoglio, morto sotto il ghiaccio dell'inverno; ma la tigre lo custodì e lo difese, liberandolo dal gelo e dall'erbacce e, quando infine la primavera tornò a rischiarare il cielo, il mandorlo, grato di quell'amore incondizionato, si riempì di così tanti fiori che la tigre poté riposarsi all'ombra dei suoi rami.
Questa è la mia versione dell'episodio di TMR più triste non raccontato nei libri. E' la storia di un ragazzo che ha perso ogni speranza, che ha deciso di abbandonare la vita. Ma è anche e soprattutto la storia di una rinascita, di una nuova occasione e dell'amore che gli insegnerà di nuovo a vivere. E' la storia della Tigre e del Mandorlo.
Enjoy it! ^-^
[Minewt]
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1

 

Erano trascorsi cinque mesi, dieci giorni, diciassette ore, trenta minuti e quindici secondi dal suo primo ricordo: il cielo azzurro e il sole di mezzogiorno a picco sulla Radura.
Questo fu il primo pensiero di Newt al suo risveglio quella mattina, anche se, ad essere precisi, questo era il suo primo pensiero ogni mattina. Il suo orologio da polso indicava che erano le cinque e mezza, l'ora della sveglia per i Velocisti.
Si stiracchiò e appallottolò le sue cose come faceva ogni giorno: il clima era lo stesso mite di sempre, riusciva a sentire il respiro pesante dei Radurai ancora addormentati intorno a lui ed era ancora tutto buio, ma l'alba sarebbe arrivata in meno di un'ora come ogni altro dannato, dannatissimo giorno. Lo sapeva, anzi, avrebbe potuto sorprenderla e spaventarla con un “bu” da dietro le mura del Labirinto, da quanto era ormai abituato a quella innaturale routine.
Iniziava così ogni straziante giornata nel Labirinto, ma in quel momento Newt fece una cosa che non gli capitava da molto tempo: sorrise. Quel giorno non sarebbe stato uguale a tutti gli altri, quello era il giorno in cui finalmente sarebbe stato libero!
Era felice ed eccitato, l'agonia stava per volgere al termine, ancora qualche ora e non avrebbe più sentito niente se non l'eterna pace.

“Hey, guardate un po' chi è felice stamattina!” esordì scherzoso appena lo vide arrivare un ragazzo all'apparenza più giovane di Newt di un anno o due, con capelli castano chiaro corti e vagamente ricci.
“Attento a quello che dici Ben! Potrebbe spaventarsi e tornare nella sua tana” gli fece eco Minho mettendosi un dito davanti alla bocca.
Newt gli passò oltre dandogli una spallata “Siete due cacchio di teste vuote” disse mentre recuperava il proprio zaino e lo riempiva del necessario per la giornata: acqua, un paio dei famosi panini di Frypan, una mela verde, carta e penna e un asciugamano.
Scese nella botola, verso il sotterraneo del ripostiglio dei Velocisti per prendere un lungo coltello con il fodero connesso ad un'imbragatura da legare alla gamba e se lo sistemò addosso; poi tornò indietro a recuperare lo zaino.
“Ok brutti Pive, poche chiacchiere. Datevi una mossa!” Esordì allora Minho che era già pronto e aspettava davanti alla porta chiusa. Minho era poco più alto di Newt, ma molto più grosso: aveva spalle larghe, petto prominente e braccia muscolose, con bicipiti gonfi e possenti. Era asiatico con occhi a mandorla scuri e sottili, tratti morbidi e labbra piene; i suoi capelli neri tagliati corti se ne stavano sempre inspiegabilmente in una piega perfetta a qualunque ora del giorno e della notte e la sua pelle liscia aveva il colore del caramello. Newt aveva sempre pensato che Minho dovesse essere più giovane di lui, ma in realtà non aveva proprio idea di quanti anni potesse avere: con quei tratti non era facile da capire, avrebbe potuto benissimo avere sedici anni oppure venticinque. Su una cosa però, non aveva mai avuto dubbi: era bellissimo.
Newt distolse lo sguardo appena si rese conto che lo stava fissando e tornò a concentrarsi sul proprio zaino. Quando si erano risvegliati nella Radura senza sapere dove si trovassero e senza ricordi, Minho era stato il primo che avesse interagito con lui. Lo aveva aiutato ad alzarsi e gli aveva chiesto se stesse bene; non avrebbe mai dimenticato la sensazione di serenità e protezione che lo aveva attraversato appena aveva afferrato la mano di quel ragazzo sconosciuto. Minho gli era piaciuto subito: era simpatico, con la battuta sempre pronta, quel suo strambo modo di esprimersi e un sarcasmo pungente e instancabile. A volte diceva delle cose davvero stupide, ma era divertente ed era anche impulsivo e manesco e capitava che gli desse sui nervi. Ma era coraggioso e forte, era veloce e resistente, tanto che sembrava potesse correre per giorni senza essere mai stanco e non si arrendeva mai, mai.Minho era il migliore di loro, il meglio del meglio dei Velocisti e non a caso era stato nominato loro Intendente. Lui e Newt avevano legato parecchio in quei mesi ed erano diventati grandi amici.
Newt si sistemò lo zaino in spalla, assicurò le chiusure intorno al petto e addentò una mela, croccante e succosa, mentre si sistemava accanto alla porta seguito piano piano da tutti i Velocisti.
Minho diede uno sguardo al gruppo, si assicurò che fossero tutti pronti e aprì la porta. All'esterno l'aria si era fatta più chiara e il sole stava ormai sorgendo, puntuale come sempre; la Radura si cominciava lentamente ad animare, ognuno consumava la propria colazione per poi cominciare una giornata di lavoro. Newt camminava rapido dietro a Ben diretto verso la porta orientale, quella da cui usciva ogni mattina, e non poté non pensare che quella sarebbe stata l'ultima alba, l'ultima volta che rivedeva quella scena pietosa.
Forse avrebbe dovuto sentirsi triste e malinconico, ma in realtà era quasi euforico. Alzò un braccio in un gesto di saluto appena vide da lontano Alby fare lo stesso. Alby era a capo di tutto nella Radura: era quello che tra tutti pareva il più grande ed era senza dubbio il più saggio e il più indicato a guidare un gruppo.
Newt perse un po' di quell'euforia al pensiero di ciò che avrebbe provato Alby non vedendolo tornare quella sera: lui era probabilmente il suo migliore amico. I due ragazzi avevano un carattere molto affine e si erano trovati bene praticamente da subito. Gli dispiaceva molto per Alby, forse ci sarebbe rimasto male, ma non poteva farci molto.
Ben era già arrivato alla porta quando Newt si sentì toccare la spalla da dietro e si voltò.
“Che succede?” domandò sorpreso quando si rese conto che era stato Minho a chiamarlo.
“Stai bene?” chiese inarcando un sopracciglio. Il biondo si trovò momentaneamente spaesato da quell'insolita domanda “Sì, tutto bene!” rispose tirando un sorriso.
Minho lo squadrò incerto per un attimo “Sembri proprio uno stupido Pive con quel sorrisetto!” lo prese in giro. “Ok, ci vediamo stasera” salutò prima di voltarsi per dirigersi verso la porta occidentale.
“Certo” mentì. Stava per continuare sulla sua strada quando Minho si voltò e gli parlò di nuovo. “Newt!”
Proprio in quel momento il famigliare fracasso infernale delle quattro porte che si aprivano coprì totalmente la sua voce, ma il biondo riuscì chiaramente a leggere il labiale.
Stai attento.
Newt rimase fermo per un po', mentre guardava l'amico allontanarsi verso il lato opposto della Radura. Sarebbe stata l'ultima volta che lo guardava e, a questo pensiero si sentì triste e una morsa gli chiuse lo stomaco. Riprese a camminare verso il passaggio ormai quasi del tutto aperto, i muri esterni del Labirinto erano lì ad aspettarli come ogni mattina. Newt aveva preso la sua decisione definitiva e non avrebbe cambiato idea, ma per un attimo l'immagine di Minho che guardava speranzoso quello stesso passaggio solo qualche ora più tardi, gli fece venire la nausea. Avrebbe guardato quei corridoi fino all'ultimo secondo, fino al momento in cui le porte si sarebbero chiuse nuovamente portando via anche l'ultimo residuo di quella speranza.
Newt non sarebbe rientrato quella sera e, se i suoi calcoli erano esatti, nessuno avrebbe mai nemmeno trovato il suo cadavere, il che era un sollievo. Non voleva che Alby o, peggio ancora, Minho, lo vedessero morto, sarebbe stato un colpo troppo duro e crudele, no!
Deglutì a fatica respingendo il sapore aspro della bile e raggiunse Ben che stava facendo stretching sulla soglia dell'uscita.
“Pronto Newt?” chiese sciogliendo i muscoli in un paio di saltelli. Il biondo si tolse un elastico dal polso e si raccolse i capelli in una coda “Pronto!” sorrise.
Un ultimo sguardo alla Radura, a quella che per tutto il tempo che ricordava era stata la sua casa, un ultimo sguardo alle persone che erano state sue amiche e poi via, la sua ultima corsa ebbe inizio.

Newt e Ben scattarono rapidi fino alla prima svolta, poi a destra e di nuovo fino infondo prima di prendere un passaggio a sinistra e poi un altro a destra. Continuarono a correre per una ventina di minuti e, svolta dopo svolta, senza fermarsi, quasi fosse il gesto più naturale del mondo, Ben tagliava rapido un pezzo dell'edera che riempiva i muri e se lo gettava alle spalle per essere sicuro di segnare il percorso.
Destra, sinistra, poi di nuovo a sinistra e ancora a destra, la successione di svolte era così famigliare che Newt avrebbe potuto correre ad occhi chiusi. Si concentrava al massimo per controllare il respiro, ad ogni cambio di direzione stava attento a non sforzare troppo le ginocchia per evitare di farsi male, all'inizio doveva sempre ricordare tutte queste cose, adesso era così semplice che gli sembrava di non aver mai fatto altro per tutta la vita; anche se, in un certo senso, era così.
Dopo quasi un'ora di corsa finalmente i due ragazzi raggiunsero il passaggio che collegava la sezione più interna, quella intorno alla Radura, a quella esterna a loro assegnata. Ben accennò un gesto di saluto prima di proseguire lungo il corridoio di destra, carta e penna alla mano. Newt rispose al saluto con un cenno del capo e corse in direzione opposta; ogni giorno mappavano quella sezione, metà a testa per essere più rapidi e sicuri di poter tornare alla Radura verso metà pomeriggio.
Ma quella mattina Newt non avrebbe preso il suo taccuino e non avrebbe disegnato nessuna mappa. Continuò a correre, il vento gli asciugava le piccole gocce di sudore che gli colavano lungo il viso, il cuore aumentava i battiti ad ogni secondo, i suoi occhi scrutavano i vari passaggi in cerca di quello più adatto.
Svoltò un paio di volte e si allontanò il più possibile dal centro della sezione per essere certo che Ben non potesse trovarlo; per fortuna non c'erano tracce di Dolenti, quindi proseguì tranquillo.
Dopo un'altra mezz'ora di corsa sostenuta frenò strusciando le suole di gomma sul pavimento di pietra quando qualcosa suscitò il suo interesse: sulla sua destra si apriva un passaggio che terminava in un vicolo cieco. Vi entrò e diede uno sguardo all'edera sulle pareti, che cresceva folta e raggiungeva poco più di metà dell'altezza complessiva del muro. Sorrise, lo avrebbe fatto lì!
Recuperò la bottiglia dell'acqua, bevve un sorso e la rimise al suo posto, poi buttò lo zaino contro la parete e schioccò le nocche. Sospirò tre volte guardando fisso verso la cima dell'imponente parete che si ergeva ad un passo da lui, il suo stomaco si contorceva e il suo cuore sembrava impazzito. Doveva calmarsi.
Ci aveva pensato mille volte, era sicuro di volerlo fare, ma un po' di incertezza era compresa nel suo piano perfetto. Non aveva fretta, nessuno lo avrebbe trovato lì. Aveva trascorso molte delle ultime notti senza dormire continuando a pensare ad un piano perfetto e ogni giorno durante le corse nel Labirinto non aveva fatto altro che cercare i punti migliori in cui poteva mettere in atto il tutto.
Ora il momento era arrivato. Il piano era semplice: trovare un punto in cui l'edera salisse sul muro il più in alto possibile, arrampicarsi fino in cima e buttarsi di sotto. Splat! Fine dei giochi!
Un volo da quell'altezza gli sarebbe di certo stato fatale. Una morte rapida e sicura. Una volta calata la notte le porte della Radura si sarebbero chiuse e il Labirinto si sarebbe riempito di Dolenti che lo avrebbero trovato e probabilmente mangiato... o qualunque altra cacchio di cosa facessero i Dolenti ad un cadavere.. questa parte non gli era molto chiara, non che fosse importante, tanto lui sarebbe già stato morto a quel punto.
Niente più vita, niente più Radura, niente più Labirinto, Dolenti, prigioni, cielo insopportabilmente azzurro. Niente più routine. Niente di niente.
Silenzio.
Pace.
Libertà.
Per sempre.
Si sentì di nuovo pieno di coraggio, e si avvicinò alla parete. Non c'era altra soluzione, quella era l'unica via di uscita del Labirinto, solo quella...
Afferrò i tralci di edera con forza e si accertò che fossero abbastanza resistenti e spessi da sostenerlo. Si tirò su e posizionò i piedi per cominciare la scalata; una mano alla volta, un piede dietro l'altro, iniziò a salire in verticale lungo il muro assicurandosi sempre di non finire in fallo. Se fosse caduto troppo presto avrebbe rischiato di rompersi qualcosa e basta e non era ciò che voleva.
Salì ancora, sempre più in alto. Con le braccia faceva forza per issarsi e poi spingeva con le gambe, ancora e ancora, con movimenti ripetuti e controllati. Prestando la massima attenzione, gli ci volle quasi mezz'ora per raggiungere la cima, ma alla fine arrivò a stringere con le mani l'ultimo traliccio abbastanza spesso disponibile. Guardò in basso e per un attimo gli girò la testa: era terribilmente in alto e scoprì così di soffrire di vertigini. Fece dei lunghi respiri per cercare di calmarsi, non si sarebbe lasciato fermare da una stupida paura, non lui. Newt era coraggioso, ci voleva davvero del gran coraggio per fare ciò che stava facendo, se l'era ripetuto come un mantra per settimane.
Era il momento. Doveva solo saltare e dire addio per sempre a quello schifo insopportabile che aveva dovuto chiamare vita. La odiava! La detestava con ogni particella del suo animo.
Solo un salto e addio inutile vita! Addio schifoso Labirinto! Addio a tutto!
Addio... Minho...
La sua mente fu attraversata da un flash improvviso. Non ci aveva più pensato preso com'era stato dal suo piano, ma anche quello era un addio, forse l'unico che non voleva pronunciare. Ma era sufficiente?
Davvero bastava una sola cosa a fargli cambiare idea? Davvero bastava solo una persona, che, a dirla tutta, conosceva appena?
Era possibile che ci potesse essere anche solo una piccola, minuscola, insignificante cosa sufficiente a farlo restare aggrappato alla vita?
Valeva la pena continuare a soffrire in quel modo solo ed esclusivamente per quella cosa?
La risposta gli fu dolorosamente ovvia e una lacrima gli rigò il viso “Addio” sussurrò tra sé.
Un'ultima immagine gli attraversò la mente... e poi saltò...

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Il Braciere delle Fate:

Buon pomeriggio! ^-^

Ho deciso di pubblicare prima. Ecco il primo capitolo.

Dunque, potrebbero esserci delle inesattezze di qualche tipo, ma diciamo che certe cose le ho un po' rielaborate a modo mio XD

Scusate la digressione di tipo dieci righe sulla descrizione di Minho ma.. bé, non si capisce che lo adoro! Ma va! XD

Cmq, tornando alla storia, Newt è arrivato al momento della verità, ha fatto quel passo.. che gli accadrà ora, povero cuore? Scopritelo con me! ^-^

Grazie a tutti! Ogni recensione sarà super super gradita! Non siate timidi :D

Xo xo

Fairy

 

 

 
  
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