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Autore: ValorosaViperaGentile    23/10/2015    6 recensioni
{One-sided!Onigumo/Kikyō}
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Fingeva di non capire cosa lui bramasse, di non accorgersi della maniera in cui la osservava.
Eppure, Onigumo, reso muto dalla fiamme, ogni giorno le confessava tutto, con l'unico occhio che gli restava – quel suo occhio plumbeo, che era loquace quanto e più di mille parole. Che gridava a pieni polmoni, urlava di come volesse di rubarle la purezza, possederne la forza. Bocca deforme, da cui uscivano solamente frasi nere e rosse.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kikyo, Onigumo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Più di mille parole
 
 
 
 
 


Bella.

Era così bella.

Poteva vederlo bene, anche se gli era rimasto un occhio solo – lo roteava vorticosamente, facendolo schizzare da una parte all'altra dell'orbita, smanioso, incapace di perdere anche un solo frammento di quella sua bellezza.

La sacerdotessa, Kikyō, era anche gentile e compassionevole.

A Onigumo piaceva, perché sognava di riuscire corromperla, sporcarla di seme e malvagità, mentre lei lo nutriva con le sue piccole mani bianche, dalle dita sottili, delicate come fiori di ciliegio[1].

Era splendida, e possedeva un grande potere.

Miracolava gli infermi e poteva abbattere i nemici più forti con una sola freccia, così dicevano i racconti della gente.

Ma, sopra ogni cosa, era lei che possedeva la Sfera dei Quattro Spiriti, mistico gioiello, bramato da ogni uomo e demone.

Avrebbe dovuto sedere sul trono dell'imperatrice[2], Kikyō, bella e potente come era, vestita di sete luminose, coperta di fiori e d'oro[3], invece di coprirsi il corpo con l'hakama rosso e la tunica bianca[4] – e lui, Onigumo, avrebbe dovuto sederle accanto, al suo fianco, unici e veri padroni dell'universo intero.

Kikyō però era anche una povera stolta, aveva compreso, mentre veniva consumato ancora dal fuoco – quello del desiderio. Troppo stupida, si ripeteva, quando le fissava a lungo i capelli, le labbra e l'incavo perfetto del collo, sognando di affondare lì i denti, di sentirla godere, più femmina fatta di carne pulsante che eterea sacerdotessa, tutta spirito.

Lei fingeva di non capire cosa lui bramasse, fingeva di non accorgersi della maniera in cui l'osservava. Si limitava a prendersi cura di un disgraziato, di un brigante storpio, senza badare alla sua malvagia cupidigia, con tranquillo sguardo castano – eppure Onigumo, reso muto dalla fiamme, ogni giorno le confessava tutto, con l'unico occhio che gli restava.

Quel suo occhio plumbeo, che era loquace quanto e più di mille parole. Che gridava a pieni polmoni, urlava di come volesse rubarle la purezza, possederne la forza. Bocca deforme, da cui uscivano solamente frasi nere e rosse[5] – sì, Onigumo voleva per sé la Sfera e la sua guardiana, sopra ogni altra cosa.

Le avrebbe strappato il chihaya[6] di dosso, e poi si sarebbe preso anche il tesoro che lei custodiva, se solo avesse potuto. Ma col corpo inutile che si ritrovava, ormai non riusciva più far niente: era carne putrida, buona solo per nutrire vermi.

Prese perciò a mugugnare pensieri sempre più disumani, nell'oscurità della sua mente, giorno dopo giorno. Sino alla fine. E nel mentre roteava convulso l'occhio, anche quando Kikyō ormai non c'era più, perché l'attesa lo divorava; aspettare che lei tornasse e splendesse nella penombra della caverna dove stava marcendo – alla stessa maniera in cui la luna rischiarava il cielo notturno, come meravigliosamente doveva risplendere la Sfera – era una vera tortura, era sentirsi assaggiare, pezzo dopo pezzo, da un esercito di mostruose creature, affamate di anime rancide, con lunghe zanne e fameliche fessure brillanti al posto degli occhi[7].

Così, al termine della sua vita da mortale, durante il tramonto più rosso che si potesse immaginare, col suo ultimo sguardo, Onigumo seguì Kikyō, di ritorno al tempio.

Fissò la sua schiena, i capelli scuri legati dal nastro bianco. Non la lasciò nemmeno un istante da sola, accompagnandola sino a quando scomparve alla vista, andata via, oltre la misera porzione di mondo che troppo a lungo gli era stata concessa.

Solo allora l'occhio suggellò una silenziosa, finale promessa. Prima che gli esseri che ormai lo accerchiavano si avventassero su di lui, per il sublime banchetto – il più crudele ed inestinguibile fra tutti i saluti fu quello di Onigumo, alla fanciulla brutalmente amata.

Che a breve sarebbe stata sua, per l'eternità.

 



Note:

[1] Di solito rappresentati in rosa, in realtà sono pure bianchi.

[2] Nonostante si tratti di un'opera fantasy, è rimasta una forte base storica, tant'è vero che più volte si ribadisce che il tutto si svolge durante l'epoca Sengoku e sono presenti le varie categorie sociali presenti al tempo. Purtroppo l'epoca in questione è molto ampia, circa due secoli, e quindi non è possibile stabilire una datazione precisa. Nonostante questo, anche se non ricordo che si sia parlato della coppia imperiale, dubito che, dato l'impianto della serie, non vi fosse un imperatore, probabilmente uno di quelli realmente esistiti durante quei centoventisette anni.

[3] Mi riferisco non solo ai fiori veri e propri ed ai gioielli, ma anche alle decorazioni floreali ed ai ricami dorati che spesso impreziosivano i kimono.

[4] Elementi che compongono il chihaya.

[5] Il nero è nella cultura nipponica associato a tutto quanto è oscuro, come la morte, il mistero, la malvagità. Il rosso, fra gli altri significati, simboleggia il desiderio, la passione sessuale.

[6] Il tradizionale costume delle miko.

[7] Quelle che, a breve, lo divoreranno, col suo permesso.

   
 
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