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Autore: S_Lion597    11/10/2015    4 recensioni
Un, due, tre.
E il Dottore fece il primo passo verso di lei, riprendendo quel ballo che era stato bruscamente interrotto qualche minuto prima da un paio di guardie che li avevano costretti alla fuga.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, River Song
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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River e il Dottore entrarono di corsa nella cabina, tenendosi per mano. Ridevano, e la loro corsa si arrestò contro la consolle del Tardis. Riprendendo fiato, esausti, si guardarono con un sorriso d'intesa, mentre lui si girava per appoggiarsi con la schiena al quadro di comando e lei iniziava a girare intorno ad esso, preparandosi alla partenza. Solo quando raggiunse la macchina da scrivere sul lato opposto a lui e alzò lo sguardo per chiedergli la destinazione, vide che si era mosso, seguendola, per trovare posto contro la ringhiera dietro di lei. River sorrise vedendo il suo Dottore che la osservava, e gli angoli delle sue labbra erano sollevati in un sorriso che non era malizioso, ma soltanto dolce, perché negli occhi di lui non vi erano più solo curiosità e interesse, ma anche un sempre crescente amore, quasi un'adorazione nei suoi confronti.


Dopo la scomparsa dei Pond avevano vissuto un periodo in cui perfino stargli vicino era stato difficile, con lui che era così diverso da se stesso, le sue spalle tese, la faccia in una dura maschera di dolore e gli occhi sempre in una tempesta di rabbia e disperazione.
Con il tempo era tornato ad aprirsi, almeno con lei, e River si era accorta di quanto fosse diventato facile leggere i suoi pensieri attraverso i suoi movimenti. Per esempio, quando correvano su un pianeta sconosciuto, alla ricerca di un riparo, c'era sempre un momento in cui la sua testa si voltava leggermente prima a sinistra e poi a destra. In quei momenti sapeva che il Dottore stava controllando se Amy e Rory lo stessero seguendo, prima di ricordarsi che loro non c'erano più. C'era soltanto lei, che in quelle occasioni gli stringeva la mano più forte e aumentava la velocità per tirarlo più avanti, più lontano dai ricordi dolorosi.
A volte lo coglieva a sistemarsi il cravattino o ad accarezzare i comandi della consolle mentre si perdeva a fissare punti vuoti nel Tardis. Allora sapeva che sentiva la mancanza fisica dei due ragazzi, una mancanza che nessun altro avrebbe mai potuto colmare.
I momenti in cui il Dottore rendeva più palese la sua disperazione era quando capitava che si fermassero su qualche pianeta in piena notte, semplicemente per godersi una passeggiata al chiaro di una luna sconosciuta, o per guardare una stella esplodere in lontananza e morire. River non aveva ancora capito se lui si ritagliasse quei momenti dalle loro avventure più per lei o per sé stesso. In quelle situazioni lei lo prendeva a braccetto, aspettando il momento in cui si sarebbero fermati con lo sguardo rivolto verso l'alto, ad osservare il cielo. A quel punto lei gli avrebbe spostato una ciocca di capelli da davanti al viso e lui le avrebbe rivolto la sua attenzione, sorridendole triste. River l'avrebbe accarezzato dolcemente e unito le loro fronti, ad occhi chiusi, aspettando il momento in cui sarebbero stati pronti a ricominciare.


Lo osservò nel suo completo nero mentre lui faceva lo stesso con lei nel suo vestito bianco del XIX secolo. I grandi saloni di ballo a Vienna avevano sempre esercitato un grande fascino su di lei e la prima e ultima volta in cui lui aveva ripreso i comandi del Tardis dopo i Pond, era stata proprio quella sera, quando l'aveva sorpresa portandola a ballare. Era stata una serata meravigliosa, con le coppie che si muovevano sulla pista da ballo in perfetta sincronia, seguendo la melodia di un valzer appena composto.

Un, due, tre.

Le gonne delle dame ondeggiavano negli stessi momenti, aprendosi e frusciando sul pavimento e i ballerini si muovevano veloci, scambiandosi di posto come se la pista non fosse affatto piena, ma ogni coppia si trovasse nel suo mondo imperturbabile. E i passi perfettamente memorizzati ed eseguiti perdevano la loro rigidità lasciando solo l'impressione di un movimento dolce e naturale.
River aveva ancora le orecchie piene di quelle note di valzer quando il Dottore la prese di sorpresa mentre si girava verso di lui. Con la mano sinistra le afferrò la destra portandola all'altezza dei loro volti, e la destra andò a posizionarsi sulla sua scapola, il braccio quasi ad angolo retto per far sì che la mano sinistra di lei andasse a posarsi sulla sua spalla.
Entrambi presero un respiro profondo.

Un, due, tre.

E il Dottore fece il primo passo verso di lei, riprendendo quel ballo che era stato bruscamente interrotto qualche minuto prima da un paio di guardie che li avevano costretti alla fuga.

Un, due, tre.

E iniziarono a volteggiare intorno alla consolle. Separarono per un secondo le mani, il tempo per lui di premere tasti a caso sulla macchina da scrivere e per lei di tirare la grossa leva con le luci alla sinistra di essa. Le lancette di qualche tachimetro si mossero impazzite e qualche rivolo di fumo uscì dal centro del quadro mentre loro continuavano il loro ballo e il Tardis partiva senza una meta.

Un, due, tre.

Superarono la poltrona in pelle marrone all'angolo della piattaforma e, compiuto il primo giro, lui fece suonare l'acuto din del campanello e tirò la leva rossa che riattivava i freni del Tardis e con i essi il rumore della cabina che tanto amava. A lei scappò una risata quando lui la guardò con il ghigno di un bambino soddisfatto, e si mossero ancora, le loro mani intrecciate intorno al monitor che fecero girare con loro per un po' prima di staccarsi e riprendere da soli.

Un, due, tre.

E si muovevano a grandi passi compiendo sempre lo stesso giro intorno alla consolle esagonale. Fu lei a girare i rubinetti contrassegnati "hot" e "cold" mentre lui premeva a pieno palmo due bottoni neri e tirava la leva da flipper alla base del quadro.

Un, due, tre.

E continuavano a viaggiare senza atterrare mai, le coordinate spazio-temporali indefinite e la cabina bloccata nel vortice del tempo, ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo. Sempre e mai contemporaneamente. Il loro ballo fermo in una dimensione inesistente, accompagnato dal soffio ritmico del Tardis.

Un, due, tre.

I loro passi si fecero più veloci e River si guardò attentamente attorno quando il Dottore le fece fare una piroetta. Osservò il modo in cui la luce ocra illuminava le pareti color corallo, piene delle cose tonde che a lui piacevano sempre così tanto, in qualsiasi versione di sé stesso. Guardò le numerose rampe di scale ai lati opposti della sala che portavano nelle stanze più remote della cabina, e che un giorno di noia si erano messi ad esplorare rincorrendosi come bambini.

Un, due, tre.

Quando tornò stabile fra le braccia del Dottore si concesse un momento per guardare giù. Il suo vestito frusciava contro il pavimento in vetro, attraverso cui si vedeva il piano inferiore e qualche cavo che spuntava dalla colonna portante dei controlli. L'altalena su cui lui spesso si metteva ad armeggiare con il cuore del Tardis e le parti più delicate della macchina esattamente sotto di lei.

Un, due, tre.

E fecero un altro giro della consolle stringendosi sempre più vicini.
Sapevano entrambi che il loro tempo insieme stava scadendo, che lei ad un certo punto, presto, avrebbe dovuto andarsene. Eppure lei non sopportava l'idea di lasciarlo solo, sapendo che sarebbe ripiombato nella tristezza e lui non concepiva l'idea di lasciarla andare, di dover continuare i suoi viaggi senza di lei o addirittura con qualcun altro.
Si strinsero.

Un, due, tre.

Iniziava a girare la testa ad entrambi.

Un, due, tre.

Il Dottore calcolò male un giro di passi e il ballo si interruppe quando lei rimase bloccata fra lui e la consolle, la mano destra stretta ancora nella sinistra di lui, in alto, e la sinistra sulla sua spalla. Il Dottore appoggiò la fronte a quella di River respirando profondamente ad occhi chiusi.

Il Tardis atterrò.
Le luci si spensero.

...

River se n'era andata poco dopo, quando ormai era diventato evidente ad entrambi che il loro tempo insieme fosse scaduto. Era scritto che lei dovesse riprendere le sue avventure da sola, e lui sapeva bene che non avrebbe potuto tenerla con sé per sempre. Modificare il suo futuro avrebbe significato riscrivere radicalmente il proprio passato, e questo avrebbe portato a conseguenze disastrose. Tuttavia, il fatto che fosse venuto a patto con tutto ciò non rese le cose più semplici o accettabili. Si salutarono come sempre, come se si sarebbero visti ancora, con un sorriso malizioso sul volto di entrambi, una carezza sul viso di lui e una picchiettata con l'indice sul naso di lei.
Ciò che li tradiva però, erano sempre gli occhi pieni di tristezza, la lentezza dei passi di lei quando si voltava verso la porta della cabina per andarsene, le mani di lui serrate attorno alle ringhiere del Tardis per trattenersi dal correrle dietro e impedirle di lasciarlo. Era da un po' che aveva smesso di accompagnarla fuori dalla cabina per paura che senza di lei non ci sarebbe più rientrato, e le sue nocche si facevano sempre più bianche per la presa ad ogni addio.
Quando era ripartito si era diretto ancora nel 1800, questa volta a Londra, da Madame Vastra, dov'era sicuro di poter trovare ancora un po' di conforto, nonostante il suo desiderio di non avere compagnia.
Era stato allora che il Tardis aveva cambiato aspetto nuovamente, nonostante non ci fossero danni significativi come la volta precedente, quando l'aveva praticamente distrutto rigenerandosi. Lui ci aveva messo poco ad adattarsi al cambiamento, questa nuova versione più adatta al suo stato d'animo rispetto a quella precedente, luminosa, colorata, piena di dettagli che servivano solo a ricordagli dell'assenza dei Pond e di River.
Clara era stata la prima a vederlo così, e lui si era fermato a guardarla affascinato mentre lei correva intorno al Tardis prima fuori e poi dentro e girava intorno al quadro di comando, accarezzandone il bordo e sfiorandone solamente i tasti e le leve. I suoi occhi scorrevano avidi sulle pareti metalliche e sulle volte blu che seguivano tutta la struttura del soffitto fino al centro. Gli interni erano più semplici e lineari, perfettamente simmetrici. La consolle aveva perso un sacco di bottoni e leve inutili, ogni comando esattamente inquadrato, niente fuori posto. La differenza faceva quasi impressione. Era come passare dalla camera di un bambino a quella dei suoi genitori, o più precisamente a quella del bambino stesso, vent'anni più tardi. Le due sale lo rappresentavano entrambe alla perfezione, solo in due modi diversi, in due momenti differenti della sua vita. Il Dottore osservò Clara passare delicatamente le dita sui tasti di uno dei settori della consolle, sulle leve, sul grande bottone rosso e le luci di emergenza sopra di esso. La guardò mentre si attorcigliava un filo lungo in dito e poi proseguiva per sparire dietro ai tubi fosforescenti che occupavano l'interno della colonna principale. La immaginò sfiorare la leva circolare e quella più grossa della partenza e superare il settore con la gelatina per il pilotaggio tramite subconscio. Un altro pannello, altre leve e le dita che scorrevano sui monitor.

Il Dottore ripensò a come avevano ballato lui e River in quello stesso posto, ma intorno ad una consolle diversa.
Sorrise, guardando l'espressione estasiata della ragazza davanti a sé, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.

Un, due, tre

Forse ce l'avrebbe fatta ad andare avanti.

Un, due, tre.

"Un passo alla volta, dolcezza" sentì sussurrargli la sua voce.

Un, due, tre

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