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Autore: Billie Edith Sebster    14/11/2015    1 recensioni
[Seconda Guerra Mondiale / Olocausto AU! OOC! DESTIEL]
In un mondo dove vecchie tensioni si rinnovano con inaudita violenza, ferite non ancora rimarginate si riaprono ed il buio e la morte marciano sostenute in schiere compatte, c'è ancora spazio per qualcosa che non ha l'amaro sapore dell'odio. E' il 1938 anche per una cittadina fuori dal tempo come Colonia, e l'incontro di Dean e Castiel è pura coincidenza: è un amore prorompente che li porterà a trovare un espediente per cui combattere nel dolore e nel sangue ogni battaglia si presenterà loro davanti. Ma non sempre i nemici ci affrontano di petto, altri preferiscono strisciare da dietro e soffocarti lentamente nel tuo stesso passato...
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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*Schiva pomodori, mattoni, bombe incendiarie e John Cena* ehi…… come state…..

okay, va bene, odiatemi quanto vi pare, mi odio anche io, lanciatemi tutto quello che volete, John Cena incluso se vi piace l'idea, so che me lo merito.

Mi dispiace veramente veramente veramente tanto per l'attesa, ma in verità tra la scuola e il fatto che questa ff è piuttosto difficile da scrivere mi sono un po' bloccata (sì, certo, facendomi venire la brillante idea di scriverne un'altra, complimenti Billie, sul serio) e… okay, sono patetica, la smetto.

Ma so come farmi perdonare (circa). In questo capitolo ci sarà una piccola sorpresina, chiamiamolo un ingresso in scena che oddio non posso dirvi altro, ci vediamo di sotto (tenetevi un po' di pomodori da parte, non si sa mai).

Billie Edith

 

Dean non si era mai posto problemi teologici in vita sua, un po' perché non pensava di averne bisogno, un po' perché non era mai stato tentato dall'idea di affidare la poca fede che aveva in qualcuno che non sapeva nemmeno se esistesse o meno.

Di una cosa, però, era abbastanza certo, e le settimane passate come agente della Gestapo rafforzarono di buon grado tale tesi: sapeva che da qualche parte un Dio esisteva, solo che non si fidava di Lui.

E perché avrebbe dovuto? La sua famiglia era dall'altra parte del globo, forse non avrebbe mai più rivisto Charlie, il suo migliore amico aveva smesso di farsi sentire, ogni giorno c'era il rischio che una nazione a casaccio decidesse di avere troppi esplosivi nel proprio arsenale e che quindi era cosa buona e giusta abbandonarli sulle loro teste.

E c'era Castiel. Non aveva dubbi: sarebbe sopravvissuto. L'avrebbe rivisto, sarebbero morti insieme, in un campo di concentramento o sotto una pioggia di proiettili o fra sessantacinque anni in un pensionato, non gliene fregava nulla.

Per questo non si fidava di Dio: il Grande Capo si era preso il disturbo di creare gli esseri umani come si dispongono i pezzi degli scacchi su una scacchiera, poi li aveva abbandonati in autogestione godendosi lo spettacolo del mondo che andava a puttane da sopra una nuvola. Grazie tante, ne era capace anche lui.

 

 

Ebbene, aveva pregato.

Costantemente. Non perché pensava Cas ne avesse bisogno. Cas poteva farcela, credeva in lui, non aveva alcun dubbio. Sapeva quanto fosse forte, quanto bene le sue apparenze timide ed impacciate, il suo modo di osservare e non partecipare celassero un carattere tenace e determinato.

Era lui quello che non ce l'avrebbe fatta. Perché da quando Castiel era piombato nella sua vita, troppo spaventato per accorgersi di aver veramente fatto la differenza per qualcuno, aveva capito che si può programmare la propria esistenza minuto per minuto, ma il fato, il destino o una di quelle stronzate lì, avrebbe fatto succedere qualcosa solo per il gusto di stravolgere tutto. Prenderla bene o male al riguardo era un fatto puramente personale.

Aveva sempre saputo che Cas era importante per lui come nemmeno Sam lo era stato perché era diverso, ma riusciva a riconoscere la pienezza di quel sentimento, quanto colmo e completo lo facesse sentire solo da quando erano stati separati. Il vuoto lasciato era una voragine che risucchiava tutto, e prima o poi sarebbe stato inghiottito per intero, lo sapeva bene.

 

 

 

Sottocapitolo 2

memorie del paradiso, dall'inferno

 

Dean ricordava che la sera prima, andando a letto, aveva notato il cielo scuro e plumbeo sopra alla campagna fioccare timidamente. Niente di particolare insomma, solo una debole e fine pioggerellina che scendeva con una certa flemma fino a sciogliersi sul selciato davanti a casa, senza lasciar segno di esserci stata se non una sottile coltre di umidità.

Quando il mattino dopo si svegliò ( tardi in modo vergognoso, perché di domenica aveva il legale diritto di ogni lavoratore a ignorare sistematicamente il proprio capo), uno spesso e compatto blocco di neve si era accumulato davanti alla porta a causa delle sferzate di vento che di notte avevano frustato la zona senza sosta, e ne rimase piacevolmente sorpreso.

Dopo averla spalata via tutta, operazione che richiese quasi due ore di olio di gomiti suoi e di Sammy, riuscì a liberarsi da ogni impegno e si diresse verso i campi che abbracciavano Colonia. Ovviamente, la neve depositatasi sulle strade non era ancora stata spazzata via. Qualcuno si era alzato di buon grado alle sette per liberare il proprio vialetto di casa, o davanti alle vetrine degli empori, ma il silenzio bianco e sonnacchioso che regnava ancora alle nove era così piacevole che era come se nessuno volesse disturbarlo.

Inoltre, a Dean era sempre piaciuto andare in giro affondando i piedi nella neve fresca e farinosa, sentirla comprimersi e scricchiolare sotto al suo peso. Era uno dei suoni dell'inverno.

Castiel lo stava aspettando seduto sotto alla veranda di casa sua, aveva una sigaretta fra le dita che, rimasta ignorata per parecchi minuti, si era consumata finendo in una macchia sporca di cenere sui gradini ghiacciati. Il suo sguardo era perso nel vuoto, guardava davanti a sé senza veramente soffermarsi su dettagli particolari. Dean sapeva ormai riconoscere quando Cas era bloccato in una spirale tortuosa di pensieri, leggeva queste cose sul suo viso come un libro aperto. Ciononostante, lasciò che si desse il tempo per districarsi da qualsiasi problema a cui stesse facendo fronte nella sua testa e si sedette accanto a lui in attesa.

Era incredibile, se lo ripeteva in continuazione.

Quel ragazzo aveva passato così tanto tempo a vivere in un mondo costruito dentro di sé che ancora faticava ad essere presente anche nella realtà. Dean, dal canto suo, sapeva pazientare.

Il moro si mosse appena riconoscendo la sua presenza e appoggiò la testa alla sua spalla.

Sono scivolato sul ghiaccio. – Annunciò con voce falsamente afflitta.

L'altro emise una piccola risata, stringendosi a lui. – Attento a non impegnarti troppo, eh?

E in più – proseguì Castiel, raggomitolandosi contro il torace del compagno, cosa che lo fece somigliare tremendamente a un gattino infreddolito, – ho imprecato in francese.

Non aspettandosi un'uscita del genere, Dean scoppiò in una risata liberatoria. – Non posso crederci, quando finirai di stupirmi? – ma Cas continuò come se nulla fosse, impegnandosi al massimo per non ridere anche lui. – Io nemmeno mi ricordavo come si impreca in francese! Mi sono quasi spaventato, chissà quante altre cose so che non so di sapere.

Dean si ribaltò all'indietro dal gran che rideva, tenendosi la pancia con le mani. Gli ci vollero un paio di minuti per riprendersi, ma quando smise l'ombra di un sorrido rilassato e soddisfatto gli increspava le labbra.– Potresti essere un angelo e non saperlo… – commentò pensieroso.

Castiel arrossì e si strinse nelle spalle. – Ora esageri. Tanto per cominciare non scivolerei sul ghiaccio, se lo fossi. – Dichiarò, stringendosi nel pesante cappotto invernale. – In secondo luogo, quale glorioso angelo va a perdere la testa per un essere umano?

Dean incrociò le braccia, assolutamente contrariato. – Se l'essere umano in questione sono io, anche l'angelo sfigato di turno, credimi.

Cas inarcò le sopracciglia, sfregandosi le mani sugli avambracci per tenersi al caldo. – Non lo biasimerei.

Però, quanto siamo lusinghieri oggi, eh?

Continuarono così a chiacchierare per parecchi minuti, mezzi stravaccati sulla veranda nonostante fosse ancora umida per la neve, e Dean continuava a guardarlo. Come se tutto quello che aveva davanti gli bastasse per essere felice e dimenticarsi che la fuori la guerra continuava ad imperversare.

I suoi occhi erano così verdi e calmi, e distanti ma vicini perché sembrava che la sua mente viaggiasse miglia all'ora mentre tutto quello a cui pensava era seduto lì.

Non aveva mai provato nulla del genere, ne era sicuro.

Ma lo faceva stare bene, quindi che male c'era?

Rimasero a fissarsi per qualche istante, indecisi se rimanere ancora accoccolati sulla veranda fra strati e strati di vestiti, occasionalmente portando fuori una bevanda calda, un libro e una coperta (ora erano alle fiabe dei fratelli Grimm, e Dean non avrebbe mai pensato che quella roba potesse attrarlo così tanto), oppure andare a fare una passeggiata fino in città.

Qualsiasi decisione stessero per prendere, dovettero cambiare i loro piani. Sentirono la neve smuoversi in lontananza, dove nel frattempo era stata spalata via quasi tutta, e scorsero un furgoncino verde scuro accostarsi al bordo della strada qualche metro più in là.

Scattarono in piedi con la reattività di due molle, pronti a mettere in scena un piano che più di una volta avevano ripassato insieme in caso di necessità, ma con il cuore che batteva a mille. Sebbene sapessero precisamente quale fosse la montatura e le loro battute, la risposta ad ogni domanda che sarebbe stata posta, l'ansia cominciò a farsi strada fra gli indumenti invernali e a pungere più del freddo.

Il primo uomo che ne scese era non troppo alto e magro come un giunco, l'aspetto severo della mandibola squadrata perdeva importanza a causa del colorito pallido e malaticcio del viso. Qualche sparuta ciocca color paglia spuntava da sotto il berretto verde con appuntata la spilla d'oro delle SS, e questo bastava a renderlo spaventoso ed autoritario. Si avvicinò con passo di marcia, impettito come un gallo, i suoi tre uomini che gli trottavano alle spalle rendevano la presenza se possibile più minacciosa.

Dean Winchester? – chiese il primo, squadrandolo torvo. Il ragazzo fece un passo avanti, cercando di non tradire tutta la paura che gli circolava impazzita come un bolide nel corpo.

Sono io.

Mi hanno detto che potevo trovarti qui. Ho un messaggio per te. – disse semplicemente, riducendo gli occhietti malvagi a due fessure scintillanti. Gli porse una lettera bianca, l'unica nota di colore era la ceralacca vermiglia come una goccia di sangue sulla neve.

Lei chi è?

Comandante Luogotenente Alastair. Non ti serve sapere altro. Chiamami Capo, se preferisci.

Dean lo fulminò con lo sguardo. Avrebbe voluto avvicinarsi a Castiel, prenderlo per mano e rientrare in casa, per aspettare il mattino seguente ad aprire la busta. Ovviamente non poteva, ed era chiaro che Alastair volesse vederlo aprirla proprio lì, in quell'istante.

Strappò malamente la chiusura ed estrasse il foglio accuratamente piegato. Il breve testo battuto a macchina non poteva essere più chiaro di così:

 

Io, Fergus Crowley, Capo di stato Maggiore del Deutscher Heer, ex Keiser dello stesso durante la Erster Weltkrieg, in data tre Gennaio 1941 dichiaro formalmente che Dean Winchester, figlio di John Winchester e della consorte Mary Campbell Winchester, è formalmente tenuto a svolgere il compito di guardia scelta nel corpo della Gestapo di vostra onorificenza Adolf Hitler. Pertanto, lo consiglio intimamente al comandante luogotenente Inspektor der Sicherheitspolizei und SD R. K. Alastair della Polizia Segreta come omaggio e favore personale nei confronti della famiglia Winchester, di Hitler e della Nazione tutta.

Cordiali saluti,

Fergus Crowley

Berlin, dritten Januar 1941

 

La prima volta, Dean la lesse a parole alterne per lo sconcerto. La seconda volta, a causa della paura si sentì sprofondare nel suolo come se fosse stato fatto di sabbie mobili. La terza, ringraziò il Signore, gli angeli e gli apostoli ovunque essi fossero che Castiel lo conoscesse abbastanza bene dal tenergli saldamente una spalla prima che l'impulso di avventarsi sugli agenti lo sopraffacesse del tutto.

--Chi è Fergus Crowley? – domandò, con le braccia ancora tremanti per un misto di sensazioni che ormai non era più in grado di distinguere.

Il primo del gruppetto esibì un ghigno, godendosi la scena che, dal suo canto, doveva essere parecchio divertente. – Non ti conviene saperlo.

Dean sentì la rabbia infuriare nel suo torace. – Mi conviene eccome, questo maledetto bastardo mi vuole nella polizia privata di Hitler!

In futuro non l'avrebbe mai ammesso perché Dean era decisamente un tipo troppo orgoglioso per farlo, ma davvero non si aspettava che quel tizio scattasse in avanti così velocemente e gli bloccasse un braccio dietro alla schiena fino a schiacciarlo al suolo e che, in tutta l'operazione, avrebbe subito impotente.

Provò con qualche violento strattone, scalciò e ne gridò di ogni fra parolacce in tedesco e insulti in inglese dei più fantasiosi che gli venissero in mente, ma alla vista della canna metallica si fermò di botto. Il cane emise un sottile clangore metallico abbassandosi, il grilletto era visibilmente a metà percorso.

Cercò allora di voltare la testa di lato nonostante fosse metà immersa nella poltiglia disgustosa di neve e fango, e con la coda dell'occhio riuscì ad intravedere Castiel, il volto cinereo deformato dalla rabbia e dalla paura, venire bloccato per le braccia da due agenti, mentre un terzo lo teneva sotto tiro con la sua arma.

Tentò di scuotersi il peso di Alastair di dosso, ma l'unico risultato fu un ginocchio premuto fra le scapole. Emise un gemito contrariato nell'immobilizzarsi completamente, come un animale feroce su cui hanno fatto effetto dei sedativi.

Ti conviene fare il bravo, eh Dean-o? – L'ufficiale si era chinato in avanti e gli bisbigliava direttamente nell'orecchio quelle parole, che suonavano quasi come una cantilena canzonatoria. La canna gelida era sempre schiacciata contro la sua tempia, ne percepiva un lento respiro uscire dalla sua bocca.

Chi è Crowley? Cosa vuole da me? – Riuscì ad articolare Dean, sputando una boccata di fango. La pressione alla schiena aumentò.

Fidati, – sibilò Alastair – Crowley è uno che vive con un piede all'Inferno, è un pesce di quelli grossi. Se raccomanda a qualcuno come me un ragazzino come te ha le sue valide ragioni. Non ne hai la più pallida idea.

Dean cercò di muoversi, sperando di coglierlo impreparato, ma a quanto pareva, l'addestramento militare impartitogli dal padre non gli era granché d'aiuto. – Che diavolo sai, tu? L'hai letta? Figlio di puttana…

Il comandante rise piano. – Il vapore è un trucchetto che ho imparato ad usare da bambino, non avrei mai pensato che sarebbe tornato utile. In ogni caso, non ti conviene sapere quello che so io.

Dean rimase in silenzio. Alzò di nuovo lo sguardo su Castiel, che aveva cessato di dibattersi e si limitava a fissare in cagnesco i due agenti, quasi come se stesse per ucciderli.

Non lo aveva mai visto veramente arrabbiato, ma era sicuro come di poche altre cose che un Cas incazzato a bestia era certamente l'ultima cosa che quei gradassi avrebbero voluto avere nella loro giornata. Abbassò gli occhi sulla lettera, caduta poco lontano: si stava lentamente inzuppando.

Ci devo pensare. – decretò, sperando che bastasse a farlo alzare da terra. Ovviamente si sbagliava. Il ginocchio del comandante affondò nella sua schiena e percepì un paio di vertebre scricchiolare sotto tutto quel peso. Emise un gemito soffocato di dolore, completamente impotente nella sua posizione di svantaggio. – Temo che tu non abbia altra scelta.

Dean cercò di respirare, ma tra il freddo che penetrava nei vestiti come spilli ghiacciati e l'ossuta articolazione di Alastair incuneata fra le scapole ebbe parecchie difficoltà. Il lato destro della faccia era ormai insensibile.

Perchè mai dovevano volere qualcosa da lui? Cosa c'entrava la sua famiglia?

Suo padre aveva combattuto la Grande Guerra, aveva passato mesi intrappolato in una trincea in attesa di conquistare avamposti che si erano sempre rivelati trappole di iprite e bombe chimiche. Ma effettivamente, non aveva mai detto di aver combattuto per gli inglesi, e se l'ex Keiser diceva che era un favore per lui si insinuò nel ragazzo l'idea che ci fosse qualcosa che John Winchester non gli aveva mai detto a proposito della bandiera sotto cui aveva marciato trent'anni prima.

Avrebbe chiesto al diretto interessato spiegazioni esaurienti, anche se quello si fosse rifiutato gliele avrebbe cavate fuori con ogni mezzo necessario. Che genere di favore doveva al Keiser? E soprattutto, la polizia segreta di Hitler non veniva scelta a caso, si doveva passare attraverso livelli di ammissione interminabili. Con lui era bastata davvero solamente una lettera? Un richiamo all'ultimo conflitto mondiale?

Allo stesso tempo, riflettè su quali benefici avrebbe potuto portare a lui e a Castiel, alla situazione in generale, il diventare parte della Gestapo Locale. Da una posizione così alta, non avrebbero mai sospettato nulla, anche con la storia della foto e della perquisizione…

Okay. Va bene. Ma voglio parlare con Crowley.

Alastiari, finalmente, si scansò di dosso, e l'aria che riprese a circolare nei suoi polmoni fu come un balsamo per la gola lasciata a secco.

Si alzò a fatica, cercando di darsi giù tutta la neve sporca che aveva addosso, con scarsi risultati siccome era ormai tutta impregnata nei vestiti.

Come ti pare, Winchester. Sei un tipo tenace comunque, proprio come tuo padre. – Alastair estrasse un sigaro dalla tasca, se lo mise fra le labbra e lo accese. Perse qualche secondo a fissarlo da dietro la cortina di fumo che usciva dalle sue narici mentre fumava, poi con passo di marcia prese e se ne andò.

 

 

 

John Winchester era un tipo cupo sotto molti punti di vista. Amava la moglie e i suoi figli, teneva alla famiglia più di qualsiasi altra cosa e aveva saputo dimostrarlo egregiamente, ma le occasioni in cui Dean e Sam lo avevano visto sorridere apertamente erano poche. In più, non parlava mai molto di sé. Quando si toccava l'argomento, quando qualcuno che non lo conosceva insisteva nell'udire un qualche aneddoto della Grande Guerra, si limitava sempre a fare un gesto con la mano e rifugiarsi nella sua testa chiudendo fuori tutto e tutti.

Insistere con lui equivaleva a diventare suo nemico. John non aveva mai amato le persone petulanti, come il disordine e la confusione. Non amava nulla che gli ricordasse la guerra, ma aveva comunque insistito perché i suoi figli apprendessero il mestiere delle armi.

Li aveva istruiti sul combattimento corpo a corpo, aveva insegnato loro come usare una pistola e un fucile, così come le tecniche di sopravvivenza basilari in ambienti ostili.

Era silenzioso. Gli piaceva passare del tempo da solo. Dean, per certi versi, lo capiva.

Doveva pur trovare il silenzio di cui aveva bisogno, di tanto in tanto.

Anche Dean in quel momento era da solo. Gli aveva dato un ceffone, la guancia formicolava ancora. Quelli di suo padre erano belli potenti, aveva mani grandi forgiate dal dolore di un'adolescenza mai portata a compimento, era stato un ragazzo costretto a diventare adulto con una baionetta in mano.

Il dolore era improvviso, inevitabile ed acuto. Tutt'ora, incessante. Tuttavia, non aveva versato una lacrima. Parte dell'addestramento impartitogli prevedeva l'essere in grado di non esprimere emozioni, in quanto chi ci è nemico può usarle contro di noi. In particolare, le lacrime erano chiaro segnale di debolezza.

Si passò una mano sullo zigomo, ma la ritrasse immediatamente quando la pelle formicolò.

Come si era aspettato, non l'aveva presa bene. Senza girarci troppo attorno, aveva riferito della lettera, di Alastair e chiesto chi fosse Crowley.

Suo padre, dopo qualche teso secondo di glaciale silenzio, si era alzato così bruscamente da ribaltare la sedia, Mary aveva gridato spaventata ma ciò non aveva impedito al marito di raggiungere il figlio con un paio di ampie falcate e mollargli una sonora sberla in pieno viso. Come gli era stato insegnato, Dean non si mosse e non reagì, si limitò a guardarlo quanto più male gli fosse possibile.

Non devi pormi mai più questa domanda. Hai capito, Dean?

Perchè?

Non sono affari tuoi. Cose che non ho voglia di riesumare.

Ma…

Niente ma! La prossima volta che me lo chiederai non sarò così clemente.

Dean aveva protestato, aveva cercato di farlo ragionare, ma l'unica cosa che gli aveva cavato era stata “Crowley non è affatto una brava persona. È un demone e devi stargli lontano, Dean, non accetterai mai la sua proposta!” e per quanto il figlio insistesse di non avere scelta, era inamovibile. Ormai era chiaro che si sarebbe dovuto arrangiare.

 

Castiel immaginava di dover attendere un po' prima che il compagno tornasse, perché aveva ascoltato abbastanza bene i racconti di Dean sul padre per sapere che certi argomenti erano ben lontani dall'essere un piacevole oggetto di discussione in casa Winchester.

Specie se si trattava del passato del padre.

Non essendo affatto in vena di rimuginare sulla storia dell'agente e supponendo che Dean non sarebbe stato affatto di buon umore decise che probabilmente sarebbe stato carino da parte sua tentare di rendere più leggera la giornata.

A trovare il libro giusto ci mise più di quanto avesse programmato, perché sua nonna aveva la mania di occultare i volumi di ricette con più cura di quanta ce ne mettesse per nascondere i risparmi o i denti d'oro (non che qualcuno fosse mai andato a cercare questi ultimi, comunque). Alla fine, lo scovò dentro al barattolo dove di solito tenevano lo zucchero, e senza stare a porsi troppe domande su come diavolo la vecchia megera avesse avuto la brillante idea di metterlo proprio lì, si rimboccò le maniche.

 

 

Dopo quasi mezz'ora seduto sotto al portico di casa a pensare, Dean stabilì che la cosa migliore era accettare che Alastair lo prendesse sotto la sua ala, tenendosi comunque a debita distanza da quel Crowley nonostante morisse dalla voglia di sapere cos'era successo fra lui e suo padre. Si avviò flemmatico verso casa di Castiel, attento a non essere seguito e guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fossero agenti in giro. Si sentì più tranquillo solo una volta che ebbe intravisto la casa del compagno a ridosso della via che si addentrava sempre di più verso la campagna.

Guardando bene dove metteva i piedi per non scivolare sul ghiaccio, entrò dalla porta sul retro (che ormai era pattuito restasse aperta per lui, con l'eventuale chiave sotto allo zerbino) e subito sentì il cervello annebbiarsi per qualche secondo.

Ora, se c'era una cosa di cui Dean era veramente molto esperto, salvo macchine e donne e Castiel, erano le crostate. Avrebbe saputo riconoscerne una da dieci e lode in mezzo secondo, ma quella il cui profumo attraversava tutto il pian terreno doveva essere veramente una meraviglia del creato, perché sentì lo stomaco, fino a quel momento chiuso a causa della litigata col padre, emettere un brontolio affamato decisamente inequivocabile.

Si tolse le scarpe inciampando nei lacci per la fretta e si precipitò in cucina. Lo spettacolo che gli si parò davanti lo lasciò mezzo basito, completamente indeciso se ridere oppure intervenire.

La stanza era in balia del peggior caos avesse mai visto in vita sua, nemmeno Benny era in grado di mettere tale soqquadro nel retrobottega del pub, ma la cosa che più pareva in disordine era Castiel: infarinato dalla testa ai piedi, aveva la camicia mezza fuori dai pantaloni e macchiata di marmellata ai mirtilli, le maniche arrotolate fin sopra al gomito erano irrimediabilmente sporche come il resto degli indumenti. Sotto al viso cosparso in diversi punti di farina, si intravedevano le gote arrossate per la concentrazione, e i capelli non erano mai stati più scompigliati di così.

Non si era nemmeno accorto dell'ingresso di Dean, ed era tutto intento a spostare quella che sì, era decisamente una crostata a dir poco sensazionale anche solo da guardare, dalla teglia al piatto. Con un ultimo misurato gesto la fece delicatamente scivolare da una superficie all'altra e, cogliendolo un po' alla sprovvista, appallottolò la carta da forno e la gettò alle sue spalle con noncuranza, alzando i pugni trionfante.

Oma* resusciterà dalla tomba per congratularsi con me, lo sento.-- asserì, spostando finalmente lo sguardo su Dean, che era talmente indeciso se lasciarsi distrarre dal dolce o dalle braccia toniche e definite di Castiel che aveva semplicemente aperto la bocca in adorazione di entrambe le cose.

Tu… Quella… Oh mio Dio e apostoli del cielo se questo è un sogno non svegliatemi. – dichiarò Dean, avvicinandosi al tavolo per osservare la crostata da vicino.

Vuoi dire che ti è piaciuta?

Che razza di domanda è, certo che sì! – gli gettò le braccia al collo senza interrompere la sua opera contemplativa, che fosse del compagno o della crostata non aveva nemmeno più tanta importanza.

Cas rispose all'abbraccio stringendolo per i fianchi e sorrise divertito. – Dovrebbe essersi raffreddata abbastanza da poterla mangiare, prendo un coltello.

Tesoro, se devo essere del tutto onesto penso che mi sentirei in colpa a mangiarla. – il biondo era veramente ammirato, più di quanto in realtà lasciasse vedere.

Dici sul serio?

Certo che no, prendi il coltello.

Castiel eseguì scuotendo la testa. Tagliò il dolce con precisione millimetrica ed offrì a Dean la prima fetta, praticamente imboccandolo come si fa con i bambini.

Questi roteò gli occhi. Era assolutamente, con tutto il rispetto per Mary ed Hellen, la crostata ai mirtilli più buona che avesse mai mangiato. La pasta era morbida e friabile e la marmellata era ancora un po' tiepida, quindi il calore scacciò quel po' di freddo che gli era rimasto addosso e sciolse tutta la tensione.

Non ti offendi se ho un orgasmo qui e ora, vero?

Questo fu davvero troppo, Cas scoppiò a ridere, gli prese il viso fra le mani e lo baciò.

Se mi rendi partecipe della cosa, prometto che chiuderò un occhio.

 

 

 

 

Note d'autrice che si sente molto in colpa ma sa di meritarselo:

e niente, spero che anche questo capitolo vi piaccia e che non mi odiate veramente tanto.

Insomma, perdonatemi ve ne prego.

Spero che la sorpresina di Crowley sia stata gradita, non dovrete attendere ancora molto per incontrarlo, e la parte fluffosa alla fine ci voleva, anche se Castiel Pasticcere è una cosa ormai scontata ho questa mania e dovevo infilarla per forza da qualche parte (sì, insomma, scusate l'eccesso di mediocrità).

Bacioni a tutti

Billie Edith

*Oma = Nonna

   
 
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