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Autore: Menade Danzante    18/10/2015    3 recensioni
Dal testo: Dentolina si tappò le orecchie con le mani, cercando di soffocare quelle vocine infantili che cominciavano a parlare concitate per poi interrompersi fatalmente e disperatamente sul più bello di un discorso, di un ricordo. Se non le avesse sentite nemmeno iniziare le loro storie, forse sarebbe andato tutto meglio, forse non avrebbe sofferto, forse non si sarebbe sentita spezzata, non avrebbe percepito quei ricordi ridursi in schegge taglienti nella sua mente, nel suo corpo, nel suo cuore. Ma Dentolina non aveva a che fare con la Paura dai Secoli Bui, e aveva dimenticato che a niente sarebbe valso il tentativo di sfuggirle. Aveva dimenticato che la paura era dentro di lei, così come quelle voci strazianti e straziate dalla sofferenza, dal terrore.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dentolina, Pitch
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'eco dell'affronto





Dentolina si tappò le orecchie con le mani, cercando di soffocare quelle vocine infantili che cominciavano a parlare concitate per poi interrompersi fatalmente e disperatamente sul più bello di un discorso, di un ricordo. Se non le avesse sentite nemmeno iniziare le loro storie, forse sarebbe andato tutto meglio, forse non avrebbe sofferto, forse non si sarebbe sentita spezzata, non avrebbe percepito quei ricordi ridursi in schegge taglienti nella sua mente, nel suo corpo, nel suo cuore. Ma Dentolina non aveva a che fare con la Paura dai Secoli Bui, e aveva dimenticato che a niente sarebbe valso il tentativo di sfuggirle. Aveva dimenticato che la paura era dentro di lei, così come quelle voci strazianti e straziate dalla sofferenza, dal terrore.
Dentolina le sentiva tutte, dalla prima all'ultima, dalla più giovane a quella dell'ultimo dente da latte caduto. Tutte quante le gridavano le loro memorie, e la Fata le percepiva come una richiesta di aiuto, un disperato ultimo appiglio al quale aggrapparsi prima di scivolare definitivamente nell'oblio più oscuro e nero come la pece.
«Basta» implorò, non sapendo bene a chi riferirsi in quel momento. Batteva le ali, ma sentiva chiaramente di non riuscire più a sostenere quella doppia fatica di combattere su due fronti due nemici diversi. Da una parte c'era quel coro di bambini che rischiava di scomparire, dall'altra la resistenza dell'aria rarefatta unita alla stanchezza di rimanere in volo.
Non stanno credendo, realizzò d'improvviso nel ricordare che lei non era mai affaticata dal suo volo, mai. Non stavano credendo in lei, non le stavano dando fiducia – e come potevano? Stava permettendo ad orribili filamenti di oscurità di divorare i ricordi più preziosi dei bambini, dei suoi piccoli bambini.
Proruppe in un gemito incontrollato quando un bambino di un'epoca non troppo lontana si interruppe mentre le sussurrava il suo sogno più grande, del quale, Dentolina ne era sicura, non doveva più ricordare molto. E ora non lo ricordava nemmeno lei. La consapevolezza che non avrebbe potuto aiutarlo in nessun modo le strinse lo stomaco in una morsa dolorosa che aveva dimenticato tanto tempo fa.
C'era disperazione in lei, c'era orrore, c'era terrore, la paura di non riuscire a risollevarsi, di non portare felicità ai bambini indifesi e alla mercé di un'ombra folle e spaventosa che invadeva il mondo.
«Basta, per favore» ripeté, la voce rotta da un singulto spontaneo.
Poté sentire, acuto e penetrante, lo squittìo impaurito delle sue fatine rinchiuse nelle gabbie. Tentò di alzare lo sguardo, ma i dentini le impedivano di muoversi, le proibivano di distogliere l'attenzione da loro, come se il solo fatto di starli ad ascoltare fosse loro di conforto.
«Oh, ma guarda chi abbiamo qui!» esclamò una voce maschile compiaciuta.
Con un tonfo lieve, Dentolina si lasciò cadere a terra, terrorizzata. Soltanto quando le ginocchia toccarono il pavimento, con ancora tremendamente attive e squillanti le voci dei piccoli esseri umani nelle orecchie, la Fata guardò su: un'ombra lunga e flessuosa, che si stagliava su una parete grigia, quasi nera, condusse il suo sguardo fino ad incrociare la figura ancor più tetra di Pitch Black in cima ad una scala di pietra.
«Benvenuta nei miei domini, Dentolina» l'accolse l'uomo, guardandola con scherno, un ghigno ad atteggiargli i tratti. «Non aspettavo visite, spero che tu possa perdonare il disordine di quella pila», ed ammiccò alla piramide irregolare di cilindri dorati che giacevano gli uni sugli altri. Quando la Fata si focalizzò di nuovo su di loro, ebbe un fremito nel sentire raddoppiata la potenza di quei ricordi infranti.
«Liberale!»
Sperò di averlo urlato, ma dai lineamenti sempre beffardi di Pitch capì di non esserci riuscita. Era troppo dolente per poter pensare di gridare.
«Povere creature» scandì Pitch, melodrammatico, mentre scendeva la scalinata. «Come ti senti, Fata dei dentini?» chiese poi, un po' meno beffardo.
Dentolina non rispose, né credette che ce ne fosse davvero bisogno: lei, la Fata che mai osava riposare, era prostrata a terra, spezzata nell'anima. Questo doveva essere sufficiente.
«Liberale, Pitch. Libera le fatine. Non senti come soffrono?»
L'Uomo Nero la guardò penetrante. «Io sento la loro paura. E sento la tua»
«Io non ho paura di te!» tentò Dentolina, rialzandosi seppur a fatica. Mentre stringeva i pugni per infondersi forza, vide Pitch dileguarsi in un soffio. Si voltò per seguire eventuali movimenti, barcollando per rimanere in equilibrio.
Fu di nuovo l'ombra a indicarglielo prima di ogni altra cosa. Era sempre più in alto di lei, più inarrivabile, su una sorta di ponte sospeso sulla stanza.
La Fata saltò, imponendosi di trovare la forza per volare. Riuscì ad arrivare a qualche passo da lui quando, di nuovo, rovinò a terra distrutta. Fece solo in tempo a cogliere una folata di vento che le fece capire che l'Uomo si era allontanato un'altra volta.
Era sul punto di dirsi che non sarebbe riuscita a volare più in alto quando lo scenario intorno a sé cambiò: non era più su quel ponte sospeso, ma all'estremità di un corridoio buio, opprimente, impregnato di umidità. Si spostò appena all'indietro, toccando subito una superficie fredda e ruvida alle sue spalle.
«Tu non hai paura di me» annunciò la voce di Pitch che rimbombava nel posto angusto e stretto. «Tu hai paura che, senza di te, i bambini non riusciranno più ad essere felici come prima»
Dentolina sapeva fin dove potessero spingersi i poteri e le sensazioni di Pitch, ma essere testimone delle sue abilità la frastornava e agitava ugualmente.
«Smettila» sibilò, poco convinta, appiattendosi contro il muro, cercando con gli occhi il corpo dell'altro.
«Non ti sembra un po' presuntuoso da parte tua, Dentolina?» chiese Pitch dall'oscurità. Quando alle orecchie della Fata giunse il suo nome, gli occhi cominciarono a vedere il lucore ambrato di quelli dell'avversario. Non erano troppo lontani.
«Cosa?» domandò, sinceramente stupita.
«Credi di essere davvero così importante per i bambini, tu
Finalmente, Pitch si stagliò contro il manto nerissimo dietro di sé, non smettendo di avanzare. Dentolina inspirò a fondo, il significato di quelle parole che non voleva mostrarlesi, interrotto e ovattato dall'eco degli stivali dell'Uomo Nero sul terreno.
«Lo credi?» ripeté di nuovo, a pochi centimetri da lei.
Dentolina ragionò e considerò che la Custode della Memoria dei bambini necessariamente avrebbe portato felicità ai più piccoli. Non solo: lei aveva l'accesso a quella felicità, la proteggeva e l'aveva sempre fatto insieme alle sue compagne perché nessuno osasse distruggerla. Nemmeno – e soprattutto – Pitch.
«Sì» bisbigliò, guadagnandosi un'occhiata stupita. «Ora libera le mie Fate»
«Altrimenti che fai?» provocò Pitch, piegandosi per raggiungere l'altezza di Dentolina.
Mossa sbagliata, pensò la Fata prima di tirare un pugno sulla faccia spigolosa dell'interlocutore. L'aveva fatto con una potenza tale da avere le nocche indolenzite, ma la fitta di dolore non riuscì ad evitarle un sorriso trionfante nel constatare di avergli fatto male.
L'Uomo Nero si portò le dita a massaggiarsi il mento, scoccandole uno sguardo furente.
«Non è saggio sfidarmi in questo modo» sibilò tra i denti, prima di rimettersi in posizione eretta. «Non lo è per niente»
Un frusciare sospetto disfece l'espressione fiera di Dentolina. La Fata prese a guardare alle spalle di Pitch, ma nemmeno se l'avesse prevista sarebbe stata in grado di contrastare quella massa filamentosa di Incubi che la stavano per attaccare. Lanciò un grido all'ultimo momento, cercando per istinto una via di fuga che il posto non poteva offrirle. In un attimo fu completamente circondata da un vortice scuro e fitto che le impediva di vedere oltre. Sentì su di sé la paura più nera che la invadeva, le penetrava la pelle e non la faceva respirare. Per un attimo credette fosse la paura di tutti i bambini del mondo che avevano smesso di credere in lei. Poi capì che quella era solo tutta la sua angoscia più profonda.
Fu proprio la consapevolezza che la fece capitolare alla mercé del vortice oscuro, con l'unico frammento luminoso della stanza impresso nella mente: gli occhi di Pitch.



Si risvegliò all'improvviso nel suo regno, su di un padiglione casuale della struttura. Fremette di colpo, temendo di ritrovarsi vicino Pitch Black o, peggio, uno dei suoi Incubi Purosangue.
Si alzò, tremante ma in parte rassicurata. Si prese qualche secondo per respirare e tornare a pensare lucidamente. Era stata richiamata dalla mole di lavoro da compiere, abbandonando perciò il palazzo di Nord, e forse si era addormentata. Sicuramente era quella la spiegazione a tutto ciò che aveva visto e che risultava incompatibile con la sua attuale posizione.
Si guardò finalmente intorno, e trasalì.
«No!» urlò in preda al panico mentre realizzava di essere sola. Il suo alveare di rumorose fatine non era con lei, non squittiva più, non svolazzava con i dentini e le monete. Nemmeno questi c'erano più. Tutto era vuoto, ad eccezione di lei.
Volò in fretta a lanciare il segnale d'allarme rivolto agli altri Guardiani, poi lasciò che la disperazione la invadesse totalmente.
Guardò all'orizzonte, distinguendo le scie nere degli Incubi di Pitch che ancora erano all'opera, ma lei non poteva fare niente: si sentiva stanca, senza forze e così sola non avrebbe comunque potuto molto.
«Pitch!» strillò rabbiosa, continuando a perlustrare ogni angolino della sua residenza, continuando a risultare sempre più sconfortata dall'assenza che vi regnava.
Gli avrebbe fatto pagare quell'affronto, lo sapeva, lo voleva, se lo ripromise senza esitare. Pitch Black l'avrebbe affrontata prima o poi, anche qualora si fosse trovata completamente senza energie.
Si lasciò sfuggire un gemito di angoscia nel rendersi conto che l'eco dei ricordi dei bambini era svanita dalla sua mente. Ora non chiedevano più aiuto, né le parlavano con le loro solite voci infantili e giocose. Semplicemente, non c'erano. Erano sottoterra, nei domini dell'Uomo Nero, e lei non era riuscita a salvarli, non era stata in grado di riportarli in superficie, e nemmeno di aiutare le sue amiche e compagne.
Sentì la rabbia montarle dentro, in contemporanea alla promessa che, un giorno non molto lontano, Pitch Black avrebbe assaggiato il suo disappunto.

Quando i Guardiani arrivarono, era ancora intenta a cercare briciole di speranza.






FINE





Angolo dell'autrice: Salve a tutti!
Ho voluto riempire quello che a me è sembrato una specie di vuoto nella trama del cartone animato, cioè cos'è successo quando Nord ha portato Jack nel suo ufficio? Ho reso di proposito i momenti descritti più lunghi rispetto ad un reale svolgimento dei fatti per dare l'idea della dimensione del sogno/incubo, che funziona, ovviamente, in modo diverso da quella vera. Mi sono attenuta al confronto tra Pitch e Jack Frost perché quella sequenza era troppo scenica perché non la riprendessi almeno un po'. XD
Questa è la mia prima storia nel fandom! Spero perciò di non aver fatto un disastro con i personaggi che mi premono sempre tantissimo. Mi rimetto a voi!
Ringrazio infinitamente chi vorrà leggere e magari lasciarmi il proprio parere in proposito! Davvero, grazie di cuore!
Un bacio e alla prossima!

Menade Danzante

   
 
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