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Autore: Helena Kanbara    08/11/2015    2 recensioni
[Sequel di parachute, che non è indispensabile aver letto]
[...] io ho scelto, Stiles. Ho scelto ancora. Ho scelto di seguirti quella sera di settembre alla Riserva di Beacon Hills, quando ci siamo fatti beccare da tuo padre a curiosare sulla scena di un crimine e Peter Hale ha trasformato Scott nel licantropo buono che è tutt’oggi. Ho scelto di entrare a far parte della tua vita, ho scelto di accettare la mano che mi porgevi pur senza conoscermi e ho scelto di restarti accanto fino all’ultimo. [...] Stiles, ti amo. [...] Sono innamorata di te [...]. Ho scelto fin dal primo momento – inconsapevolmente – di innamorarmi di te e questa è probabilmente l’unica cosa che non mi pentirò mai – mai – di aver fatto. [...] ti amo. Ti amo così tanto [...].
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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The idea behind a kaleidoscope is that it’s a structure filled with broken bits and pieces,
but somehow if you can look through them, you still see something beautiful.
And I feel like we’re all that way a little bit.
 
kaleidoscope
 
 
11.    Stronger
 
Melissa McCall mi aveva scortata in camera mia senza sentire ragioni né togliermi gli occhi di dosso nemmeno per un attimo. Avevo provato a farla ragionare in qualsiasi modo, ma non c’era stato nulla che potessi fare per eludere nuovamente la sua stretta sorveglianza. La flebo era tornata al suo posto – l’ago infilato nel mio braccio sano e l’asta che la teneva sollevata di fianco al mio letto – ed io confinata nella mia stanza. Melissa non aveva voluto lasciarmi sola neanche quando mi ero infilata sotto le coperte: era rimasta seduta accanto a me senza mai perdermi d’occhio, tanto che ad un certo punto avevo preferito fingermi addormentata per non doverla più affrontare. Ma la signora McCall non mi aveva comunque lasciata sola, almeno finché non le era squillato il telefono. Nel silenzio assoluto della stanza l’avevo sentita scattare in piedi e rispondere alla telefonata prima che la suoneria potesse fare fin troppo baccano e risvegliarmi, poi mormorare un: «Arrivo» appena appena accennato e sgattaiolare finalmente fuori dalla mia camera.
Non avevo idea di chi l’avesse chiamata e convinta a lasciarmi sola, ma non persi tempo a chiedermelo. Mi sollevai a sedere nel letto e recuperai il mio cellulare: avevo anch’io un’importante telefonata da fare. Ecco perché digitai velocemente il numero di Scott. Il beta rispose al settimo squillo, dopo avermi fatto morire ben bene dall’ansia.
«Harriet, che succede?», mi domandò con aria trafelata e confusa – non riusciva a capire che motivo avessi di telefonargli nel bel mezzo della notte.
«Dov’è Stiles?».
Saltai tutti i convenevoli, com’era giusto che fosse. La mia non era certo una telefonata di cortesia: volevo sapere al più presto se la mia visione fosse già divenuta realtà. E il silenzio eloquente di Scott mi diede subito molte più risposte di quante ne volessi.
«Non lo so». Non c’era bisogno che me lo dicesse.
Gli occhi mi si riempirono immediatamente di lacrime. Era già troppo tardi? Speravo proprio di no.
«Io l’ho v-visto, Scott», balbettai.
«Quindi sai dov’è?». Il tono di voce di McCall assunse un’aria così sollevata che il cuore mi si strinse nuovamente in una morsa e la prima di moltissime lacrime rotolò giù lungo la mia guancia pallida all’improvvisa consapevolezza di essere – ancora una volta – perfettamente inutile.
«No», piagnucolai, cercando di controllare i gemiti inutilmente. «Ho solo visto un seminterrato. Niente di più».
Scott trattenne il respiro e masticò un’imprecazione: anche se non eravamo insieme lo sentii perfettamente e riuscii benissimo ad immaginare quanto male stesse in quel momento. Ma fece di tutto per non farmelo notare troppo: non voleva che anch’io stessi peggio di così. 
«Okay», mormorò a bassa voce, fingendosi tranquillo quando in realtà stava cadendo a pezzi anche lui insieme a me. «Calma. Sto venendo in ospedale con Isaac. Ci vediamo tra dieci minuti, d’accordo?».
Annuii, anche se sapevo benissimo che non potesse vedermi. Ma avevo la mente troppo annebbiata per potermi rendere conto del silenzio pesante al quale avevo costretto Scott, obbligato ad ascoltare nient’altro che il rumore del mio pianto.
«Harriet», lo sentii richiamarmi infatti dopo un po’, e il mio nome pronunciato con quel suo tono tanto dispiaciuto mi riportò subito alla realtà. «Stai tranquilla, ti prego».
Chiusi gli occhi, poi inspirai ed espirai un paio di volte. Scott aveva ragione, come sempre. Dovevo stare tranquilla. Piangere come una bambina non avrebbe risolto niente. Dovevo essere forte e pronta a combattere – per Stiles.
Espirai per l’ultima volta, poi riaprii gli occhi nel buio della mia stanza d’ospedale e strinsi più forte il cellulare tra le dita prima di riparlare a Scott.
«Fate presto». 
Un pugno. Due, tre, quattro. Stiles perse velocemente il conto. Sapeva solo di non essersi mai sentito peggio di così, di non aver mai provato più dolore di quanto ne sentisse in quel momento. Non era solo dolore fisico, no. Sarebbe stato troppo bello se si fosse limitato solo a quello, ad un paio di graffi e lividi che sarebbero spariti nel giro di poche settimane senza lasciare tracce. No. Era molto di più. Era il dolore dell’abbandono e della solitudine, era il dolore che sentiva anche per Erica e Boyd. Ed era straziante, così tanto che non se lo fece ripetere due volte prima di mollare la presa e semplicemente cedere ai colpi di quell’uomo malvagio, steso sul pavimento polveroso di una cantina che non avrebbe mai immaginato di dover visitare. Perlomeno, non in quelle condizioni. Non trascinato lì dopo l’ultima partita di campionato, non con Erica e Boyd che venivano torturati di fronte ai suoi occhi ambrati e ricolmi di preoccupazione. Era tutto fin troppo sbagliato per poter essere vero, ma Stiles aveva sentito fino a quel momento una piccola speranza di salvezza. Sapeva che Scott avrebbe potuto trovarlo seguendo il suo odore e che Harriet – se solo si fosse impegnata un po’ di più – avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava. Ma mentre l’uomo lo sovrastava e lo malmenava, si chiese cosa avrebbe fatto se né il suo migliore amico né la sua ragazza si fossero resi conto della sua sparizione. Sarebbe morto lì, per mano di quel mostro? O qualcun altro l’avrebbe salvato, risparmiandogli finalmente tutto quel dolore? Altri millemila quesiti simili continuarono ad affollare la mente di Stiles, tutti fonte di sofferenza e soprattutto senza risposta. Almeno finché quest’ultimo non cedette finalmente e si lasciò andare nel nero assoluto dell’oblio.
Sgranai gli occhi all’improvviso, incespicando nel bel mezzo del corridoio deserto e scarsamente illuminato del Beacon Hills Memorial Hospital. Strinsi le dita sull’asta che reggeva la mia flebo, cercando a tutti i costi di tenermi salda sulle gambe traballanti. Continuavo ad avere visioni su Stiles, ma ero tanto debole da non riuscire a vedere nient’altro che il suo viso ricoperto di sangue. C’era un uomo insieme a lui: lo stava torturando – come stava facendo con Erica e Boyd – ed io non potevo nemmeno sapere chi fosse. Avrei potuto sforzarmi fino a farmi scoppiare la testa, ma sapevo già che non sarei riuscita a vedere nient’altro oltre la sua schiena curvata su Stiles.
Mi morsi l’interno guancia quasi a sangue nella speranza di non sentire più il dolore dell’emicrania né quello delle mie ferite. Avrei dovuto essere a letto a riposare per potermi riprendere dallo scontro col kanima e lo sapevo, ma non potevo permettermi un sonno rigenerante quando chissà dove Stiles veniva malmenato da qualcuno che non avevo idea di chi fosse.
Ecco perché strinsi i denti e continuai ad avanzare nella penombra dell’ospedale, almeno finché non sentii le voci di Scott ed Isaac più vicine che mai e capii di essere finalmente giunta alla meta. Non ero più sola.
«Non ha una buona cera».
Avevo appena appena svoltato l’angolo quando Isaac parlò, gli occhi azzurri puntati su un sacco mortuario contenente… Jackson Whittemore.
Sentii un improvviso moto di disgusto risalirmi in gola e mi strinsi le mani sulle labbra nella speranza di trattenere terribili conati di vomito. Ma la mia espressione mutò subito in terrore nel momento in cui vidi il corpo di Jackson vibrare vistosamente. Non poteva essere tutto frutto della mia mente. Non ancora. Jackson era vivo? Me lo chiesi mentre avanzavo nella stanza occupata da lui, Isaac, Scott e Melissa McCall. Senza che riuscissi ad ottenere risposte soddisfacenti.
«Mamma, chiudilo», ordinò il beta a Melissa, scoccandomi nient’altro che una velocissima occhiata piuttosto infastidita.
Non gli diedi retta, portando lo sguardo sulla figura di mamma McCall. La vidi guardare suo figlio con occhi incerti e pieni di paura, poi tremolare nei pressi del sacco di Jackson e cominciare a chiudere lentamente la zip sul suo corpo ricoperto di… Cosa diavolo era quella cosa che avvolgeva il busto dell’ex-kanima?
«Scott», soffiai, indicando proprio l’oggetto del mio interesse, «cosa diavolo è?».
McCall sospirò, facendomi segno di raggiungerlo dall’altra parte del tavolo per autopsie. «È il suo veleno», mi spiegò poi, facendomi sobbalzare dal terrore che quell’ennesima notizia mi provocò. «Derek dice che si sta evolvendo».
Evolvendo? Cos’è ora, un Pokémon?
Evitai di fare quella battutaccia inopportuna, ma Scott ed Isaac dovettero comunque leggere benissimo tutto lo sgomento che traspariva dalla mia espressione attonita perché non persero tempo per provare a tranquillizzarmi.
«Lo stiamo portando via».
Fissai Isaac. Sembrava tranquillo, ma sapevo che avesse paura – ce l’avevamo tutti. Eppure era lì, ancora pronto a battersi in una guerra molto più grande di lui e per nulla disposto a scappare. Fu quell’improvviso pensiero a riscuotermi completamente. Ma la mia tranquillità durò poco.
Un improvviso e basso ringhio mi costrinse infatti a distogliere gli occhi da quelli chiarissimi di Isaac e la paura prese di nuovo possesso del mio corpo quando realizzai che ad emetterlo fosse stato Jackson, il quale era ormai trasformato per metà nel kanima. Sobbalzai come tutti all’interno di quella stanza mentre Scott urlava a Melissa di chiudere il sacco mortuario e ad Isaac di portare via Jackson al più presto.
Quasi mi persi in tutto quel caos improvviso, almeno finché la figura di Jackson sparì dalla mia visuale e la squillante suoneria del telefono di Scott ruppe la trance. McCall lasciò andare il sacco ed osservò il suo cellulare con aria affannata: quando lo vidi mettere su un debole sorriso credetti di stare ancora sognando.
Ma: «Stiles è tornato!», trillò il beta all’improvviso, e allora capii che il sogno fosse diventato realtà.
Mi portai le mani alle labbra, ancora incredula. Poi un altro improvviso movimento da parte di Jackson fece capire a tutti che non ci fosse altro tempo da perdere. Scott e Isaac ripresero a trasportare via il sacco mortuario, con me e Melissa che li seguivamo in silenzio. Ma prima che i due licantropi potessero lasciare il Beacon Hills Memorial Hospital, li fermai.
«Devo andare da Stiles», dissi, e Scott si voltò a guardarmi con un lieve sospiro.
«D’accordo», concesse velocemente, poco prima di voltarsi a guardare sua madre, «Puoi accompagnarla tu, per favore?».
Melissa accanto a me s’irrigidì all’improvviso. Capii subito che non sarebbe stato facile.
«Non dovrebbe nemmeno essere in piedi!», strillò infatti, puntandomi con l’indice.
Scott sospirò nuovamente, poi alternò occhiate preoccupate da me a sua madre. «Harriet sta bene. Non è vero?».
Annuii ripetutamente senza farmelo ripetere due volte. Poi cercai gli occhi scuri di Melissa. «Starò ancor meglio dopo che avrò visto Stiles».
 
«Harriet».
Melissa richiamò il mio nome all’improvviso ed io mi voltai a cercarla nella penombra della sua auto, stringendo un po’ più forte il cellulare contro l’orecchio nella paura che potesse scivolarmi di mano e farmi perdere la risposta di Stephen che attendevo con fin troppa ansia.
«Devi promettermi che starai attenta. Se dovessi sentirti anche un minimo male–», pregò; ma all’improvviso suono della voce dello sceriffo la mia attenzione nei suoi confronti scemò completamente.
«Piccola, che succede?», mi richiamò dall’altro capo del telefono, ed io distolsi prontamente gli occhi dal viso preoccupato – fin troppo – della signora McCall.
«Stephen», soffiai. «Sto tornando a casa».
Dall’altra parte ci fu un secondo di troppo di silenzio. Poi finalmente lo sceriffo si riprese dalla propria confusione tanto da riuscire a parlarmi di nuovo. «Com’è possibile?».
«C’è Melissa con me», tentai di rassicurarlo, guardando di sfuggita la mamma di Scott che ancora guidava con aria contrita nel bel mezzo di una Beacon Hills dormiente. «Tranquillo, è tutto a posto».
«Ma stai bene? Ne sei sicura?».
Annuii, anche se sapevo benissimo che non avrebbe potuto vedermi. «Sto bene. Stiles dov’è?».
Pregai che non mi dicesse una bugia. Ma sapevo già di quanto le mie speranze fossero vane. «Dorme. Cosa che dovresti fare anche tu a quest’ora».
Lo sceriffo cercava solo di proteggermi. Ma io non ne avevo bisogno. Non allora.
«So tutto, Stephen», gli rivelai quindi, ingegnandomi subito alla ricerca di una buona scusa che m’impedisse di dovergli rivelare tutto riguardo i miei poteri. «Scott è venuto in ospedale e me l’ha detto. Fammi parlare con Stiles».
«Harry…».
«Ti prego», implorai, e probabilmente qualcosa nel mio tono di voce lo convinse tanto da decidere di lasciar perdere. Stephen infatti non aggiunse nient’altro, semplicemente sospirò e prima ancora che potessi rendermene conto aveva lasciato il suo cellulare nelle mani di Stiles. Stiles che, comunque, non mi rivolse nient’altro che un pesantissimo silenzio.
«Stiles», lo richiamai io quindi, ben sapendo che toccasse a me far partire quella conversazione. «sto arrivando».
Diedi un’occhiata alla strada: eravamo vicinissime a casa Stilinski. Avrei voluto sorridere, ma la replica di Stiles congelò la mia espressione a metà.
«Torna a dormire, Harry. Ci sentiamo domani. Ti richiamo io».
Non l’avevo mai sentito così stravolto. E quell’improvvisa consapevolezza mi tolse il respiro.
Pensai a cosa dire – a cosa fare – mentre Melissa s’infilava finalmente nel vialetto di casa ed io aspettavo con trepidazione il momento in cui sarei potuta scendere dalla sua auto e correre dentro. Al sicuro, con Stiles.
«Sappiamo entrambi che non lo farai», gli dissi, aprendo lo sportello in fretta e furia e correndo verso il campanello mentre Melissa McCall arrancava dietro di me.
Suonai piano, poi attesi la risposta di Stiles. Un’altra risposta che mi uccise.
«Non ho voglia di parlare ora, okay?», borbottò, proprio nel momento in cui il viso stanco di Stephen si parava di fronte a me. Avrei voluto abbracciarlo – sapevo che la cosa mi avrebbe fatta stare meglio – invece mi limitai a scansarlo con una spallata per prendere la rincorsa verso la camera di Stiles, il quale aggiunse in un sussurro: «E tu devi riposare. Sei stanca».
Quasi sorrisi. «Non più di te». Ed era vero. «Dimmi che stai bene, almeno».
Di nuovo, dall’altro capo del telefono mi arrivò nient’altro che silenzio. E sapevo già che a seguirlo ci sarebbe stata una tremenda bugia.
«Sto bene», soffiò Stiles difatti, confermando i miei presentimenti col suo solo tono di voce.
Ma capii ancor meglio quanto mi stesse mentendo nel momento in cui raggiunsi la sua camera e lo osservai dalla soglia.
«Non è vero», esalai quindi, incapace di aggiungere altro.
Al suono improvviso della mia voce – molto più vicina di quanto avrebbe dovuto essere – Stiles scattò in piedi e sgranò gli occhi sulla mia figura.
«Cosa ci fai tu qui?», chiese, sorpreso a dir poco.
Feci scivolare via il cellulare dal mio orecchio, liberandomene poi senza remore mentre mi avvicinavo a Stiles. «Te l’avevo detto che stavo arrivando».
Quando fui abbastanza vicina per poterlo fare, allungai una mano verso la sua pelle chiara e rovinata in quel momento da una grossa macchia di sangue rappreso che subito mi strinse il cuore in una morsa. Aveva lo zigomo completamente tumefatto e il labbro spaccato. Ed io, come al solito, non avevo potuto far niente per impedire che gli succedesse tutto ciò.
«Mi dispiace così tanto», gli dissi quindi mentre i miei occhi si riempivano di lacrime al vederlo che si faceva lontano da me.
Ma Stiles subito capì – per fortuna – e allora smise di indietreggiare, come se finalmente avesse realizzato di starsi comportando come uno stupido. Perché ero io che gli stavo di fronte in quel momento, e mai – mai – avrei potuto fargli del male come aveva temuto lui solo pochi secondi prima. Stiles sembrò capirlo all’improvviso e qualcosa nel suo sguardo ambrato cambiò tanto da farmi vacillare sotto i suoi occhi, mentre prendevamo entrambi coraggio per incontrarci a metà, stretti nel calore confortante di un abbraccio che non capirò mai per mano di chi dei due fosse nato.
«Harriet», mi richiamò Stiles in un soffio, muovendo piano le dita tra i miei capelli lunghi. «grazie».
Riaprii gli occhi lucidi all’improvviso, stringendo la sua t-shirt grigia tra le mani. «Per cosa?», gli domandai poi, confusa a dir poco.
Stiles sospirò lievemente prima di stringermi a sé ancor di più. «Per essere qui».
 
«Melissa se n’è andata. Dice che se stai attenta ai punti andrà tutto bene».
Un po’ di tempo dopo, Stephen raggiunse me e suo figlio in camera di Stiles, parlandomi e costringendomi a sollevare la testa dalla spalla di quest’ultimo. Non gliene feci una colpa comunque, limitandomi ad annuire mentre gli sorridevo tranquilla. Lo ero fin troppo perché una cosa tanto stupida potesse sul serio infastidirmi.
Stephen ricambiò velocemente il mio sorriso, poi cercò con lo sguardo azzurro il viso ammaccato del figlio.
«Cosa voleva Lydia?», gli domandò, sedendosi alla scrivania insieme a noi.
Stiles semplicemente scrollò le spalle, io invece aggrottai le sopracciglia mentre mi chiedevo cosa mi fossi persa esattamente.
«Appoggio», rivelò infine Stiles. «Ha perso il ragazzo di cui era innamorata».
Jackson. Lydia lo amava sul serio. E non osavo nemmeno immaginare come potesse sentirsi in quel momento.
Le successive parole di Stephen comunque mi distrassero quanto bastava. «So che tutta questa situazione ti ha scosso parecchio, Stiles. Ma puoi sempre essere felice per la partita, no? Sei stato grande».
Stiles scosse subito la testa con aria incredula, poi soffocò una risata. Io strinsi un po’ di più le dita sul suo braccio scoperto e misi su un sorrisone al solo pensiero della partita di lacrosse che ahimè mi ero persa quella sera.
«Dico sul serio. La partita era quasi finita, ma tu non ti sei arreso. Hai preso la palla, hai iniziato a correre e hai segnato. La fortuna ha cominciato a girare. Poi hai segnato ancora – e ancora. Non sei stato solo il migliore in campo. Sei stato un eroe».
Il mio sorriso crebbe ancor di più nel sentire il tono di Stephen ricolmo di orgoglio, ma la successiva battuta di Stiles mi congelò completamente.
«Non sono un eroe, papà», lo corresse, rifuggendone lo sguardo mentre io gli riservavo nient’altro che una lunga occhiataccia indispettita.
Non volevo che si sminuisse in quel modo. E non lo voleva nemmeno Stephen, che semplicemente gli sorrise prima di defilarsi con un ultimo: «Alla partita lo sei stato».
Allora nella stanza cadde il silenzio ed io mi strinsi nuovamente a Stiles, tornando a poggiare la mia testa sulla sua spalla. Non mi aspettavo certo di sentirlo ripetere: «Io non sono un eroe».
Ecco perché scattai subito seduta composta. Avrei voluto contraddirlo prontamente, ma all’improvviso le parole mi mancarono e riuscii solo a stringere la sua t-shirt tra le dita. Almeno finché non ritrovai almeno un po’ del mio coraggio perduto.
«Stiles», sussurrai quindi, direttamente contro il suo orecchio. «Tu sei il mio eroe». Ed io ti amo.
Quel pensiero sparì veloce com’era apparso, scappando via a braccetto con quel poco di coraggio che mi era bastato a far capire a Stiles di quanto fossi orgogliosa di lui e di quanto lo considerassi il mio eroe. Ecco perché non gli dissi nulla, limitandomi a ricambiare il suo intenso sguardo con aria frastornata. Mi sembrò di restare a guardarlo per secoli e ricordo perfettamente di essermi figurata nella mente i più vari scenari riguardo a ciò che mi avrebbe detto Stiles a quel punto, ma scoprii ben presto di come la realtà fosse ben lontana dal sogno.
«Dobbiamo andare», mormorò infatti Stiles all’improvviso, deviando il mio sguardo scuro e scattando in piedi. Rimasi a fissarlo con aria confusa, la quale aumentò nel momento in cui il cellulare di Stiles mi piombò addosso. Me l’aveva lanciato contro. E capii perché non appena proprio lui ordinò in un sussurro: «Chiama Lydia».
 
Era bastata una chiave. Una semplicissima chiave e l’inspiegabile potere dell’amore umano erano tutto ciò che serviva per portare indietro Jackson. Lo osservai col cuore in gola mentre afferrava la chiave dorata che Lydia gli porgeva, piangendo lacrime silenziose di fronte alla figura del ragazzo che amava da sempre trasformato nel kanima solo a metà. Avevo immaginato potesse succedere di tutto, tranne ciò che poi si trasformò in realtà. Vidi Jackson che si faceva lontano da Lydia, poi Derek e Peter Hale raggiungerlo. Successe tutto così velocemente che a malapena me ne accorsi: semplicemente mi limitai a sussultare vistosamente afferrando la maglia di Stiles, mentre Jackson gemeva dal dolore infertogli dalle ferite dei due licantropi. Oh mio Dio. Non doveva andare così. Non potevamo salvare Jackson, lo sapevo. Ma perché mai ucciderlo?
«Tu…», soffiò Whittemore, cadendo sulle ginocchia di fronte ad una Lydia sempre più sconvolta. «…ancora–».
Lei non gli lasciò aggiungere altro. «Sì», confermò tra le lacrime. «Ti amo ancora. Io ti amo ancora».
Mi sentii stringere il cuore in una morsa al suono flebile di quelle parole, mentre Lydia stringeva Jackson a sé come se all’improvviso ne dipendesse della sua stessa vita e Allison cercava una mano di Scott per intrecciarvi le proprie dita e sentirsi meno sola.
«Dov’è Gerard?», la sentii domandare mentre Lydia lasciava andare Jackson e Chris Argent si guardava intorno con aria lievemente spaesata.
«Non può essere andato molto lontano», concluse infine, adocchiando una pozza di quello che aveva tutta l’aria di essere sangue.
Mi chiesi immediatamente cosa fosse successo prima che io, Stiles e Lydia giungessimo lì, ma non riuscii mai a trovare una risposta. I miei pensieri furono infatti interrotti da Stiles, il quale abbandonò il mio fianco per avanzare in direzione di… Lydia. Lo capii subito e un nodo mi serrò la gola, togliendomi il respiro. Ma comunque non lo fermai. Non gli impedii di starle vicino come voleva in quello che per lei doveva essere un altro momento terribile. O perlomeno, così credetti che avrei fatto.
Quando però sentii gli artigli di Jackson raschiare il pavimento non riuscii a resistere. Scattai in avanti e afferrai una mano di Stiles per tenerlo vicino a me e proteggerlo, così mi dissi. In realtà volevo solo che non mi abbandonasse. Ero – di nuovo – schifosamente egoista. Ma Stiles alla fine decise di accontentarmi, perché rinunciò ai suoi propositi di raggiungere Lydia e mi rimase al fianco mentre Jackson rivelava un paio di occhi azzurro brillante e si rimetteva sorprendentemente in piedi, ululando tanto forte che mi sembrò di sentire i muri tremare. Era vivo, ancora. Ed era un licantropo, finalmente.
Alla fine – per fortuna – l’ululato cessò e Jackson ritornò in sé, di nuovo tanto umano da non spaventare più Lydia, la quale gli corse in contro velocemente e gli si gettò letteralmente tra le braccia. Sentii Stiles soffocare un sospiro e strinsi più forte le sue dita tra le mie.
«Stiles», lo richiamai in un sussurro, combattendo contro i miei occhi lucidi. Non avrei pianto in quel momento. «Andiamo a casa».
Sapevo fosse solo quella la cosa più giusta da fare in quel momento. E all’improvviso lo capì anche Stiles, perché si voltò a guardarmi finalmente e infine – dopo minuti interi di silenzio – annuì e mi trascinò, sempre tenendomi per mano, verso la Jeep azzurro cielo. E ce ne andammo sul serio.
Insieme. Ancora.
 
 
 
 
When your heart is feeling bruised turn the focus, clear your view.
All the ghosts of the past crash with mine and all collide, collide – kaleidoscope.
 
 
 
 
Ringraziamenti
Da come avrete potuto capire, credo, la canzone citata a fine capitolo è anche quella che dà il titolo all’intera storia:
Kaleidoscope degli Honor Society. Ho voluto inserirla qui perché l’epilogo avrà ben altro “carattere” e perché questa canzone fa un po’ da filo conduttore a tutto il sequel; se la ascoltate e leggete bene il testo capirete anche perché.
Il titolo comunque non è legato alla canzone, ma è piuttosto un parallel col primo capitolo che ho voluto a tutti i costi inserire per dimostrarvi quant’è cresciuta Harriet nel corso di quest’altra avventura. Il primo capitolo si conclude infatti col verso “I’m getting weaker everyday”, cosa che si è vista bene nel corso di kaleidoscope, e qui invece abbiamo come titolo la parola “stronger”: perché è proprio così, ora Harry è più forte. E lo vedrete bene già a partire dall’epilogo.
 
Note
Parlando ancora di parallels: ormai dovreste sapere quanto mi piace farne e, se siete state attente, sicuramente ne avrete scovato un altro – oltre a quello del titolo – in quest’ultimo capitolo della storia. In caso non ci foste arrivati, comunque, vi do un indizio: ricordate le ultime due parole del capitolo 1? Quali erano? Insieme. Ancora., no? E rieccole qua, a chiudere perfettamente il cerchio e a dimostrarvi meravigliosamente di come NONOSTANTE TUTTO
#StarrietLives. ♡
Vi dico che durante la stesura ho versato molto più che qualche lacrimuccia, ma immagino fosse inevitabile. È un altro cerchio che si chiude ed io sono super-soddisfatta del lavoro che ho fatto, ma anche molto dispiaciuta di dover dire addio a quest’ennesima long.
Prima che ciò accada comunque avete ancora un po’ di cose da leggere quindi vi consiglio vivamente di non disperarvi troppo. Come mi sembra di aver già detto un sacco di volte, l’epilogo sarà ambientato un sacco di mesi dopo questo capitolo ed è proprio per questo motivo che ho deciso di scrivere una raccolta di missing moments per riempire i buchi al quale questo salto temporale vi obbliga. A proposito della raccolta e dell’epilogo che la seguirà vi prego di leggere le righe sotto!
 
ATTENZIONE
Attualmente col timeline della storia ci troviamo ad inizi dicembre e il primo capitolo della raccolta sarà ambientato durante la Vigilia di Natale. A proposito di questo, lo pubblicherò domenica prossima e avrete gli altri a seguire, uno dopo l’altro, sempre di domenica. Ciò vuol dire quindi che finché la raccolta non sarà completa non pubblicherò l’epilogo di kaleidoscope, il quale – giacché la raccolta è composta da quattro capitoli – arriverà solo il 13 dicembre.
Ovviamente non siete obbligati a seguirla, ma vi consiglio comunque di farlo per non perdervi niente della trama che in occasione di questi missing moments si alleggerirà anche di molto dato che andremo a vivere insieme agli Starriet le vacanze natalizie, il ventottesimo compleanno e il matrimonio di Cassandra. Insomma, tutte cose felici I PROMISE.
Spero che deciderete di seguirmi anche lì, in caso ci vediamo il 15 novembre col primo capitolo! :)
Grazie comunque.
   
 
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