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Autore: Helena Kanbara    15/11/2015    1 recensioni
[Raccolta di missing moments provenienti da kaleidoscope, da leggere anche separatamente]
Dopo mesi decisamente non “rose e fiori”, Stiles ed Harriet decidono di prendersi una strameritata pausa da Beacon Hills e tornano insieme nella città natale della piccola chiaroveggente: Austin, in Texas.
Ma tra cani combinaguai, parenti impiccioni ed apprensivi, ex-cotte non gradite e un sacco di zucchero, le vacanze natalizie di Harry e Stiles non saranno poi così tranquille come credevano e speravano i due.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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And if you’ve never felt
your soul torn apart,
you’ve never loved
someone with all your heart.
 
Rosa. Rosa, rosa, rosa.
Pareti rosa, cuscini rosa, lenzuola rosa, vestiti rosa. Non vedevo nient’altro che quello.
Mi voltai sul fianco destro, scalciando malamente il piumone – rosa – nel quale durante la notte mi ero arrotolata come un bruco nel bozzolo. Individuai sul comodino in legno bianco di fianco al letto matrimoniale la sveglia rosa e anche se ancora del tutto intontita dal lungo viaggio che mi aveva condotta ad Austin nel bel mezzo della notte, capii subito di essere lì e non più a Beacon Hills – a casa Stilinski. E a giudicare da tutto il rosa che c’era in giro, decisamente non avevo dormito nella mia cameretta.
Sorrisi immediatamente ripensando al perché, poi mi stesi di schiena e rimasi a fissare il soffitto bianco della stanza di mia sorella Cassandra finché non mi sentii sveglia abbastanza da credere che sarei sopravvissuta fuori da quel caldo e comodo letto. L’orologio segnava le nove del mattino e Cass, dato che non era più lì accanto a me, doveva essere già sveglia. Proprio come mia madre Jenette, intuii dai rumori che mi corsero alle orecchie nel momento in cui mi ritrovai nel bel mezzo del corridoio di casa Carter.
M’immobilizzai per un attimo, terrorizzata – stupidamente – dall’idea che qualcuno potesse scoprirmi mentre andavo a fare visita a Stiles. Mia madre ci aveva proibito di dormire insieme, non di certo di respirare la stessa aria. E poi stavo solo andando a controllare se fosse sveglio o meno, mica avevo intenzione di saltargli addosso come sembravano credere tutte le donne in quella casa. Cioè, oddio, se si fosse presentata l’occasione non me la sarei lasciata scappare, ma…
Scossi la testa, scacciando con violenza quei pensieri inopportuni e deleteri – soprattutto se fatti di primo mattino. Feci scivolare le dita sulla maniglia ed aprii velocemente la porta, entrando nuovamente nella cameretta che non abitavo più da quelli che mi sembravano secoli. L’esperienza di Intercultura alla quale mi era stata data l’opportunità di partecipare mi aveva portata lontana dalla mia città natale e realizzai in quel momento – per l’ennesima volta – fissando ogni singolo oggetto lì presente, di quanto quella parte della mia vita mi fosse mancata nonostante tutto. Poi i miei occhi corsero al letto.
Se solo l’estate prima mi avessero detto che per Natale avrei avuto un ragazzo che ci avrebbe dormito dentro come fosse casa sua, sarei scoppiata a ridere gridando all’assurdità. Ma Stiles era sul serio lì, con la faccia affondata nel cuscino e Randall al fianco.
… un momento. Randall?
Strizzai gli occhi, sperando fosse tutto un sogno. Ma nonostante quanto ci provassi, la figura a macchie del mio alano combinaguai restava sempre lì di fronte alle mie iridi. Dovetti soffocare un urlo infuriato, premendomi le mani sulle labbra. Randall ne aveva combinata un’altra delle sue, avrei dovuto aspettarmelo. Invece impallidii mentre lo raggiungevo a letto e cominciavo a scuoterlo malamente nella speranza che si svegliasse prima che potesse vederlo mia madre. Sicuramente durante la notte aveva trasformato il caldo piumone bianco in un disastro, ergo dovevo liberarmene in fretta e furia prima che Jenette andasse in escandescenze. Contavo nell’aiuto di Cassandra o Stiles, ma prima avrei dovuto svegliare non solo lui ma anche quell’ingrato del mio cagnolone.
«In piedi, dormiglione», borbottai, cercando inutilmente di trascinarlo a terra sulla moquette – dove sarebbe dovuto restare, mannaggia a lui.
Dovetti insistere ancora a lungo, ma alla fine Randy si risvegliò dal suo sonno di bellezza e mi guardò coi suoi intensi occhi marroni. Quelli ai quali non riuscivo mai a dire di no.
«Non provarci», lo redarguii, puntandogli un dito contro prima di indicare con fare perentorio il pavimento. «Giù».
Lo ripetei un paio di volte, ma alla fine i risultati dell’addestramento al quale l’alano si sottoponeva già da un bel po’ di tempo si fecero vedere. Randall infatti si catapultò sulla moquette, portandosi dietro – manco a dirlo – buona parte del piumone. Sbuffai, osservandolo con espressione affranta mentre pensavo al da farsi. Dovevo assolutamente liberarmene, ma prima mi toccava svegliare Stiles. Non me lo feci ripetere due volte prima di infilarmi a letto di fianco a lui.
Oddio, mi era mancato. Riuscii a pensare solo a questo nel momento in cui mi ritrovai di nuovo tra le sue braccia. Da quando mi ero trasferita a Beacon Hills circa tre mesi prima, avevo dormito insieme a Stiles ogni volta che volessi e non poterlo fare allora per volere di mia madre mi stava pesando molto più di quanto avessi creduto. Ormai ero anche fin troppo dipendente dalla presenza di Stiles, il che mi provocò una fitta di dolore al pensiero improvviso di come avrei reagito all’idea di doverlo salutare per sempre quando l’Intercultura fosse finita.
Scossi la testa, decidendo bene di non pensarci. Non potevo rovinarmi le vacanze natalizie in quel modo. Cercai le guance di Stiles, stampandovici sopra un bacio ciascuna. Poi feci altrettanto con le tempie, la fronte, il mento… Mi fermai ad un passo dalle sue labbra, immobilizzata dallo sguardo ambrato di Stiles che mi ritrovai addosso all’improvviso. Era sveglio.
Gli sorrisi e lui mi ricambiò presto, completando ciò che avevo già cominciato e dandomi un bacio sulle labbra.
«Dovresti svegliarmi sempre così», mormorò prima di guardarsi attorno con aria confusa. «Dov’è finito il tuo cane?».
Rabbrividii al pensiero di Randall, poi cercai la sua imponente figura all’interno della mia stanza. Ma sembrava sul serio svanito.
«Non lo so», conclusi infine, tornando a fissare Stiles con occhi dispiaciuti. «A proposito, mi dispiace che tu te lo sia ritrovato a letto. Randy è imperdonabile come al solito».
Stiles sbuffò una risata non troppo convinta, prendendo a giocare distrattamente coi miei capelli lunghi e arruffati dal sonno.
«Penso che mi odi perché non ci sei tu, qui. Stanotte ho provato a tenerlo lontano, ma non ne voleva sapere», raccontò.
«Mi dispiace così tanto. Dobbiamo cambiare queste lenzuola prima che mamma se ne accorga. Mi aiuti?».
Stiles non se lo fece ripetere due volte.
«Ovviamente», annuì, scattando in piedi prima ancora che potessi accorgermene sul serio. «Che facciamo oggi?», domandò poi, prima di indicare il letto con un cenno veloce: «A parte questo, intendo».
Sorrisi, poi lo imitai mettendomi in piedi e cominciando a trafficare col piumone.
«A pranzo stiamo qui, come sempre. Ci saranno i miei nonni materni, il fratello di mia madre con rispettiva moglie e figli, il fidanzato di mia sorella e il compagno di Jenette», dissi, un po’ spaventata all’idea che Stiles dovesse conoscere una così larga parte della mia famiglia.
Io stessa avevo vissuto un’esperienza simile pochissimo tempo prima e sapevo come ci si potesse sentire. Ma Stiles sembrava perfettamente tranquillo mentre, di fronte a me, mi aiutava a liberare il letto dal piumone sporco. Di nuovo, grazie mille, Randall.
«Non mi avevi mai detto che ne avesse uno», mormorò dopo un po’, e capii subito che si riferisse ad Adam Key, l’uomo col quale mia madre Jenette stava provando già da un po’ a rifarsi una vita dopo mio padre.
A Stiles non ne avevo mai parlato, era vero. Avevo speso milioni di frasi su Philip Carter, l’uomo che mi aveva abbandonata per – apparentemente – mettere al primo posto la sua carriera di musicista, salvo poi riapparire nella mia vita pochissimi mesi prima e fare ulteriore luce sui misteriosi poteri di chiaroveggenza che Beacon Hills aveva risvegliato in me. Ma non avevo mai parlato di Adam, ecco perché rimediai subito in quel momento.
«È un tipo a posto», raccontai, ma il resto di quell’elogio mi restò incastrato in gola.
Nel silenzio improvviso della camera, Stiles mollò il lenzuolo e mi cercò con gli occhi color ambra.
«Ma…?», domandò, curioso di conoscere il motivo della mia improvvisa titubanza.
Ma non è mio padre.
Sapevo che non avrei mai avuto il coraggio di dirlo, perciò me ne rimasi zitta con gli occhi fissi sulla coperta. Mi odiavo per quei pensieri inopportuni: Philip mi aveva abbandonata pochi giorni dopo la mia nascita – senza mai interessarsi a me nemmeno per sbaglio – eppure eccomi lì a sperare che potesse far parte della mia vita e tornare insieme a mia madre. L’avevo già perdonato. Ma come fare altrimenti dopo che mi aveva salvato letteralmente la vita?
«Non è niente, tranquillo». Provai a rassicurare Stiles, mettendo su un sorriso falso che lui intercettò senza problemi. Ecco perché – prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa – cambiai agilmente discorso. «Oggi pomeriggio usciamo. Ti presento un po’ di miei amici».
 
Subito dopo il pranzo della Vigilia, Danielle mi raggiunse a casa e mi travolse in uno dei suoi soliti “abbracci da orso” non appena mi vide. Le accarezzai i capelli rosso Ariel, inspirando a fondo un profumo che credevo già di aver dimenticato. Da quando mi ero trasferita a Beacon Hills non era passato giorno senza che sentissi per almeno due minuti la mia migliore amica, eppure Dani mi era mancata comunque moltissimo. Ci conoscevamo da sempre e il non poterla avere accanto mi pesava, ma per fortuna in California avevo trovato un sacco di persone speciali e la più importante di queste era proprio lì insieme a me.
«Vieni, ti presento Stiles», mormorai, spazzando via una lacrima dispettosa e forzando un sorriso.
Danielle squittì, allegra come suo solito mentre mi stringeva forte le mani e lasciava che la trasportassi in salotto. Era pomeriggio inoltrato ma ancora tutti i miei parenti infestavano la casa in attesa della cena e soprattutto della mezzanotte, che avremmo trascorso insieme ad aprire i regali e scambiarci auguri. Sorrisi, pensando che quello sarebbe potuto diventare senza problemi il Natale migliore di tutta la mia vita.
«Stiles, lei è Danielle. La mia migliore amica», presentai. Dani non se lo fece ripetere due volte e si allungò a cercare la mano di Stiles, il quale gliela strinse dopo essersi messo in piedi. «Danielle, lui è Stiles».
Avrei potuto aggiungere qualcos’altro, ma non lo feci. Niente etichette per Stiles. Tra di noi era meglio così.
«Scommetto che non hai ancora deciso cosa mettere». Pochi minuti dopo le dovute presentazioni, Danielle si voltò a squadrare la maxi-felpa di Bart Simpson dalla quale ancora non avevo osato separarmi.
Le scoccai un sorrisino non troppo convinto: quella bellissima rossa mi conosceva fin troppo bene e la cosa, lo sapevo benissimo, era un’arma a doppio taglio.
«Può darsi…», ammisi in un sussurro, mentre Stiles ridacchiava prima di defilarsi perché anche lui aveva bisogno di prepararsi per uscire.
Non sapevo che piani avessero fatto esattamente i miei amici, ma di sicuro ci saremmo riuniti tutti in qualche caldo bar per passare un po’ di tempo insieme prima di cena. E sinceramente, non avrei potuto chiedere di meglio.
Danielle alzò gli occhi al cielo con aria divertita, poi mi trascinò verso camera mia. Ma ad un passo dalla soglia dovetti fermarla.
«Ehi», ridacchiai, «Ci dorme Stiles, lì».
Dani sgranò i caldi occhi marroni ed io la lasciai crogiolarsi nella sua confusione mentre mi rifugiavo in camera di mia sorella Cassandra. A dire il vero sapevo già perfettamente cos’avrei indossato – aspettavo solo che Danielle mi spronasse un po’ giacché non ero proprio sicurissima della mia scelta – e avevo già provveduto a trasferire l’abito rosso con annessi collant e decolletè nere lì.
«Jenny vi ha divisi perché ha paura che vi possiate saltare addosso». Danielle mi raggiunse all’interno della stanza soffiando quelle parole con aria ancora troppo attonita perché potessi non ridere.
Le chiusi la porta alle spalle, aspettando con calma il momento in cui sarebbe sbottata in pieno stile Shelton.
«Tu vorresti saltare addosso a Stiles!».
Proprio come da piano.
Risi debolmente, non riuscendo a non annuire. Danielle mi conosceva meglio delle sue stesse tasche, era inutile che le nascondessi verità che lei avrebbe letto sul mio viso senza problemi. E a proposito di questo…
«Dani, c’è una cosa importante che devo dirti», mormorai, lasciando da parte il vestito per sedermi sul letto di Cass.
Danielle mi raggiunse a grandi falcate, puntandomi un indice contro.
«Puoi scommetterci, signorina! Ti fidanzi ed io non ne so nulla?».
Sobbalzai a quella domanda. Non ero fidanzata. Non ancora. Ma preferivo decisamente non pensarci.
«Ascoltami, Dani», implorai, cercando di restare tranquilla. Purtroppo, bastava il solo pensiero di ciò che avrei confessato anche a lei per farmi andare in tachicardia. «Siediti qui accanto a me. Devo parlarti».
La mia migliore amica obbedì e subito la sua espressione cambiò. Da incredula ritornò confusa e poi apprensiva.
«Di che si tratta?», mi domandò. «Devo spaventarmi?».
Scrollai le spalle. Forse. Forse sì, avrebbe dovuto spaventarsi. Ma non glielo dissi.
«A Beacon Hills ho scoperto un sacco di cose», raccontai, cercando di nuovo le sue mani con le mie. «Sulla mia famiglia. E su di me».
«Che genere di cose?».
Deglutii a fondo prima di continuare. «Cose soprannaturali. Sono coinvolte strane creature ed improbabili poteri. So che potrebbe sembrarti assurdo, ma è la verità. Ed io non sono pazza, Dani. Il migliore amico di Stiles… è un licantropo. Mio padre e gran parte dei suoi familiari posseggono poteri di chiaroveggenza. Li ho anch’io–».
Le parole continuavano a venirmi fuori con la velocità dell’acqua che scende giù da una ripida cascata, almeno finché Danielle non m’interruppe di scatto.
«Harry», borbottò, stringendomi le mani tanto forte da farmi quasi male. «Sei un po’ fuori tempo per il Pesce d’Aprile».
Tipica reazione.
«Non è uno scherzo, Dani. Ascoltami, per favore», pregai. «Io riesco a prevedere il futuro. Volendo potrei dirti cosa ti regalerà Kyle questa sera. E i miei poteri crescono sempre più. Alle volte mi sembra addirittura di poter leggere i pensieri degli altri».
Ripensai di sfuggita a cosa mi era successo a casa di Victor Daehler, il fratello di Matt. Lui non mi aveva detto nulla eppure io avevo capito subito che fosse perfettamente sincero quando mi diceva di non saperne assolutamente nulla riguardo Matt e i suoi loschi affari col kanima.
Ma a Danielle serviva ancora diverso tempo per metabolizzare.
Mi mollò le mani fredde, sollevando un sopracciglio nella mia direzione con aria scetticissima.
«Davvero? Prova a leggere i miei, allora», sfidò.
Boccheggiai. «Non… Non funziona così a comando, mi dispiace. Non sono ancora tanto brava».
«Certo, certo», Danielle soffocò una risatina incredula e poi si mise in piedi di botto, lasciandomi sola sul bordo del letto, «Fortuna che ti voglio bene, perché in quanto a senso dell’umorismo hai sempre fatto pena».
Fece per allontanarsi da me, ma glielo impedii velocemente afferrandole un polso.
«Danielle», sussurrai, poco prima di catapultarmi lontana da lì. Un’altra volta ancora lasciai che la visione si sovrapponesse alla realtà, pensando intensamente a ciò che volevo vedere. Uno strano brillio mi illuminò le iridi, strappandomi il respiro. Era un anello. «Kyle ti regalerà un anello, Dio mio».
«COSA?».
 
Qualunque componente della mia vecchia comitiva che non avesse lasciato il Texas in occasione delle vacanze natalizie venne invitato all’uscita di quel pomeriggio ed io potei rivederli quasi tutti. Fu un’esperienza meravigliosa e commovente, ma per fortuna riuscii a non scoppiare nuovamente in lacrime e a fare le dovute presentazioni senza rovinarmi il trucco che Danielle aveva steso perfettamente sul mio viso. C’erano quasi tutti i miei amici, ad eccezione dei gemelli Royal, Taylor – la mia migliore nemica – e… Ryan. Ryan Nelson, il biondo-occhi azzurri per il quale avevo avuto una cotta secolare conclusasi l’estate precedente con qualche uscita di poco conto e un misero bacio. Sapevo che non avrei più dovuto pensare a Ryan – non allora che avevo Stiles, non quando lui si era dimostrato tanto stupido da accorgersi di me solo quand’era giunto il momento che lasciassi Austin – ma comunque non potei fare a meno di notare la sua assenza e ne risentii, anche se tenni la cosa per me. Tra me e Ryan la relazione non era mai cominciata: eravamo troppo piccoli e inesperti perché potessimo imbarcarci senza problemi in una storia a distanza e per questo avevo preferito troncare ogni rapporto, ma credevo che fossimo ancora buoni amici e che si sarebbe degnato di uscire per darmi il bentornato in Texas. Ovviamente mi sbagliavo.
Sbuffai disturbata dai miei stessi pensieri, poco prima di abbandonare il bagno del locale a grandi falcate. Ci ero rimasta dentro per fin troppo tempo: era ora di tornare dai miei amici e divertirsi. A ‘fanculo–
«Ryan!».
Completai il mio pensiero ad alta voce, con un urlo stridulo che mi abbandonò le labbra senza che potessi riuscire ad impedirmelo dopo che scoprii fosse proprio nient’altri che Nelson il ragazzo contro cui ero finita non appena fuori dal bagno. Dannazione. Ero la solita fortunella.
«Harriet, oddio».
Gli occhi azzurri e ricolmi di sorpresa di Ryan mi corsero addosso in un lampo, mentre mi lasciava andare i polsi a rallentatore e ne approfittava per regalarmi una delle sue inopportune radiografie. Si soffermò a lungo sul mio viso, poi adocchiò l’abito rosso che infine Danielle mi aveva convinta ad indossare, le gambe coperte solo da un paio di collant neri e infine le decolletè dal tacco alto. Quando si reputò finalmente soddisfatto risalì lentamente con lo sguardo tutta la mia figura, arrestandosi di nuovo sul viso.
«Hai finito?», gli domandai quindi con aria evidentemente scocciata, incrociando le braccia al petto senza preoccuparmi di spiegargli a cosa mi riferissi.
Sapevo che Ryan ne fosse più che consapevole. Difatti non provò nemmeno a negare le sue colpe, passandosi una mano tra i capelli biondi con aria imbarazzata mentre mi chiedeva scusa in un soffio appena udibile.
«Ti trovo bene», mormorò poi, seguendomi verso il tavolo occupato dai miei amici – e Stiles – senza che nemmeno glielo chiedessi.
Arrestai la mia camminata non appena mi resi conto della cosa: non volevo portarlo lì, non volevo che vedesse gli altri, non volevo presentargli Stiles.
«Grazie», lo ringraziai quindi, voltandomi nuovamente a fronteggiarlo.
Stavo utilizzando un tono glaciale, non volevo dargli corda e speravo capisse di come sarebbe stato meglio per lui levare le tende al più presto. Volevo tornare dai miei amici, non starmene nel bel mezzo di un bar affollato a chiacchierare di cose futili con un ragazzo che non avevo mai conosciuto sul serio. Ma Ryan non si era mai dimostrato un tipo alquanto perspicace, e quella Vigilia di Natale lo dimostrò nuovamente.
«Allora, come ti sei trovata in California?», domandò, deciso più che mai a fare conversazione.
«Magnificamente».
«Ne sono felice», sorrise, prima di lanciare la prima delle innumerevoli frecciatine che proprio non vedeva l’ora di dedicarmi, «Avresti potuto chiamarmi, qualche volta. Siamo diventati due estranei, praticamente».
Dovetti trattenere un ringhio. Ormai lo conoscevo fin troppo bene da sapere che quel momento sarebbe arrivato. Ryan voleva indispettirmi e farmi scattare, perché sapeva quanto ne fossi capace e la cosa lo divertiva terribilmente. Ma quella volta non avrei ceduto, non gli avrei dato soddisfazione. Al contrario me ne rimasi tranquilla e glaciale di fronte a lui.
«Avresti potuto chiamarmi anche tu».
Harriet: 1 – Ryan: 0. Fine dei giochi, Nelson.
Dovette sentirsi pienamente sconfitto anche lui, perché sorrise di quei sorrisi falsamente divertiti e poi avanzò velocemente nella mia direzione, tanto da farmi sussultare sul posto.
«Hai ragione», accordò in un sussurro, e prima ancora che potessi rendermene conto la sua mano scivolò sul mio fianco e mi attirò a sé. «Scusami di nuovo».
Mi baciò una guancia e solo allora capii di dovermi fare lontana da quell’abbraccio goffo quanto inopportuno. Puntai le mani a palmi aperti sul petto di Ryan e tentai di districarmelo di dosso, con non pochi sforzi.
«Lascia stare. Ora devo–».
Andare. Questo avrei voluto dire. La verità. Volevo che Ryan mi lasciasse perché dovevo andare, ritornare dai miei amici e soprattutto da Stiles.
Ma prima ancora che potessi riuscire a completare la frase e scollarmi Ryan di dosso, una voce richiamò il mio nome e mi spezzò completamente il respiro in gola. Non era stato Ryan.
Mi voltai a cercare lo sguardo confuso di Stiles e ciò che vidi nei suoi occhi mi strinse immediatamente il cuore in una morsa. Ero stata via secoli e lui mi aveva appena colto in una posizione alquanto fraintendibile con un ragazzo.
«Non volevo disturbare», mormorò, ed io riuscii a pensare solo a qualcosa di molto stupido come oddio mentre lo vedevo voltarci le spalle con aria delusa.
Allora spintonai via Ryan alla velocità della luce e raggiunsi Stiles, chiamando il suo nome in un sospiro.
«Non disturbi nessuno», soffiai, quando le mie dita afferrarono finalmente il lembo della sua felpa. «Ryan se ne stava andando».
Avrei voluto controllare che Nelson mi tenesse il gioco, ma mi ritrovai incapace di distogliere i miei occhi da quelli di Stiles. Alla fine comunque Ryan dimostrò di aver acquistato un minimo di sale in zucca, perché lo sentimmo entrambi annuire prima che decidesse finalmente di defilarsi.
«Sì, è vero. Devo tornare dalla mia ragazza», confermò, poco prima di salutarmi in un sussurro.
Non appena fu sparito dalla nostra visuale, Stiles si liberò della mia stretta sul suo braccio e ritornò al nostro tavolo in assoluto silenzio. Io avrei voluto seguirlo ancora, ma al contrario me ne rimasi immobile al centro del bar, schiacciata da milioni di sensazioni contrastanti.
 
«Pronto».
«Harry».
«Papà».
«Bambina mia».
I primi minuti di quella telefonata tardiva furono un continuo botta e risposta. Almeno finché le ultime due paroline ricolme d’affetto che Philip Carter mi riservò non mi bloccarono completamente con un sorriso plastificato sul volto e le mani strette sul morbido orsacchiotto di peluche che Stiles mi aveva regalato. Era passata la mezzanotte da circa venti minuti ed era ufficialmente Natale. Potevo e dovevo fare gli auguri a mio padre.
«Auguri anche a te», ricambiò subito lui. «Come stai?».
«Qui va tutto bene. Vuoi che ti passi mamma? O Cassandra?».
Non volevo liberarmi di Phil in fretta e furia, anche se dovette sembrargli proprio così, perché lo sentii ridacchiare con aria divertita dall’altro capo della cornetta. In realtà volevo solo che parlasse con Jenny e Cass, che riallacciassero i rapporti e che la mia famiglia diventasse unita come l’avevo sempre sognata.
«Prima voglio parlare con te».
«Dimmi».
«Va tutto bene?».
Sorrisi. «Certo. Mi manca un po’ Beacon Hills». E mi manchi tu, avrei voluto aggiungere. Invece cambiai argomento. «Ma Stiles è qui con me, per fortuna».
«Mi fa piacere che abbia accettato di seguirti in Texas».
«Già, anche a me». Sorrisi di nuovo. «Sei solo?».
«No, tranquilla. Sono con la band».
La band. La sua carriera di musicista. Esisteva davvero.
«Capisco. Qui invece ci sono zio Monty, i nonni e…». Adam. Avrei voluto dire Adam. Il compagno di mia madre. L’uomo che ti sta rubando il posto.
Ma quei pensieri maligni mi tolsero il fiato e le parole, facendomi incespicare in silenzio finché non decisi saggiamente di cambiare versione.
«… Jamie», conclusi quindi in un sussurro, dandomi mentalmente della stupida per ciò che avevo cercato di fare.
In cosa speravo, esattamente? Nella gelosia di Phil? Volevo sul serio vederlo che tornava a reclamare una vita che in fondo non credevo si meritasse a pieno?
«Il ragazzo di Cass?». La domanda improvvisa di mio padre interruppe il corso doloroso dei miei pensieri.
«Ormai è il suo fidanzato, papà», lo corressi. «Te l’ho detto che si sposeranno quest’estate».
«Già. Siete cresciute entrambe, no?».
«Già».
Phil dovette cogliere senza troppi problemi la forte sfumatura di amarezza che colorò il mio tono di voce, perché liberò un timido sospiro e decise che mi avrebbe lasciata andare. Aveva pronunciato una scomoda verità e non poteva pretendere che reagissi bene alla cosa. Sia io che Cassandra eravamo cresciute, e lui si era perso quasi ogni nostro momento. Sapevo bene che non sarei mai riuscita a perdonarglielo.
Mio padre mi rinnovò gli auguri ed io ricambiai, poi mi salutò. Ma prima di mettere fine a quella strana telefonata, provò ad esaudire un altro mio piccolo desiderio.
«Puoi cercarmi Jenny?», domandò, ed io mi mossi verso il salotto affollato di parenti prima ancora che potesse finire di parlare.
Mia madre era sul divano, seduta accanto a Cassandra. Entrambe giocavano coi figli di zio Monty e raramente in quel periodo le avevo viste tanto felici. Adam invece giocava a carte con mio nonno, l’uno di fronte all’altro erano separati solo dal tavolo in legno di noce. Gli dedicai una breve occhiata, sentendomi già tremendamente in colpa per ciò che avrei fatto di lì a poco.
«Mamma», cercai gli occhi sorpresi di Jenette, «c’è papà al telefono».
Adam Key lasciò cadere tutte le sue carte sul tavolo e la sua espressione rilassata divenne all’improvviso di pietra.
 
Mossi le dita sulle guance di Stiles su e giù, dallo zigomo al mento e ritorno. Avevo passato gli ultimi minuti così, con la testa sulle sue gambe e lui che mi accarezzava piano i capelli lunghi lasciati sciolti sulle spalle come quasi sempre. C’eravamo appropriati del divano a due posti di fianco all’albero di Natale e dalla mia comoda posizione potevo vedere le luci intermittenti della serie illuminare il viso di Stiles. Fin dall’incontro con Ryan di quel pomeriggio, qualcosa si era freddato tra di noi. Entrambi avevamo preferito far finta di nulla, ma ancora sentivo come fossimo avvolti da nient’altro che la tipica calma prima della tempesta. Qualunque mio sospetto venne confermato nel momento in cui il mio cellulare prese a vibrare furiosamente, distogliendomi con violenza dalle pigre carezze che stavo riservando a Stiles.
Quando mi vide restare con gli occhi sgranati fissi sul display e capì che non avessi intenzione alcuna di rispondere a quella telefonata, Stiles s’irrigidì e sciolse le dita dai miei capelli.
«Chi è?», chiese poi, incapace di mascherare la preoccupazione nella sua voce.
«Ryan».
Lo sentii nuovamente irrigidirsi e mi misi subito a sedere, facendomi lontana dalle sue gambe mentre il cellulare ritornava finalmente silenzioso. Così come me e Stiles. Ma alla fine fu proprio lui ad interrompere quell’apparente quiete.
«Ci ha provato con te, vero?».
«Non…», mi risolsi a boccheggiare, non sapendo bene cosa dire, «La situazione è un po’ più complicata di così, credo».
Stiles sospirò prima di incrociare le braccia al petto. «Falla semplice, allora».
Se era quello che voleva… «Hoavutounacottaperluiduratadueanni».
Avevo trascinato le parole una dietro l’altra così velocemente che pensai subito Stiles non avesse capito assolutamente nulla di ciò che avevo provato a dirgli proprio come da suo ordine.
Al contrario, vidi una strana espressione distorcergli il viso e capii di sbagliarmi nel momento in cui lo sentii mormorare nient’altro che un sorpreso: «Oh mio Dio».
«Prima che mi trasferissi a Beacon Hills siamo usciti un paio di volte. C’è stato solo un bacio. Poi ho deciso di troncare tutto: non avrei sopportato una relazione a distanza».
Solo allora Stiles, che aveva portato entrambe le mani a coprirsi il viso chiaro, ritornò a cercare i miei occhi scuri. Nei suoi color ambra lessi un’ombra appena accennata di consapevolezza e rassegnazione. Non mi piaceva per niente.
«Però ora l’hai rivisto e ci stai ripensando», concluse.
«NO!», non potei far altro che alterarmi, «Lui sì, però».
La mia negazione decisa sembrò sortire proprio l’effetto da me sperato, perché subito Stiles assunse un’aria più rilassata e smise di evitare il mio sguardo. Prima di riprendere a parlarmi, sbuffò. «Che cretino. Non posso credere che ci provi così con una ragazza fidanzata».
Fid– Il solo pensiero mi bloccò il respiro in gola. Poi, alla sorpresa si sovrappose l’irritazione. Strinsi i pugni, muovendomi a disagio sul divano alla ricerca di un modo diplomatico per dire a Stiles ciò che pensavo sul serio senza ferirlo né finire a litigarci.
«Lui non sa che sono fidanzata», cominciai, molto più tranquilla di quanto mi sarei aspettata. Sentivo però che quella pace non sarebbe durata. «E a dire il vero non lo sapevo neanch’io fino a pochi secondi fa».
Fulminai Stiles con lo sguardo finché non riuscì a captare anche lui il sentore di pericolo imminente. Lo vidi cambiare posizione sul divano, a disagio, prima che cercasse nuovamente i miei occhi con l’espressione più fintamente innocente di sempre stampata in viso.
«Non lo sapevi?», mi domandò con nonchalance.
«Stiles». Bloccai l’invettiva cruenta che avrei voluto dedicargli con un lungo sospiro. Niente litigi, Harriet. Siamo a Natale. «Non puoi dare per scontata una cosa del genere».
Bravissima. Proprio così.
Ero stata gentile e diplomatica: Stiles di sicuro avrebbe capito il mio punto di vista e insieme – come al solito – saremmo riusciti a risolvere quella spinosa situazione che a dire il vero mi infastidiva già da qualche settimana. Dicevo di non aver bisogno di etichette né cose del genere, eppure la mancanza di una definizione al rapporto che avevo con Stiles m’infastidiva e molto.
«Fammi capire. Solo perché non ho chiesto la tua mano e non ti ho giurato amore eterno, allora non stiamo insieme? Una relazione aperta, è questo che vuoi? Così potrai permettere a Ryan di provarci con te ogni volta che tornerai qui in Texas?».
Stiles non aveva capito proprio un cazzo. Sayonara, diplomazia. Ti ho voluto bene. Poco, ma te ne ho voluto.
«Sai che non è questo che voglio!», ringhiai, stringendo i pugni e fregandomene di restare calma.
Ma Stiles non si fece intimidire dalla mia irritazione. Assottigliò gli occhi sulla mia figura e m’intimò in un sussurro di spiegargli cosa volevo, perché intendeva anche lui – e a tutti i costi – risolvere “la situazione”.
Probabilmente fu il suo tono spazientito a riportarmi coi piedi per terra. Fatto sta che deposi immediatamente l’ascia da guerra e mi diedi della stupida. Cosa diavolo stavo combinando? Non volevo affrontare quel discorso in quel modo. Non volevo che io e Stiles finissimo solo ad urlarci in faccia cose che non pensavamo invece di rendere il momento romantico e magico come avrebbe dovuto essere. Proprio come non volevo che lui mi considerasse la sua ragazza così, senza nemmeno combattere un po’. Ma non ebbi il coraggio di dirglielo.
«Non lo so cosa voglio», conclusi semplicemente, tenendo gli occhi lucidi fissi sulle mani che mi stavo torturando nervosamente da un bel po’.
Allora Stiles si limitò a sbuffare. Poi si alzò in piedi, lasciandomi sola sul divano senza pensarci due volte. 
«Sai cosa non so io, invece?», domandò, aspettando che scuotessi il capo prima di continuare, «Perché diavolo tu mi abbia portato qui».
 
Un’altra volta ancora qualsiasi mia paura era divenuta realtà e la situazione c’era sfuggita di mano senza che né io né Stiles potessimo fare qualcosa per impedirlo. Sospirai, cercando di trattenere le lacrime mentre mi dirigevo verso camera di Cassandra nel silenzio assoluto di casa mia. Era quasi l’alba e già da un po’ di tempo i miei parenti avevano tolto le tende, ma io ero rimasta comunque sveglia per aiutare mia madre e mia sorella a sistemare casa al meglio. Randall, ben cosciente della mia immensa tristezza, non mi si era scollato di dosso un attimo. Gli carezzai generosamente la testa continuando a procedere lungo il corridoio. Evitai come la peste la vista della mia stanza, quella nella quale sapevo benissimo ci fosse Stiles. Ci si era rinchiuso dentro subito dopo il nostro litigio e da lì non l’avevo più visto né sentito. Sospirai. Avrei dovuto rimediare ai miei errori, ma ci avrei pensato l’indomani. In quel momento avevo solo bisogno di dormirci bene su. Prima che potessi finalmente mettermi a letto, però, il led del mio cellulare attirò la mia attenzione con la segnalazione di un nuovo sms. Non l’avevo più toccato dalla chiamata inaspettata di Ryan e nell’afferrarlo sentii la paura farsi beffe di me. Cosa avrei fatto se fosse stato ancora lui? Non volevo più sentirlo!
Ma per fortuna scoprii di sbagliarmi. L’autrice di quell’sms tardivo era nient’altri che Danielle Shelton, la mia migliore amica.
Tu devi dirmi tutto riguardo questi tuoi miracolosi poteri, signorina.
Nonostante tutto, dovetti trattenere una risatina divertita. Quel messaggio era la conferma del fatto che la mia visione fosse divenuta – come al solito – realtà. Dani non aveva più alcun motivo per dubitare di me. Ed io, sì, le dovevo un sacco di spiegazioni. Ma anche a quello avrei pensato l’indomani.
Bello l’anello, vero?
Digitai l’sms e lo inviai nel giro di pochissimi minuti. Poi, finalmente, misi da parte il cellulare e mi concessi diverse ore di sonno meritatissimo.
Ed eccomi qua proprio come promesso. So che non vi ero mancata per niente, ma immagino che dovrete sopportarmi comunque perché io avevo davvero bisogno di scrivere qualcosa di leggero come questa raccolta e non ho proprio potuto farne a meno. Senza contare poi che l’idea di lasciare mesi di vuoto tra l’undicesimo capitolo di kaleidoscope e l’epilogo senza informarvi di cosa avessero passato gli Starriet nel mentre non mi entusiasmava granché, so here we are. Spero apprezzerete.
Prima di dileguarmi ci tenevo a fare qualche osservazione, soprattutto per chi non avesse letto kaleidoscope:
  1. Quando Harriet dice “Io stessa avevo vissuto un’esperienza simile pochissimo tempo prima e sapevo come ci si potesse sentire” si riferisce al fatto che pochissimo tempo prima ha conosciuto – dopo la bellezza di sedici anni – la famiglia del padre. E il padre stesso.
  2. Quando invece parla di Philip che le salva la vita non lo dice a caso, perché Mr. Carter la vita gliel’ha salvata sul serio e potrete leggere come nel capitolo 9 di kaleidoscope.
  3. Shelton è il cognome di Danielle.
  4. In quanto a “cosa mi era successo a casa di Victor Daehler”: per scoprirlo vi converrà leggere la scena 2 del capitolo 9 di kaleidoscope.
Penso di aver detto tutto, ma per ogni dubbio sentitevi pure liberi di scrivermi dove vi pare. Il prossimo capitolo arriverà domenica 22.
   
 
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