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Autore: Mitsuko_Ayzawa    20/10/2015    0 recensioni
Erano accadute molte cose, a Beacon Hills, nelle ultime settimane.
Un inizio traballante, e la prima tessera del domino era caduta, trascinando inevitabilmente con sé tutte le altre. E così, un piccolo incidente era diventato una tragedia. Ed essa, a sua volta, era diventata un bagno di sangue.
Tuttavia, tutti avevano commesso lo stesso, identico, sbaglio. Tutti, senza esclusione, si erano concentrati esclusivamente su sé stessi, sui loro piani, sui loro obbiettivi, dimenticandosi del mondo intero intorno a loro.
Ma non per questo, quello aveva cessato di esistere. Non per questo, il mondo del soprannaturale aveva smesso di tenere d’occhio Beacon Hills. Di giudicarla, di agognarla, di ambire a far parte di tutto quello.
E a loro volta, tutti coloro che erano fuori erano stati troppo occupati a guardarsi le spalle, affinché nessuno approfittasse del caos scoppiato per farsi avanti, per agire. Tutti, tranne uno, che aveva visto nella distrazione degli uni e nell’esitazione degli altri la sua occasione.
E quel qualcuno aveva fatto la sua mossa, inevitabilmente, ed altre tessere del domino erano cadute.
(Post season 5A, in cui tutto è andato a puttane, ahem. Qui succederà di tutto. E ci saranno nuovi personaggi. E tanto sangue. Pace.)
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Il branco, Nuovo personaggio, Theo Raeken, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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«What we’re going to do about them?»
«Parrish, Malia and Lydia are investigating. They’ll call me back as soon as they have found something». […]
«I’m here to make a deal, mister Raeken».
«A deal, what kind of deal?» […]
«I would like you to let me use Beacon Hills as… hunting territory». […]
«Are you really sure you want to know the truth?»
«I am».


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Episode 4
Past’s ghosts





Parrish, Clarke e Lydia avevano occupato temporaneamente l’ufficio dello sceriffo Stilinski, e da lì stavano conducendo le ricerche per fare un elenco di qualunque forestiero fosse arrivato a Beacon Hills nell’ultima settimana. Avevano inoltre emesso un mandato di cattura per Theo Raeken. Clarke non avrebbe rinunciato alla sorella tanto facilmente, e si sarebbe impegnata anima e corpo per riaverla con sé, soprattutto ora che sapeva in cosa la ragazza si era involontariamente cacciata.
Uno degli agenti incaricati di incrociare i dati bussò alla porta ed entrò. Parrish alzò lo sguardo dal foglio che stava leggendo.
«Abbiamo dei nomi?» chiese.
«Abbiamo una possibile pista» gli porse un piccolo fascicolo «Ci sono solo due persone che corrispondono alla descrizione. Jude e Skye Norton, fratello e sorella, giovani, arrivati ieri in mattinata. Hanno preso una stanza al B&B, quello con i cipressi davanti in via Harvey Milk».
«L’ho presente» disse Clarke, interrompendo quello che stava facendo «Una volta vivevo in fondo alla via e ci passavo davanti tutti i giorni».
Parrish intanto stava scorrendo con gli occhi il fascicolo, ponendo la sua attenzione alle fotografie dei documenti. Lui aveva capelli ricci e pelle olivastra, mentre lei sembrava che venisse dalla Germania. Capelli e occhi chiarissimi, labbra carnose. “Non si assomigliano molto, per essere fratello e sorella” pensò. Lydia si sporse da dietro la sua spalla, osservando la foto.
«È lui?» chiese Parrish.
«Credo di sì» annuì la ragazza «Mi ricordo il colore degli occhi e il taglio di capelli».
«Allora pare che abbiamo trovato le nostre maschere».
«E quindi che si fa?» chiede Clarke, incrociando le braccia sul petto «Arrestarli?»
«Non possiamo» fece notare Parrish «Qualcosa mi fa pensare che siano furbi abbastanza da non aver lasciato prove».
«Ma io l’ho visto» disse Lydia.
«Aveva una maschera a coprirgli il volto, e hai incontrato solo uno dei due» il giovane scosse la testa «Penso che il massimo che possiamo fare è cercarli per porre loro qualche domanda» la banshee si alzò in piedi, afferrando il cappotto dall’appendiabiti.
«Allora faremo meglio ad affrettarci».


Malia era tornata a scuola, dopo essere stata alla clinica, per riprendere le ricerche. Così, come quella notte, non aveva trovato nulla, quasi come se la ragazza fosse stata un ombra, e come tale fosse scomparsa.
Aveva pensato di cercare l’altro ragazzo, ma non sapeva da dove iniziare, e soprattutto non sapeva come arrivare al nemeton. Era rimasta nel cortile della scuola per qualche minuto, decidendo sul da farsi.
“Pensa, Malia, pensa” la ragazza si mordicchiava l’unghia delle dita nervosamente, cercando di ragionare “Cosa farebbe Stiles per trovare qualcosa?”
Stufa di cercare a vuoto, aveva deciso di andare via.
Aveva vagato per Beacon Hills quasi tutto il giorno. Un po’ sperando in un colpo di fortuna che le facesse trovare i due ragazzi, un po’ sperando di trovare Theo per tirargli un pungo nella sua bella faccia del cazzo.
Il pranzo lo passò con Stiles perché, se lo conosceva abbastanza bene, sapeva che a lui non sarebbe mai venuto in mente di pranzare fino a che avesse avuto tutti i pensieri focalizzati su suo padre, o su Theo.
Pensavano tutti a Theo, ma non erano bei pensieri. Più che altro riguardavano a come lo avrebbero picchiato se l’avessero avuto davanti.
Malia aveva comprato qualche schifezza in un take away, e una bottiglia di coca cola, e le aveva portate in ospedale da Stiles. Avevano mangiato nel cortile, passandosi la bottiglia e cercando di distrarsi. Malia raccontò dell’assenza di progressi sui due ragazzi-ombra. Raccontò che nel pomeriggio sarebbe andata a vedere se l’officina aveva trovato qualche pezzo di ricambio per la jeep di Stiles, e lui le sorrise grato.
Parlarono del più e del meno, ma erano discorsi vuoti. Entrambi si chiedevano come sarebbe stato ritornare ad una vita normale, dopo tutto quello.
Finito il pasto Malia salutò Stiles per riprendere la sua ricerca.
Era tornata a scuola subito dopo l’officina, ed aveva trovato un messaggio scritto con la vernice rosso sangue. Stava quasi per chiamare Scott, quando aveva visto due moto parcheggiare lì vicino e i due guidatori smontare senza togliere il casco. Vide i due ragazzi gesticolare appena, indicando la parete. Erano un ragazzo e una ragazza. Lui vestiva come un adolescente normale, se non fosse stato per il casco, ma lei vestiva interamente di nero.
Cercò di acutire al massimo il suo udito, ma non riuscì a sentire che poche parole sconnesse tra loro. I due erano rimasti lì per un po’, dando a Malia la possibilità di segnarsi le targhe delle vetture e sentirne l’odore di cuoio del sellino e la puzza pungente del carburante.
Ora, dovunque fossero andati, Malia sarebbe stata dietro di loro, ed è quello che fece per il resto della giornata, dando fondo a tutte le sue forze.
Li aveva pedinati per un bel pezzo, fino a che non avevano fatto ritorno ad un B&B, e la ragazza aveva potuto vederli in volto. Lui, un ragazzo sulla ventina, aveva lineamenti marcati ma affascinanti, e lei aveva un che di familiare, che Malia non seppe spiegarsi.
Era rimasta in attesa per un po’, e tempo qualche ora i due erano usciti di nuovo. E in tenuta da battaglia.
I due avevano guidato verso la parte più esterna della città, e avevano accostato poco distante dal magazzino di una ditta di vernici, un seminterrato affiancato ad un declivio. Malia li aveva scrutati da dietro un angolo, mentre i due si cambiavano i caschi da moto con le maschere nere. Avevano perlustrato tutta la zona, e si erano arrampicati al di sopra del magazzino, così da godere di una posizione sopraelevata da cui controllare la zona.
Malia era rimasta sorpresa quando, nemmeno pochi minuti dopo, Scott McCall e Liam Dumbar erano entrati nel magazzino.


I due ragazzi entrarono nella loro stanza, senza dire una parola. Jude si diresse verso la parete opposta, appoggiando le mani contro il muro e prendendo qualche respiro profondo. Skye rimase immobile, dietro di lui, in attesa fino a che lui si voltò di scatto verso di lei.
«È stata una mossa azzardata, la tua» le puntò il dito contro «Hai rischiato di farci ammazzare».
«Se non fossi intervenuta li avrebbero ammazzati, non potevo non intervenire» il ragazzo fece un sospiro profondo, passandosi una mano sul volto.
«Skye, è stato pericoloso».
«Ma ce l’abbiamo fatta» la ragazza aprì le braccia come se cercasse di giustificarsi.
«Per miracolo!» sbottò il ragazzo, facendo sobbalzare la compagna «Ci è mancato tanto così che ti facessero secca. Un kanima, capisci! Non è qualcosa che puoi affrontare alla leggera».
«Io non sono qualcosa da affrontare alla leggera» il tono di voce della ragazza era gelido. Gli voltò le spalle, per riporre le sue cose su una sedia. Jude la scrutò con occhi critici.
«Skye, la maglia» disse. La ragazza si girò di scatto.
«Cosa?»
«La maglia, toglitela» ordinò il ragazzo. Skye strinse i denti, mentre si sfilava prima la giacca in pelle, e poi la maglia. La pelle era costellata da lividi. Jude socchiuse gli occhi con un sospiro, afflosciando le spalle.
«Soddisfatto?»
«Skye» il tono di voce di Jude era cambiato, e se prima era arrabbiato, ora era preoccupato «devi stare più attenta, non puoi continuare a gettarti nella mischia senza pensare».
«So quali sono i miei limiti, i lividi guariranno».
«E quando non si tratterà più solo di lividi?» domandò lui «Non voglio che nella tua avventatezza ti faccia male. Non voglio che Deborah abbia ragione e arriveremo ad un certo punto in cui tu non sarai più in grado di salvare te stessa. Siamo qui per aiutare, ma se ci facciamo ammazzare non servirà a niente».
Skye non riuscì a sostenere lo sguardo, e fu costretta ad abbassarlo.
«Scusami, hai ragione» fece un sorrisetto «Come al solito».
Jude rise a sua volta.


Tyson Lewis aveva passato la serata da un amico, insieme ad altri ragazzi. Era stato più un party, che una semplice rimpatriata della comitiva e aveva bevuto qualche bicchiere, ma nulla di che. Reggeva l’alcool piuttosto bene, per avere solo quindici anni. Forse era anche il merito della sua seconda natura.
Il giovane lupo mannaro percorreva le poche vie di distanza da casa del suo amico alla propria in bicicletta. Il vento freddo serale gli scorreva addosso e ciocche ribelli di capelli gli frustavano la fronte. Gli piaceva andare in bici, era la cosa più simile al volare che un essere umano potesse provare, a suo parere.
Non c’era nessuno per le strade a quell’ora, e Tyson aveva deciso di pedalare sull’asfalto della strada a tutta velocità. Nessuno poteva vederlo, e poteva spingere sui pedali con tutta la forza soprannaturale di cui disponeva. E anche se qualcuno fosse ancora in giro a quell’ora della notte, grazie all’udito e all’olfatto super sviluppati ne avrebbe percepito per tempo l’arrivo. Non correva alcun pericolo.
Poi un auto nera, silenziosa come una pantera, sbucò da una via laterale, inchiodando in mezzo alla strada.
Tyson imprecò, stringendo i freni della bici. Il mezzo sgommò sull’asfalto e il ragazzo si schiantò sul cofano della macchina, volando dall’altra parte e rotolando diverse volte prima di fermarsi, dolorante, la schiena premuta contro la strada. 
La testa gli pulsava dolorosamente, ma nonostante questo riuscì a sentire il tonfo sordo di una portiera che prima si apriva, e poi si chiudeva. L’unica cosa che il ragazzo riusciva a mettere a fuoco era la luce di un lampione che si stagliava contro l’oscurità della notte. Il volto di un uomo entrò del suo campo visivo.
«Giovanotto, va tutto bene?» chiese con un accento un po’ strano. Il ragazzo annuì.
«Credo di sì» l’uomo si inginocchiò al suo fianco, aiutandolo a mettersi a sedere.
«Ti senti nulla di rotto? Ti gira la testa?» “Anche se mi fossi rotto qualcosa, a quest’ora sarei già guarito”, ma questo, il ragazzo non poteva dirlo.
«Non si preoccupi, sto bene» fece per rialzarsi in piedi, ma l’uomo lo prese con delicata fermezza per il gomito.
«Insisto per accompagnarti all’ospedale. Potresti avere una commozione celebrale e non saperlo» Tyson era consapevole di non avere molte scelte, aveva comunque una facciata da “normale ragazzo umano” da mantenere, qualunque cosa succedesse, e accettò di essere accompagnato al pronto soccorso.
L’uomo lo scortò fino alla macchina, aprendo la portiera nera come la notte e richiudendogliela dietro.


Il giorno dopo erano tornati a scuola quasi tutti. Stiles era ancora chiuso in isolamento forzato. Ogni sera Melissa doveva quasi buttarlo fuori dal reparto a calci, per farlo andare a casa sua. Malia dormiva da lui, la notte, e il giorno dopo lo accompagnava in ospedale prima di andare a scuola. Lydia stava aiutando Clarke a cercare Hayden, ma poteva permetterselo di saltare le lezioni.
Parrish, in centrale, aveva invece dovuto affrontare un altro problema, quando invece avrebbe voluto andare a parlare con i due Norton. Era proprio in procinto di uscire, quando uno degli agenti gli aveva portato sulla scrivania due denunce di scomparsa. Due ragazzini erano svaniti nel nulla il giorno prima, Emily Carr, tredici anni, nel primo pomeriggio e Tyson Lewis, quindici anni, in tarda serata. Parrish si era rimboccato le maniche, e aveva cercato una qualche pista che li collegasse a Theo o ai Dread Doctors.
Scott e Liam, ancora malconci da quella notte, si erano sorbiti una crisi isterica di Mason, a cui era venuto un mezzo infarto, e il terzo grado di Malia.
Sorprendentemente, quella mattina le cose erano andate abbastanza lisce. I quattro ragazzi avevano avuto la possibilità di pensare ad altro, per qualche ora, di dimenticare i guai. Avevano cercato di dimenticare, di non pensare all’incombente pericolo costituito da Theo, di essere ancora una volta, sperando che non fosse l’ultima, ragazzi normali.
Le ore erano passare, scivolando via come acqua, ognuno immerso nelle proprie lezioni. Se solo avessero saputo che non avrebbero avuto bisogno di avere paura, di essere segretamente in ansia, non quella volta. Se solo avessero saputo che un’ombra vestita di nero vegliava sempre su di loro. Theo non avrebbe perso occasione per attaccare, non ora che sapeva che Scott era vivo, non ora che sapeva che qualcuno lo stava proteggendo. Avrebbe caricato a testa bassa come un toro alla prima occasione.
Ma il branco aveva un buon cane da guardia, che prese il toro per le corna.
Quando alcuni degli uomini di Theo Raeken, di quelli fornitigli dall’anonimo, entrarono in quella che Skye aveva definito “area di sicurezza”, lei era pronta a fornire loro un caloroso benvenuto. Era piombata loro addosso come un falco sulla preda. Ma Scott McCall se ne era accorto.


I ragazzi si erano incrociati per i corridoi, e si erano fermati a parlare. Liam e Mason stavano uscendo dall’aula di letteratura, Scott da quella di matematica, e Mason era curioso di sapere se Scott avesse ricevuto qualche novità. Ma il cellulare del ragazzo rimaneva silenzioso, tranne per qualche laconico sms di Stiles, che lo aggiornava ogni tre ore sulle condizioni del padre. Era stato Scott a chiedergli di farlo.
Era stato in quel momento che i due lupi mannari lo avevano sentito. Il sottile ma penetrante odore del sangue.
«Scott, lo senti?» domandò Liam, mentre sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, come se il richiamo della furia del sangue lo stesse rendendo iper sensibile agli stimoli.
«Sì» l’alfa digrignò i denti «Mason, corri a cercare Malia, resta con lei. Liam, andiamo a vedere».
I tre iniziarono a correre in due direzioni diverse, e in un secondo i due licantropi erano in cortile. Si fecero strada tra gli studenti, correndo intorno all’edificio, dirigendosi attraverso il campo di lacrosse. 
E mentre loro correvano verso di esso, gli studenti correvano via da lì.
Controcorrente, si fecero largo. Corsero verso il campo, passando dal varco sotto le gradinate. Fortunatamente Scott aveva i riflessi veloci, e riuscì ad afferrare Liam per il colletto della maglia e fermarlo. Se non l’avesse fatto, il corpo di un uomo che in quel momento volava giù dalle gradinate gli sarebbe atterrato sul collo. I due alzarono lo sguardo.
Contro la luce del sole si stagliava una figura in nero. La maschera.
Un altro uomo giaceva poco distante, pressandosi una mano sull’addome. La ragazza ne stava affrontando un terzo, ma non sembrava avere difficoltà, ma nel momento in cui si reso conto della presenza di Scott e Liam, prese la rincorsa e saltò. Atterrò mollemente sull’erba a un paio di metri dai ragazzi, e iniziò a correre senza voltarsi. L’uomo sulle gradinate ringhiò.
«Liam, prendila!» urlò Scott, spingendo via il ragazzo.
Liam non se lo fece ripetere, voltando le spalle e lanciandosi all’inseguimento, mentre alle sue spalle l’alfa si occupava dell’ultimo uomo rimasto. La figura nera era ancora nel capo visivo del giovane beta, che iniziò a correre più velocemente di quanto avesse mai fatto, spingendo le sue gambe fino quasi al limite di rottura, ma la ragazza era dannatamente veloce. Liam aveva però una cosa dalla sua parte, la conoscenza di quel posto bene come le sue tasche, e questo gli permise di restare al passo.
Liam e la ragazza si ritrovarono sulla scalinata davanti al cortile. Lei iniziò a scendere i gradini di corsa e Liam, invece, sfruttando la velocità acquisita, saltò. Si schiantò contro la ragazza e i due rotolarono giù per i gradini restanti.
La figura si lasciò scappare un gemito di sorpresa, ovattato dal cuoio, prima di tentare di rialzarsi in piedi. Liam l'afferrò per una caviglia, tirandola a sé e cercando di strapparle via la maschera, ma la ragazza gli diede una gomitata all’altezza dello sterno. Provò allora ad alzarsi in piedi nuovamente, ma Liam non aveva mollato la presa, nonostante la fitta dolorosa, e la maschera in cuoio gli rimase in mano.
La ragazza si voltò e Liam poté guardarla in faccia.
I corti capelli biondi incorniciavano un volto dalla pelle chiara come porcellana, paio di occhi azzurro ghiaccio, e labbra a forma di cuore. Il labbro superiore era appena più carnoso di quello inferiore, e sporgeva leggermente in avanti.
A Liam si ghiacciò il sangue nelle vene.
Aveva già visto un volto simile a quello. Lo vedeva tutti i giorni, riflesso nello specchio. Ma un volto identico a quello, pensava che non lo avrebbe mai più rivisto. Boccheggiò.
«Abigail?» la voce gli tremava. 
Un’ ombra passò nel suo sguardo, mentre lei stringeva i denti.
«Io non sono più lei da molto tempo, ormai» disse gelidamente «Il mio nome ora è Skye».
“Skye”. Quel nome rimbalzò per la testa del ragazzo, riaprendo porte che pensava di aver chiuso per sempre. Riaccendendo ricordi che il ragazzo aveva preferito dimenticare, ma non perché erano dolorosi, anzi, il contrario. Erano proprio i ricordi felici che gli facevano più male.
«Pensavo fossi morta» la voce di Liam si spense, sopprimendo parole che avrebbe voluto dire. Perché, se eri viva, non sei tornata a casa? Perché mi hai lasciato da solo? Perché mi hai lasciato credere che la mia stessa sorella fosse morta?
Queste domande premevano sul palato e sulla lingua del licantropo, ma senza trovare la forza di uscire. Poi Skye fece un’espressione che Liam non avrebbe mai dimenticato. Come se fosse stata colpita in pieno stomaco da un pugno, l’aria venne risucchiata dai polmoni della ragazza. Si piegò lievemente in avanti per riprendere il controllo di sé.
«Se fossi morta,» Skye lo guardò dritto negli occhi «probabilmente sarebbe stato meglio».
Si mosse velocemente, facendo scattare il braccio verso la sua maschera, riprendendosela. Poi rivolse un ultimo sguardo, un ultimo cenno all’indirizzo del fratello, prima di correre via, lasciando il ragazzo seduto sul cemento, cercando di rimettere insieme i pezzi infranti del suo cuore, per la seconda volta in un paio di giorni.
Liam respirava, ma ogni respiro gli sembrava vuoto, come se al posto dei polmoni avesse una voragine, ogni respiro era una fitta al cuore. Le mani fredde giacevano abbandonate, e il cervello cercava in tutti i modi di trovare una risposta all’ennesimo quesito.
Cosa era successo sette anni prima? Cosa era successo quando i suoi genitori erano morti e sua sorella era scomparsa? Perché lei lo aveva lasciato solo per tutti quegli anni?
«Liam!» il ragazzo alzò lo sguardo, mentre vedeva Scott fiondarsi al suo fianco «Liam, va tutto bene?» il ragazzo boccheggiò nuovamente.
«Io… non lo so, Scott».
«Liam, l’hai vista? Hai visto chi c’è sotto la maschera?»
Il giovane beta lo guardò, gli occhi chiari spalancati, mentre annuiva lentamente.
«Sai di chi si tratta?» chiese nuovamente il ragazzo. 
«È mia sorella. Dietro la maschera c’è mia sorella».


-Sette anni prima-
Quando Liam era stato riaccompagnato a casa, l’intera villetta era circondata dal nastro giallo della polizia. C’erano agenti ovunque, e medici, e fotografi e giornalisti.
Il ragazzino non riusciva a capire cosa stesse succedendo, si sentiva confuso, spaesato. Voleva sapere dove erano i suoi genitori, voleva vedere sua sorella. E invece nessuno di loro era venuto a cercarlo.
«Liam» il bambino alzò lo sguardo, mentre una giovane donna in uniforme di inginocchiava per abbassarsi alla sua altezza «Sei Liam, vero?»
Lui annuì.
«Cosa sta succedendo? Dove sono mamma e papà? E mia sorella?» chiese con voce flebile.
«Ascoltami molto attentamente, ok?» la donna sorrise incoraggiante «Adesso ti portiamo in un posto tranquillo, senza tutta questa gente, va bene? Poi ti prometto che ti spiegheremo tutto».
Liam aveva imparato una cosa, nella sua breve vita. Aveva capito che quando gli adulti dovevano spiegarti qualcosa, raramente si trattava di belle notizie. Iniziò ad avere paura.
«È successo qualcosa di brutto?» la donna fece un sorriso tirato, falso.
«Non sappiamo cosa sia successo, dobbiamo ancora cercare di scoprire tutto».
«Ma è una cosa brutta?» chiese nuovamente il bambino. La donna fece un sospiro, passandosi una mano sulla fronte e massaggiandosi le tempie.
«Mi dispiace dirtelo Liam, ma sì, è una cosa brutta. I tuoi genitori sono... probabilmente è stata qualche persona cattiva» Liam non poteva saperlo, ma quella donna si stava ponendo la stessa domanda da molti minuti. Come fai a spiegare ad un bambino che a malapena ha dieci anni, che i suoi genitori erano stati fatti a pezzi come carne da macello? Non potevi, ecco. Potevi solo mentire, sperando che quello che era successo non uscisse mai da quella casa, o dalla centrale di polizia.
«E Abigail?» chiese il bambino «Era a casa stasera. Dove è?»
« Tua sorella… non era in casa quando siamo arrivati. Non sappiamo dove sia, o cosa le sia successo».
Fu così che Liam apprese di essere solo al mondo.
   
 
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