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Autore: Alsha    09/11/2015    3 recensioni
| Skyshipping | reincarnation!AU |
Sta morendo. Lo sente, ormai.
E dalla mensola cinque statuette la osservano, e le raccontano di vite passate.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kotori /Tori, Yuma/Yuma
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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GUIDA ALLA LETTURA
-Non sono presenti nomi se non alla fine, perché in ogni incarnazione avrebbero dovuto cambiarli. Sappiate che sono sempre Yuma e Tori, in ogni universo.
-Tutto ciò che è in Times è quello che Tori sta vivendo in quel momento, il resto sono i ricordi delle varie vite.
-Vorrei dire che è tutta colpa di Koko, ma non è così. L’ho praticamente obbligata a “sfidarmi”: coppia Skyshipping, obbligo “AU” e prompt “statuine”. Una dedica speciale se la merita, no? <3
 
 
 
 
 
Come o perché sia iniziato tutto, non lo sa.
 
Sinceramente, non sa nemmeno come sia andato avanti tutto quanto, e non vuole nemmeno chiederselo. Sa solo che sta per finire, e anche questo non sa spiegarselo.
 
Nella sua testa è tutto chiaro, come è sempre stato, in ognuna delle sue vite.
 
Tra poco finirà per l’ultima volta, la sesta.
 
Sulla mensola davanti a lei le statuette sono solo cinque, però.
 
Cinque perché cinque sono passate, perché a cinque è sopravvissuta, e non sa se anche a questa sopravvivrà.
 
La prima statua è una ragazza vestita di bianco, con una corona di fiori, seduta su una falce di luna.
 
-Oh, Grande Madre… - sussurra.

 
 
 
-La volta stellata è magnifica.
 
Il giovane che ha parlato si puntella sui gomiti per tirarsi a sedere e fissare il profilo della nuova arrivata. La luce della luna piena permette alla ragazza di vedere chiaramente il suo viso, il naso leggermente allungato e i capelli scuri che si avvolgono in morbide onde sul collo e sulla fronte.
 
Lei si scosta i capelli portandoli dietro alle orecchie e distende davanti a lui le braccia, coperte di simboli disegnati con la terra.
 
-È luna piena. – gli fa notare.
 
-E non è forse una cosa terribile? Affievolisce la luce degli astri e ruba loro le nostre attenzioni, quando la luna è una sola e le stelle molte di più.
 
Il ragazzo si lascia nuovamente cadere sull’erba soffice della collina, osservando lontano la grande pira che brucia e disegna le figure forsennate dei druidi che si agitano con i loro rami di quercia. Anche la giovane che è con lui ne regge uno, anzi, più che reggerlo continua a scuoterlo sperando che il rumore delle foglie che stormiscono lo induca ad unirsi al rito.
 
-Non è un modo rispettoso di rivolgersi alla Grande Madre…
 
-… ammirarne lo splendore è il dono più alto degli dei. – completa assieme a lei – Però pensa se tutte quelle luci in realtà fossero piccole solo perché lontane, come il fuoco del villaggio quando si ritorna la sera dalla caccia. – continua, sentendo il rumore del ramo poggiato  - Se così fosse, staremmo ignorando tante dee a favore di una sola. Tu cosa ne dici, luna, che di sicuro sai certe cose meglio di me? – grida al cielo, scoppiando in una risata.
 
Un soffio leggero d’aria fresca sfiora entrambi, e la ragazza si passa le mani sulle braccia, sfregandosi la pelle vigorosamente. I disegni di terra scura si confondono sulla sua pelle.
 
Scuote la testa e i lunghi capelli, mentre gli si siede accanto.
 
Nemmeno per quella sera avrebbero cantato per la luna.
 
 
 
Quasi piange.
 
La prima volta non si scorda mai, dicono. Non ha scordato nemmeno le altre, ma c’è sempre una certa magia in quei ricordi.
 
Sarà che ha scoperto di essere stata un druido, e di aver cantato tante notti nei grandi prati di quella che oggi è l’Inghilterra, o forse, semplicemente, che non sono mai andati oltre l’osservare le stelle –che poi erano davvero grandi luci solo più lontane. Ricorda ancora quando lui gliel’ha rinfacciato indorando la pillola con una tazza di latte e caffè- ed è stato bellissimo lo stesso, anche se ha il retrogusto di un’occasione sprecata.
 
Più ricorda e più lo pensa, in quell’appartamento svuotato dai mobili, con tutti i ricordi dentro scatoloni contrassegnati con il nome dei destinatari. Tutti tranne le cinque statuine sulla mensola sopra la stufa accesa che le riscalda i piedi, l’abat-jour che illumina di luce fioca la casa e la poltrona consunta.
 
Accanto alla fanciulla seduta sulla luna c’è un giovane uomo di gesso, con una tunica bianca e l’elmo e lo scudo rettangolare dipinti in color oro brillante.
 
Ha sempre odiato i soldati, ai tempi.

 
 
 
Ha le mani massacrate dal lavoro per la matrona, coperte di calli e abrasioni. Magari avesse la possibilità di aiutarla ad abbigliarsi e nelle abluzioni, o di accompagnarla in giro per l’Urbe a scegliere i tessuti per le sue vesti… Poter sfiorare quelle stoffe così preziose e colorate dalle province del sud o dell’est è un vero sogno.
 
Un sogno e nulla più, infondo, perché la signora ha già le sue ancelle e lei è relegata alla cucina e alle faccende domestiche.
 
In fondo non è tanto male poter preparare i pasti alla signora e al pater, può anche uscire per andare dai venditori che portano le verdure dalle campagne e essere inebriata dalle spezie dei mercanti dalle province d’oriente.
 
E poi…
 
E poi può portare con sé quel goffo servitore del signore, così dolce anche se un po’ sognatore. E non sognatore come lei, che ogni tanto desidera ammirare da vicino le vesti preziose della sua padrona, ma un sognatore diverso, che vuole essere affrancato e poi andare lontano, e magari diventare ricco con dei terreni nelle nuove colonie.
 
E portarla con sé, anche. Glielo ha già detto più volte, sussurrandole quanto desidera andare altrove in modo da poterla sposare senza dover chiedere il benestare a nessuno, sfiorandole le spalle con le proprie quando si incontrano per la grande villa con le braccia ingombre di commissioni.
 
O quando, come ora, lei si china sul banco per esaminare la merce e lui le si china accanto per aiutarla a spostare le ceste in modo da vederla meglio, o per intimidire i venditori più rudi che della sua bellezza vorrebbero fare altro che ammirarla.
 
E va bene sognare un po’, di quelle terre ricche in cui vivere assieme.
 
 
 
Le mani intorpidite sono intrecciate in grembo, e gli occhi socchiusi al ritmo del ronzio della stufetta elettrica.
 
Alla fine non ce l’avevano fatta ad andare lontano, nemmeno a vivere assieme. Era stata ceduta in dote per il matrimonio di una delle figlie della matrona, aveva cambiato abitazione e non lo aveva più rivisto. Sognato spesso, in un mondo in cui vestiva stoffe tinte di porpora e aveva bracciali di perle, ma per rivederlo…
 
C’era voluta una malattia e molti, molti anni.
 
Lo dice bene la statuetta di una danzatrice dai bracciali tintinnanti ferma nel mezzo di una piroetta.
 
Certo, le sue vesti non erano tanto ricche a quei tempi, e nemmeno tanto colorate a voler ben ricordare. Ma la gioia nel piroettare… quella era la stessa.

 
 
 
Era la Festa dei Matti.
 
Quant’era bella la Festa dei Matti? Magnifica.
 
Nelle strade era sceso il caos, un grande magnifico caos di voci e persone che riscaldavano l’aria invernale, schizzandole l’orlo del vestito con il calpestio frenetico dei piedi nel pantano delle strade fresche di pioggia.
 
Grandioso, davvero grandioso, tutto grandioso, mentre il mondo si confonde in un miscuglio caotico di luci e colori, e la sua gonna piena di toppe colorate come quelle delle danzatrici d’oriente si solleva nel carosello di danze che è la piazza del mercato.
 
Un ragazzone panciuto con una maschera da frate rubicondo e un finto saio indosso la prende tra le braccia, le fa fare una piroetta e la lascia andare tra le braccia di un altro, facendogli un cenno, e quando lei precipita tra le sue braccia si accorge che quel nuovo compagno di ballo ha qualcosa di familiare.
 
Di certo non si tratta del vestito da donna che ha indosso, né del cappello con la rozza veletta che gli nasconde il viso giovane e allegro.
 
Con un braccio la tiene stretta contro il suo torace, mentre l’altro si solleva a scostare la garza dal viso.
 
Il ragazzo ride e la bacia sulle labbra nascosto dal velo e dalla gente che danza.
 
 
 
Quel sorriso… sempre lo stesso e sempre bellissimo.
 
È stato quello ad aiutarla a riconoscerlo ogni volta. Chissà lui da cosa la riconosceva…
 
La coppia di sposi sulla mensola non le risponde.

 
 

I suoi capelli neri le solleticano il collo, il respiro contro il suo collo sembra quello di un bambino.
 
-Lo hai fatto apposta. – suona molto più accusatorio di quanto sia in realtà. In fondo, è felice.
 
La mano di lui scivola sul suo ventre, e sente la fasciatura delle dita pesare contro la tela grossa del suo vestito.
 
-Voglio sposarti. – lo mugola affondando il viso contro la sua spalla, con il tono piagnucoloso di un piccolo a cui hanno tolto i giochi e la voce impastata dalle dosi sbagliate di antidolorifici.
 
-Non è una risposta.
 
Lo sente sorridere contro la sua pelle, poi si trascinano a vicenda in un abbraccio di coperte aggrovigliate e risate che sembrano singhiozzi.
 
La mano bendata risale la sua schiena e si poggia sulla sua nuca. Può quasi sentire il peso mancante di quelle due falangi della mano destra amputate dopo essere rimaste schiacciate contro un carico di mattoni in cantiere.
 
Le dita sottili segnate dal lavoro in fabbrica scivolano tra i capelli corti, li spettinano sulla frangia e scendono sulla guancia segnata da una barbetta incolta.
 
-Ho avuto paura di andare in guerra. – le sussurra all’orecchio, e poi, ancora – Voglio sposarti.
 
Sarebbe successo solo quella volta.
 
 
 
L’unica vita in cui erano arrivati assieme al loro ultimo giorno.
 
Strano, dopotutto era la Seconda Guerra Mondiale. Sono stati in pochi a poter vantare un traguardo del genere, aver vissuto a lungo e insieme.
 
Soprattutto dopo tre vite in cui è sistematicamente andata male, o comunque non abbastanza bene da essere felici.
 
Già, alla fine i conti tornano: tre andate male, una bene, una benino. E questa, che è andata peggio delle prime tre messe assieme.
 
Il fiocco del foulard verde smeraldo le scivola sulla spalla, e il giullare ride di lei.
 
Di loro.

 
 
 
L’aria nel tendone è a dir poco opprimente, e la luce è tanto fioca che si chiede sul serio come faccia a leggere le carte.
 
Con il viso nascosto sotto un velo di pizzo scuro, guarda il giullare seduto davanti a sé.
 
La veste a strisce verdi e rosse, il cappello con i campanelli che fanno rumore ad ogni passo, e quel sorriso.
 
Oh, Dio, quel sorriso.
 
Lui la scruta colmo di preoccupazione e lei si accorge che ha una carta in mano e non l’ha ancora mostrata.
 
-Morirò? – le chiede colmo di apprensione.
 
-Prima o poi, sicuramente. – ma sta sorridendo, mentre poggia sul tavolino coperto di stoffa damascata la carta, senza ancora voltarla.
 
-Ah beh, da una veggente, anche se ad una fiera medioevale, mi aspettavo di più. – ridacchia lui allegro. Poi poggia curioso la mano su quella di lei e la gira, con la carta.
 
Sopra le loro mani intrecciate, gli Amanti stanno per essere uniti in matrimonio.
 
Lui le sorride ancora.
 
-Lo sapevo che eri tu.
 
 
 
Ah, la sente che la sfiora e si avvicina.
 
La morte è così familiare quando viene a cercarla… ogni volta come una vecchia amica. L’unica davvero fedele, viene da pensare.
 
Certo che, pur essendo fedele, è stata davvero una bastarda.
 
È sempre stata destinata a morire giovanissima, ma avrebbe potuto condannare solo lei.
 
-Non avresti potuto? – chiede alla stanza vuota, alla stufetta che ronza, all’abat-jour che sembra essere sul punto di fulminarsi. E nessuno le risponde.
 
Non ha nemmeno una statuetta per questa vita, è durata così poco per entrambi che non ha avuto niente su cui scegliere.
 
È stata l’unica volta in cui si sono incontrati da bambini.

 
 
 
L’erba è soffice e ci si potrebbe camminare a piedi nudi, ma la mamma non vuole.
 
“Se poi ti sporchi i piedini, macchi le calzine nuove, tesoro.”
 
Almeno potrebbe giocare a rincorrersi con tutti gli altri bambini, no? Alcuni li conosce anche, sono della sua stessa classe di scuola, è certa che sarebbero felici se andasse a giocare con loro.
 
“Rischi di rovinarti il vestitino, amore. E le scarpine?”
 
Un broncio adorabile, troppo per sortire l’effetto sperato. Ma non ha mica chiesto lei di andare al parchetto vestita come ad un matrimonio.
 
E così può solo dondolare sull’altalena, nemmeno troppo forte perché non ha imparato a spingersi bene, con le punte delle ballerine che sfiorano la pavimentazione colorata.
 
-Ciao!
 
All’inizio si illude come in un sogno che si stiano rivolgendo a lei, ma quando vede quel bambino sorridente spuntarle davanti è certa che qualcuno l’abbia davvero chiamata, che un sogno non è.
 
E quel sorriso è sempre magnifico.
 
 
 
La tosse la squassa.
 
Il foulard verde che copre la testa calva scivola sul bracciolo.
 
Bene, sta per finire.
 
Lo sapeva che la chemio non serviva a nulla, se non a tenerli ancora lontani dopo quell’incidente d’auto in cui l’ha guardato morire a dodici anni senza poter fare nulla.
 
L’appartamento attorno a lei svanisce, diventa tutto bianco come ogni volta.
 
E questa volta c’è lui che la attende e le sorride.
 
-Questa volta ripartiamo assieme, così nessuno finirà perso per strada, ti va?
 
La morte non ha avuto mai un sorriso tanto dolce.
 
 
 
-Yumaaaaa! Yuma fermati per favore!
 
-Su, Tori! Sbrigati che i ragazzi ci aspettano!
 
-E allora lasciami indietro, poi vi raggiungo.
 
Silenzio.
 
-Non dirlo mai più. Non ti lascio indietro.
 
Una ragazza con i capelli verdi corre per le strade di Heartland City, per mano con lei un ragazzo con i capelli neri e rossi, ed un enorme sorriso.
 
Ah, quel sorriso…

 
 
 
 
 
SPIEGAZIONI, VITA PER VITA
-Prima vita: è un Celtic!AU, più o meno. Sono entrambi due druidi, e le cose sulla quercia e la Grande Madre sono vere. Quercia e vischio erano piante sacre usate nei riti, e Grande Madre, stando a quello che ho trovato, era un appellativo della luna.
-Seconda vita: nulla da dire, direi. AncientRome!AU.
-Terza vita: Medieval!AU, la festa dei matti era una versione arcaica del nostro carnevale, in cui le persone si travestivano (da figure di potere, come quel “frate” che mi piace immaginare essere Bronk, ma anche da donne nel caso di uomini) e passavano le giornate a festeggiare in previsione del martirio fisico e spirituale della Quaresima.
-Quarta vita: WorldWarII!AU (?), in sostanza Yuma (o quello che un tempo è stato) si è fatto schiacciare e amputare le falangi di indice e medio in modo da non poter sparare con il fucile e non essere quindi mandato in guerra.
-Quinta vita: Modern!AU, ad una fiera medioevale. I personaggi della veggente e del giullare sono un –non troppo chiaro- riferimento alla “Serie segreta” di Pseudonymous Bosh, la serie della mia infanzia, e più precisamente un tributo ai personaggi del Giullare e di Clara.
-Sesta vita: sempre Modern!AU, e quella da cui parla Tori. Si sono incontrati da piccoli e poco dopo Yuma è morto in un incidente d’auto, mentre Tori è sopravvissuta ma si è ammalata di tumore. Null’altro da dire, temo.
-Settima vita: quella dell’universo di Zexal, da cui prende il titolo. L’ultima.
 
  
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