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Autore: cartacciabianca    25/02/2009    5 recensioni
Desmond le viene strappato via all'improvviso e Giorgia non sa di che rispondere alle minacce dei misteriosi rapitori, i quali la costringono al silenzio attraverso una messaggistica segreta: e-mail, telefonate anonime, bigliettini nei posti più impensabili... Non resta alto che aspettare, aspettare che nessuno venga a prendere anche lei o minacci oltremodo di uccidere il suo ragazzo.
Otto mesi più tardi la sparizione del suo amato, gli stessi strambi tizi la contattano annunciandole che Desmond tornerà presto a casa.
Su di loro cadde un silenzio pieno di sottintesi. C’erano tanti punti da chiarire, tante domande da farsi prima di abbandonare le proprie speranze nelle mani altrui.
Desmond dipendeva da Altair e Altair dipendeva da Desmond. Ognuno nel tempo dell’altro, se la sarebbero vista con i problemi quotidiani di due vite l’una molto differente dall’altra.
-E così- rise Altair. –Me la ritrovo nuda, la tua ragazza…- bofonchiò.
Desmond sorrise. –Qualcosa mi dice che non ti dispiace affatto!-.
L’assassino condivise la sua gioia. –Vedrò di… trattenermi- fece malizioso.

Gli effetti collaterali al trattamento possono assumere diverse sfumature su ciascun paziente. Il soggetto 17 soffre di "sdoppiamento di personalità". La coscienza del suo antenato si capovolge alla propria nei momenti meno opportuni così da creare situazioni drammatiche ed imbarazzanti. Ma quando il gioco diventerà una triste realtà ci sarà un ultimo viaggio, e poi i tasselli del puzzle resteranno scambiati per molto allungo. Comincia la caccia ai farmaci che l'Abstergo custodisce nei suoi laboratori, unici medicinali che possono riportare tutto alla normalità. Giorgia, accompagnata dalla coscienza di Altaïr che ha preso piede nel corpo di Desmond, dovrà vedersela con un addetto alla sicurezza senza scrupoli e i suoi scagnozzi. Alex Viego farà di tutto per proteggere la segretezza del progetto, ma Giorgia lotterà con le unghie per riavere il suo Desmond. [CONCLUSA]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Desmond Miles , Lucy Stillman , Nuovo personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sintomi...








Ti portai il the su un piccolo vassoio di legno, ma entrando nella stanza e cercando di essere il meno rumorosa possibile, mi accorsi che ti eri appisolato in silenzio, curvo in una posa innaturale e forzata. Avevi un braccio sotto il cuscino, il volto girato di lato e la schiena contorta.
Poggiai il vassoio sul comodino, ti guardai allungo dall’alto mentre le tue palpebre chiuse sussultavano per il sogno tormentato che stavi facendo. Ero in pena per te, Desmond, e mi sentivo in colpa per come avevo pensato solo a me stessa e ai miei dolori in questi ultimi mesi. Mi dispiaceva davvero vederti in quello stato, ma cosa potevo fare per farti sentire meglio se preferivi dormire rinnegando la mia compagnia?
Stavo per voltarmi e uscire dalla camera, avendo altro cui dedicare del tempo, quando ti movesti appena, facendo scivolare le lenzuola e io tornai a guardarti, sorridendo nell’accorgermi che i tuoi occhi mandorlati mi stavano squadrando dal basso all’alto.
Ti girasti verso il comodino, sopra il quale era poggiato il the fumante e, allungando le tue labbra scure in un sorriso, mi donasti la tua gratitudine.
-Come ti senti?- ti chiesi, torturandomi la pellicina del pollice destro.
Tu ti sollevasti di poco, poggiando la schiena al muro, sedendo tra i due cuscini, disfacendo il letto ulteriormente. Avevi indosso ancora le scarpe, e sapevi bene quanto la mia mania della pulizia ordinasse l’esatto contrario.
Notasti la mia espressione contorta e avvilita, decifrasti i miei occhi che ti rimproveravano e ti tolsi le Adidas bianche e nere lasciandole cadere a terra. –Vieni qui- mi dicesti, spalancando le braccia.
Accolsi l’invito, ne fui avida, e una volta al tuo fianco, mi adagiai completamente sulla tua spalla, nonostante fossi tu quello che più bisognava di sostegno.
Stringesti la mia nella tua mano, avvolgendomi come fossi un orsacchiotto da stringere. Ed io adoravo quando tu mi possedevi in quel modo così protettivo. Eri tornato, ed io non ti avrei più permesso di partire.
Chiudendo gli occhi, passai le labbra sul tuo collo, risalendo il tuo profilo perfetto. Però tu restavi rigido, duro anche quando raggiunsi l’angolo della tua bocca e tu non accompagnasti i miei gesti. Mi stavi forse rifiutando? Desmond, così mi facevi male…
-Che ti prende?- domandai facendo scivolare una mano sul suo petto, accarezzandolo.
Tu neppure mi guardavi. Avevi piantato lo sguardo dritto davanti a te e avevi aggrottato la fronte, sulla quale erano comparse delle goccioline di sudore. Non credevo di farti quell’effetto…
-Qualcosa- mormorasti tu tremando. –La testa… mi pulsa- aggiungesti spaventato.
Alzai il braccio e stesi il palmo sulla tua fronte. Eri bollente. –scotti- ti dissi, e la tua reazione fu la solita.
-Allora accetto il the… e ti sarei grato se…- non riuscisti a terminare la frase, che ti piegasti da dolore premendoti le tempie.
A quel punto scattai in piedi. –Desmond!- ti gridai, cercando di alleviare il dolore che neppure potevo immaginare tu stessi patendo. –Desmond, chiamo un medico- disse, ma tu mi fermasti afferrandomi per il polso.
-No!- sbottasti. –è una delle condizioni al mio… rilascio. Niente medici… hanno detto così!-.
Ero nel panico, e vedere delle vene bluastre pulsare sul tuo collo mi agitava. Avevo modo di vederti così solo quando ti arrabbiavi, ma ora non eri arrabbiato. Desmond, che cosa ti hanno fatto?
Era sull’orlo tra pianto isterico e andare a caccia del telefono più vicino, ma i tuoi lamenti cessarono all’improvviso e vidi il tuo corpo tornare tranquillo e la tua presa sul mio polso allentarsi.
-Scusa, non ho idea di cosa… mi sia preso- borbottasti in maniera confusa.
Mi adagia di nuovo accanto a te. –Ti prego, lascia che chiami qualcuno almeno…- ti supplicai terribilmente persa nel mio e nel tuo dolore.
Tu scuotesti la testa prendendomi per le braccia e issandomi sopra di te. –Lascia stare… ora sto bene- mi dicesti tranquillo, e sul tuo volto comparve un sorriso sereno.
Ero a cavalcioni sul tuo basso ventre, e tu m’inchiodasti con un bacio esattamente in quella posa. La tua lingua si fece largo sfiorando la mia, le tue labbra dilaniarono la mia bocca.
Allentasti la stretta sulle braccia e facesti scorrere le tue mani fino alla maglietta che indossavo. Ne sollevasti i lembi e in breve mi spogliasti del tutto, lasciandomi solo col reggiseno bianco.
Avevo paura che ti potesse succedere di nuovo quello appena avvenuto. Cosa ti era capitato? Avresti voluto che scendessi a comprarti un moment, oppure qualcosa di più efficace o specifico? Se i signori che ti hanno scagionato non vogliono che tu ti sottoponga ad alcuna visita medica, allora sei malato di qualcosa che vogliono nascondere, pensai. E finalmente riuscii a sfilarti la felpa e la maglietta assieme.
Mi accarezzasti nostalgico le braccia nude, facendo correre le dita anche sul mio pancino, atto che mi provocò un solletico assurdo. Sussultai, e tu te n’accorsi.
Arrestasti il bacio senza che nessuno te l’avesse chiesto e prendesti a fissarmi. –Quanto tempo- sorridesti malizioso.
Io mi lanciai di nuovo su di te, avvolgendoti il collo con un abbraccio. –Otto mesi di merda- ti mormorai all’orecchio.
Mi stringesti con più vigore, percependo i miei seni poggiati sul tuo petto nudo. Ti dovevo essere mancata da morire, perché capovolgesti la situazione con un gemito.
Riprendesti a baciarmi con passione, gettando in quell’approccio tutti i tuoi ricordi delle nostre ultime notti assieme. Era un po’, dopo tutto, che non facevamo pratica. T’infilasti tra le mie gambe e mi scappò un sospiro nel sentirti di nuovo così vivo su di me.
Le tue labbra si spostarono al mio collo e andarono a divorarmi pezzo per pezzo fino a raggiungere la sfaccettatura del seno. Ma non ti fermasti, scendesti ancora cogliendo tra i tuoi baci il mio ombelico e la pelle chiara dei miei fianchi.
Io ti guardavo commossa, con gli occhi lucidi. –Desmond- sussurrai il tuo nome, e tu mi sfilasti i pantaloni in pochi secondi.
-Che c’è?- tornasti all’altezza del mio viso percorrendo la tessa strada dell’andata.
Io ero troppo preoccupata per te, non potevo lasciar correre, capisci?
I tuoi occhi mi scioglievano come un ghiacciolo al sole, e le tue dita mi accarezzavano la cosca nuda.
-Dimmi che stai bene…- ti sussurrai, e tu notasti di stupore le lacrime che mi salivano agli occhi.
Mi guardavi sperduto in chissà quale bosco dei tuoi ricordi, ripensando a chissà quale sostanza o corrente elettrica era passata da parte a parte del tuo bel corpo mentre sostavi al tuo dovere di cavia. Il bello era che non volevi accettare l’evidenza, schierandoti nel campo di coloro che ti avevano fatto del male. Mi deludevi…
-Di cosa hai paura, scusa? Non ho mica preso l’AIDS- ridesti, ma era una battuta bastarda dentro e già mi avevi fatto passare la voglia.
-No, scemo!- mi sollevai, sedendomi alla tua stessa altezza. Mi strinsi le ginocchia al petto. –Non negare che poco fa… non eri in te- ti dissi.
Tu, di fatti, non negasti. –Hai ragione, ma è uno dei… sintomi al trattamento. Vedrai, col tempo sene manifesteranno altri ma saranno temporanei e andranno a diradarsi più sto lontano da quel posto- ti allungasti verso di me, mi stringesti ancora ed io mi adagiai a te. –Non preoccuparti, non ce n’è motivo…- mormorasti soave, e la tua bocca trovò la mia nonostante io l’avessi nascosta nell’incavo del tuo collo.
Non riuscii ad avvicinare le mani al tuo corpo, perché ti sentivo e ti percepivo cambiato, così ti sfilasti da solo i pantaloni. Fu inevitabili che ti chiedesti come mai non avevo osato, ebbene eccoti la risposta: mi stavi mentendo. Sapevo che questo fatto ti avrebbe tinto dal rosso al blu, ed io non avrei apprezzato questo cambiamento. Malgrado mi stessi preparando a subirne le conseguenze, quali una possibile “pausa di riflessione”, il nuovo colore che percepivo in te era una tonalità tutta nuova di ombre chiaro scure. Una presenza lontana, come distante. Un’ombra del tuo passato che sta aspettando quieta in un angolo del tuo corpo. Desmond, prima che questo vada avanti, vorrei perlomeno avvertirti di questo, ma sono certa che tu non mi crederesti. Eppure, mi avevi promesso di parlarmi di tutto, di raccontarmi con precisione cosa ti avevano fatto e perché. Desmond, non voglio segreti con te, quindi ti supplico, mi concederò a te solo se saprai rispondere alla mia domanda… la mia forza di volontà fu minima e insufficiente.

Non ci amammo quella notte, ti ricordi? Io ero distrutta e mi accontentavo di dormirti al fianco come facevamo tutte le notti da prima che sparissi. E tu altrettanto, dicesti ridendo che era stato divertente solo levarmi di dosso i vestiti. Così mi ero adagiata tra le tue braccia che mi tenevano salda e avevo incrociato una mia con una tua gamba. Entrambi eravamo con indosso solo la biancheria, ma infondo faceva un gran caldo. L’inverno se n’era andato da poco, marzo portava la sua primavera moderata, e io non avrei mai scordato quella data per tutta la mia vita. Né il giorno della tua scomparsa né quello della tua ricomparsa. Eppure, durante il sonno dovetti allontanarmi da te diverse volte, perché ti agitavi come un forsennato. Ti sbattevi a sinistra e a destra del letto costringendomi a piccoli spazi sul bordo; spesso ti avvolgevi a me come cercando di tranquillizzarmi e per una o due ore c’era silenzio. Poi riprendevi a lamentarti nel sonno, parlavi, dicevi cose senza senso e mi parve pure di cogliere un accento arabo e riconoscere alcune parole prese dalla lingua palestinese. Poi citazioni della Bibbia e anche nomi che non ti avevo mai sentito nominare. La mia mente sana registrò ogni tuo spasmo e gemito, raccogliendo tutto in un’unica maledetta cartella chiamata col nome di “Progetto Animus”. Era colpa loro, chiunque fossero. Desmond, ammettilo! Ti hanno fatto qualcosa di orribile senza calcolarne gli effetti collaterali. Ma io voglio sapere cosa! Anche se non ho studiato in un liceo scientifico, saprò darti qualche aiuto. Io ti amo, e non voglio perderti senza combattere, anche se i brutti presentimenti compongono il mio animo pessimista.

Il sole mi colpì all’improvviso, perché eri stato tu a scansare le tende d’un tratto.
Mi voltai dall’altra parte del letto nascondendomi ai raggi dell’immenso, ma tu ti chinasti su di me e cominciasti a farmi il solletico.
-No! Fermo! Ti prego!- ridevo a crepapelle scalciando come una matta e sbraitando per la fastidiosa sensazione. La peggiore di tutte le torture!
Tu ridevi, assieme a me, sfiorandomi con violenza sotto le ascelle e nell’incavo del collo. –Sveglia, sveglia dormigliona- mi dicevi. –Sai che ore sono?- ti fermasti all’improvviso, ed io riuscii ad aprire gli occhi lentamente.
-No- confessai voltandomi a guardare la sveglia che segnava le 9.27 del mattino.
-L’ora di prepararmi la colazione, no?- ti beffasti di me baciandomi una guancia.
Stavo vivendo un sogno. Quello era il buon, vecchio e altezzoso Desmond che amavo.
-Ehi! Lasciami!- stavo per alzarmi, ma tu avevi ricominciato a solleticarmi ovunque. –Piantala! Ho capito!- quasi  ti presi a schiaffi, ma continuavo a ridere senza fermarmi.
Quando ti fermasti sul serio, ti guardai commossa andare verso il bagno e chiuderti la porta alle spalle. Ti ascoltai lasciar scorrere l’acqua della doccia e ti immaginai sotto il getto cristallino. Mi morsi un labbro per averlo solo pensato. Mi alzai, mi avvicinai alla parte di armadio che ti apparteneva e aprii uno dei tuoi cassetti. Presi la prima larga maglietta che mi capitò tra le mani e la indossai come mi piaceva fare il sabato mattina.
Avviandomi in cucina, sorpresi Finger sul ripiano nel centro della stanza che muoveva la coda nervoso. Lanciai un’occhiata alla ciotola e la beccai vuota di croccantini. Sbuffai, mi chinai a prendere nello scaffale sotto i fornelli la busta con la sua colazione, e la versai nella ciotola. Finger si avventò con voracità e fece pulizia in pochi minuti.
Accesi i fornelli, vi poggiai la padella cospargendola di burro e presi dal frigo due uova. Le spaccai nella pentola aggiungendo del latte e del sale. Lasciando formarsi la prima cottura, volai al tostapane e vi infilai quattro fette di pane in cassetta. Bruciacchiato, pensai, come piaceva ad entrambi.
Tornai alle uova e, dopo averle sbattute per bene, apparecchiai due posti al tavolo. Giravo scalza per la casa ma non sentivo per niente freddo, anzi, percepivo ancora il tuo calore come una specie di stufa portatile.
Ed eccoti lì, magnifico come ti ricordavo. Ti aggirasti per il salone guardandoti attorno con indosso solo quel bianco e candido asciugamano, stretto a vita bassa sui fianchi. I capelli corti tuoi erano ancora bagnati, e sulla tua schiena scolpita come nel marmo viaggiavano alcune restanti goccioline d’acqua. Ti avvicinasti al televisore e ti chinasti poco più in basso, dove era tenuta la play. –Non ci credo- dicesti. –Non l’hai toccata per tutto questo tempo- sembravi deluso.
Io sorrisi, perché mi era parsa una battuta divertente. –Non aveva senso giocare senza di te- ti confessai e tu mi lanciasti un’occhiata dolce, commossa che io accolsi con soddisfazione.
-Mi spiace che tu sia stata tanto male- mi venisti incontro, stringendomi a te mentre versavo le uova nei piatti. –Non riesco a credere di averti causato tanto dolore-.
Quelle parole me ne causarono altro. –Non darti pena, piuttosto… stavo pensando che dovremmo avvertire qualcuno dei nostri amici, non credi?- ti osservai sederti al tavolo e gettarti sulla colazione.
-No- rispondesti scherzoso. –Voglio passare del tempo con te, fin quando non avrò rimediato a questi otto mesi di merda, come li chiamiamo noi- mi sorridesti.
Mi sedetti accanto a te e consumammo il pasto in silenzio. Una quiete carica di domande per me e di dolori per te, mio Desmond, perché ti sentivo gemere impercettibilmente e masticare nervosamente il toast.
-Non lo trovo affatto giusto!- sbottai d’un tratto, e tu sobbalzasti.
-Giògiò…- mormorasti il mio soprannome perché quella mia reazione sembrava averti turbato. Mi guardavi spaventato. –Giorgia, cosa…- le tue parole ti morirono in gola e i tuoi occhi presero un colore differente, sfumandosi appena. Ma che dico, era la tua pupilla che andava ad ingrandirsi.
-Basta, Desmond. Questo pomeriggio chiamo Nik e Oliver e usciamo insieme. Anche William era in pensiero per te. Hanno atteso anche loro otto mesi per riavere indietro il loro barista preferito!- continuai.
-Chi sei?- fece una voce.
-Non voglio mettere in dubbio il fatto che… anche io vorrei tanto stare con te… un po’… di tempo- mi bloccai dov’ero, terrorizzata.
Guardai verso di te, ma seduto su quella sedia non c’eri tu, Desmond. Cioè, sì… eri tu, con il tuo accappatoio, il tuo volto. Ma poteva quella voce provenire da te?
-Dove sono?- le tue labbra si mossero ancora, mentre i tuoi occhi color nocciola mi fissavano senza tradire emozioni. Poi ti toccasti il petto nudo con un’espressione in viso che non ti apparteneva, amore mio. Quella voce così cupa, austera aveva parlato di nuovo!
Scattai in piedi, e la sedia cadde a terra rumorosamente.
Il tuo corpo mi imitò, allontanandosi dal tavolo. –Dove sono?!- ripeté con più vigore la voce che veniva dalla tua bocca.
Ero sul punto di svenire, ma il mio volto tornò sereno in breve tempo. –Avanti, lo so che è uno scherzo, scemo…- borbottai chinandomi a raccogliere la sedia.
Nel rialzarla da terra, lo schienale di questa mi sfuggì nuovamente di mano.
Perché mi avevi afferrata per un braccio e mi avevi voltata di spalle facendomi male? Perché mi puntavi il coltello da tavola alla gola? Perché mi avevi spinta contro la parete e mi minacciavi con frasi del tipo: -Dimmi dove mi trovo, e ti lascerò vivere!-. Ma Desmond, quella non era il timbro della tua voce. L’uomo mi stringeva al muro e minacciava di tagliarmi la gola con un pezzo del set di coltelli di IKEA, impugnandolo con una certa maestria che mi lasciò sorpresa oltre che tremante dalla paura.
-No! Desmond, fermati! Che stai facendo?!- provai a sciogliermi dalla sua presa, ma il tuo corpo era rigido e mi soffiava sul collo il fiatone.
-Di cosa stai parlando?!- sbottò la voce.
Eri impazzito, poteva essere l’unica soluzione. Avevi dato di matto, un blocco alla memoria, un cancro… amore, cosa ti avevano fatto?…
Scoppiai in lacrime. –Desmond…- piansi.
Sentii la presa sulla mia schiena affievolirsi e la spinta della lama sulla mia gola allentarsi. In fine, il tonfo di un corpo senza vita e mi voltai.
Eri steso a terra, precipitato nella perdita di tutti i sensi.
Ti poggiai due dita alla gola e al polso, ti sistemai al meglio e portai l’orecchio sul tuo petto nudo. Eri vivo, Desmond, ma perché tutto quello… cosa ti era successo?


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Apro piccola parentesi: (Desmond è stordito, certo, ma non ancora totalmente scambiato con la mente del suo antenato!) ^__^ tutto qui.

Apro seconda piccola parentesi: (il primo manifesto della coscienza di Altair nel corpo di Desmond, il quale però ha perso fortunatamente i sensi, o Giògiò avrebbe fatto una brutta fine)
In fine, ringraziamento speciale ai seguenti utenti:

Saphyra87
Goku94
Lilyina_93.


RECENSITE!


   
 
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