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Autore: La neve di aprile    27/02/2009    5 recensioni
Orlando Bloom è un attore di fama mondiale. Ama fare snowboard, surf e il caffé nero, senza zucchero.
Annie Brown è nata e cresciuta a New York. Ama il cappuccino alla vaniglia, il suo lavoro e i tacchi dieci.
Orlando Bloom ha la bizzarra abitudine di far scappare tutte le menager che gli vengono affidate.
Annie Brown è la nuova menager di Orlando Bloom.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAFFE' NERO SENZA ZUCCHERO
CAPITOLO DODICI


 

Esattamente quattro giorni dopo, Orlando si svegliò nella suite dell'albergo londinese dove Annie l'aveva nascosto, con la fastidiosissima sensazione che qualcosa non andasse.
Nell'esatto momento in cui aprì gli occhi la consapevolezza che qualcosa di indefinito si agitava nell'aria era sul punto di precipitargli addosso, con la stessa dolorosa precisione chirurgica di un mal di testa dopo una notte di bagordi.
Rimase sotto il piumone per qualche attimo ancora, ascoltando gli uccellini cinguettare e le macchine correre lungo le strade della città, aspettando che la sensazione lo lasciasse libero di cominciare la giornata.

Ma quando si mise a sedere e posò i piedi a terra, cercando alla cieca le ciabatte sul pavimento freddo, era ancora lì.

E li rimase mentre chiamava il servizio in camera e si faceva portare una caraffa intera di caffè bollente, nero e rigorosamente senza zuccherro assieme a una brioches e a un bicchiere di spremuta d'arancia. Saldamente arpionata sul suo collo, la avvertiva mentre faceva colazione, mentre si lavava di denti e mentre si cambiava, valutando se era il caso o meno di scendere a fare una passeggiata.

Magari poteva andare da sua sorella, dove aveva lasciato Sidi quando era rientrato in città per la famigerata conferenza che la sua manager era riuscita ad organizzare in quattro e quattr'otto, e fare una passeggiata con lei ai Kensington Garden e ridere dell'intera vicenda sotto lo sguardo benevolo del sempre giovane Peter Pan.
Si, si disse, vada per la passeggiata. Chissà che il vento non facesse volare via quel cattivo presagio che aveva scelto si appollaiarsi sulla sua spalla.



Affondò il mento nella sciarpa a righe, nascondendosi dietro le lenti a goccia di un paio di occhiali da sole, mentre con passo deciso lasciava la hall dell'albergo e si immetteva nella solita, rassicurante, frenetica routine londinese.
Camminò tra giovane donne in bilico su sottilissimi tacchi a spillo, con le mani piene di borse più o meno grandi, più o meno lucide, ma circondate dall'inconfondibile alone luminoso delle cose che costano; si fece superare da uomini d'affare preoccupati, assorti in discussione fitte fitte con un auricolare e BlackBerry alla mano; sorrise alla vita di una comitiva di bambini in gita, tutti uguali nelle loro austere uniformi scolastiche, godendosi la bella mattinata di sole.

Amava quella città, molto più di quanto non avesse mai detto.
Le strade ampie, i taxi neri famosi in tutto il mondo, la sua faccia rigorosa colorata qua e là da quartieri pieni di vita e giovani.
Amava costeggiare il Tamigi, con le sue aque dal colore indefinibile, a metà tra il grigio e il verde; amava contare cinque Starbucks, uno accanto all'altro, nella stessa via, e constatare come tutti e cinque fossero pieni di clienti.

Camminava da un'ora abbondante, quando si fermò davanti alla casetta di Samantha Bloom.
Sorrise, riconoscendo il famigliare abbaiara di Sidi, soffocato dalle mura in cemento e mattoni, mentre si avvicinava alla porta: bussò tre volte, discretamente, fischiettando il motivetto di una canzoncina che aveva sentito lungo la strada, qualche minuto prima.

- Si, chi è? - chiese la voce di sua sorella, dall'altra parte della porta.

- Orlando. - rispose, trattenendo un sorriso.
La porta si aprì immediatamente, rivelando il volto rotondo della sua copia al femminile: stessi occhi scuri, stessi capelli indisciplinati, stessa espressione dolce.
Si chinò a baciarle la guancia, levandosi gli occhiali da sole e entrando in casa.

- Ciao! - lo salutò lei - Che ci fai qui? -

- Annie ha detto che ho la mattinata libera, oggi, ho pensato di farti un salutino e proporti una passeggiata con Sidi. Ti va? -

L'espressione perplessa che comparve sulla faccia di lei non corrispondeva esattamente alla reazione che si era aspettato.
In genere Samantha adorava passare del tempo con lui, cosa del tutto reciproca, tra le altre cose.

- Non ti va? - le chiese, perplesso a sua volta.
Lei sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riscuotersi e trascinarlo in cucina.

- Si, certo che mi va però... hai sentito Annie, stamattina? - chiese, facendolo sedere su uno sgabello e prendendo posto davanti a lui.
Sidi, felice, si accucciò al suo fianco, scodinzolando. Gli accarezzò il muso, scuotendo il capo.

- No, perché? Eravamo a cena assieme, ieri sera, poi non l'ho più sentita. E' successo qualcosa? -

- Beh... si e no. Non lo so. Speravo l'avessi sentita.. .- vaga, Samantha si rialzò in piedi e si avvicinò ai fornello, spegnendo il fuoco sotto l'unica pentola.
Alzò il coperchio, scrutandone il contenuto, e dopo una pausa che ad Orlando parve infinita, tornò a voltarsi verso di lui - Fammi indovinare, non hai acceso la televisione oggi? -

- No. - l'attore si irrigidì impercettibilmente - Perché? -

- Pare che il mondo sia piuttosto interessato ad Annie, oggi. - spiegò la sorella, passandosi una mano tra i capelli scuri - Ma tu lo sapevi che ha avuto una storia con Dave Monks? -

- E chi è? - domandò, realizzando nell'esatto istante in cui formulava la domanda che già conosceva la risposta.
Perché Annie gliel'aveva confidato, neanche una settimana prima, aprendogli il suo cuore.
Dave Monks non poteva che essere il bassista dei Tokio Police Club, il gruppo di cui era stata manager.

- Un bassista.. - rispondeva nel mentre Samantha - Piuttosto belloccio, tra le altre cose. - commentò con un mezzo sorriso.

- Chi... Cosa... Dove l'hanno detto? -

- Ehi, va tutto bene? - allungò una mano verso il fratello, stringendogli delicatamente una spalla - L'hanno detto questa mattina alla radio, pare che la notizia sia su tutte le copertine delle maggiori riviste scandalistiche del mondo. L'autrice del pezzo è una certa... -

- ...Alix Ames. - sospirò lui, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.
Il cattivo presagio si era trasformato in un incubo dal quale evidentemente non aveva modo di liberarsi.

- Alix Ames? Quella Alix Ames?-  Samantha sgranò gli occhi - Orlando Bloom, non dirmi che c'è il tuo zampino, di mezzo. -

- Sammy, ti prego, non c'è bisogno che mi ricordi quanto sono idiota, infantile e stupido. - la interruppe, piuttosto bruscamente - Perché lo so già da me. E se non fosse che la situazione è molto più che delicata, passerei ore a farmelo presente da solo. Adesso però devo sapere cosa c'è scritto in quell'articolo. - 

- Che stavano assieme e che quando le cose hanno iniziato ad andar male per la band lei si è ritirata. Fine del lavoro, fine dell'iddilio, fine dell'amore. - sintetizzò Samantha, scrollando le spalle - Il tutto si può riassumere così, Alix è stata così brava da far sembrare che lei li abbia mollati quando invece avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro. Conclude chiedendosi se ti abbandonerà al tuo destino, ora che le cose si sono messe male. -

- Merda. - sibilò Orlando, affondando le mani tra i capelli - Merda, merda, merda! -

- Fratellino, c'è per caso qualcosa che mi vuoi dire? -

- Sammy, è un disastro. Lei... Oh, cazzo! Io credo sia innamorata di me. Tutte quelle cose me le ha raccontate e sono quasi sicuro che non l'abbia mai fatto con nessun altro e Alix... MERDA! Sono un povero idiota, ecco cosa sono! Avrebbe tutte le ragioni del mondo per piantarmi in asso. -

- Rallenta, campione. - gli sorrise la sorella - E fai un bel respiro. Hai raccontato tu ad Alix quelle cose? -

- No! - con gli occhi sgranati e l'espressione più affranta e spaventata che la sorella gli avesse mai visto in faccia, Orlando si costrinse a parlare - No, io ho chiesto ad Alix di trovare qualcosa di Annie parecchio tempo fa. Prima della storia con Kate, appena l'avevo conosciuta. Non la sopportavo, non riuscivo ad accettare il fatto che potesse avere ragione e... -

- Ho capito. Appurato il fatto che sei un idiota di proporzioni epiche, se non cosmiche, dovresti parlare con lei. Soprattutto se è vero che è innamorata di te, pensa come potrebbe sentirsi nel vedere che, dopo averti confidato qualcosa che indubbiamente era doloroso, per lei, l'ha visto sbattere sulle copertine delle peggio riviste del pianeta. -

- Gesù. - si afflosciò sul tavolo, completamente svuotato - Ho combinato un casino. -

- Su questo non ci piove, tesoro. Ma non è ancora detta l'ultima parola fino a quando non parli con lei. -

- Si, hai ragione. - annuì Orlando, raddrizzando la schiena.

- Bravo bambino. - sorride la sorella - Spiegami solo una cosa, però. Perché ti sta così tanto a cuore, tutto d'un tratto? -

- Perché... - sorrise, chinando il capo - Perché è una persona incredibile. Non mi ha voltato le spalle quando tutti gli altri l'hanno fatto, mi è stata vicina e... e dovresti vederla, Sammy, è fantastica. Non si lascia mai abbattere, non molla mai. E' tagliente, è divertente, è cinica e fastidiosamente ragionevole. -

- Ahi ahi, fratellino... - Samantha inclinò il capo di lato, allungando una mano a compigliargli i ricci scuri - Sei proprio nei guai, questa volta. -

- Lo so, non vorrà nemmeno ascoltarmi e non posso nemmeno darle... -

- Non mi riferivo a quello, sciocco. Lei potrebbe essere innamorata di te, ma la sai una cosa? Tu lo sei, senza bisogno del condizionale o di un forse. -


- Si, David, sto bene. - ripeté Annie per l'ennesima volta nella mattinata, sentendosi l'orecchio bruciare sotto il telefono - Davvero, tranquillo. Me ne sto a casa, non metto il naso fuori se non in caso di catastrofe naturale e qualsiasi cosa succeda ti chiamo, d'accordo? Adesso ti saluto, a furia di parlare al telefono mi si sta sciogliendo il cervello, ci sentiamo presto, ok? Ciao... si, anche io... d'accordo, te lo prometto, ciao, ciao, CIAO. -

Riattaccò, stizzita, laciando il cellulare sul letto.  
Era da un'ora che non faceva che ripetere le stesse identiche cose, come se rileggesse lo stesso discorso davanti ad un pubblico sempre diverso.
Sua madre, suo padre, Janis, David.
Persino Dave l'aveva chiamata, chiedendole se stesse bene.
Nel bel mezzo di una tourneé, finito sulle pagine scandalistiche per motivi che trascendevano la musica, nonostante tutto quello che era successo tra di loro, aveva alzato la cornetta e l'aveva chiamata.
Dave.

Tutte persone a cui voleva bene ma che, inevitabilmente, non erano l'unica che avrebbe voluto sentire.

Non aveva notizie di Orlando dalla sera prima, quando si erano salutati con un bacio che le era parso assolutamente perfetto, nell'ombra del corridoio dove stava la stanza di lui. Avevano riso, lui le aveva bisbigliato a fior di labbra una buona notte che aveva trasformato le sue gambe in una sottospecie di gelatina informe e mezza sciolta, al punto che non aveva capito come era riuscita a tornare all'ascensore senza mai cadere a terra.

Si era addormentata con il sorriso sulle labbra e la sensazione che tutto si stava mettendosi a posto, che sarebbe andato tutto bene e che le cose non avrebbero potuto che migliorare: la conferenza era andata benissimo, l'opinione pubblica su Orlando stava volgendo nuovamente verso il positivo e lui aveva di nuovo quell'espressione felice che ricordava aver visto solo negli scatti fotografici più vecchie, quando il suo nome lo conoscevano ancora poche persone.
Si era detta che anche lei era felice.

Poi si era svegliata, aveva messo sul fuoco il bollitore ereditato dalla nonna, smaltato di rosso, e mentre aspettava che l'acqua si scaldasse aveva aperto il computer.
Come ogni mattina, del resto.
Si era connessa ad internet, aveva scaricato le email convinta di trovare le solite due da parte di sua madre, una da Janis e una quantità innumerevole di avvisi da forum, maling list e blog che seguiva.
Duecentotre nuovi messaggi, l'aveva informata il computer con un ping: sospirando rassegnata aveva iniziata una lunga e faticosa cernita, dividendole tra privato e lavoro, per poi iniziare a leggerle.

La prima mail di sua madre risaliva al pomeriggio prima ed era una sfilza di lamentele e domanda esistenziali sul perché le peonie che aveva appena piantato stessero già appassendo, suo padre le raccontava del nuovo lavoro di falegnameria che aveva appena finito.
Janis invece le aveva scritto la bellezza di otto volte. Nel corso della mattinata.

 

Charlie Brown, diceva la prima, bufera in arrivo. Tienti forte o ti spazzerà via, si vocifera di un articolo terrificante in uscita tra qualche ora.

 
Tesoro, non è quello che si pensava. Chiamami appena leggi questa mail, per favore.

 

Annie, non starai ancora dormendo vero? Per quale stupidissimo motivo il tuo cellulare è spento?

 

Erano tutte email brevissime, tre frasi al massimo, una più allarmante dell'altra.
Così aveva alzato la cornetta e aveva chiamato l'amica, sperando di capire cosa fosse successo.
E nell'esatto istante in cui glielo chiedeva, aveva aperto la prima notifica di un forum ed era rimasta paralizzata.

 

Il curioso caso di Annie Brown, recitava il titolo.

Sottotitolo: i segreti della rossa più odiata da HollyBloom.

 

Il telefono le era quasi caduto di mano, ma aveva avuto la tempra di dire all'amica che l'avrebbe richiamata al più presto, giusto il tempo di rileggere il topic che riportava fedelmente, parola dopo parola, l'articolo più velenoso e diffamatorio che avesse mai letto nei confronti di qualcuno.
Accusata di essere un'arrampicatrice sociale, l'autrice aveva fatti di cui pochissime persone erano a conoscenza, travisandoli completamente fino a dipingere un'immagine di lei terribile, che le aveva quasi fatto spuntare le lacrime agli occhi.

Si era sentita morire.

E mentre il telefono riprendeva a squillare, il bollitore aveva fischiato.


Tre tazze di camomilla e innumerevoli tranquillizzazioni più tardi, era stufa.
David era stata l'ultima persona con cui aveva parlato e non ne poteva veramente più di raccontare al mondo che stava bene.
Non stava affatto bene.
Aveva voglia di urlare, di spaccare qualcosa, di prendere a calci qualcuno, ma più di tutto aveva voglia di scomparire dalla faccia della terra.

E perché non farlo? Si disse, preparandosi la quarta camomilla della giornata.

Non doveva spiegazioni a nessuno, le persone che realmente le volevano bene si erano fatte sentire.

Si, ma Orlando...? Le fece presente la fastidiosa vocina della sua coscienza.

- Orlando può anche morire, per quel che mi riguardo. - dichiarò al suo riflesso.
Era quasi ridicola, con addosso un accappatoio di spugna giallo, la tazza di camomilla, i capelli spettinati e l'aria stravolta, gli occhi ardenti di rabbia.
Era stata una stupida, ecco la verità.
Si era lasciata coinvolgere come una povera idiota e come tale era stata trattata: si era azzardata a fidarsi, gli aveva raccontato il suo più grande segreto e lui l'aveva tradita.

In fondo, si disse ciondolando fino al soggiorno e mettendo su un vecchio cd di Jeff Buckley, sin da quando si erano incontrati lui aveva possibile e impossibile per screditarla, sminuirla, relegarla al ruolo di semplice sottoposta.
Perché un paio di giorni, del sesso e qualche bacio avrebbero dovuto cambiare le cose?
Era stata lei a sbagliare.
Era andata contro tutti i suoi principi e le sue regole, ripetendo esattamente lo stesso errore della prima volta: si era lasciata coinvolgere senza pensare alle conseguenze.
Come una liceale al suo primo amore, si criticò con amarezza, ascoltando la voce calda del cantante, accompagnata solamente dalla chitarra, sospirare che love is not a victory march.

Si rannicchiò sul divano, senza sapere cosa fare.
Doveva forse cercarlo?
E se le cose erano esattamente come aveva ipotizzato?
Aveva senso rischiare di farsi ancora del male?
Aveva sofferto abbastanza, i suoi errori li aveva pagati dal primo all'ultimo ed era stanca, veramente stanca, di piangersi addosso.
Si era ripromessa di volersi un po' più di bene, di essere meno superficiale nei contronti di se stessa e più superficiale nei confronti del mondo attorno a lei, ma a conti fatti non ne era capace.

Quello che aveva sentito la prima volta che Orlando l'aveva baciata, quella scossa elettrica che l'aveva attraversata da capo a piedi, era reale quasi quanto il dolore sordo che avvertiva in un punto imprecisato del petto. Tirò su con il naso, strofinandosi il dorso della mano destra sugli occhi.

- Stupido sentimentalismo del cazzo. - sbuffò, senza riuscire a frenare quelle due, tre, quattro, cinque, dieci lacrime che presero a scorrerle lungo le guance, senza che nemmeno se ne accorgesse - Piangere per uno stronzo del genere... - si lamentò, soffocando un singhiozzo - Sei proprio caduta in basso, Annie Brown. - bisbigliò, posando la tazza sul tavolino alla sua destra, vicino al bracciolo, per abbracciarsi le ginocchia e affondare il viso tra le braccia.
Come se, nascondendo quelle lacrime che versava silenziosamente, potesse far finta che non fossero mai esistite.

 

 

- Annie, ti prego, aprimi!- supplicò Orlando per la milionesima volta, guardando la porta chiusa davanti a lui.

Non faceva altro da mezz'ora.
D'accordo, ci aveva messo ora a trovare il coraggio necessario per andare da Annie, per un lungo lasso di tempo aveva seriamente preso in considerazione l'idea di nascondersi e basta pregando che il cielo, le stelle, Dio, Buddha, Allah, le divinità Indù, le Parche, il destino o chi per loro risistemassero le cose al posto suo, ma alla fine la paura di affrontare Annie gli era sembrata nulla confronto la paura di perderla.
Quindi si era dato del codardo e aveva chiamato un taxi, facendosi portare a casa di Annie.

E adesso era lì, nell'impietosa e fredda luce del tardi pomeriggio, a bussare ad una porta che ancora non si apriva.

- Annie, ti prego. - gemette, cadendo sulle ginocchia e posando la fronte contro il legno gelido - Per favore, ti prego, apri la porta. Devo parlarti. -

Nulla.

Il silenzio, ecco la risposta alle sue suppliche.
Ma non poteva biasimarla, non poteva criticarla, non poteva dirle niente: se davvero aveva scelto di non rivolgergli più la parola, allora tutto quello che poteva fare era accettare la sua decisione e rassegnarsi all'idea che l'aveva persa.
E che aveva avuto quel che si meritava per quel che aveva scatenato: l'articolo di Alix era quanto di più terribile avesse mai letto in vita sua, un concentrato di perfidia, di insinuazioni e cattiverie che avrebbero stroncato chiunque.

- Per favore... - bisbigliò, sentendosi morire all'idea di non avere nemmeno la possibilità di poterla vedere un'ultima volta - Annie, ho bisogno di vederti. Ti supplico, lasciami spiegare.. non sopporto l'idea che finisca così, per favore. Ti prego... -

La voce alle sue spalle lo colse di sorpresa, al punto che sobbalzo vistosamente e si fece andare di traverso le parole che stava per pronunciare.

- E' partita questa mattina. - lo informò un'anziana signora, di cui riusciva a vedere solamente la testa e il busto spuntare oltre la siepe che separava il suo giardino da quello di Annie.
Ciuffi lanosi di capelli bianchi circondavano il vecchio volto rugoso, dove nonostante l'età spiccavano due occhi azzurri luminosi.
Non aveva un'aria cattiva, anzi: ricordava vagamente le nonne delle favole, quelle che rimboccano le coperte ai nipoti e passano le giornate a impastare crostate e biscotti.

- Come prego? - chiese dopo qualche attimo, rialzandosi in piedi e cercando di mantenere la voce salda.

- Annie. - riprese la donna, con un sorriso benevolo - E' partita questa mattina. E' venuta da me, mi ha detto che sarebbe dovuta partire per lavoro e che non sapeva quando sarebbe tornata, mi ha chiesto se potevo ritirare la posta per lei. -

- Non le ha detto dove andava? - insistette Orlando, divorato dall'angoscia.

- No, caro, mi dispiace. -

- Capisco. - sussurrò, chinando il capo - La ringrazio, signora, è stata molto gentile. Arrivederci. -

Diede un'ultima occhiata alla porta chiusa, ritrovandosi a sperare con ogni fibra del suo essere che si aprisse, nonostante le parole della vicina, e Annie comparisse sulla soglia, con i capelli rossi un po' spettinati e gli occhi neri carichi di rabbia, di vita, di determinazione.
Magari con le braccia incrociate al petto e un'espressione irriverente stampata sul viso.
Ma la porta rimase chiusa e lui le diede le spalle, avviandosi lungo il vialetto in pietra.

- Se posso permettermi una parola, caro.. - lo fermò la donna, con voce affabile - Qualsiasi cosa sia successo tra di voi, non smettere di cercarla. In tanti anni che abito in questo quartiere non ho mai visto una persona aspettare così tanto davanti ad una porta chiusa. Sono sicura che lei capirà e perdonerà. -

- Vorrei tanto poterlo credere anche io. - confessò Orlando, affondando le mani nelle tasche della giaccia - Ma ho paura di averla combinata troppo grossa, questa volta. -

- Non c'è niente di troppo grande, caro, a parte l'amore. -

Orlando sorrise, stringendosi nelle spalle.
Erano bellissime parole, quella della donna, ma parole rimanevano.
Se Annie se ne era andata, era perché non voleva essere trovata, tutto quello che poteva fare era accettare la sua decisione e convincersi che era finita.
Che quei pochi giorni di pace che aveva conosciuto non sarebbero mai tornati.
Che lei, non sarebbe mai tornata.

Trattenne un singhiozzo nel realizzare che questo non l'avrebbe mai potuto accettare.

 

 

 

 

   
 
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