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Autore: piccolo_uragano_    16/11/2015    0 recensioni
«Forse non siamo mai stati niente. Forse ci siamo presi in giro per sedici anni, Luca.»
«Forse ci siamo amati per sedici anni senza rendercene conto, invece.»
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Se Luca avesse una migliore amica di nome Lara, che non ha paura del giudizio della gente e che per Luca è la sua famiglia da sedici anni? E se poi accadesse dell'altro?
Non so cosa mi passi per la testa, ma questa storia girava tra i miei neuroni da una vita.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Luca Benvenuto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo quattro: stella cometa.
(o ‘la prossima volta dimmelo prima’, o ‘non ci posso credere’)


Lara rientrò dalla corsa mattutina alle undici e trenta, trovando Luca  ancora in pigiama, seduto sul divano a fissare il telefono muto.
«Ehi, buongiorno.» esclamò, entrando, togliendosi gli auricolari.
«Mi ha chiamato Adriano.» rispose lui, con un filo di voce.
«Oh, era ora. Hai avuto questo tono tutto il tempo o sembravi un essere vivente quando parlavi con lui?» chiese lei sarcastica.
«Mi ha chiesto di vederci a pranzo.» chiese, ignorando il sarcasmo dell’amica.
Lara sorrise. «Beh, è una cosa buona, no?»
«E se mi lascia?» si voltò a guardarla, perché notasse gli occhi pieni di paura vera.
Lara sospirò. Stava per andare a lavarsi, ma tornò sui suoi passi per chinarsi accanto al divano per guardarlo negli occhi. «Allora sarebbe un grandissimo idiota, perché si lascerebbe sfuggire una persona fantastica e un compagno meraviglioso.» poi sorrise, gli accarezzò la guancia e gli baciò la fronte. «Riesci a non fare la ragazzina depressa per dieci minuti?»
Luca accennò un sorriso. «Scusa, ti ho trattenuta. Vai pure a lavarti.»
«Mi stai dicendo che puzzo?» chiese lei ridendo. «Vai nel bagno della tua stanza, lavati, profumati, vestiti, prendi la macchina e vai da lui.»
Lui allargò il suo sorriso. «Grazie.» si alzò e la abbracciò. «Ti ho mai detto che ti voglio bene?»
«E io ti ho detto che sono sudata?»
Luca sorrise, sciolse l’abbraccio e si diresse verso la sua stanza.
«Benvenuto!» urlò Lara a quella porta chiusa.
«Mancini!» replicò lui.
«Ti voglio bene anche io!»
Luca sorrise, mentre lei, ancora in salotto, si diresse saltellando verso il bagno della sua stanza, canticchiando una canzone sconosciuta a chiunque, meno che a lei. Era tutto molto strano,quel giorno. Era domenica, e, se fosse stata la figlia che sua madre ed il suo patrigno volevano che fosse, sarebbe andata a pranzo da loro. Anzi, si disse, se Carlo ci fosse stato ancora, probabilmente l’avrebbe chiamata dicendole che l’aspettavano a pranzo insieme a Luca. E lei non avrebbe avuto motivo di dire di no. Scosse la testa, sotto la doccia. Le mancava, Carlo. Le mancava perché era ciò che di più vicino ad un padre avesse avuto.
Uscì dalla doccia, rendendosi conto di avere sorprendentemente freddo. Prese una vecchia felpa, rubata a Luca anni prima, e ci annegò dentro, buttandosi sul letto, sentendo il getto della doccia di Luca che ancora andava. Si mise a gambe incrociate e si legò i capelli ancora umidi in due treccine.
«Lara!» sentì urlare dal salotto.
«Che vuoi?»
«Tutto bene?» chiese, facendo capolino alla porta.
«Certo. Perché?»
«Perché mi aspettavo che uscita dalla doccia, ti mettessi ai fornelli.» Lara scosse la testa. Non sembrava in sé: di solito era un vulcano di energia, quel giorno, invece, sembrava spenta.  «Però mangia.» si raccomandò lui.
«Si, mamma.» rispose lei sarcastica.
«Quella felpa è mia?»
«Lo era. Anzi, è mia da talmente tanto tempo che ormai ha perso il tuo profumo, razza di essere inutile.»
«Allora ridammela, me la metto, sudo e poi te la restituisco.»
«No, ciò che è tuo è mio, ma ciò che è mio è mio. Ora vai, vai dal tuo uomo.» si alzò e fece per cacciarlo.
Lui le prese i polsi. «Dimmi in bocca al lupo.»
Lei sfoggiò la sua espressione da bimba imbronciata. «Senti Benvenuto, vattene, vai da lui, fate la pace, fate l’amore, e fatemi vivere la mia vita da single, per carità di Dio, okay?»
Luca sorrise. Quello, a modo suo, era un in bocca al lupo. «Grazie, tesoro. Ti voglio bene!» le baciò la guancia e uscì dalla stanza.
Lara rimase lì, contando fino a tre, e dopo tre secondi esatti accadde ciò che lei aveva previsto.
«Mancini, dov-»
«Appese alla porta del garage!»
Luca rise, rientrando in camera. «Come facevi a sapere che ti stavo per chiedere le chiavi della macchina?»
Lei alzò le spalle. «Sei prevedibilmente stupido.»
Lui sorrise e se ne andò. E Lara, involontariamente, si ritrovò a fissare la porta che lui aveva appena chiuso dietro di sé, anche quando sentì chiaramente la sua auto allontanarsi dal vialetto e prendere la strada per la città. Si ritrovò a fissare il punto in cui erano sparite le sue larghe spalle ed i suoi capelli, sperando che quella felpa potesse in qualche modo portare ancora il suo odore addosso.
Spense il telefono e prese la macchina, con troppi pensieri in testa che avevano bisogno di ordine.

Lara era seduta in riva al mare. Si teneva le gambe con le braccia, cercando di abbandonarsi al rumore delle onde, sperando che superassero quello dei suoi pensieri.
«Perché siamo qui?» seduta accanto a lei, Silvia Mancini, con una squallida camicia a fiori, osservava la figlia curiosa.
«Ascolta il mare, mamma. Ascolta l’infinito.»
Lei si raggomitolò nella stessa posizione in cui era Lara, lasciando che il vento, la salsedine ed il debole sole di metà ottobre facessero ciò che dovevano. Erano due donne adulte che, seppur fosse difficile ammetterlo, in un modo o nell’altro avevano bisogno l’una dell’altra.
«Lara?»
Lara si voltò a guardare sua madre.
«Tu credi nel Paradiso?»
Lara si morse il labbro – tic che segnava che stava pensando. «Se esiste, io non sarò ammessa. Ma Carlo è lì. Carlo è dove finiscono le persone buone, mamma, e tu lo devi lasciare andare.»
«Credi che lo raggiungerò in Paradiso?»
«Si, credo che vi ritroverete. Perché voi eravate destinati, mamma. E non si scappa al proprio destino.»
«Mi dispiace, Lara.»
«Per cosa?»
«Perché non era tuo padre, l’uomo della mia vita.»
Lara accennò un sorriso. «Non fa niente, mamma.»
«Avrei voluto darti un padre, una bella infanzia, e …»
«Non importa. Sono cresciuta benissimo, lo stesso, non trovi?» chiese, sorridendo.
«Hai i suoi occhi, Lara. Come puoi guardarti allo specchio senza pensare a lui?»
Lara abbassò lo sguardo. Non lo vedeva da quindici anni, suo padre. Ma sua madre aveva ragione. Quando qualcuno le faceva i complimenti per gli occhi bellissimi, quando si guardava allo specchio o quando guardava vecchie foto, rivedeva Davide, sul quale viso quegli stessi occhi stavano d’incanto.
Ma Lara era bravissima a nascondere il dolore, aveva imparato a sorridere comunque. «Perché nello specchio vedo anche il volto della donna che mi ha cresciuta. E allora i suoi occhi non mi pesano.»
Silvia sembrò soddisfatta dalla risposta. Tornò a guardare il mare, e Lara fece lo stesso.
«Perché siamo qui?»
Perché la tua memoria a breve termine sta andando letteralmente a farsi fottere, mamma.
«Mi piace qui, ci vengo spesso con Luca.»
«Con Luca?»
«Si, veniamo qui a guardare l’alba dopo il turno di notte o a vedere il tramonto quando capita.»
«E perché non sei qui con lui?»
«Perché sono qui con te.» rispose, girandosi per guardarla.
«Si, ma … perché passi la domenica con la tua vecchia mamma e non con il tuo uomo?»
Lara inclinò leggermente la testa. «Mamma, Luca non è il mio uomo.»
«Ah no?»
«No.»
«E perché no?»
Lara alzò gli occhi al cielo. Ammazzatemi prima di diventare così, ammazzatemi quando mi dimenticherò dove ho messo il telefono.
«Perché Luca è omosessuale, mamma, ricordi? Gli piacciono gli uomini.»
«Oh. E ora è con un uomo, quindi?»
«Esatto.»
«Che ragazzo stupido. Sembrava così intelligente, da ragazzino …»
«Mamma!» la richiamò Lara. «Ti pare il caso di dire una cosa così?»
«Ho ragione! Solo uno stupido preferirebbe un uomo a te!»
«No, mamma, è molto più complicato di così.»
«Senti, io starò anche perdendo colpi – e non guardarmi così, so che sta succedendo – ma tra voi c’è qualcosa di speciale.»
«Si chiama amicizia. Di vere e belle come la nostra ce ne sono poche.»
«No. Lui e Ludo sono amici. Voi siete diversi.»
«Tu ci sei solo rimasta male che anche con Giorgio non ha funzionato, mamma.»
«No, non è vero. Questo … questo lo pensava anche Carlo.»
A quelle parole Lara si bloccò. «Dici sul serio?»
«Si, si. Quando Ludo ha compiuto quindici anni, ti ricordi, voi … voi vi siete messi a giocare nel prato …»
Una delle più belle feste di sempre: lei e Luca che giocano come bambini con gli irrigatori automatici del parco in cui si svolgeva la festa. Prima si erano rincorsi, poi lui l’aveva afferrata, riuscendo a metterla sotto al getto d’acqua,  si erano fatti il solletico e poi avevano finto di ballare un valzer. Erano mesi che non si divertivano così. Poche settimane dopo, Luca avrebbe conosciuto Adriano e Lara avrebbe iniziato ad uscire con Giulio, un postino che l’aveva tradita brutalmente.
«Io e Carlo … eravamo lì a guardarvi, e lui mi ha detto ‘quei due si amano, eppure non lo sanno’. Io gli ho detto che non era vero, che era pazzo, ma poi lui mi ha detto ‘guarda, Silvia, guarda come si guardano e come parlano senza aprire bocca, e dimmi se questo non è amore’.»
Lara si mise a giocare con la sabbia. «Tuo marito era un uomo molto fantasioso, mamma.»
«Vorrei essere morta io, al suo posto. Non voglio stare in un mondo in cui lui non esiste, Lara.» sussurrò.
«E lui non vuole vederti piegata da questa cosa.»
«Lui vuole vederti felice.»
Lara sorrise. «Sto bene, mamma.»
«Da quando ‘stare bene’ è sinonimo di ‘essere felici’?»
Lara si perse negli occhi scuri di sua madre, e le sorrise. Forse, da qualche parte, era ancora la donna che l’aveva cresciuta.

Quei due si amano eppure non lo sanno”. Le parole di sua madre le risuonavano nella mente, seppure lei facesse di tutto per evitare che accadesse. Erano parole che cercava di sotterrare da qualche parte, sotto ad altri pensieri, ma quella frase puntualmente tornava, e faceva male.
Se ne stava seduta in auto, a pensare, con una vecchia canzone che passava alla radio ed il sole calante delle sei e mezza. Aveva riportato sua madre a casa, aveva salutato Ludovica e ora vagava senza meta per le vita di Roma, in quel quartiere periferico che l’aveva vista crescere. Ora batteva la mano sul clacson senza sapere con cosa altro prendersela.
Era iniziato tutto davvero per caso.
Aveva sedici anni, una felpa scolorita e stava giocando con una ciocca di capelli, quando la professoressa le comunicato che il ragazzo che veniva dal liceo classico si sarebbe seduto accanto a lei. Lei aveva alzato gli occhi, trovandone un paio castani e smarriti, un viso gentile e in qualche modo attraente. Sorridergli le era venuto istintivo, ma lui era timido e si sentiva perso, e non era riuscito a dire nient’altro che «Ciao, sono Luca.» si era seduto accanto a lei e la prof di chimica aveva iniziato la lezione.
Luca non le aveva rivolto la parola per le prime tre settimane. Lei arrivava sempre pochi secondi prima che suonasse la campanella, trovandolo già seduto. Quando si avvicinava, entrambi sussurravano un flebile «Buongiorno». Lara appena sveglia odiava tutti, ma a quel ragazzo strano cercava sempre di sorridere. Una mattina, durante la lezione di algebra, lei gli chiese una matita. Lui, senza cambiare minimamente espressione, gliela porse. Lara, contrariamente alle aspettative del suo compagno di banco, usò la matita per raccogliersi i capelli.  «Scusa» le disse. «Non hai un elastico?»
«No.» aveva risposto semplicemente lei.
«Sono sicuro che le altre ragazze ne hanno uno.»
«Sono sicura che hai notato che io e le altre ragazze non ci salutiamo neanche.» replicò seccamente lei.
Era vero, nessuno in quella classe rivolgeva la parola a quei due ragazzi strani. L’anno prima, Lara aveva litigato con Veronica, la ragazza più bella e popolare della scuola. E da allora nessuno all’interno della scuola le aveva più rivolto la parola. E Luca, invece, era appena arrivato ma era seduto vicino a Lara, e agli occhi di quei ragazzi questo era un buon motivo per escluderlo.
«Potresti iniziare salutandole tu.» aveva replicato quel ragazzino.
Lara aveva sorriso. «Guarda, già è tanto se concedo loro parte del mio ossigeno, Benvenuto.»
Ecco, era così che avevano iniziato. Però era stato graduale, non immediato come molti pensavano. Non erano diventati subito amici, per un lungo periodo avevano continuato a nutrire una perfetta indifferenza nei confronti dell’altro.
Lara, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò davanti al portone di quella stessa scuola, sotto alla scritta che indicava che quello era il liceo scientifico Giulio Natta, con i capelli raccolti sempre un po’ come capitava e la testa pesante per i troppi pensieri. Si sedette su uno di quei grandi scalini di marmo, rovinati dai troppi passi, e si accese una sigaretta. Le aveva sempre fatte di corsa, quelle scale. La mattina perché era in ritardo, e alla fine della giornata perché non vedeva l’ora di correre via. Parcheggiava il suo vecchio motorino nel solito posto, e, pregando che non l’abbandonasse proprio quel giorno, correva via.
La prima volta che aveva dato un passaggio a Luca era stato per pura pietà: dei ragazzi lo stavano picchiando, ma lei era corsa in suo aiuto, picchiando anche più forte di loro. Quando ebbe finito, Luca si ritrovò a terra con un occhi nero, il naso sanguinante e la gamba gonfia, i libri a terra e una gran voglia di piangere. Lara non era riuscita a schivare un pugno nello stomaco e uno sulla spalla, ma era riuscita a rompere il polso ad Andrea, al più grosso di quei tre ragazzi e a fratturare il setto nasale a suo cugino Lorenzo.  Il terzo ragazzo era talmente spaventato che lei aveva dovuto solo guardarlo per farlo scappare, mentre urlava «Andate a piangere da quella troia di vostra madre!» si era girata a guardare Luca, scuotendo la testa. Gli aveva teso la mano e lo aveva fatto alzare, e prima che lui potesse ringraziarla, lei gli aveva fatto segno di seguirla. Lo aveva fatto salire sulla sua moto e lo aveva portato da Carlo, in ospedale. Carlo era stato bravissimo, non aveva fatto domande, non aveva fatto pesare a Luca il fatto di essersi presentato con la sua figliastra piena di lividi. Si era limitato a medicarlo con un sorriso gentile mentre canticchiava. Poi aveva notato il livido sulla spalla di Lara, e quando lei si era rifiutata di farsi toccare, lui aveva semplicemente detto «Ne parliamo a casa, allora.»
Usciti dall’ospedale, Luca aveva chiesto a Lara come mai non si fosse fatta toccare quel livido. Lara aveva fatto segno che non importava.
«Comunque è forte, tuo padre.» aveva detto Luca, salendo in moto.
Lara aveva sorriso. «Lo so. Ma non è mio padre, è solo l’uomo di mia madre.»
Pian piano, avevano iniziato a scoprire piccoli particolare della vita dell’altro. Per esempio, quando Lara aveva tirato una palla di neve a Veronica, riuscendo ad incolpare un primino innocente, Luca aveva scoperto che Lara amava la neve e odiava il rosa, colore del cappotto di Veronica, mentre lei era stretta in un eskimo scolorito. Quando Luca aveva preso il voto più alto della classe nell’ultimo compito di latino del trimestre, lei aveva scoperto che lui aveva una memoria fotografica che poteva essere sfruttata per vari scherzi.
Lara tirò con la sigaretta. Come era possibile che Carlo fosse finito a dire che si amavano?
Quando avevano diciassette anni, Lara invitò Luca a pranzare da lei dopo scuola, senza avere secondi fini, e lui si era perso nei dettagli di quella casa piena di colori e fotografie. Si erano messi a studiare algebra, poi si erano seduti sul divano a bere una birra e a ridere di tutto il mondo attorno a loro mentre guardavano i cartoni animati di Ludovica in televisione. Lei lo aveva guardato, e aveva capito che non se ne sarebbe andato facilmente da lei. Era legati da qualcosa di più forte.
Lara fissò quel portone. Perché non poteva tornare ad essere tutto così semplice?
Ci fu una volta in cui Paola, una delle ochette che seguivano Veronica come se fosse il Messia, organizzò la sua festa di compleanno nel giardino della villa del padre. Tutta la scuola era stata invitata, e con grande stupore di tutti, persino Luca e Lara avevano trovato l’invito rosa sopra al banco. Luca aveva convinto Lara a mettersi un bel vestito, che avevano comprato insieme qualche giorno prima, con uno scollo a cuore e una decorazione floreale. Mentre Silvia, la madre di Lara, la implorava di pettinarsi, Luca si era seduto sul divano con Ludovica a guardare la Pimpa. Quando Lara era uscita dalla stanza, per lui era stato naturale alzarsi ed ammirarla. I capelli non erano raccolti dalla solita matita, ma in un elegante chignon, gli occhi non erano sottolineate dalle solite occhiaie ma da un velo d’ombretto, il suo fisico scolpito non si perdeva in una vecchia tuta da ginnastica ma dava forma ad un vestito che sembrava nato su di lei. «Sei bellissima.» aveva sussurrato Luca. Lei aveva sorriso e lui aveva salutato Ludovica, pensando per un secondo di non portare Lara alla festa ma di prenderla per mano e portarla a vedere il tramonto.
Lara si prese la testa tra le mani. Che cosa era successo, poi? Quando erano diventati qualcosa di più che due semplici amici?
Avevano diciotto anni e Lara stava scendendo le scale su cui ora, quattordici anni dopo, era seduta. Rideva con Luca e non si rese conto dell’uomo che la stava fissando fino a quando questo non urlò il suo nome. Lei si girò, e quando Luca vide il suo sorriso sparire, si sentì lo stomaco preso in una morsa di ferro. Chi era quello per spegnere il sorriso della sua Lara? Poi si era avvicinato, facendosi spazio tra la folla, e vedendo nel viso dell’uomo gli stessi occhi di Lara, aveva capito.
«Che cosa vuoi?» gli aveva chiesto Lara, senza salutare o fingere di essere contenta che suo padre fosse lì.
«Non sei venuta domenica al pranzo.»
Lara era rimasta inespressiva, ma Luca sapeva che si era dimenticata di quell’impegno. «Oh, scusami. Auguri.» replicò scettica.
A quel punto, Luca era stato trafitto da quegli occhi di ghiaccio. «E lui?»
«Lui è amico mio.» aveva replicato Lara con freddezza. «Hai bisogno di qualcosa?»
L’uomo aveva scosso la testa e se n’era andato, mentre Lara, riuscendo a non mostrarsi scossa dall’avvenimento. Porse il casco a Luca per accompagnarlo a casa.
Il giorno dopo, Lara non si era presentata a scuola, e lui aveva preso l’autobus per andare a casa sua a chiederle come stesse. Quando era arrivato nei pressi della villa, aveva visto la stessa macchina che aveva visto fuori scuola parcheggiata nel vialetto. Rimase davanti alla porta, indeciso sul da farsi, sentendo Lara gridare e suo padre rispondere.
«Che cosa vuoi da me? Che cosa vuoi da noi? Questa è la mia vita, Davide, e tu hai scelto di non farne parte!»
«Non dire stronzate, Lara, io sono tuo padre!» replicò lui con tono duro. «Vuoi davvero che la tua vita sia un patrigno idiota, una sorellastra ritardata, una madre nevrotica e un amico frocio
Lara rimase colpita più dal dispregiativo usato per Luca che per tutto il resto. Luca le aveva confessato la sua omosessualità settimane prima, ma lei non ci aveva dato troppo peso. Ma il fatto che ora Davide lo stesse insultando senza conoscerlo le dava tremendamente fastidio.
«E cosa c’entra questo con me e te? Sei uscito da quella porta promettendomi che tra di noi non sarebbe cambiato niente, invece ora sei qui e l’unica cosa che sai fare è gettare merda sulla mia vita!»
«E questa la chiami vita?»
Dalla finestra, Luca riusciva ad intravedere Silvia in lacrime. «Notizia bomba, Davide. La vita con un patrigno idiota, una madre nevrotica, una sorella ritardata e un amico omosessuale è di gran lunga migliore di quella che tu e quella puttana della tua compagna potreste offrirmi.»
Lo aveva detto a bassa voce, ma lui aveva sentito perfettamente. Davide tirò un pugno al muro. «Da questo momento con me hai chiuso. Addio, Lara.»
«Tanti auguri.» rispose lei scettica.  Davide, senza aggiungere altro, uscì di casa, dando giusto il tempo a Luca di entrare di corsa e fuggire ad uno sguardo carico di odio. Entrato in casa, senza dire una parola si era diretto verso Lara e l’aveva abbracciata, senza paura di farle del male nello stringerla, e lei, tra le sue braccia, si era concessa di scoppiare a piangere. Non aveva mai pianto davanti a lui, non le piaceva mostrarsi debole. Eppure, in quel momento, fu la cosa più naturale da fare. Quella sera Luca dormì lì, tenendola abbracciata e aiutandola a decidere come vestirsi per trascinarsi a scuola una volta svegli.
Lara spense la sigaretta, pensando a suo padre con una certa compassione. Perché non poteva essere tutto così semplice? Perché non bastavano più un pianto ed un abbraccio per sistemare le cose?


Lara prese il telefono dal bancone della cucina, trovando cinque chiamate perse da Luca, due da Valeria e tre da un numero sconosciuto. Prima che potesse schiacciare il tasto per richiamare Luca, la porta di casa si aprì, mostrandole l’ispettore Benvenuto.
«Ciao.» gli disse, con l’asciugamano al collo per asciugare i capelli ancora umidi dopo la doccia. «Com’è andata?»
«Ci siamo presi una pausa.» sussurrò lui. Con un’espressione più sfinita che mai, si lasciò cadere sul divano.
Lara, capendo che era accaduto dell’altro, lo seguì.
«Ho fatto l’amore con Valeria.»
Un altro pugno nello stomaco, come quello che aveva preso a sedici anni, avrebbe fatto meno male. Quelle parole non solo furono un pugno, furono un pugno ad un muro di bugie sul loro rapporto costruito anno dopo anno.
Luca la guardò in attesa di risposta. Lei non si mosse.
«Posso dormire qui?»
«Valeria
Luca annuì. «Ti ho chiamata ma avevi sempre il telefono spento. Per pura coincidenza, lei ha chiamato me. Mi ha sentito giù di corda, siamo andati a bere qualcosa, e …»
Lara cercò di trattenere il mostro che le stava prendendo a calco lo stomaco. Si passò una mano nei capelli, ed esibì un sorriso carico di tensione. «La strada per camera tua la sai.»
Fece per alzarsi, ma lui le afferrò il braccio. Si voltò, notando in quei grandi occhi castani tracce di quella sbronza che l’avevano portato a fare l’amore con una donna.   «Sei arrabbiata?»
Se fosse stato in sé, non lo avrebbe chiesto. Non ne avrebbe avuto bisogno, lo avrebbe capito. Ma evidentemente aveva davvero bevuto troppo.
«La prossima volta che ti piacciono anche le donne, Benvenuto, dimmelo prima.» Si liberò dalla sua presa e andò verso lo scaffale degli alcolici. Prese un bicchierino e lo riempì di vodka. «Vaffanculo.» sussurrò, prima di trangugiarlo. Si era aspettata che il bruciore che l’alcolico le avrebbe procurato alla gola l’avrebbe consolata, ma non era così. Faceva comunque male.
«Avrei voluto che fossi tu.»
Lara scosse la testa. «No.»
«Ho pensato, ho immaginato che fossi tu.»
Riempì nuovamente il bicchiere, iniziando a sentire la testa girare. «Stronzate.»
«Non mi piacciono le donne, non tutte. Non Valeria.» si alzò e cercò di guardarla negli occhi, ma la penombra della cucina non lo permetteva.
«Eppure te la scopi.» rispose lei. «Vai a dormire, Luca. Sei ubriaco.»
«No.»
«Vai a dormire.» ripeté lei.
«Tu non c’eri.»
Lara sbatté il bicchiere, di nuovo vuoto, sul bancone della cucina. Fissò il bicchierino come se si aspettasse che da un momento all’altro, questo salvasse la situazione.
Quei due si amano, eppure non lo sanno.
Prese quel colpo nello stomaco senza abbassare la  testa, sperando che quella vodka maledetta la ammazzasse. «Ero a cercare di recuperare il rapporto con mia madre, prima che se ne vada anche lei.»
«Io non me ne vado. Ho bisogno di te.»
Sapeva che le parole degli ubriachi sono le più vere, eppure in quel momento non riusciva credergli. Alzò gli occhi, per mostrare a Luca le lacrime silenziose che le stavano rigando il volto. «Vai a dormire.»
Quei due si amano.
«Stai piangendo.»
«Vai a dormire.»
«Avrei voluto che fossi tu.»
«Vai a dormire.»
«Avrei voluto fare l’amore con te, non con lei. Con te è tutto più bello.»
Eppure non lo sanno.
Fu costretta a mordersi il labbro per non rispondere. Luca la guardò sedersi per terra mentre lasciava che la voce le si rompesse in singhiozzi, e, incapace di avvicinarsi per consolarla, andò in camera sua e si gettò sul letto, addormentandosi all’istante.
«Vaffanculo.» ripeté Lara.

Lara strizzò gli occhi, seduta davanti alla scrivania di Giulia Corsi. «Cosa è, uno scherzo?»
La Corsi sorrise. «Purtroppo no. Lei è stata esplicitamente richiesta per questo caso, e io non posso …»
Lara indicò il nome che stata all’inizio del fascicolo che la Corsi le aveva dato. «Vede? Valentina Russo. È la sorella di mio padre, Davide Russo. Da quel che so, ora vivono tutti insieme allegramente in Sicilia, ma …»
«So che si tratta di sua zia, ispettore. Ed è per questo che il commissario Russo ha richiesto proprio lei.»
«Non vuole me per il caso, vuole dirmi che mio padre sta morendo, o cose così, e vuole che lo vada a salutare.» Il tono secco con cui Lara parlava di suo padre faceva quasi paura.
La Corsi intrecciò le dita sulla scrivania. «Se così fosse, le consiglierei di dire a suo padre tutto ciò che deve. Potrebbe non avere più tempo.»
Lara rimase impassibile, ma guardò il biglietto per il traghetto che il Commissario le stava porgendo. Sarebbe partita l’indomani mattina per Siracusa.  
Le tornò in mente il sapore amaro della vodka, i pugni nello stomaco che le avevano provocato le parole di Luca, il pianto e la semplice voglia di sparire senza fare rumore. Avrebbe avuto l’occasione che aspettava per stare lontana da Luca - e Valeria. «Okay, accetto. Quanto dura questo incarico?»
«Tre settimane.»
Tre settimane. Tre settimane per rendersi conto che  no, non era innamorata di Luca dalla bellezza di sedici anni, che si era solo lasciata condizionare dalle parole di sua madre.  «Perfetto.» rispose, gelida.
«Si prenda pure questa giornata per fare le valigie e salutare sua madre, Lara.»
Lei non se lo fece ripetere due volte. Prese ciò che doveva e uscì dalla stanza.
Come sospettava Luca era lì ad aspettarla. «Quindi?»
Non si erano dati nemmeno il buongiorno, quella mattina. Ognuno aveva fatto colazione in silenzio, l’uno davanti all’altra, mentre lui non riusciva ad ignorare le occhiaie e gli occhi rossi che Lara sfoggiava, mentre i ricordi della sera prima pian piano prendevano forma nella sua mente. Aveva fatto il viaggio in macchina in silenzio, senza nemmeno ascoltare la musica. Quel ‘quindi’ era la prima parola dopo quindici ore di silenzio.
«Me ne vado per tre settimane.»rispose lei, senza guardarlo. «Sarai contento, no?»
Luca sbatté le palpebre. «Dove vai?» la seguì in ufficio mentre afferrava il cappotto e la borsa.
«In Sicilia.»
«Perché?»
«Perché di si.»
Gli dava sui nervi quando rispondeva come una bambina di due anni. Gli dava tremendamente sui nervi quando si infilava la sigaretta in bocca, come in quel momento, segno che avrebbe avuto bisogno della nicotina per calmarsi. Gli dava sui nervi anche l’idea di averla ferita, anzi, quello lo ammazzava dentro, ma aveva imparato da lei a nascondere il dolore dietro un sorriso.
Lara fece per uscire. «È colpa mia?» chiese, in un sussurro.
«Non esisti solo tu al mondo, Benvenuto.»
Le prese il mento tra indice e pollice e la costrinse a guardarlo. «Ti prego.»
Lei sembrò intenerirsi, ma un dolore allo stomaco le ricordò la discussione della sera prima. «Vai a pregare la tua amante.» detto questo, lo spostò con una mano e se ne andò con le lacrime agli occhi, di nuovo.

«Quindi parti?»
Sua sorella la guardava attraverso degli occhiali da vista giganti.
«Esatto.»
Era seduta al suo solito posto a casa di sua madre, mentre Ludovica preparava il caffè.
«E io? E la mamma? E Luca?»
Lara scosse la testa. «Tu e la mamma ve la caverete per tre settimane senza avermi tra le scatole.»
Ludovica posò due tazzine sul tavolo. «È bello averti tra le scatole.» sussurrò.
Lara accennò un sorriso. «Sono solo tre settimane, Ludo.»
Lei alzò le spalle. «Hai svincolato la domanda su Luca.»
«Lo so.» ammise, con un filo di voce. «Non mi va di parlare di lui.»
Sua sorella si girò di scatto. «È successo qualcosa?» chiese, con aria allarmata.
«Non mi va di parlare di lui.» ripeté.
«Oddio, allora è davvero successo qualcosa!» esclamò, versando il caffè. «Sputa il rospo, dai.»
Lara la fissò intensamente. Non era abituata a confidarsi, tantomeno a farlo con la sua sorellina. Ogni tanto pensava di dovere ancora andare a comprarle i Plasmon. Aveva sempre confidato tutto a Luca – e solo a lui. Ed è per questo che decise che di sua sorella, per una volta, si sarebbe potuta fidare.
«Posso chiederti un cosa?»
Ludovica annuì.
«Hai mai pensato che io e Luca fossimo più che semplici migliori amici?»
«Nel senso, se ho mai pensato che poteste essere innamorati?»
«Sì.»
«Sinceramente? Si. Moltissime volte, guardandovi, mi sono resa conto che, a modo vostro – in un modo davvero tutto vostro – foste innamorati, ma innamorati come si deve, innamorati come nei film. Solo che lo siete a modo vostro, ecco.»
Lara trangugiò il caffè.
«Perché me lo chiedi?»
Lara tolse letteralmente il tappo. Raccontò tutto, da come era iniziato (la chiacchierata con Silvia in riva al mare) alle ore passate sui gradini della scuola a pensare ad ogni dettaglio, fino a raccontare del suo ritorno a casa e di quella gelosia nuova e dolorosa. Sua sorella ascoltò con pazienza ogni particolare, senza mai dare segno di aver previsto qualcosa o di annoiarsi.
«Vedi?» disse, alla fine. «Ho ragione io. È amore, in un modo tutto vostro, ma è amore.»
Lara si lasciò cadere sulla sedia. «Non ci posso credere. Sono davvero innamorata di lui?»
Lei annuì, sorridendo.
«Cazzo.»

Lara, stesa sul divano a testa in giù, non riusciva a smettere di pensare.
La valigia era pronta, il biglietto per il traghetto era sul tavolo, Ludo aveva le chiavi per controllare la casa, e le finestre erano tutte perfettamente chiuse.
Eppure, guardando il camino sottosopra con la radio accesa, c’era qualcosa che non le tornava.
Luca. Luca non era a casa, e, presumibilmente, non sarebbe tornato. Forse sarebbe rientrato dopo la sua partenza, e avrebbe usato quella casa come nido d’amore insieme a Valeria – o ad Adriano, chi può dirlo?
Maledetto.
Non aveva voglia di accendere un’altra sigaretta, non aveva voglia di arrivare a cinque al giorno come dieci anni prima. Semplicemente, non le andava neppure di alzarsi. Anzi, non le andava di vivere. Sarebbe stato tutto più semplice se il suo divano avesse potuto risucchiarla e tenerla lì per sempre, perché nessuno si sarebbe accorto che era scomparsa. Poteva chiamare sua zia e dirle che non ci sarebbe andata, a Siracusa. Avrebbe preso la macchina e sarebbe andata dove la portava il cuore, dove le andava, alla sola condizione che nessuno sapesse dove fosse – e che questo posto fosse molto, molto lontano. Avrebbe potuto farlo, si. Ma aveva davvero voglia di scoprire cosa volesse Veronica da lei, dopo quindici anni di silenzio da parte di tutto quel ramo della sua famiglia.
La canzone alla radio cambiò. Dalle prime note, si trattava sicuramente di una canzone d’amore. Con un pugno, spense la radio. Non aveva voglia, non aveva voglia di rendersi conto di essere davvero innamorata di Luca.

Mauro, Luca e Roberto erano seduti al tavolo di un bar, davanti a tre birre medie.
«Da quanto tempo sei innamorato di Lara?» chiese Mauro.
Luca sembrò trovare improvvisamente interessante il sottobicchiere della birra. «Non sono innamorato di Lara. Che diamine te lo fa pensare?»
«Il modo in cui la guardi. Il tuo sorriso quando lei è accanto a te. Il fatto che tu ora non riesca a guardarmi negli occhi.»
«Io sono gay.» rispose Luca con aria quasi colpevole.
«E allora?» chiese Roberto in risposta. «Non è questo il problema, Luca. L’amore è tra due anime, e le anime non hanno sesso. E poi voi siete praticamente un cosa sola, avete passato la metà esatta della vostra esistenza insieme e non riuscite a stare lontani.»
«Lei sta partendo.» replicò prontamente Luca.
«Infatti, non capisco come mai tu sia qui con noi e non a cercare di fermarla.»  lo riprese Mauro.
«Perché eravamo d’accordo che saremmo usciti a bere qualcosa noi tre!»
Roberto alzò gli occhi al cielo. «E allora? La donna che ami sta partendo, ed è arrabbiata con te!»
«Ma io che ci posso fare?! Ho commesso un errore, okay, ma lei ne ha commessi molti di più!»
«No, Luca, perché lei non ha fatto in modo che sedici anni di amicizia fossero basati sul fatto che lei fosse dell’altra sponda! Il motivo per cui non riesci ad ammettere di essere sempre stato innamorato di lei è il tuo fottutissimo orgoglio!»
Luca abbassò di nuovo la testa.
«L’orgoglio che non ti permette di urlare di esserti sbagliato, l’orgoglio che ti tiene incollato a quello sgabello perché hai passato quindici anni della tua vita a dire che ti piacevano gli uomini senza renderti conto che sei innamorato della tua migliore amica, che non è altro che la donna della tua vita!»
Luca trangugiò la birra.
«Quindi, ti rifaccio la domanda. Da quanto tempo sei innamorato di lei?»
«Da quando avevamo diciotto anni, e l’ho vista piangere per quel verme di suo padre.»
Mauro e Roberto annuirono soddisfatti. Il primo passo era fatto.
«Stai attenta.»
Se c’era una cosa che Lara odiava, erano le raccomandazioni. Ma amava le sorprese, ed il fatto che Roberto, Mauro e Germana fossero comparsi all’improvviso al bar del porto in cui Lara stava facendo colazione le aveva fatto tremendamente piacere.
Guardò Germana e sfoggiò il sorriso finto più convincente che riuscì. «Stai tranquilla.»
«Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luca, ieri sera.» comunicò Mauro.
Lara alzò le spalle. «Buon per voi.»
«Cerchiamo solo di aiutarvi, Lara.»
Lei scosse la testa, con espressione dura e ferita. «Non dovete preoccuparvi per questo.»
«Luca è nostro amico, e tu fai parte di lui.»
Lei scosse la testa di nuovo. Poi guardò l’orologio appeso al muro dietro di lei. «Devo andare.» disse, alzandosi.
Anche gli altri tre si alzarono, e Germana la attirò a sé e la abbracciò. «Abbi cura di te, bella. Posso telefonarti?»
Lara sorrise. «Certo, quando vuoi. Mauro il mio numero ce l’ha.»
Abbracciò anche Mauro e Roberto, sorbendosi tutte le raccomandazioni del caso.
Quando finalmente riuscì a parcheggiare la macchina in quella che da bambina aveva sempre chiamato ‘la pancia della barca’, salì sul ponte di prua e ascoltò la musica che passavano da dentro, cercando di non pensare a niente.
La canzone che partì, era la stessa che aveva evitato di ascoltare la sera prima.
E sono scappato via, perché da troppo amore non so respirare. (…) Di ogni viaggio lontano da te sei la meta, io re magio, tu stella cometa. 
   
 
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