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Autore: SomeoneNew    13/10/2015    1 recensioni
E mi chiedevi la ragione per la quale ci ostiniamo a guardare il cielo, e ti rispondevo che l’uomo ha il costante istinto di scappare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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People need to escape.

Ad Elisa, che è sempre rimasta
nonostante tutto, nonostante me.
Ti voglio bene.


Chiudi gli occhi: cosa vedi?

Non mi hai mai chiesto cosa vedevo io. Forse non se n’è mai presentata l’occasione, forse non te lo sei mai chiesto. Forse per paura. Perché se chiudevo gli occhi mi vedevo lontana chilometri da qui e tu questo lo sapevi bene. Chissà quante volte l’hai negato a te stesso mentre guardandoti negli occhi ti urlavo di scappare, mentre sorridendoti ti imploravo di mollare la presa e lasciarmi andare. Mentre io stessa ti stringevo più forte ogni volta che ti davo un motivo in più per marcare quella distanza che avrebbe segnato la mia partenza, chissà quante volte l’hai negato a te stesso. E non hai mai ceduto perché se c’era un’altra cosa che sapevi bene era che tra i due ero io la migliore nel mollare. La prima a cadere, la prima a rialzarsi senza lasciare alcuna traccia di frammenti di relazioni, sogni o speranza. Non sono mai stata brava a lottare per due. Forse perché risulta difficile lottare anche solo per me stessa. Forse perché il più delle volte lotto contro me stessa.

Le contraddizioni fanno parte di me da sempre, da quando a sei anni valutavo se prendere il gelato o no in base allo sguardo con cui mia madre me lo chiedeva. Ed ogni volta finivo per farla incavolare sul ciglio della strada davanti al furgoncino dei gelati perché non riuscivo a decidermi e tornavamo a casa in completo religioso silenzio, ciascuna persa nei propri sensi di colpa. Le contraddizioni contraddistinguevano la mia vita anche a sedici anni, quando dietro le foto attaccate al muro con lo scotch, che ritraevano alcuni dei momenti più belli trascorsi con le mie amiche più care, nascondevo i miei primi risparmi per scappare da quelle stesse persone. Perché la verità è che non sono mai stata brava in questo genere di cose, nel “migliore amiche per sempre” o nei “nulla ci potrà separare”. Perché la vita si misura in base ad un numero finito e non è contraddistinta da quel simbolino che ci divertivamo a disegnare sulle copertine dei diari di scuola, o sul banco accanto all’iniziale della nostra temporanea cotta che ci ostinavamo a chiamare amore. Perché la promessa “nulla ci potrà separare” nasconde in sé una verità che ingenuamente ignoravamo. Il nulla è il vuoto, e il vuoto è mancanza. Perché arriva sempre un momento in cui due persone smettono di bastarsi, cessano di credere che il loro mondo si limiti ai piedi della persona che si ha di fronte, e percepiscono la mancanza di qualcosa. “La mancanza potrà separarci.”. Un aneddoto divertente da aggiungere a questa storia dei risparmi dietro le foto è che quella piccola e stropicciata busta di carta blu, dagli angoli ridotti a brandelli decorata con i fiorellini rosa e profumata di lavanda, che conteneva essi, mi era stata regalata da una persona con cui all’epoca non parlavo già da due anni. Ricordo di avere buttato ogni minimo oggetto, regalo, frammento che la riguardasse, eppure questa busta da lettere mi era sfuggita, ed era lì a contenere i miei sogni più grandi. Sapevo che avrei dovuto buttare anche quella prima o poi, eppure giorno dopo giorno, anno dopo anno è rimasta lì, forse per comodità, per vagabondaggine, ho smesso di chiedermelo da tanto tempo. Oggi sono sei anni che non parlo con questa persona, forse non è poi tanto divertente come aneddoto. Ma succede. La vita di ciascuno è una giostra ad un unico giro, e quando prendi la decisione di scendere da quella di qualcun altro, risalire diventa troppo difficile, con il rischio di essere scaraventati fuori dalla forza centrifuga. Ognuno fa le proprie scelte, poi in base a cosa è un altro capitolo. Succede, è successo.

Anche tu sei stato una contraddizione. Tu con la tua costante presenza e la tua ossessione nel tenermi la mano ogni qualvolta ne avevi l’occasione. Io che te lo lasciavo fare. Anche tu sei stato una contraddizione. Come quando al buio della tua camera pensando che stessi dormendo mi sussurrasti  “Credo di amarti”, e trattenendo il respiro tremai sotto il peso di quelle stesse parole. Perché chi ero io per farmi amare da te? Per meritare un qualcosa di così grande? La tua minima attenzione ai dettagli, alle virgole che io chiamavo ‘poetiche’ e che forse erano un po’ troppe per una che utilizza solo il punto alla fine di ogni frase. E mentre io alle 23:59 ti scrivevo ‘buonanotte’, tu a mezzanotte mi inviavi quei messaggi chilometrici che la mattina per aprire la tua chat mi bloccavano whatsapp. E mi chiedevi la ragione per la quale ci ostiniamo a guardare il cielo, e ti rispondevo che l’uomo ha il costante istinto di scappare.
Anche tu sei stato una contraddizione. Con la tua abitudine di posare la mano sul mio ginocchio quando eravamo a casa di amici, come a dire “sono qui, resta qui”, e la tua ossessione nel portarmi ogni notte tra il sabato e la domenica al mare. Lo chiamavi il nostro “settimanaversario”, perché era proprio su quella spiaggia ad un’ora dalla pizzeria La Commedia che ci eravamo conosciuti la notte tra il trentuno e il primo di Gennaio, che poi coincideva con l’inizio del nuovo anno ma a te non è mai importato, a me si. Dicevi rappresentasse il nostro inizio, ma ogni inizio ha una fine, perché anche le stelle più luminose muoiono, e anche il mare finisce dove l’onda si ferma.

Era il 23 Dicembre. Ci trovavamo in quel negozietto sulla strada tra la Piazzetta e quello che chiamavamo Il Covo Dei Tabaccai, le illuminazioni del il tuo albero di Natale si erano fulminate per metà giusto quel pomeriggio e mi avevi trascinata a comprarne delle nuove prima dell’ora di cena. Ancora oggi se mi concentro riesco persino a percepire il freddo glaciale di quel tardo pomeriggio entrarmi nelle ossa, con le mani sprofondate nelle tasche e le dita dei piedi arricciate negli stivaletti neri. Dopo lunghi secondi trascorsi ad osservare qualcosa al di fuori della finestra apristi bocca, e creando una lieve nuvola di vapore nell’aria dicesti: “E’ Natale, eppure fuori di qui ci sono lucine colorate accese e persone spente.” Sospirai, ed una seconda nuvola di vapore si disperse nell’aria.”Le persone non sono luci ad intermittenza, Niall. Non hanno un bottone di accensione. Non hanno un ritmo definito secondo un ordine sincronizzato e non possono regolare la propria luminosità in base al tuo umore. Sono solo persone.” Lo dissi tutto d’un fiato voltandomi di spalle, stringendo la presa sulla plastica che confezionava il kit di decorazioni e lo sguardo fisso sui giochi di luce che il neon del soffitto provocava su di essa. Non rispondesti e quando mi voltai nuovamente vidi riflesso, nel vetro della finestra, il tuo sguardo altrove, lontano come poche volte avevo avuto la percezione di intravedere. Perso. Tu che eri sempre presente, navigavi ora nella tua assenza più totale.
Anche tu eri una contraddizione.

Alle volte mi chiedo come si possa avere una concezione del tempo e dello spazio così necessaria, senza mai avere il bisogno di essere in nessun posto in nessun tempo. Senza mai sentire l’opprimente bisogno di scendere dalla giostra, da ogni giostra. Senza legami, passato e presente, nulla a tenerti o trattenerti, liberi da ogni circostanza. Liberi da tutto e da tutti. Fermare il tempo e non essere, eppure siamo, e siamo in costante movimento. Basterebbe affacciarmi proprio ora dalla finestra di questa piccola palazzina dai mattoni rosso sbiadito, per potere affermare che nulla giace mai su se stesso senza subire gli effetti di chi è in moto. Ombre e suoni popolano le strade delle 00:57.
"Sei cresciuta. Peccato, è terribile crescere. La giostra continua a girare, non si ferma mai, e tu non puoi scendere.".

Noi, in balia delle nostre emozioni, mentre le gocce d’acqua scorrono sul freddo vetro che ci separa dalla tempesta che è la vita. Che forse è vero che non conta chi con la pioggia scappa ma chi con la tempesta resta, ma quanto coraggio si deve avere per affrontare quest’ultima? Perché la tempesta non è solo pioggia, la tempesta include un sacco, troppe cose. Lampi come ferite nel cielo, ferite che come ogni cicatrice diventano poi arte. Tuoni a irrompere il regolare scrosciare della pioggia sui tetti. E il vento. Strano come qualcosa di così invisibile e leggero, come il vento, possa fare cambiare direzione ad ogni ostacolo che si interpone tra esso e la sua meta. Ma il vento una meta non ce l’ha, eppure continua a correre, a scappare da un qualcosa di altrettanto invisibile, dal suo stesso spettro, un pò come me. Il vento, qualcosa di così mistico e affascinante mentre si dimena nel silenzio della sua teatralità, arriva con un urlo rotto da singhiozzi, e nel tempo di un respiro, piega ai suoi piedi tutto ciò che incontra, non fa domande, non attende risposte, prende tutto ciò che gli viene offerto senza dare nulla in cambio, se non un brivido di vita soffocata. Alle volte sembra stia ridendo, ma una di quelle risate distruttive, come a volere nascondere un pianto amaro, una di quelle risate isteriche, bagnata da lacrime e incastrata tra urla atroci di dolore. Eppure non piange mai, il vento, non si piega mai alle sue stesse emozioni, combatte, combatte fino allo sfinimento, fino a lacerarsi, combatte contro tutto e tutti, cielo e terra, e la sua forza diventa quasi tagliente, dolorosa e viva. E il vento è un po’ come l’amore, una ferita dolorosa che ti ricorda di essere vivo, è tutto ciò che ti dà in cambio. Distrugge tutto ciò che incontra lungo il suo cammino, ogni tua certezza, tutti i tuoi piani, ti toglie il respiro invadendo ogni tua più piccola particella. Ti graffia la pelle, fino ad arrivare all’anima, ti lascia delle cicatrici profonde, perché è così egoista da dovere essere certo che, anche quando andrà via, quando scivolerà via silenziosamente come un’ombra, nulla nella tua vita sarà più come prima del suo arrivo, nulla sarà più lo stesso. Tu non sarai più lo stesso.
E si, forse è vero che non conta chi con la pioggia scappa ma chi con la tempesta resta, ma se l’uomo ha il costante istinto di scappare e la giostra continua a girare senza mai fermarsi e non puoi scendere, allora mi chiedo quanto valga la pena di restare. “Sono qui, resta qui” mi dicevi, mentre io già non c’ero più da tanto tempo. E attraverso i tuoi gesti, i tuoi sorrisi continuavi a ripetere che si, noi ne valevamo la pena. Valevamo la pena di lottare, sotto la pioggia, con il vento a sferzarti il viso, affrontando lampi e tuoni e guardando in faccia le ombre della notte. Lottare contro quelle stesse mancanze. E scusami, ti prego perdonami perché tutto ciò non mi bastava. Perché qualche anno fa guardandomi attorno e ritrovandomi in un mondo senza passione, dove ogni cosa veniva fatta per dovere promisi a me stessa che non mi sarei mai accontentata nella vita, che avrei sempre cercato di fare del mio meglio per realizzare ogni mio sogno, per dare vita ad ogni più piccolo seme di speranza. E tu, sai tu eri una contraddizione perché risultavi essere un ostacolo per la realizzazione dei piani di una vita, ma un ostacolo in cui volevo inciampare ogni volta che provavo a superarlo.

Siamo circondati da ombre, noi stessi siamo ombre perché nessuno conosce davvero la persona che gli sta accanto. Siamo come sagome nere dai contorni indefiniti. Al buio. Non hai mai capito chi fossi davvero perché se solo avessi avuto una minima idea della persona che sono non mi avresti riservato le stesse carezze, gli stessi sguardi al buio della tua camera,  le stesse parole.  Se solo avessi aperto gli occhi ti saresti risvegliato dal tuo maldestro sogno che definivi realtà, ma che di reale non ha mai assaggiato nulla. E adesso è un po’ come quando il tuo corpo trema, ma non per il freddo. Piove, piove a dirotto e un lampo ha appena squarciato il cielo grigio e si, se te lo stai chiedendo ho contato finché’è non ho sentito il tuono far tremare l’aria come mi hai insegnato tu, per capire quanto sia caduto vicino il lampo. E sai la tempesta sembra piuttosto lontana perché sono arrivata a sette. Ma la nostra di tempesta è proprio qui, davanti a noi.

Non so cosa ci sia di sbagliato in me, probabilmente tutto. Perché alla fine io stessa sono una contraddizione. Incapace di amare, incapace di essere amata, eppure tu c’eri riuscito, avevi visto qualcosa in me che io non riuscivo a vedere, che tutt’ora non riesco a vedere. Ci hai provato Niall, hai lottato fino all’ultimo perché ci credevi davvero in quel Noi. Ci tenevi e mi hai tenuta. Mi hai stretta fra le tue braccia fino a fondere i nostri battiti, e forse, forse è stato in quel momento che ho perso la mia mancanza. Perché nel momento in cui quell’aereo è decollato mi sono chiesta dove stessi andando, dove fossi diretta se la mia home town eri tu.

Sono passati sei mesi, metà di un anno da quando ho rivolto lo sguardo al cielo non perché l’uomo ha il costante istinto di scappare, d’altronde ero già in fuga da un mese ormai. No, io cercavo te.

E mentre sento le gocce di pioggia scorrere lungo la mia schiena, con la felpa appesantita sulle spalle e i capelli appiccicati al volto, mentre un altro fulmine illumina il cielo e si riflette nei tuoi occhi stonando nel blu delle tue iridi, e il medesimo tuono rimbomba nell’aria, ti sto chiedendo di stringermi di nuovo. Stringimi forte come in quel giorno in cui ho tentato di scaraventarti via dalla mia giostra. Insegnami a vedere ciò che non riesco a vedere in me e, a credere in noi. Insegnami ad affrontare la tempesta, perché magari questa volta avrò un po’ meno paura. 

Perché adesso, ho bisogno di restare.




My corner.
Yes, I'm back. E' la mia prima OS perciò spero di ricevere un vostro parere, anche su twitter (@/DaisyYrral).

All the love as always,
Daisy.
  
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