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Autore: SamanthaBiersack    08/11/2015    2 recensioni
«Quindi … Dean, pensi di volermi dire cos’è successo là dentro?» Continuò Sam, ancora deciso a voler dare una spiegazione logica a tutto ciò. Lui doveva dare una risposta logica all’accaduto, doveva farlo per forza, perché altrimenti non sarebbe riuscito a spiegarsi più nulla e ad andare avanti con il suo progetto di una vita perfetta.
Attenzione: Con il proseguire della storia il Raiting cambierà da Giallo a Rosso.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nessuna stagione
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Let me be your Shelter;

 

 

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Carry on my wayward son
There’ll be peace when you are done
Lay your weary head to rest
Don’t you cry no more
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{Prologo; }

 

In vita sua non aveva mai desiderato niente e nessuno con così tanto ardore, tanto da arrivare ad auto-convincersi di poter vendere seriamente la propria anima per rendere tutto duraturo e definitivo, solamente per avere una certezza in vita sua.
Non aveva desiderato nulla come anelava l’idea di avere una vita perfetta e l’Università di Stanford, nella sua mente contorta, rappresentava solamente uno dei tanti trampolini dalla quale avrebbe dovuto saltare in vita sua; forse l’ultimo o forse il primo di una lunga serie, questo non poteva saperlo.
Essere arrivato a quel punto era già in sé un traguardo decisamente importante, tanto che ogni mattina si ritrovava a ringraziare il cielo per avergli donato l’opportunità di potersi creare una vita perfetta, seppur con non poca fatica.
Be’, non che alla fine ci fosse poi molto per cui ringraziare il cielo, perché se doveva essere proprio grato a qualcuno, allora, doveva esserlo nei propri confronti e, più di tutto, nei confronti di sua mamma.
Il cuore si andava a stringere in una morsa gelata e pungente ogni volta che il viso dolce e comprensivo di sua madre prendeva il sopravvento nella sua testa, buttandolo con disumanità alla dura e cruda realtà: lei non c’era più, non ci sarebbe più stata all’interno della sua vita di tutti i giorni e questo non faceva altro che gettarlo sempre di più nello sconforto e nella convinzione che sarebbe stato solo, sempre.

Il pensiero di sua madre era la motivazione per cui, quando temeva di vedere solo il lato negativo delle cose, ritornava a dirsi che tutto succedeva per una ragione e se le cose non andavano come desiderava sicuramente presto si sarebbero stabilizzate.

“Tutto succede per una ragione.”

 

 Era quello che si ripeté all’interno della propria mente in quel momento, non rendendosi nemmeno conto di aver mollato la presa sulla matita che aveva stretto fino a quell’istante; riscoprì le dita intorpidite, rigide, tanto che temette di non poterle più piegare.
Si ritrovò perso nei propri pensieri, nelle sue fantasie e nelle sue preoccupazioni, non facendo nemmeno caso all’orologio appeso alla parete che segnava le 22.00 in punto.

“Tutto succede per una ragione, e la ragione per cui io sono qui è che diventerò qualcuno.”


Continuò a pensare con fin troppa sicurezza, riuscendo perfino a sentire l’accenno di un sorriso farsi largo sulle sue labbra sigillate.
Scosse lievemente il capo, riprendendosi da quello stato “comatoso” nel giro di qualche secondo, sollevando le braccia al cielo per potersi stiracchiare e recuperare la sensibilità nella maggior parte del corpo.
Le maniche della camicia scivolarono un po’ sulle braccia, scoprendogli così l’orologio che teneva al polso, inducendolo a gettargli uno sguardo senza nemmeno pensarci.
«Accidenti.» Fu la sola ed unica cosa che gli uscì fuori dalla bocca quando socchiuse gli occhi sull’orologio, come a voler essere dannatamente sicuro di aver letto l’ora giusta.
Quando spostò lo sguardo sulla parete trovò un ulteriore conferma: si era trattenuto più del dovuto. Nel mentre si ritrovò a raccogliere le proprie cose, infilando un po’ alla rinfusa tutto dentro alla sua cartella, ebbe la Visione del suo professore che lo implorava, lo scongiurava, di non trattenersi oltre le 20.00, ricordandogli inoltre che nel lasciargli le chiavi di quell’ala dell’Università commetteva un grave errore. Ma c’era anche da dire che l’uomo aveva ribadito anche più di una volta che per lui, per il suo studente preferito, avrebbe allentato un po’ le corde e gli avrebbe lasciato via libera.
Sì, perché nella situazione nella quale si trovava il giovane, doversi fermare a scuola per usare i libri di testo che altrimenti non avrebbe potuto comprarsi da sé, era un grande, grandissimo, aiuto.
Qualcosa lo indusse a muoversi con maggior slancio, come se si fosse appena reso conto che la sua presenza fosse richiesta altrove e con particolare urgenza.


“Merda, merda, merda.”


Il pensiero di dover tornarsene a casa a piedi, e nella più completa solitudine, gli procurò una sorta di fitta alquanto dolorosa alla base dello stomaco. Ma c’era da dire, inoltre, che un altro problema che si stava presentando era  l’attraversare i corridoi nel buio più totale. Ciò gli procurò non poca paura, nonostante cercasse di recuperare il controllo all’istante.
Lui non era di certo il tipo che si poteva definire “fifone” e il sentirsi spaventato da certe cose lo faceva sentire solamente un moccioso, in tutto e per tutto.
Di che si preoccupava lui, che era il tipo più logico del mondo?
Un sorriso sghembo si fece largo sulle sue labbra.
Amava la sua mente, il suo modo di ragionare, per il semplice fatto che riusciva a scacciare ogni singola paura con la logica, con il spiegarsi con fare accurato il perché non doveva avere paura.
Il più delle volte era perché non esisteva nulla, nulla, del quale potesse avere paura seriamente. Chiuse la porta dell’aula dov’ era stato per la gran parte del pomeriggio e della sera, guardandosi attorno nel vano tentativo di assicurarsi di essere solo all’interno dell’edificio. Questo pensiero lo fece gelare sul posto, non sapendo nemmeno dire con assoluta certezza se fosse un fatto positivo o no. Perché, poi, si era dovuto impuntare su una preoccupazione simile?
Comunque fosse, il giovane, si ritrovò a posizionarsi la cartella sulle spalle e a ravviarsi i capelli castani, sentendo nel giro di qualche secondo le punte solleticargli nuovamente il collo.
Non c’era nulla di cui avere paura, nulla.
«Il buio non ha mai ucciso nessuno.» Esclamò in un mormorio che si andò a perdere subito, come se non fosse nemmeno uscito dalla sua bocca. Inutile dire che ciò lo spaventò solamente di più.
Prese a percorrere il corridoio con passo frettoloso; si riscoprì  fin troppo terrorizzato all’idea di guardarsi attorno, temendo di poter scorgere qualcosa che al momento non aveva alcun diritto di trovarsi lì con lui.  
Raggiunse una porta a due ante e con un enorme sospiro vi posò le mani sopra, respirando profondamente per mantenere il controllo. Dovette fare un po’ di forza per spingerla e aprirla, potendo varcare la soglia per entrare nel secondo corridoio che lo avrebbe portato direttamente all’ingresso dell’edificio.
Lì, davanti a lui, c’era la porta.
In cuor suo non vide l’ora di potersi incamminare per raggiungere la meta designata, nonostante non volesse affaccendarsi per certe paure altamente infondate.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle con un rumore sordo, Sam, si strinse lievemente nelle spalle fissando a terra, increspando un poco le labbra.
Si sentiva così stupido, così infantile, nell’aver timore di percorrere gli stessi corridoi nel quale si avventurava tutti i giorni, sebbene lo facesse quando il sole filtrava da tutte le finestre e porte possibili, tanto da arrivare a prendersi gioco di se stesso nella più completa autonomia.
Riprese a camminare con maggiore tranquillità, ricordandosi che quel luogo era l’ ennesima idea di “casa” presente nella sua vita, motivo per cui non avrebbe dovuto aver paura, almeno fin quando qualcosa o qualcuno non gli avrebbe dato motivo per ricredersi.
Era sul punto di sospirare quasi di beatitudine quando qualcosa lo indusse a fermarsi di colpo, bloccandosi sul posto come se fosse appena stato investito da un ondata di acqua gelata.
La sua mente incominciò a lavorare all’istante, arrivando a chiedersi se fosse successo seriamente qualcosa oppure la sua mente, in quel momento fin troppo influenzabile, si era lasciata un po’ trasportare  dalle sue sensazioni.
Rimase in attesa per quasi un minuto, dicendosi che se non fosse successo nient’altro se ne sarebbe potuto andare senza alcun problema, nonostante avrebbe convissuto con l’incertezza. Sì, aveva proprio una voglia matta di prendere e andarsene via subito, di correre fuori da quella scuola e di gettarsi nel pieno della strada.
Forse fu colpa della paura, forse della sua voglia di rassicurarsi del fatto che non ci fosse nulla di pericoloso, di letale. Forse fu semplicemente l’istinto che lo spinse a raggiungere l’aula poco distante da lui e a sbirciare dal vetro della porta, guardando un po’ a destra e un po’ a sinistra per quel che gli fu consentito.
Poggiò le mani sulla porta chiusa e strinse un po’ le dita come a volersi aggrappare a qualcosa di  inconcepibile, troppo distante e astratto, come se stesse cercando di rimanere fermo lì e di combattere i piedi che volevano fuggire il prima possibile.
Socchiuse gli occhi nel tentativo di farli abituare all’oscurità completa dell’aula, mentre indietreggiava di un passo giusto per posare la mano sul pomello della porta e aprirla.
Semplicemente smise di pensare, smise perfino di respirare ad un certo punto, arrivando solamente a chiedersi se fosse seriamente sicuro allontanarsi senza essersi accertato che tutto fosse a posto, che non ci fosse nessuno all’interno dell’edificio scolastico. La responsabilità, sotto sotto, sarebbe stata sua.
Non appena fu sulla soglia dell’aula allungò una mano e tastò con cautela la parete fin quando le dita non incontrarono l’interruttore della luce, provando un moto di angoscia quando nello schiacciare l’aula rimase preda del buio fitto della notte.


“Tipico.”


Si ritrovò a pensare riuscendo perfino a trovare una nota quasi ironica nella sua stessa mente, nonostante fosse tornato a starsene in allerta, pronto a scattare al minimo rumore o segnale.
Quel che gli restò da fare fu infilare una mano nella tasca posteriore dei jeans e prendere il telefono che, con sua somma sorpresa, si ritrovò a constare che senza alcun dubbio, stava vivendo la giornata più sfortunata di tutta la sua vita: non fece nemmeno in tempo a sollevare il telefono per vedere, almeno di sfuggita, che tutto fosse in ordine, quando il suo cellulare si oscurò del tutto e l’icona della batteria scarica riempì il display prima di lasciare Sam più basito che mai.


“Avrei quasi voglia di ridire, se solo … “



Se solo non fosse seriamente spaventato da tutti questi avvenimenti.
Infilò con una certa nota infastidita il cellulare all’interno della tasca, passandosi velocemente una mano sopra a qualche ciocca di capelli finitagli davanti agli occhi.
Compì un lento e calmo passo in avanti mentre il suo petto riprese ad alzarsi e abbassarsi con normalità, permettendo così al giovane di riprendersi un poco da tutta quella paura e ansia.
Sollevò le mani nel tentativo di procedere a tentoni, mentre gli occhi incominciarono ad abituarsi a quel buio ancor più assoluto rispetto a quello del corridoio.
Un leggero colpo di vento lo fece irrigidire sul posto mentre la paura tornava a pungerlo nel vivo. C’era seriamente qualcosa che non stava andando per il verso giusto ed ora non era la sua immaginazione.
Nel proseguire in avanti si ritrovò ad andare a sbattere contro uno dei tanti banchi, serrando le labbra mentre un “Accidenti” usciva dalle sue labbra.
Si diede dello stupido per voler controllare qualcosa che stesso lui non sarebbe riuscito a tenere sott’occhio  nel vero senso della parola, dal momento che l’unica fonte di luce presente non erano altro i flebili raggi lunari che filtravano dalla finestra.


“Cazzo, cazzo, cazzo. Giuro che ora torno indietro, torno a casa e non esco più.”


Fu l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento, prima di essere letteralmente sbattuto dall’altra parte della stanza. Picchiò la schiena sulla parete, lasciando scappare un mezzo respiro spezzato.
Scivolò a terra con le gambe stese lungo il pavimento e le braccia ai lati del corpo, abbandonate e prive di ogni tipo di forza. In quel momento seppe che tutte le sue paure furono fondate.
Mugolò senza nemmeno rendersene conto, come del resto sollevò un braccio per potersi toccare con la mano il retro della nuca, serrando le labbra con fare fin troppo addolorato. Tutto ciò accadde senza che Sam se ne rendesse conto.
Non si chiese nemmeno cosa fosse appena accaduto, non si chiese nulla. Al momento lui non era l’unica persona presente all’interno della scuola, questo bastava e avanzava per distrarlo.
Sgranò gli occhi nel sentire i passi della figura avanzare verso di lui, riconoscendo il ticchettare dei tacchi sul pavimento. La cosa lo confuse ancor di più: possibile che fosse stata una donna a scagliarlo con così tanta forza? E anche se fosse stato un uomo, comunque, come aveva fatto?
Cercò di non pensare al fatto che lui, da sempre, aveva peccato sul fisico.
Strisciò un po’ sul pavimento, spostandosi di lato nel tentativo di fuggire via dall’ombra avvolta dalle tenebre in avvicinamento, poggiando le mani fredde e sudaticce sul pavimento.
Ogni volta che si riscopriva ansioso e spaventato, riusciva a sentire il sudore freddo solcare la sua schiena e la pelle d’oca ricoprirlo da capo a piedi.
«Tu … tu … » Non riuscì a dire altro, sebbene morisse dalla voglia di chiedere spiegazioni e, successivamente, invocare aiuto con tutto il fiato in corpo. Invece, oltre a temporeggiare, non riuscì a dire o a fare nient’altro, gelandosi solamente sul posto quando udì la sua risata.
«Chi l’avrebbe mai detto. Praticamente ti sei servito a me su un piatto d’argento.» La voce che risuonò all’interno dell’aula fu, senza alcun ombra di dubbio, appartenente ad una giovane donna. Ciò, anziché rassicurarlo, lo spaventò ancor di più.
Socchiuse gli occhi nel buio, chiedendosi se era seriamente sua intenzione voler adocchiare alla bella e meglio l’immagine della persona opera di tutto ciò. Si disse che forse era meglio non sapere.
La risata risuonò nuovamente e questa volta anche il leggero picchiettio del piede a terra.
«Bene bene. Quindi cosa farne di te? Consegnarti, oppure … » Parlò con tutta calma, sebbene le parole della ragazza non sovrapposero affatto il battito impazzito del cuore di Sam.
Ella rise ancora.
«Penso proprio che farò la birichina, d’altronde qui ci siamo solo tu ed io.» Schioccò la lingua al palato e smise di picchiettare il piede a terra, giusto il tempo per sollevare le braccia al cielo e sospirare di beatitudine. Era seriamente piena di sé, questo Sam lo capì alla perfezione.
Sam strinse vagamente le labbra. «Con…Consegnarmi?» Mormorò il ragazzo, aggrottando fugacemente le sopracciglia. Qualcosa lo allarmò ancor di più. «Chi sei?»
“Vuoi seriamente sapere, Sam? Lo vuoi davvero?” Ancora una volta si disse decisamente confuso.
«Sapere il mio nome non ti servirà di certo, dal momento che stai per diventare parte integrante di me. Direi che la parte della presentazione è stata più che superata, dolcezza.» La ragazza parlò con un tono di voce decisamente divertito, prima che potesse sollevare una gamba e puntellare il tacco sul petto del ragazzo ancora seduto a terra, schiacciandolo maggiormente alla parete dietro di lui.
«Allora … » Continuò la ragazza. «Iniziamo?»
«Più che altro direi … Finiamo
Sia la ragazza, sia Sam, si ritrovarono a trattenere il respiro, in allerta.
Si riscoprì nuovamente carico di speranza e al tempo stesso di ansia per la paura che potesse esserci qualcun altro all’interno dell’aula, qualcun altro pronto a …
Deglutì, riscoprendosi più speranzoso che mai.
Doveva sperare in un salvataggio, oppure doveva incominciare a pregare seriamente?
La donna abbassò la gamba e posò il piede a terra, sospirando, mentre un “Tu” appena ringhiato usciva dalle sue labbra, seguito da uno sbuffo di risata per tutta risposta.
Sam tornò a tirarsi su a sedere contro la parete, dal momento che era finito con lo scivolare un poco,  prima di dover strizzare gli occhi con forza quando una luce fece brillare, per un secondo al massimo, il corpo della ragazza. Fu la prima ed l’ultima volta che la vide, dal momento che semplicemente non riuscì più a trattenersi. Cadde a terra, di lato, picchiando la testa sul pavimento mentre la sua attenzione andava a perdersi per qualche secondo e tutto quanto prese a vorticare all’interno della sua testa.
La voce della ragazza e quella del ragazzo si andarono a mescolare.

 

{***}

 

Il viso di sua madre era quello di sempre: roseo e perfetto.
I capelli lunghi e biondi le incorniciavano il viso e le donavano un aria del tutto angelica, tanto da far mugolare di nostalgia il ragazzo nonostante fosse lì con lei, davanti a lei.
Sam sapeva che tutto ciò non poteva essere reale che lei, l’unica vera donna della sua vita, non era più li con lui.
La donna allungò le braccia e prese il volto del figlio tra le mani, sorridendo. «Il mio bambino. Sam.» Esclamò il suo nome con tutta la dolcezza di questo mondo, inclinando il capo di lato e sorridendo con fare amabile. Aveva gli occhi ricolmi di lacrime, come se stesse per piangere, nonostante Sam ne ignorasse completamente il motivo.
«Mamma, mamma … non so cosa fare senza di te … » Non riuscì a parlare, non più, dal momento che le lacrime incominciarono a solcare inesorabili le sue guance e le labbra presero a tremare, senza darsi il benché minimo contegno.
La donna ridacchiò, scuotendo leggermente il capo. «Ma ora sono qui. Tu sei qui. Siamo insieme, io e … »

«Penso che sia seriamente il caso che tu apra gli occhi, dico davvero. La Bella Addormentata non mi è mai piaciuta.»
Una mano lo stava scuotendo senza il benché minimo riguardo, inducendolo a mugugnare nel sonno e a corrugare la fronte nonostante gli occhi chiusi.
L’immagine di sua mamma sparì lentamente dalla sua testa, mentre la sensazione di allerta e timore tornò dentro di lui, scuotendolo nuovamente capo a piedi.
«No, io … io voglio dormire.» Parlò senza farci caso, cercando di spostarsi di lato come a voler scansare la mano che lo stava infastidendo e scuotendo dal suo sonno, sperando di potersi ricongiungere con sua mamma seppur all’interno della sua testa.
«Potrai dormire quanto vuoi, quando sarai a casa tua.» Alla voce seguì una scossa più forte.
Sam si ritrovò a sospirare mentre pian piano ritornava al mondo reale fatto di tristezza, paura, dolore e … tanta fame; aprì gli occhi con lentezza, riscoprendosi subito in dovere di stringersi nelle spalle e di socchiudere gli occhi per la luce che sembrò investirlo, nonostante non fosse così luminosa.
Si trovava all’aperto, all’esterno dell’Università con la schiena poggiata al muro e le gambe stese a terra. Inoltre, dovette ammettere, che una cosa oltre alla fame lo stava cogliendo di sorpresa: la sua testa, che dir si voglia, pareva essere spaccata in due da quanto gli stesse facendo male.
Fu tentato di sollevare una mano e toccarsi la nuca, sebbene la sua più completa attenzione andò a focalizzarsi a ridosso della figura del ragazzo al suo fianco, anch’egli accomodato a terra come lui.
«Tu … »
«Ma dico io, non riesci nemmeno a difenderti da una ragazza?» Domandò subito lo sconosciuto, inarcando un sopracciglio con fare spazientito. Mosse appena le labbra come se fosse seriamente intenzionato a parlare nuovamente, a voler dire chissà che, nonostante alla fine se ne stette in silenzio.
«Perché … quella era una ragazza normale? » Domandò cautamente Sam temendo la risposta che gli avrebbe potuto dare. Al tempo stesso non desiderava altro che un po’ di delucidazione.
«Definisci il significato della parola “normale”, anche se penso che in effetti non avresti potuto comunque nulla contro di lei. Se non fossi venuto io a salvarti il culo, a quest’ora chissà cosa ne sarebbe stato di te.» Continuò il giovane sconosciuto, sollevando una mano come a volersi dare mille arie. Una parte di lui era solamente in attesa del fatidico “Grazie” che si stava aspettando da lì a poco.
«Penso di doverti ringraziare allora, dal momento che mi hai salvato sebbene non sappia dire da cosa.» Rispose con tono fin troppo cupo Sam, fissando davanti a sé. La testa pulsò ancora di più e la cosa peggiore fu che non riuscì nemmeno a dire se fosse per la botta presa, oppure per i mille mila pensieri che stavano attraversando tutti insieme il suo cervello.
« … “Cosa”.» Ripeté quasi colpito il giovane. Accennò ad un sorriso e poi, con aria sorpresa, guardò Sam al suo fianco. «Penso che tu abbia usato la parola esatta. Non era una ragazza normale.»
Il giovane si sentì quasi risplendere di luce propria per il senso di “fierezza” che lo attraversò. Aveva detto qualcosa che aveva sorpreso quello sconosciuto.
«Quindi … » Proseguì Sam, deciso più che mai a voler far colpo su di lui ancora una volta. «Che cos’era, se non era una ragazza normale?» E dire che perfino a lui, che stava parlando, era suonata una cosa talmente assurda da sembrare del tutto irreale. Decisamente irreale. «Perché non era una ragazza … » Lasciò in sospeso, come se di botto si sentisse quasi uno stupido ad aver ipotizzato qualcosa di questo tipo, qualcosa che comunque reputava impossibile.
« … Ragazza normale.» Lo sconosciuto lo guardò con un cipiglio appena confuso, prima di lasciarsi andare ad un accenno di risata. «Sei sicuro di essere un frequentante di questa scuola?» Lo schernì un poco, abbandonando quel velo di mistero che si era ripromesso di mantenere.
Sam lo fissò senza ridere, sorridere o altro. Semplicemente lo fissava, in attesa. «Scusa, ma sai per me è del tutto impossibile, impossibile, credere che sia accaduto davvero. Insomma … » Sospirò, toccandosi nuovamente la botta sul retro della nuca. «Il dolore c’è, la paura anche. Ma … andiamo, è successo davvero? Quella ragazza mi ha seriamente … lanciato dalla parte opposta della stanza?» Quasi ebbe voglia di ridere, perché nel dirlo ad alta voce, una seconda volta, suonò ancora più improbabile di qualche minuto prima.
Il giovane che lo affiancava tacque per alcuni istanti. «Se ti fa sentire meglio puoi anche pensare a questo episodio come un immaginazione, se può aiutarti. Credimi se ti dico che la verità potrebbe anche essere peggiore di questo.» Commentò, increspando le labbra. Fissò davanti a sé e poi il cielo oscurato. «E comunque … la prossima volta studia a casa, a quest’ora pensare alla scuola dovrebbe essere illegale, figurati trovarsi ancora al suo interno.» Parlò con una nota di divertimento nella voce, prima di alzarsi da terra con un pesante sospiro.
Sam, non appena vide l’altro alzarsi, fece lo stesso facendo appello a tutte le sue forze rimastogli, mettendosi in piedi mentre con un piccolo gemito avvertì la testa vorticare maggiormente.
«Penso di doverti la vita.» Esclamò Sam una volta che fu in piedi. Se ne stette affianco al ragazzo e qualche istante dopo, passato nel silenzio più assoluto, allungò una mano in sua direzione. «Mi chiamo Sam, Sam Wesson.» Disse, inclinando il capo di lato.
Il ragazzo lo scrutò attentamente, come se fosse nel pieno dei suoi pensieri, prima di allungare a sua volta la mano e stringere quella di Sam, lasciando che le loro mani congiunte oscillassero un po’.
«Dean Winchester.» Disse solamente il suo nome e cognome, senza nessun “piacere” seppur anche solo di cortesia, nulla. Sembrava voler andare subito al punto.
Le loro mani si sciolsero qualche secondo dopo che Dean si fu presentato; quest’ultimo allontanò la mano da Sam come se si fosse appena reso conto di quanto stesse bruciando.
«Quindi … Dean, pensi di volermi dire cos’è successo là dentro?» Continuò Sam, ancora deciso a voler dare una spiegazione logica a tutto ciò. Lui doveva dare una risposta logica all’accaduto, doveva farlo per forza, perché altrimenti non sarebbe riuscito a spiegarsi più nulla e ad andare avanti con il suo progetto di una vita perfetta.
Dean temporeggiò un po’ e alla fine intascò le mani all’interno delle tasche della sua giacca, scrollando le spalle con noncuranza.
«Ciò che non sai non può ferirti, quindi impara a non fare domande.» Esclamò con fare stizzito, allontanandosi subito dopo. Non avrebbe aggiunto più nulla, se solo Sam non si fosse indispettito.
«Bella risposta, complimenti. Lascia che ti dica che come saggio fai proprio schifo!» Disse, restando alle sue spalle. Nel parlare sollevò un po’ le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi in un secondo istante. «Almeno puoi dirmi cosa fare ora? Dentro c’è una ragazza morta!» Continuò a parlare come se si stesse riferendo ad un qualcosa di normale, qualcosa di ordinario.
«E che ne so io?! Solitamente si chiama la polizia, no?» Dean parlò senza voltarsi e, sempre dando le spalle a Sam, continuò a camminare verso il cancello della scuola.
Sam se ne rimase lì, non sapendo nemmeno se si fosse seriamente svegliato o no. Una parte di lui sperò di auto-convincersi che tutto ciò, tutto questo trambusto, fosse stato solo un brutto sogno.
Quando un leggero colpo di vento lo riportò alla realtà si decise a prendere il cellulare dalla tasca, componendo subito il numero della polizia ma senza schiacciare il tasto verde.


“Dean Winchester … grazie.”


Quando avviò la chiamata il suo cuore si era fatto più leggero e il ricordo di quella sera era già impegnato a svanire, a sbiadirsi secondo dopo secondo.
Non ci avrebbe più pensato.


{ *** }

 

“Non ci pensare, non ci pensare, non ci pensare.”


Dio, quanto avrebbe voluto che fosse stato così semplice non pensare ad una cosa del genere.
La notte dell’accaduto non riuscì a chiudere occhio tanto che alla fine, dopo essersi arreso all’idea di un lungo riposo ristoratore, si alzò dal letto per poter impugnare un libro e immergersi in una lettura appagante. Questo, almeno, lo estraniò dal mondo intero e dall’intera faccenda.
Solamente quando si ritrovò a dover raggiungere la sua scuola, sotto allo sguardo di tutti i presenti sorpresi e curiosi per quanto era accaduto, si era dannato l’anima per non aver chiuso occhio.
Al momento, per poter dormire, avrebbe dato di tutto.
Si era ritrovato tentato più di una volta a voler tornare indietro, a voltarsi e raggiungere nuovamente casa sua, se solo delle mani delicate non lo avessero preso per le spalle e scosso gentilmente.
Lei, almeno, era gentile nello smuoverlo.
Jessica Moore era lì, davanti a lui, con lo sguardo preoccupato di chi potrebbe seriamente gettarsi tra le fiamme pur di farti felice e Sam questo lo sapeva, purtroppo.
Lei era un altro punto importante della sua vita.
«Dio, Sam, hai la faccia di uno che non ha chiuso occhio tutta la notte.» Jessica usò un tono di voce decisamente preoccupato, mentre con tocco gentile sfiorava il volto del ragazzo, accarezzandolo.
Sam, dal canto suo, non se la sentì di mentire, anche perché sarebbe stato del tutto inutile.
«Forse perché non ho chiuso occhio, in effetti. Sebbene al momento mi metterei perfino in mezzo alla strada a dormire.» Commentò con un fugace sorriso.
Jessica si apprestò a imitarlo, accennandogli un sorriso in parte triste.
I due si persero per qualche minuto a parlare, a fare progetti per quello stesso giorno, prima di potersi indirizzare al bar più vicino alla loro scuola, prendendo un tavolo per due.
Parlarono un po’ di tutto, prima che Jessica riuscisse a trovare il coraggio di tirare fuori l’argomento.
«Quindi non conoscevi quella ragazza?» Domandò come se nulla fosse, mescolando il cappuccino bollente che una cameriera aveva appena servito ad entrambi. Non potendo udire una risposta di Sam, Jessica, proseguì. «Nemmeno il ragazzo che l’ha … uccisa?»
Sam si irrigidì appena, non sapendo nemmeno lui il motivo di tutta quell’ansia. «No, Jessica. Non conoscevo nessuno dei due.» Commentò prima di chinare lo sguardo. Si pentì quasi di aver usato un tono così secco, quasi tagliente.
«Meglio così.» Aggiunse frettolosamente lei. «Però … secondo me oggi avresti fatto bene a startene a casa, insomma … sai che ti faranno domande, vero? E a loro dovrai rispondere sinceramente.»
Il ragazzo la fissò per alcuni secondi, prima di increspare le labbra. «Io rispondo alle tue domande. E direi che lo faccio pure sinceramente.»
Nessuno dei due, dopo quel breve scambio di battute, parlò dell’accaduto. Tornarono a parlare dello studio e di probabili uscite di gruppo, le loro uniche e sole argomentazioni da sempre.
Sam era intento a raccontare un aneddoto abbastanza divertente di un suo compagno di classe, quando il campanellino sopra alla porta del bar tintinnò, segno che un nuovo cliente era entrato. Ma Sam, come del resto tutti i clienti, non ci fece caso.
«Quindi penso di essere il migliore della mia classe.» Concluse Sam, prendendo in mano la tazza del cappuccino, portandosela vicino alla bocca. Jessica ridacchiò e bevve a sua volta, lasciando che il loro tavolino sprofondasse nel silenzio più assoluto.
Sam era proprio intento a bere quando, senza nemmeno farci troppo caso, sollevò lo sguardo e incontrò quello di Dean, seduto qualche tavolo distante da lui.
Per lunghi attimi rimase in silenzio nonostante avesse finito di bere e Dean, dal canto suo, distolse lo sguardo con quella che, anche da quella distanza, a Sam parve proprio imbarazzo.
«Io vado a pagare, mi aspetti fuori?» Chiese Jessica, spingendo in avanti la tazza del cappuccino. Prese la borsa da terra e se la mise sulla spalla, rovistando al suo interno in cerca del portafoglio.
«Sam? Allora?» Chiese, scuotendo il ragazzo dai suoi sogni ad occhi aperti. «Mi aspetti fuori?»
«Uhm.» Fu la sola ed unica risposta di Sam, mentre nella sua testa aveva già preso in considerazione l’idea di alzarsi e raggiungere Dean. «Va bene, certo, certo.»
Fu frettoloso nel parlare e tantomeno nell’agire, tanto che perfino Dean, avendo colto il messaggio, abbandonò il tavolo ancor prima di aver ordinato qualcosa e uscì all’esterno prima che Sam lo potesse raggiungere.
Pensò a cosa poter dire prima ancora di avvicinarsi a lui perché, sinceramente, si sentì in dovere di chiedergli qualcosa, di fargli qualche altra domanda.
Solamente quando furono all’aria aperta, Dean, come se nulla fosse, prese a parlare: «Pensavo che ti saresti fatto internare da qualche parte, sinceramente. Temevo che i tuoi pensieri, la tua immaginazione, sarebbe stata più forte di te.» Disse Dean mantenendo le mani nelle tasche, andando ad assumere quell’aria un po’ troppo fiera secondo i modesti gusti di Sam. «Ma sono felice di essermi sbagliato per una volta, dico davvero.»
Sam chinò il capo, dondolandosi un po’ in avanti, spostandosi dai talloni alle punte dei piedi. «Già.» Concordò il ragazzo chinando un po’ il capo. Fissò il terreno sotto ai suoi piedi per alcuni istanti prima di ridacchiare un po’, totalmente preso dai propri pensieri. «Già, però … la mia fantasia si è data da fare, devo ammetterlo.» Riprese a parlare come se nulla fosse, lanciando a Dean solamente qualche occhiata sfuggevole.
«Be’ … è comprensibile.» Ora Dean parve seriamente a disagio, sebbene i suoi occhi stessero trasmettendo una nuova luce. Forse speranza? Sembrava seriamente speranzoso. «Ma sono curioso di sentire la tua teoria.»
«Ecco …. » Sam prese un profondo respiro e alla fine, dopo qualche secondo, iniziò a parlare: «Sono assolutamente convinto che abbiamo vissuto assieme un episodio psichico.» Lo disse con assoluta sicurezza, tanto che per qualche secondo Dean se ne rimase in silenzio. Com’è che si dice? La calma prima della tempesta. Il ragazzo si mise a ridere con assoluto divertimento, tenendosi perfino lo stomaco con la mano.
«Episodio psichico?» Chiese Dean, sempre più divertito. «Non penso nemmeno di sapere cosa sia, sai?» E nel notare che Sam stava già per aprire la bocca, Dean, prendendolo contropiede, scosse il capo e sollevò l’indice come a zittirlo. «E ovviamente sono ironico. So che cos’è un Episodio Psichico. Però, mi dispiace, ma io non ho vissuto nulla del genere. E a meno che io non sia solamente frutto della tua immaginazione … » Disse inarcando un sopracciglio, estremamente sorpreso del fatto che Sam potesse seriamente credere qualcosa del genere. Scosse lentamente il capo. «Se ci tieni davvero così tanto a volerti dare una risposta, magari posso anche assecondarti.» Ora Dean si fece serio in volto, sebbene il sorriso sparì con difficoltà dal suo viso. «Non siamo soli, Sam. Al mondo non ci siamo solo noi … umani. Ci sono altri esseri, altre cose.» Quell’ultima parola la disse digrignando quasi i denti, sebbene non proseguì a parlare. Ora voleva una reazione significativa da parte di Sam.
«Non siamo … soli, dici? Ora sì che mi sento preso in giro.» Borbottò per tutta risposta Sam, alzando gli occhi al cielo con fare sconsolato. «Scusa, scusa. Scherzavo sull’Episodio Psichico, sai?» Disse come a voler tagliare il tutto, a dare un taglio a quel discorso che per lui non aveva il benché minimo significato.


“Ma è successo davvero. Lei era … vera.”


Deglutì l’amaro.
Dean lo guardò fisso come se sapesse cosa stesse passando all’interno della sua mente.
«Hai presente tutte quelle cose che gli adulti dicono ai bambini per spaventarli? Il mostro sotto al letto, l’uomo nero e cose del genere? Be’, sono tutte vere. I Mostri, Sam, esistono. E per precisare, la ragazza che ti ha aggredito ieri sera era una “cosa”. Era un Demone. Ed io caccio quelli come lei e altri esseri.» Parlò con fare calmo, nel pieno del proprio controllo. Parlava e spiegava a Sam come se fosse stato pronto a mantenere il controllo al dissentire del ragazzo, ma quando questo non accadde si preoccupò. «Sam? A questo punto … dovresti dire qualcosa, lo sai? Io, ad esempio, sono quel che si chiama un Cacciatore. I mostri della quale tutti hanno paura … io li caccio, li ammazzo a colazione, pranzo e cena.» Parlò nuovamente con fare autoritario, sollevando in minima parte il capo come a voler desiderare tutta l’attenzione a questo mondo.
Dean si meritava il rispetto di ogni creatura vivente a questo a mondo e Sam questo lo capì, forse fin da subito.
«Quindi … sei un po’ come quelli degli X-Files?» Buttò lì Sam, non riuscendo affatto a trattenere quel commento. «Oppure come i Ghostbusters?» Continuò successivamente.
«Diciamo che … il succo è quello, alla fin fine.» Decretò alla fin della fiera Dean, sospirando. Rovistò con la mano all’interno della tasca della giacca e dopo qualche secondo tirò fuori un biglietto da visita che porse a Sam, socchiudendo gli occhi. «Non penso che avrai la sfortuna di capitare nuovamente tra le mani di un qualche Demone, ma nel caso dovessi sentire qualcosa di strano, o ti dovessi trovare in pericolo … chiamami.»
Sam, un po’ restio, prese il biglietto da visita che Dean gli stava allungando. «Agente Dean Smith?» Domandò in seguito dopo aver letto il biglietto da visita del presunto agente FBI Dean Smith.
Il diretto interessato parve un po’ imbarazzato, sebbene fu questione di pochi secondi. «Be’, non posso mica dire in giro che ammazzo le cose della notte, no?» Lo disse con tono talmente ovvio che, ancora una volta, fu proprio Sam a sentirsi un idiota. «Ora però devo andare, ho vite da salvare.»
«E io molto da studiare.» Rispose Sam, increspando fugacemente le labbra. Si intascò il biglietto da visita e accennò un sorriso fugace al ragazzo. «Grazie Dean, davvero. Spero di non doverti vedere più, non in questo frangente per lo meno.»
«Be’, non torno due volte nello stesso posto, a meno che non ci sia qualche figlio di puttana da fare a pezzi. Direi che la mia identità è abbastanza a rischio ogni volta, no? Be’, ci vediamo Sam, sta attento e … pensa a studiare.» Gli puntò contro l’indice come a volerlo ammonire, come se stesse parlando più con un probabile fratello che con qualcun altro.
Sam chinò il capo in segno di una resa del tutto fuori luogo, annuendo. «D’accordo, seguirò il suo consiglio, Agente Smith.»
Dean, a quelle parole, non rispose. Semplicemente accennò ad un sorriso e se ne andò, mescolandosi nel mare di ragazzi e ragazze che andavano in più direzioni.
Sam si strinse all’interno della giacca sollevando le spalle mentre i suoi occhi persero del tutto di vista la figura del ragazzo, ritrovandosi poi a sospirare.
Si riscoprì felice come non mai nell’aver superato tutto, ma al tempo stesso si riscoprì anche abbastanza preoccupato.
Non voleva che i Mostri che tutti ritenevano solo finzione fossero realtà. Non voleva pensare al fatto che al mondo ci fossero cose peggiori della ragazza che lo aveva aggredito.
Solamente in quel momento, quando Dean se n’era già andato, si rese conto di non avergli chiesto nemmeno un : “Perché diceva di volermi consegnare a qualcuno? Tu ne sai qualcosa?”. Arrivò perfino a pensare di chiamarlo subito e chiederglielo a lui direttamente ma qualcuno, qualcuno appena conosciuto, gli aveva detto ciò che non sai non può ferirti.


“Davvero un pessimo saggio.”


Pensò con un mezzo sorriso.
Si riscosse solamente quando la porta alle sue spalle si aprì e una Jessica tutta trafelata fece il suo arrivo.
«Sam, scusami! Ho incontrato una mia vecchia amica e … sai com’è.» Si avvicinò fino a stringersi al suo braccio. Nel notare il sorriso del ragazzo, un sorriso decisamente sereno seppur incuriosito, si  fece largo sulle sue stesse labbra, rilassandosi a sua volta. «Sam, che ti è successo? Sembri stare molto meglio ora.»
«Non è successo nulla.» Rispose subito il ragazzo e si chinò in direzione della ragazza, sorridendo nuovamente. «Mi sei mancata. Tutto qui.»
Jessica sorrise con fare fin troppo smagliante allungando il collo verso Sam, mugolando un leggero “mhh”. «No, non ci provare. Non funziona con me, te l’ho già detto.» Ma nonostante ciò posò ugualmente le labbra sopra a quelle del ragazzo, soffocando una risatina di entrambi.
Alla fine, forse, l’idea di una vita perfetta per Sam Wesson non era poi così lontana.




   
 
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