Titolo: Her Misfortune
Categoria:
Storico
Personaggi: Henry VIII/Anne Boleyn
Prompt
©Harlequin Valentine:
Non l’ha mai amata davvero, Anne lo sa. Ma, se vuole
sopravvivere, deve
continuare a farglielo credere.
Generi: Introspettivo,
Malinconico, Triste
Avvertimenti: Missing Moments.
Note: Vorrei
solo sottolineare l'amore che nutro per questa donna, tutto qui; e
spero che la mia breve analisi di questo tanto chiacchierato
personaggio possa risultare piacevole.
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Her Misfortune
“He
promised her that he would give her
everything, everything she wanted, as men in love always do.
And she trusted him despite herself, as women in love always do.”
And she trusted him despite herself, as women in love always do.”
[Philippa
Gregory, The White Queen]
Il re
d’Inghilterra era volubile.
Anne lo
sapeva bene; non sarebbe riuscita a
convincerlo ad abbandonare la sua regina e volgere i suoi favori verso
una
comune fanciulla di corte, altrimenti – le sue arti seduttive
non erano così
raffinate.
Lo aveva
conquistato in un momento in cui egli era
furioso e deluso dai fallimenti della sua severa sposa spagnola: non
desiderava
in fondo che un erede, un erede maschio da porre sul trono e rafforzare
la sua
linea di successione, e tutto ciò che aveva ottenuto
dall’Infanta d’Aragona erano
bimbi nati morti e una fanciullina gracile e cagionevole di salute.
Anne,
spinta dal duca di Norfolk suo zio, aveva
approfittato di quella vulnerabilità; e aveva catturato il
re con un sottile e
delicato gioco di promesse e dinieghi, commenti bisbigliati e sguardi
segreti,
che ne avevano stuzzicato la curiosità e l’istinto
del predatore portandolo in
breve tempo a trascurare una sposa vecchia e maledetta – o
almeno questa era la
voce che si udiva a corte, ove chiunque sapeva che la spagnola,
benché si
ammantasse di purezza e moralità, era già stata
sposata con il compianto re
Arthur e a lui aveva ceduto la sua verginità, condannando
dunque il povero
Henry a peccare giacendo con la vedova di suo fratello.
Anne era
stata cattiva, sapeva anche questo; aveva
sfruttato le brame di un re ingordo che amava circondarsi di bellezza e
lusinghe, gli si era promessa se solo – se solo! –
avesse ripudiato la madre di
sua figlia per offrire a lei, sciocca Anne, illusa Anne, un ruolo e un
titolo
che adesso avrebbe voluto rinnegare!
Trattenne
le lacrime, la Marchese di Pembroke [1],
e s’impedì di versarne anche solo una; non aveva
pianto quando aveva dovuto
lasciare casa sua, ad appena sei anni, in favore della corte fiamminga,
e non
lo avrebbe fatto neppure ora che era regina, che aveva dato un erede
sano al
regno, poco importava che non fosse maschio! Era ancora giovane, e
gliene
avrebbe dai altri… se solo il re si fosse deciso a giacere
nuovamente con lei.
Sollevò
le dita a sfiorare il suo girocollo di
perle e la piccola lettera che vi pendeva, d’oro, nel solco
tra i seni;
Elizabeth, la sua piccola, dolce Elizabeth, i cui capelli biondo Tudor
non
avrebbero mai potuto farla scambiare per una figlia illegittima,
checché ne
dicessero i malvagi!, ella amava giocarvi, sollevava le mani bianche e
paffute
e cercava di afferrare il pendente, l’iniziale di un nome che
più volte Anne
aveva maledetto per la sorte che le aveva causato, e si allargava in un
ampio e
umido sorriso quando la regina sollevava la bimba tra le braccia per
concederle
di afferrarlo, lontana dagli sguardi critici delle spie che sedevano
accanto a
lei nella nursery, e che si dichiaravano per sue amiche, sue dame di
compagnia.
Ovunque
andasse, nella reggia di Windsor, occhi
nascosti la seguivano – pronti a riferire un suo minimo passo
falso al re:
bastava un’unica occhiata rivolta alla persona sbagliata, un
sorriso
involontario, un cenno del capo, e sarebbe stata condannata. Sapeva che
durante
la sua gravidanza Henry aveva intrattenuto rapporti più o
meno scabrosi con
diverse dame di corte, e se in un’altra occasione sarebbe
stata capace di
gestire con dignità la situazione – più
volte, nell’intimità della sua mente,
si era ritrovata a invidiare il sangue freddo che aveva mostrato la
precedente
regina davanti a tali umiliazioni – ora invece il pensiero di
venir messa da
parte proprio quando stava dando alla luce una figlia sana la faceva
impazzire.
Oh,
sapeva che Henry aveva smesso da tempo di
amarla, o perlomeno di guardarla con affetto. I lunghi sette anni di
corteggiamento e tutto ciò che ne era derivato dovevano
averlo stancato e
colpito più duramente di quanto lei o la sua famiglia
avessero pensato – al
punto da mettere Boleyn e Norfolk insieme nella condizione di dubitare
del
favore del re che fino a quel punto avevano dato quasi per scontato.
Nelle sue
lettere, suo padre la invitava a non disperare; nelle sue rare visite,
suo zio
le intimava di riallacciare il rapporto con il suo sposo, sottolineando
l’urgenza di dargli il prima possibile un erede maschio.
Avrebbe
perso la ragione se avesse udito ancora
una volta quelle parole – erede maschio, erede maschio! Come
se dipendesse da
lei, come se fosse in suo potere decidere il sesso della sua creatura!
Pensare
che lo aveva persino amato, un tempo; che
era stato il suo punto di appoggio quando l’intera
Inghilterra aveva spudoratamente
dimostrato l’odio che nutriva per la puttana del re, la
strega eretica che lo
aveva spinto a liberarsi di una sposa ineccepibile e una regina amata
da tutti,
che lo aveva persino convinto a rinnegare la Chiesa stessa! Rammentava
con
amarezza i momenti strappati alla corte, gli incontri segreti, quando
lui le
posava il capo in grembo e la supplicava di aver pazienza, di aver
fiducia, di
aver coraggio, che presto sarebbe stato tutto finito e si sarebbero
potuti
amare alla luce del sole; e rammentava la facilità con cui
lei gli aveva
creduto, lo aveva cullato, aveva baciato il punto ove la sua fronte gli
si
aggrottava.
E
adesso, adesso! Era tutto finito! Era bastata
una figlia femmina per perdere l’affetto del suo re!
La
rabbia, la disperazione e il suo talamo vuoto
la rendevano incauta, debole; commetteva errori sciocchi, dava la sua
fiducia a
chi non la meritava. E ora che Henry trascorreva le notti con amanti
bambine e passava
le giornate passeggiando nel parco con quella maledetta Jane Seymour,
Anne non
sapeva cosa fare, e si crogiolava nell’autocommiserazione;
impiegava il tempo a
occuparsi di sua figlia, trascurava le funzioni di corte, e
inconsapevolmente
forniva ragioni a chi la odiava per continuare a farlo.
No, non
poteva permettersi di perdere quella
partita – ne andava della sua stessa vita. Se intendeva
sopravvivere e
mantenere il suo titolo di sposa e regina, avrebbe dovuto conquistare
Henry
ancora una volta – doveva convincerlo che l’amore
che provava per lei non era
mai svanito.
Anne
Boleyn non aveva ormai alleati, non aveva
amici: ma se perdeva persino l’appoggio e la tutela del re,
era perduta.
-.-.-.-.-.-.-.-
One-shot: 1017 parole.
-.-.-.-.-.-.-.-
[1] Il titolo concesso ad Anne Boleyn
fu quello di marchese e non marchesa
(titolo, quest'ultimo, che una donna di norma acquisiva
sposando un marchese), a dimostrazione del fatto che il titolo era
stato
ottenuto per proprio diritto (suo jure).
Quello di marchese di Pembroke fu il primo titolo concesso ad una donna
inglese.