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Autore: albelia    07/11/2015    3 recensioni
[Il cardellino]
"Il cardellino" è un libro che mi è rimasto nel cuore. Ho amato il travagliato rapporto tra Theo e Boris, che purtroppo non si evolve mai nel modo in cui ho sperato. Per questo ho scritto semplicemente quello che avrei voluto leggere, con tutto il cuore, nel momento in cui Theo abbandona Las Vegas e parte per New York.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                THEO
“In seguito, in macchina e anche dopo, avrei ripensato a quel momento, meravigliandomi di averlo salutato con la mano e di essermene andato con disinvoltura. Perché non l’avevo preso per un braccio pregandolo ancora una volta di partire con me, eddai, cazzo Boris, è come marinare la scuola, faremo colazione sui campi di grano all’alba?
Lo conoscevo abbastanza bene da sapere che, se glielo chiedevi nel modo giusto, al momento giusto, avrebbe fatto quasi qualunque cosa – e sapevo che, nell’atto stesso di voltarmi le spalle si sarebbe bloccato per rincorrermi e saltare in macchina ridendo, se solo gliel’avessi domandato un’ultima volta.
Ma non lo feci. E, in verità, forse fu meglio così. Lo dico ora, sebbene per parecchio tempo ebbi molti rimpianti. Più di tutto, ero sollevato perché in quell’insolito stato di entusiasmo e loquacità, mi ero fermato un secondo prima di sputare fuori quello che avevo sulla punta della lingua, la cosa che non gli avevo mai detto, anche se era qualcosa che sapevamo entrambi benissimo, e non c’era bisogno che glielo dicessi ad alta voce in mezzo a una strada – che era, naturalmente, ti amo”.
 
 
                BORIS
Boris osservò il Lucky Cub che si allontanava nella strada deserta. Nella polvere, in mezzo a case disabitate e senza vita. Si schermò gli occhi con una mano, il sole bruciava e lo torturava.
Non si sentiva del tutto a posto.
Aveva voglia di vomitare, e non era sicuro che fosse a causa della cocaina che si erano appena sniffati. Prima, gli aveva mentito. Gli aveva detto di essere totalmente lucido, gli aveva detto che la droga avrebbe aiutato anche lui a sentirsi meglio. Beh, non era vero. In quel momento si sentiva estraniato dal mondo e da Las Vegas. In un attimo di incomprensibile e orribile follia, si vide fluttuare. Poi, un altro flash. Lui, dall’alto, che vedeva un sé stesso scavato e sconvolto in mezzo alla strada. Più in là, sempre più lontano, sempre più lontano, il taxi di Theo.
E così.
Così lo stava lasciando andare. Theo se ne stava andando. Theo, Theo. La cosa grave non era questa. La cosa grave. La cosa grave (doveva concentrarsi per riuscire a formulare un pensiero che almeno vagamente potesse sembrare di senso compiuto). La cosa grave era che lo stava facendo senza di lui.
Le sue parole gli rintronano in testa.
“Cosa succederà? Ti rivedrò? Mi raggiungerai tra un paio di giorni? Vieni più avanti. Non dire di no. Devi venire”.
Lo aveva supplicato. Lo aveva fatto. Proprio lui. Proprio lui, che piuttosto che ammettere determinate cose, piuttosto che ammettere di aver bisogno di lui, si sarebbe amputato una gamba.
E Boris?
Boris, niente. Aveva risposto sorridendo. Ma sì, vedremo. Verrò poi. Vedo come si mettono le cose. Non posso partire e basta. Aspetta anche tu. Aspetta due giorni. Resta da me. Non cadrà il mondo. Non ti porteranno via. Poi ci penserai con calma. Ci penseremo con calma.
La realtà era che aveva paura, una paura maledetta.
Non di andarsene.
Andare a New York con Theo non poteva che essere un’altra emozionante avventura. Un’altra cosa da spuntare dall’elenco di ciò che andava fatto prima di morire. Dormire per strada, vivere rubacchiando in giro, perdere la cognizione del tempo, essere fatto dal mattino alla sera…niente di tutto ciò era un problema.
A pensarci, a pensarci, non vedeva l’ora.
Chi glielo faceva fare. Di rimanere in quella periferia triste e silenziosa, ai margini della bella vita, ai margini dei soldi, del successo, dei casinò, degli alberghi a cinque stelle, dei ristoranti di lusso, di tutto quanto. Nell’attesa snervante che anche suo padre si decidesse a tirare le cuoia. Nell’attesa che Kotku diventasse qualcosa che non era. Nell’attesa di che lui, Boris, diventasse la persona che aveva sempre desiderato essere.
Ma. Il fatto era. Il fatto. Il fatto.
Era innamorato di Theo.
Da quella prima volta in cui i loro sguardi si erano incrociati, in classe, durante una stupida conversazione su Thoreau. Da tutte le loro prime volte. Quell’anno era stato assurdo. Assurdo.
Erano stati sempre insieme, una cosa da non sopportarsi da più, dopo un po’. Perennemente strafatti, ubriachi, allo sbaraglio, per strada, intontiti, a litigare, in piscina, a vomitare, in camera, sul letto, nel parco, solo loro due. Sempre e solo loro due.
Poi le cose si erano complicate, poi lui aveva conosciuto Kotku. Aveva pensato che, insomma. Doveva mettere da parte Theo per un po’. Non poteva rischiare di, non poteva rischiare che qualcuno scoprisse, che qualcuno capisse.
Theo non se l’era presa. Aveva abbozzato, aveva detto ok va bene, non aveva detto altro.
Poi, però, Boris tornava sempre.
Quando era stanco, quando era scazzato, quando non sapeva cosa fare o cosa dire con Kotku, quando voleva stare un po’ in pace, quando voleva Theo e nient’altro.
 
Adesso vorrebbe mettersi a correre, rincorrere il taxi, urlare tutto ciò che gli esplodeva nel cuore e nei polmoni. Theo, aspetta, vengo anch’io. Theo, resta. Oppure no, andiamo. Ora, subito. Non ho un soldo, non ho vestiti, ma cazzo me ne frega. Andiamo e non torniamo più. Siamo solo noi due, andrà bene così. Se moriremo dopodomani in un incidente in autostrada o tra dieci anni per overdose in un buco di appartamento o tra sessant’anni in una casa di riposo in riva al mare.
Non importa niente, se sono con te. Se saremo insieme.
Perché ti amo anch’io, Theo. Anche se non te l’ho mai detto. Ti amo anche se un po’ mi vergogno. Mi dispiace se non te l’ho mai detto prima.
Ma potevi anche farlo tu. Potevi dirmelo tu. Te lo leggevo negli occhi. Ma era più comodo far finta di essere un po’ analfabeta.
E ora ciao, cosa devo dirti ora? Cazzo? Non potevi aspettare? Non potevi? Vaffanculo Theo. Vaffanculo. Non me ne frega. Non potevi aspettare. No. Non mi hai detto vieni. Non me l’hai detto quell’ultima volta, quella giusta. Sapevi che sarei saltato su. Lo sapevi. Non l’hai fatto. Ok.
Non pensare che ti scriverò. Non pensare che mi mancherai. Non pensare proprio, che tanto non ti riesce bene.
Vaffanculo Theo.
Ti amo.
Spero che passi, passerà.
 
Boris cerca con mani tremanti le sigarette, le sigarette di Theo. Le ha comprate lui ieri, si è dimenticato di prenderle. Ne accende una. Tira un calcio a una lattina. Torna in casa.
   
 
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