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Autore: Spiritromba    25/10/2015    1 recensioni
Il piccolo Ivan non sa cosa lo faccia correre ogni singolo giorno su quell'albero, ad osservare l'albino dietro al muro di mattoni volteggiare come una farfalla sul ghiaccio di una pista nascosta. Ma non sara' cosi' facile avvicinarsi a lui come sembra...
"Quasi non si accorse del legno che scricchiolava intimandogli di fermarsi,[...] L’ultima cosa che vide prima di svenire furono gli occhi vermigli di quel ragazzo che lo osservava stupefatto.
Sorrise."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ausrutschen auf Eis
 

    Il nido di uccellini appena nati si trovava giusto qualche ramo piu’ in alto: le bestiole stavano li’, a bocca aperta, quasi ad assaporare il gusto di una vita che, ahime’, non avrebbe riservato loro nient’altro che pochi anni in cui volare nei cieli gonfi di pioggia e neve ogni singola mattinata. 

Fortunatamente, l’albero non era poi cosi’ alto, anzi, lo era piu’ del muro nerastro a lui vicino, in modo da poter vedere dalla sommita’ che cosa celasse cosi’ prepotentemente. Ancora molte foglie restavano salde attaccate alla loro arborea sede, non l’avrebbe visto nessuno. Percio’, facendo scricchiolare la suola degli stivaletti contro la ghiaia marezzata di brina, Ivan si isso’ sul primo, secondo, terzo ramo del latifoglie ben attento a non cadere ad ogni singolo passo. 

Ormai il nido era piuttosto vicino, ce l’avrebbe fatta di sicuro. D’un tratto, pero’, si volto’ di colpo verso l’estremita’ del muro. Non nascondeva qualcosa. No, qualcuno. Perche’ li’ dentro, a volteggiare su una piccola e deserta pista di pattinaggio, c’era un ragazzo. Dai movimenti cosi’ perfetti da non sembrare reali. 

A Ivan sembro’ che il cuore gli stesse uscendo dal petto.

*

Ogni giorno, ormai, correva verso quell’albero per arrampicarsi ed osservalo fino a sera. Non appena il suono della campanella esplodeva con irruenza nei lunghi corridoi, si alzava di fretta dal piccolo banco e si precipitava a vedere quello spettacolo, la sciarpa candida al suo seguito quasi a formare un’illusoria scia bianca. Anche il ragazzo non mancava mai, quasi se, inconsciamente, i due si fossero scambiati un corto, lampante messaggio che li avvicinava ogni singolo giorno. 

Ivan si meravigliava ogni volta della grazia indicibile che dimostrava l’altro in quei movimenti, del modo in cui i capelli del color della neve vaporeggiassero attorno al capo, o di quello in cui gli occhi scarlatti contrastassero con l’azzurro circostante. Provava

sempre una bizzarra senzazione, un ardore che si manifestava contemporaneamente in ventre e petto alla sua vista. Assomigliava quasi all’invidia, forse, ma lui non bramava quelle mosse per se’, era qualcos’altro. Ma non gli importava piu’ della tosse, della febbre e delle lamentele di sua madre quando tornava dai suoi ‘appuntamenti’.

*

“Basta, Ivan. D’ora in poi in giro da solo non ci vai piu’.” sua madre sbatte’ con violenza la porta a enfatizzare la forza delle sue parole. Poi, in risposta alla sua espressione stupita, continuo’: “Sono quattro mesi che sei in questo stato, studi molto meno di prima e torni a casa completamente imbambolato. Be’, d’ora in poi ti verro’ a prendere io stessa; con il lavoro trovero’ un compromesso, basta solo che questa situazione finisca.” 

Il bambino senti’ come se qualcuno gli avesse tirato di colpo un forte pugno nello stomaco. Niente piu’ appuntamenti su quell’albero. Niente piu’ di quel ragazzo bellissimo e leggiadro. Niente piu’ strane sensazioni e battito cardiaco accelerato. 

“No, mamma, per favore...” mormoro’, pur sapendo che le decisioni di sua madre sarebbero comunque rimaste tali. 

*

Era passato quasi un anno dal fatidico giorno in cui non aveva piu’ visto l’albino misterioso pattinare solitario oltre il muro di mattoni. Finalmente, era riuscito a convincere sua madre che non si sarebbe piu’ ammalato inspiegabilmente, e la donna, di fronte a quell’espressione cosi’ nostalgica, aveva accettato. 

Correva piu’ forte che potesse, come se, se non l’avesse raggiunto in tempo, il ragazzino se ne sarebbe andato. In preda a quella spasmodica felicita’ quasi non sentiva i polmoni in fiamme e gli indumenti a ogni caduta piu’ freddi. 

Sali’ in un lampo sull’albero, il cuore che gridava di non fermarsi per la stanchezza, non fino a quando non l’avrebbe rivisto. E poi arrivo’ in cima, quasi gridando di felicita’ nel vedere la figura scivolare come suo solito sul ghiaccio solido e perpetuo. 

Quasi non si accorse del legno che scricchiolava intimandogli di fermarsi, troppo occupato nei suoi pensieri, o del ramo che cigolava di suppliche per farlo scendere. Senti’ solo un crack improvviso, poi il muro di mattoni scuri farsi sempre piu’ alto e infine la neve, gelata e improvvisa che attutiva di poco la sua caduta imminente. L’ultima cosa che vide prima di svenire furono gli occhi vermigli di quel ragazzo che lo osservava stupefatto. 

Sorrise.

*

Niente di grave, dicevano i medici. Solo una brutta storta alla caviglia e una frattura parziale della tibia. Solo un gesso rimaneva a ricordare quell’avvenimento, ma sua madre era preoccupatissima. Passava moltissimo tempo a riferirgli quanto terrore aveva provato a vedere il suo bambino inerme, con la neve che pareva un bianco sudario funebre. In ogni modo, dopo un paio di settimane in ospedale lo dimessero con due stampelle e un’infinita’ di garze che ricopriva piede e mezza gamba destra.

Era Ottobre. Non c’era bisogno di un calendario per dimostrarlo, bastavano solo le nubi piu’ scure e piu’ gonfie del solito e una brezza invernale pungente. Ivan camminava goffamente con quella roba, ma a un tratto senti’ una voce con una punta di arroganza chiamarlo. Si volto’: era il ragazzo che aveva causato tutto quel che era successo. Il ragazzo per cui, ancora, provava quella dolce sensazione per lui priva di nome. 

“Tu sei il ragazzino che e’ caduto da quell’albero circa due settimane fa?” chiese con un tono che non era affatto di presa in giro. “Si’, perche’...?” mormoro’ flebilmente, con il viso ogni minuto piu’ caldo e rosso di vergogna. L’altro sorrise: “Vieni, devo farti vedere una cosa!” e senza preoccuparsi del suo povero gesso lo trascino’ rapidamente sul retro del fatidico muro. Non appena apri’ il massiccio cancello che nascondeva il suo regno di ghiaccio, il ragazzo gli afferro’ il braccio conducendolo all’interno. 

“Ti va di imparare a pattinare con me?” chiese. “Ma...” sussurro’ 

Ivan guardandosi la gamba destra. “Sta’ tranquillo, il Magnifico Me non ti molla mica!” 

*

Li’ dentro tutto pareva un sogno: le ore si congelavano sui loro passi, l’esterno veniva rinchiuso fuori, era ancora piu’ bello di osservarlo dall’alto. 

Gilbert (cosi’ si chiamava il ragazzo) lo teneva saldamente nonostante la corporatura a dir poco gracile e meno robusta di quella di Ivan, che qualcosa cominciva anche a imparare. Solo quando l’orologio scocco’ le otto e mezza di sera il russo si sveglio’ da quella fredda favola. “Ma e’ tardissimo!” strillo’ non appena si accorse di essere rimasto li’ per piu’ di tre ore. Fece per andare verso il cancello, quando scivolo’ dolorosamente sulle lastre grigiazzurre. Con un breve, ma dolce strattone Gilbert lo mise in piedi, scoccandogli un fresco bacio sulla guancia destra. “Ehi, se vuoi puoi tornare anche domani, il Magnifico Me ti aspetta qui!” esclamo’, facendolo sussultare. “Ich liebe dich, mein ‎Shlittschuhläufer*”.

 

*’Ti amo, mio pattinatore’ in tedesco.

  
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