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Autore: _grey    27/10/2015    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/The_Giver_(romanzo)]
Frank, accoglitore di memorie della Comunità, conosce e rimane folgorato da Zero, apparentemente un adulto qualsiasi che nasconde però dentro di sé una caratteristica che tutti gli altri non hanno: la curiosità. L'istinto di seguire le ferree regole imposte si scontrerà con la voglia sempre più travolgente di seguire ciò che cuore ed emozioni, invece, gli faranno provare.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note alla fine della storia * 


 

«Ma se io morissi, se io... Se solo... Tu saresti... libero
«No. Non lo dire nemmeno per scherzo. Non ci pensare nemmeno. Togliti queste idee del cazzo dalla testa. Non esiste un "libero" se tu non sei con me.»

Precisione di linguaggio, ti avrebbero detto diversi anni fa, quando eri ancora un adolescente il cui unico compito era andare a scuola, studiare e passare le ore libere a fare volontariato al centro di puericultura o a quello degli anziani. Adesso ci vivevi lì dentro, in un annesso a quella struttura gigantesca e dispersiva, solo per la maggior parte della tua vita, non più solo da quando avevi lui.
Sgattaiolava via dalla sua unità abitativa in piena notte, quando era più proibito, solo per venire da te, così come aveva fatto la prima volta, così come avrebbe fatto anche l'ultima, perché prima o poi, un'ultima volta ci sarebbe stata.
Non sapevi cosa avesse visto in te, non sapevi nemmeno come aveva fatto a vedere te, che raramente presenziavi alle riunioni della Comunità, alle celebrazioni di fine anno o a qualsiasi altro evento che riguardasse il popolo di cui ti prendevi cura.
Però ti aveva visto, e ti aveva guardato. Per un lungo momento che a te era sembrato interminabile.
Tu vedevi i colori, lui no.
Tu vedevi i suoi occhi chiari, quasi trasparenti e li avevi visti fino quasi a perdertici, fino quasi a desiderare di essere inghiottito dentro ad essi.
Tu, che avevi dentro la saggezza di milioni di generazioni, eri stato costretto a distogliere lo sguardo.
«Lei prova qualcosa.» ti aveva detto sottovoce quando ti aveva raggiunto fuori dal grande auditorium dopo la celebrazione dei Dodici. Anche quest'anno nessun nuovo Accoglitore di Memorie per te.
Non ce n'erano stati altri da quando tu ti eri insidiato al posto del precedente ed era prevedibile. Tu eri ancora giovane e in forze da non aver bisogno di un successore. Nessuno conosceva quanto fosse grande il tuo fardello.
E poi lui, che altro non era che un adulto come tutti gli altri, o che almeno sembrava tale agli occhi di tutti, ti aveva chiesto se provavi qualcosa.
"Precisione di linguaggio", avresti dovuto rispondergli.
Invece avevi annuito.
E lo avevi guardato talmente intensamente da convincerlo silenziosamente a seguirti.

Avevate passeggiato in silenzio nel grande parco cittadino, in cui tu potevi vedere quanto finte sembrassero le foglie degli alberi - forse perché finte lo erano davvero - e artificiali fossero i cespugli, i sentieri e tutto il resto che vi circondava.
Paesaggio progettato da menti umane che non avevano nessun ricordo o percezione di come fosse la natura, quella vera.
«Cosa prova?» Ti aveva chiesto contravvenendo completamente alla regola sulla discrezione. Non si ponevano domande e, a maggior ragione, non si ponevano domande ad un membro così importante del Consiglio degli Anziani.
Avresti dovuto indignarti e fare rapporto. Lo avrebbero congedato immediatamente, ma nel suo sguardo avevi già visto qualcosa di molto simile al tuo di diversi anni fa. C'era qualcosa di vivo. Non c'era la solita apatia, ma non c'era nemmeno la tua sofferenza.
C'era la curiosità e la voglia di provare emozioni.
Emozioni...
Proprio quelle che tanto ti tormentavano.Per un momento hai pensato che sarebbe stato bello poterle condividere con qualcuno.
Ma no, era impossibile. Non era un privilegio che ti era concesso.
«Precisione di linguaggio» avevi detto allora, ma non ci credevi fino in fondo.
E lui l'aveva già capito.

La volta dopo lo avevi rivisto al Centro per gli Anziani. Lavorava lì, ti aveva confidato quando gli avevi chiesto cosa ci facesse davanti alla porta della tua abitazione.
Allora gli avevi risposto che "lì" non era il suo settore di competenza e avresti voluto tanto, tanto, tanto essere in grado di rientrare nei tuoi locali e richiuderti la pesante porta alle spalle, ma la sua mano si era posata sul tuo polso, impedendoti qualsiasi movimento. Impedendoti persino di pensare o provare a reagire in qualsiasi modo.
Lo avevi guardato e poi avevi guardato la vostra pelle unita e che il Sommo Anziano ti punisse se non avevi desiderato che lo fosse anche tutto il resto dei vostri corpi.
"E' vietato toccare gli altri membri della Comunità" aveva annunciato una voce metallica all'altoparlante e lui aveva aspettato qualche secondo prima di ritrarsi e interrompere quel contatto.
Meno male che lo aveva fatto lui per entrambi, perché tu non ne saresti mai stato capace.

«Perché vuoi sapere cosa provo?» Avevi sbottato un giorno estenuato da quella continua presenza nella tua vita, nei tuoi pensieri, nelle tue giornate. Uscivi e lo vedevi, stavi rinchiuso in casa e lo pensavi, provavi a distrarti nel parco, con il colore del cielo e la moltitudine di verdi artificiali delle piante e te lo ritrovavi accanto, più spudorato e impertinente del solito. Sulle labbra sempre la solita domanda.
«Perché io provo qualcosa. Qualcosa che nessuno prova o capisce. Nessuno tranne te.» Ti aveva detto con quel suo sguardo serio e profondo e quella voce talmente bassa da essere appena udibile.
Pulsioni, aveva velocemente formulato in risposta la tua mente, abituata a pensare e a reagire come a quell'umanità era stato insegnato.
Attrazione, passione, desiderio, avevano suggerito le tue memorie e tutte le tue emozioni. Tutte insieme. Tutte con un'unica, grande voce.
Avevi scosso la testa e messo una mano in tasca.
Tu la pasticca per reprimere le pulsioni non la prendevi più da almeno dieci anni.
E sì, aveva ragione, era la stessa cosa che nessuno capiva o provava. Nessuno tranne te.

«Perché se è così bello ne siamo stati privati?» Ti aveva chiesto subito dopo aver fatto l'amore per la prima volta, a casa tua, dove non c'erano trasmettitori e il comunicatore era sempre spento. Non eri riuscito a dargli una risposta, non ce l'avevi e adesso, forse per la prima volta, ti rendevi pienamente conto di quanto fossero sbagliate certe decisioni.
Era stato così bello avvertire sulla propria pelle, in maniera reale e tangibile, ciò che animava ogni singolo sentimento nell'antichità; ciò che muoveva i popoli, ciò che li rendeva vivi. Era stato così bello provare l'amore nel senso fisico del termine ed era stato così bello provarlo con lui.
Ricordi che dopo si era addormentato e che tu eri rimasto a guardarlo dormire, il suo petto nudo mosso da respiri profondi e regolari, le mani posate a coppa sul suo sesso in un ricordo intrinseco della sua pudicizia.
Avevi sorriso e gliele avevi scostate piano per non svegliarlo.
Un capolavoro del genere non doveva essere coperto.

Quante altre volte c'erano state, quante. Mille e più mille, o forse a te sembravano tali solo perché continuavi a riviverle ininterrottamente in ogni attimo che lui non era con te.
Ti salutava la mattina all'alba, prima che gli addetti alla distribuzione del cibo iniziassero il loro giro per la consegna delle vivande del giorno; lo vedevi durante le pause ricreative che aveva a lavoro, vi scambiavate non più di un paio di sguardi per non insospettire la Comunità o chi era al di là delle telecamere che sorvegliavano ogni area e ti baciava la sera quando veniva da te dopo che i Raccoglicibo avevano fatto il loro dovere. All'Annesso non c'erano telecamere o sorveglianti notturni.
Non solo la tua vita non era più colma di solitudine ed emozioni troppo grandi per essere semplicemente racchiuse con indifferenza dentro di te, adesso nella tua vita c'era qualcosa che nessuna memoria al mondo avrebbe potuto darti: qualcuno che amavi e che ti amava. Non il ricordo o la percezione di un sentimento, qualcuno di reale, qualcuno in carne e ossa.
Era così grande, potente e meraviglioso che per poco non ti aveva fatto venire voglia di scappare da quel posto per vivere la vita che volevi insieme a lui. Liberi e felici, come era giusto che foste.
Poi però avevi pensato al tuo compito, alle tue responsabilità e al fatto che se tu te ne fossi andato, tutte le tue memorie sarebbero ricadute come un macigno pesantissimo sull'intera Comunità che, non essendo preparata a riceverle, sarebbe impazzita.
Di dolore, di collera, di astio, di malinconia, di abbandono e di qualsiasi altra emozione negativa tu conservavi dentro di te.
Non avresti potuto. Semplicemente... Non avresti potuto.
Ne andava della sopravvivenza di tutta l'attuale umanità.

«Perché io le sento e gli altri no? Cosa c'è di diverso in me?»
«Non lo so» gli avevi risposto e faceva un male cane non potergli essere d'aiuto in quella ricerca spasmodica che lo aveva portato ad avvicinarti la prima volta, cogliendo nei tuoi occhi la stessa sfumatura che vedeva nei suoi. «Non lo so» avevi ripetuto un altro paio di volte scuotendo la testa e tormentandoti i pensieri, finché lui non ti aveva posato una mano sulla spalla e ti aveva detto che andava tutto bene. Non gli interessava avere quella risposta, l'unica cosa che gli interessava era che adesso aveva te. E che forse la risposta era proprio davanti ai suoi occhi. Lui le sentiva proprio perché quelle stesse emozioni un giorno gli avrebbero permesso di conoscere l'uomo della sua vita, l'unica ragione per cui valesse la pena condurre un'esistenza ai limiti del consentito e rischiare una pena capitale ogni notte quando inforcava la sua bici e si dirigeva all'Annesso del Centro per gli Anziani.
Non importava più il perché, importava cosa quelle emozioni gli permettevano di provare.
E a quanto si preoccupava di dirti continuamente, in una specie di corteggiamento che non aveva mai fine, tu gli facevi provare cose nemmeno lontanamente immaginabili.
Forse aveva ragione, perché tu avresti potuto dire lo stesso di lui.


«Cosa vuol dire che sei stato "richiamato"?»
«Vuol dire che dovrò presentarmi al Dipartimento di Giustizia dove sarò giudicato, per la seconda volta dato che c'era già stata una prima, per aver contravvenuto alle regole.»
«Quali regole di preciso?»
«Pare che sia uscito di notte senza il permesso o senza una reale emergenza per dirigermi al mio posto di lavoro.»
«Hanno visto che venivi qui?»
«No, solo la mia bici parcheggiate alla rastrelliera del Centro per gli Anziani.»
«Non potevi metterla dentro? Non potevi... Non...» La tua mente correva più veloce di quanto non riuscissero a fare le tue parole, eppure lui sembrava incredibilmente calmo e padrone di sé. Come se se lo fosse aspettato. «Non c'entra la bici, vero? Ti avrebbero richiamato comunque, perché era te che tenevano d'occhio.» Zero aveva annuito. Non voleva essere chiamato con il nome che gli era stato assegnato, preferiva di gran lunga il numero d'origine. Lui era stato il primo neobimbo in assoluto del suo anno, nato pochi minuti dopo la mezzanotte, per questo quella volta il Comitato aveva fatto un'eccezione e gli aveva assegnato il numero zero anziché il numero uno. Era particolare anche in questo.
«A loro non sfugge niente.» Nemmeno a te era sfuggito il tono di disprezzo che aveva usato nel pronunciare quel "loro".
«Hai detto che è il secondo richiamo.» Un altro cenno del capo da parte sua. «Sai che al terzo non ti daranno un'altra possibilità?»
«Congedo.» Aveva detto, racchiudendo in una sola parola tutto ciò che probabilmente pensava.
Sapeva fin troppo bene che il congedo non era affatto un saluto felice verso un'altra destinazione. Ne aveva fatti fin troppi lui stesso per non rendersi conto che una volta premuto lo stantuffo della siringa, non c'era più vita ad animare un corpo vuoto e fine a se stesso.
«Non sarai congedato» gli avevi detto con la voce ferma per rassicurarlo, ma ti conosceva troppo bene per non cogliere quel debole tremolio che a te era sfuggito.


«Andiamocene Frank, andiamocene e basta. Fregatene di tutto, fregatene di tutti; pensa solo a me, a te e a ciò che potremmo essere lontano da qui.»
Ma non potevi dirgli di sì, perché sapevi che lontano da lì tu non saresti più esistito. Le memorie che conservavi erano così grandi, così piene e ingombranti da averti svuotato di tutto il resto. Non saresti stato nessuno senza di esse, un guscio vuoto, un involucro e niente più. Per la prima volta gli mentisti. «Un giorno ce ne andremo.»


«Ma se io morissi, se io... Se solo... Tu saresti... libero
«No. Non lo dire nemmeno per scherzo. Non ci pensare nemmeno. Togliti queste idee del cazzo dalla testa. Non esiste un "libero" se tu non sei con me.»
«Potrebbe esistere, non te ne ricorderesti nemmeno. E non saresti congedato.»
«Vaffanculo Frank. Vaffanculo.»
«Ascoltami. Ascoltami.» Lo avevi implorato. Non potevi perderlo. Non potevi perdere l'idea di lui vivo e felice da qualche parte. Con le tue emozioni ora libere e comuni a tutti, in grado di provarle e condividerle, avrebbe trovato qualcun altro con cui farlo, non era necessario che fossi proprio tu. Ti andava bene anche così, purché lui fosse vivo. Vivo e felice.
«No, non ti ascolto. Non voglio ascoltarti. Adesso baciami, baciami e fai l'amore con me per l'ultima volta perché non ne avremo un'altra.» L'indomani sarebbero andati a prenderlo e lo avrebbero richiuso al Dipartimento di Giustizia per qualche giorno in attesa del suo congedo che avrebbe celebrato la sua vita a modo loro, festeggiandone una morte che era un assassinio, la cosa più ingiusta e crudele fatta passare per bontà d'animo e compassione. La gente avrebbe assistito, immaginandosi il passaggio di Zero, di Richard, nell'Altrove.
Un'Altrove che non esisteva e che entrambi sapevate essere solo un'invenzione.
Quella notte avevi fatto l'amore con lui.
Quella notte avevi provato la sensazione di essere impotente senza viverla attraverso una memoria.


Non c'è altra soluzione di questa, ti dici guardando la discesa davanti a te affamato, infreddolito, stanco e provato.
Vuoto, sempre più vuoto ad ogni passo che hai mosso; senza più un ricordo o una memoria che ti sei sentito scivolare via lungo il percorso per andarsi ad accumulare e depositare sulla tua Comunità. Le memorie non muoiono, per questo gli Accoglitori si sono sempre succeduti. Le memorie vengono trasmesse e se non c'è nessuno pronto a riceverne, esse si liberano nell'aria per dare a tutti coscienza di se stesse.
Mano a mano che ti sei allontanato hai sentito tutto affievolirsi fino non averne più il ricordo, la percezione.
Una sola cosa ti sei tenuto stretto, ribellandoti all'impulso di alleggerirti lasciando andare anche lei e di perdere così l'unica ragione che aveva portato al tuo folle gesto: l'amore per Zero.
Sono passati tre giorni da quando lo hai visto per l'ultima volta, da quando lo hai baciato e hai fatto l'amore con lui con le guance rigate dalle lacrime; tre giorni che di solito sono quelli che servono per organizzare un congedo, lo sai tu e lo sa lui.
Sei partito quella stessa notte, senza nemmeno porti il problema di dove saresti andato e come avresti fatto a impedire qualcosa che avveniva ormai con naturalezza da generazioni e generazioni. Sei partito e basta, perché era questo che il cuore, le emozioni, le memorieti dicevano di fare.
E adesso sei arrivato.
Oh, se hai pensato di non farcela.
Almeno un milione di volte.
Quando gli aerei che sorvolavano la tua testa minacciavano di individuarti.
Quando il buio della notte non ha mai fatto così paura e il tiepido sole del giorno non è mai stato così sgradito.
Quando hai mangiato l'ultimo pezzo di cibo che ti era rimasto.
Quando pedalare sembrava una fatica impossibile, ma le tue gambe continuavano comunque a muoversi.
Quando sei arrivato ai pendii della collina e lì, allora, pedalare era davvero impossibile.
Quando hai dovuto camminare e scalare.
Quando sei caduto, ti sei graffiato, rotto qualcosa; quando hai provato dolore, sentito il sapore del sangue e visto il suo colore; quando credevi di non farcela e hai continuato comunque.
Quando è arrivato il freddo, quello vero, e tu non avevi che la tua misera e stupida tunica.
Quando non avevi nemmeno più la tunica perché era rimasta impigliata nel ramo di un albero e si era strappata.
Quando sei caduto in terra e per un momento, un breve e fuggiasco momento, sei stato tentato di non rialzarti e di rimanere lì fermo a dormire.
Quando ti sei rialzato sentendo un calore che non sapevi da dove arrivasse incendiarti le gambe.
Quando le tue gambe si sono mosse da sole.
Quando ti hanno portato lì dove sei ora, sulla vetta della montagna al di là della quale sai esserci l'ultima barriera che separa te dalla morte e Zero dalla vita.
Senti un odore familiare dietro di te, ma sai che proviene solo da un ultimo frammento delle memorie che hai di lui.
Eppure è così forte, così penetrante...
Ti volti e lo vedi. Ti sorride come solo lui sa fare, scaldandoti il cuore, e ti indica una slitta ai tuoi piedi.
I suoi occhi sembrano invitarti a salirci. A farlo insieme.
Ti metti seduto sul seggiolino di legno e senti lui cingerti lo stomaco con le braccia e incrociare le gambe con le tue.
Non sai chi è stato a spingere per primo, ma sai che ora siete liberi.
E felici.

 
* Note: Questa storia è segnalata come AU nonostante sia un lavoro originale perché prende i personaggi di un gdr e li inserisce in un contesto alternativo a quello dell'ambientazione originaria. I personaggi in questione, Zero e Frank, sono rispettivamente un vampiro e un cacciatore. Sono stati creati originariamente per il gdr Now or Never, poi chiuso, e in seguito trasferiti su Gocce di Ossidiana. Attualmente io (,grey) e cyanide continuiamo a ruolare con Frank e Zero nel forum Zenk Legacy dove io muovo Zero e lei Frank. Chiunque volesse passare da quelle parti è il benvenuto, sia per leggere le role e altre storie, sia per un saluto o un commento. :]
  
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