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Autore: determamfidd    20/11/2015    2 recensioni
A Gimizh figlio di Bofur fu dato un nome appropriato. È un vortice di immaginazione e guai e scherzi e pazze idee. I suoi amici, i figli di Dwalin, non aiutano molto.
Un giorno nella vita di un Nanetto di Erebor. (Che la Montagna tremi)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Appendici di Sansukh'
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La storia si svolge poco prima del capitolo 21. La storia originale può essere trovata qua.

«Alzati, dormiglione!» una grande mano scosse la sua spalla, e Gimizh borbottò sottovoce e si avvolse ancora più strettamente nelle sue coperte. Il suono della risata di suo Papà risuonò per la stanza.

«Non funzionerà, inùdoy. Andiamo, alzati. È una giornata bellissima!»

«Mmmmmph» disse Gimizh, e si tirò le coperte sopra la testa.

Suo papà si alzò e ci fu un benedetto silenzio per un momento, e poi la sua coperta gli fu strappata via. Gimizh si sedette con un urlo di protesta, guardando male suo padre. Bofur stava ghignando da un orecchio all'altro, e i suoi occhi erano allegri mentre cercava (e falliva) di contenere le sue risa.

«Sembri proprio un buffone» disse «Capelli dappertutto, e tutti spettinati.»

«Qualcuno mi ha rubato la coperta» rispose Gimizh.

«Ritieniti fortunato, avrebbe potuto essere tua madre invece di me»

Vero. Gimizh si strofinò gli occhi e sbadigliò. «Riesco a contarti tutti i denti» disse suo papà, e spettinò i capelli rosso scuro di Gimizh «La colazione è in tavola, e tua mamma vuole che tu la aiuti in infermeria più tardi.»

Lui si rallegrò. «Davvero?» l'infermeria era fantastica. C'erano così tante cose diverse da vedere e con cui giocare, tutte molto misteriose e importanti. L'infermeria era il luogo dove alcuni dei suoi migliori (leggi: più disastrosi) giochi erano stati pensati. Sua madre aveva giurato che non l'avrebbe mai più portato con lei, mai più.

Apparentemente le regole erano cambiate?

Gimizh si mise una maglia e trotterellò dietro a suo papà nella calda, piccola cucina. Sua mamma era già lì, i capelli e la barba pettinati ordinatamente indietro e le braccia spoglie fino al gomito. Sarebbe stato un giorno impegnato, quindi.

Eccellente.

«Ah, guardati!» disse Gimrís, tirando Gimizh verso di lei e sistemandolo fra le sue ginocchia «È una creatura a sé stante che ha fatto un nido sulla tua testa? Può parlare, secondo te?»

«Mamma!» frignò lui.

«Sta fermo, o te li taglio» disse Gimrís severamente, le dita rapide mentre scioglievano le sue trecce.

Gimizh soccombette alla tortura, non senza accigliarsi. Una lunga esperienza gli aveva insegnato che sua mamma avrebbe fatto come voleva. Però, era così imbarazzante! Era quasi un Nano cresciuto - quasi! I suoi capelli erano affari suoi: i suoi personali capelli privati. Uno non poteva fare colazione senza avere i suoi personali capelli privati tirati e spettinati.

«Passami quella spazzola - se riesci a ricordarti che aspetto ha una. Oh, Gimizîth, mio caro piccolo mostriciattolo, ogni giorno sei sempre più simile a quel mio ridicolo fratello»

Il broncio di Gimizh si tramutò immediatamente in un enorme ghigno.

«L'hai fatto sorridere di nuovo» disse Bofur, le labbra che si incurvavano.

«Senza dubbio» sospirò Gimrís «Però, anche Gimli ha capito come usare una spazzola alla fine. Penso avesse avuto quarant'anni almeno, ma alla fine c'è riuscito.»

«Cattiva, mio rubino» rise Bofur.

La bocca di lei si incurvò in un sorrisetto, e poi sospirò senza suono mentre legava la seconda delle trecce di Gimizh.

Bofur scosse la testa quando Gimizh lo guardò perplesso. «Gli manca» mimò con la bocca quando Gimizh aggrottò le sopracciglia. L'espressione del ragazzino si rilassò in comprensione, e annuì un poco.

«Tieni ferma la testa» ordinò Gimrís.

«Mi hai messo nei guai» mimò Gimizh a suo papà, incenerendolo con lo sguardo, e suo papà scrollò le spalle.

Gimizh in genere teneva i suoi capelli come suo padre: due trecce curve dietro ogni orecchio (anche se erano un po' corte e sporgevano dritte ai lati della sua testa: Piccolo Thorin lo prendeva sempre in giro) e una dietro. I suoi capelli però erano molto più folti di quelli di suo papà, e non aveva dei baffi notevoli né niente.

La vita era così ingiusta.

Gimizh si alzò appena sua madre lo lasciò andare, e iniziò a ingozzarsi col latte e il porridge. «Perché tanta fretta?» disse Gimrís.

«Mi incontro con Piccolo Thorin stamattina, dobbiamo vedere gli arcieri» disse Gimizh a bocca piena. Gimrís storse il naso, e Bofur passò un tovagliolo a suo figlio.

«Usalo» disse «Vogliamo sentire cosa dici, non indossare quello che mangi.»

«Vanno a vedere gli Elfi» sospirò Gimrís.

«Bomfrís li batterà» disse Gimizh «Ho scommesso il mio giocattolo di Dwalin, e Piccolo Thorin ha scommesso la sua ascia da addestramento. Piccolo Thorin vuole davvero il giocattolo di Dwalin: non ne ha uno, e pensa che glielo dovrei dare perché lui è suo padre.»

Bofur alzò gli occhi al cielo. «Me lo avrebbe potuto chiedere.»

«Oh, giusto. Non ci ho pensato»

«Torna alle undici, tesoro» disse Gimrís, levandosi del porridge dalla guancia col pollice «Ho un sacco di bende che devono essere avvolte, e potresti darmi una mano.«

Bende? Ma quelle erano noiose! «Devo?» frignò Gimizh.

«Sì» disse Bofur fermamente.

«Porta il tuo amico se può» disse Gimrís «Due paia di mani sarebbero meglio di uno.»

Beh, pensò Gimizh, se lui doveva soffrire, almeno non avrebbe sofferto da solo.


Gli arcieri erano noiosi, e Bomfrís non vinse, quindi Gimizh finì col perdere il suo giocattolo di Dwalin. Piccolo Thorin addirittura sorrise quando glielo porse.

Gimizh pensò di colpirlo sulla sua stupida faccia, ma Piccolo Thorin era un sacco più grosso e alto e forte di Gimizh. Lui non vinceva mai. Era davvero fastidioso.

«Un giorno» disse Gimizh con tutta la sua determinazione «Io sarò un grande guerriero come mio zio, e ti picchierò fino a che non piangerai come Frerin – tutto lacrimoni e lamenti.»

Piccolo Thorin sbuffò. «Oh, certo. Come se mai succederà.»

«Beh...» Gimizh incrociò le braccia e guardò male Bomfrís. La traditrice. «Ti darò un calcio e ti farò male alla gamba. E poi mi riprenderò il mio giocattolo.»

«Vai a prendertene uno di tuo papà invece» esclamò Piccolo Thorin, le dita strette attorno alla bambola di legno «Questo è mio papà.»

«Così ingiusto» disse Gimizh, e si preparò a tenere il broncio.


«E state fuori!» urlò Barur, tirandogli dietro una crostata mezza mangiata.

Correndo via dalle cucine, Gimizh e Piccolo Thorin si leccarono le dita appiccicose e si strofinarono le macchie attorno alle bocche. La cucina di Barur era la migliore di Erebor, ma per la barba di Durin, non era un Nano facile da prendere in giro.

«Non ho finito la crostata» borbottò Piccolo Thorin mentre correvano per i corridoi.

«Ehi, ecco» Gimizh saltò in un corridoio laterale e si tirò dietro Piccolo Thorin per la tunica «Guarda!» cercò per un po' nelle tasche, e poi estrasse i suoi premi – un po' sbriciolati, ma ancora perfettamente commestibili.

Il volto di Piccolo Thorin si accese come il Giorno di Durin. «Biscotti.»

Gimizh ghignò. «Biscotti.»


«Il tuo fratellino è noioso» si lamentò Gimizh.

«Non è male» grugnì Piccolo Thorin, portando in giro Frerin sulle spalle. Lui aveva una delle trecce di suo fratello maggiore in bocca. Erano fuori sulla grande terrazza che dava sul lato nord della Montagna, e aveva piovuto. Gimizh aveva indagato rapidamente le possibilità di saltare nelle pozzanghere, e aveva schizzato tutti i suoi pantaloni, la sua maglia, la sua faccia, i pantaloni di Piccolo Thorin, i capelli di Balin e il sedere di Frerin. E aveva rovinato i suoi stivali.

E ora si annoiava e non potevano andare ad arrampicarsi.

«Perché lo dobbiamo curare noi?»

«Perché Mamma e Papà hanno gli addestramenti» disse Balin, guardando su dalla sua pozzanghera «Vedo delle cose che si muovono in questa! Per voi cosa sono?»

«Cose che si muovono?» Gimizh guardò nella pozzanghera, e c'erano effettivamente delle cose che si muovevano «Pensi che siano cattive?»

Balin guardò la pozzanghera dubbiosamente. «Non so, si muovono e basta. Stanno lì e si muovono. Non penso lo facciano in modo cattivo.»

«Potrebbero essere cattive» disse Gimizh, entusiasta dell'argomento «E ora noi ne siamo coperti e quindi siamo cattivi.»

«Tu sei il più cattivo» fece notare logicamente Balin.

«Solo il mio sedere è cattivo» annunciò Frerin dalle spalle di Piccolo Thorin.

«Mai furono dette parole più vere» borbottò Piccolo Thorin.

«Re Dáin dice che nessun male vivrà più a Erebor» disse Balin «Quindi penso che si muovano e basta.»

«Oh. Beh, volete vedere quante riesco a mangiarne?»


«Nonna?»

Mizim imprecò e si girò, il coltello mancò largamente l'obbiettivo. «Mi avete spaventato a morte, gruppo di terrori col passo di gatto! Fate un rumore la prossima volta! Avrei potuto accoltellarvi!»

«Scusa» disse Gimizh, ghignando «Possiamo prendere in prestito un vestito?»

«Un vestito? Perché?»

«Perché Frerin è stato rapito da un drago e lo devo salvare, ma Frerin vuole essere un Principe e Balin dice che quindi io sono la Principessa ma non ho un vestito. Quindi posso prenderne in prestito uno? Così posso salvare Frerin da Piccolo Thor- eh, il drago, intendo.»

Mizim batté le palpebre, e poi scoppiò a ridere.


Gimrís si massaggiò la base del naso.

«Fammi capire bene. Stavate arrotolando le bende»

«Ah-ha»

«E poi una vi è caduta e si è srotolata»

«Ah-ha»

«E poi avete deciso di fare, e cito, “gare di bende” per vedere la benda di chi si srotolava più in fretta»

«Eh. Sì»

«E poi Balin è inciampato sulle bende»

«Scusa, Mamma»

«E poi ha afferrato il tavolo...»

«Per piacere, per piacere, Mamma...»

«...per tenersi in piedi»

«Lady Gimrís...»

«E tutte le bottiglie che ho fatto ieri notte erano sul tavolo»

«Mamma, mi dispiace, davvero, davvero»

«E sono cadute tutte sul pavimento»

«Zia Gimrís, per favore...»

«E Frerin si è spaventato per il rumore e si è messo a piangere»

«Faceva un sacco di rumore, Mamma»

«E quindi l'avete avvolto nelle bende per farlo sentire al sicuro»

«Sembra al sicuro ora però, vero?»

Gimrís guardò suo figlio infangato, il suo alto e serio amico, il ragazzino che saltellava e si massaggiava la gamba dove era inciampato, e il bimbetto avvolto in tante bende che poteva a malapena muoversi.

«Cosa stavo pensando» gemette.


«Zio Bombur?»

«Se non è il mio nipote preferito!»Bombur alzò lo sguardo dal suo minuzioso lavoro. Aveva iniziato a fare giocattoli per il negozio del papà di Gimizh questi giorni, anche se era più un passatempo. «In che guai sei riuscito a infilarti oggi?»

«Perché tutti dicono sempre così?» protestò Gimizh «Sono stato molto bravo!»

«Devi imparare a mentire meglio» ridacchiò Bombur, girando la sedia e aprendo le braccia. Gimizh corse avanti. Gli abbracci di Zio Bombur erano i migliori abbracci. «C'è un motivo per questa visita?»

«Piccolo Thorin ha vinto il mio giocattolo di Dwalin» borbottò Gimizh «Ero sicuro che Bomfrís avrebbe battuto gli Elfi.»

«Gli Elfi sono ottimi arcieri, Gimizh» disse Bombur gentilmente «Per quanto talentuosa sia mia figlia, gli Elfi hanno fatto pratica per secoli. Vuoi un altro giocattolo di Dwalin? Potresti chiedere a tuo padre se te ne farà uno.»

«Beh, lo farei» Gimizh si dondolò un poco «Ma volevo sapere se posso avere qualcun altro. Non voglio dare fastidio mentre Papà è occupato con la guerra e tutto, quindi pensavo che forse potevo chiedere a te? Ma solo se vuoi!» aggiunse rapidamente.

«Tranquillo, posso farti un giocattolo» Bombur sorrise «Di chi? No, aspetta, lasciami indovinare. Non sarà... Dori?»

Gimizh ghignò.

«Non sarà... Thorin Elminpietra?» Bombur toccò il fianco di Gimizh con un dito tozzo, e Gimizh squittì e rise. Bombur rise a sua volta e iniziò a fargli il solletico.

«Zio Bombur!» strillò Gimizh, scappando dal solletico «Smettila!»

«Va bene, va bene! Molto bene, un giocattolo di Gimli, in arrivo» Bombur scosse la testa risistemandosi nella sua sedia «Tua madre farà una scenata quando lo vedrà.»

«Un'altra scenata, vuoi dire» borbottò Gimizh.

Bombur si tirò una delle sue trecce. «Dammi fino a domani, va bene? Ma devi fare qualcosa per me in cambio.»

«Sì?»

«Smettila di andare nella cucina di Barur!»

«Aaaah, Zio Bombur...»

«Niente se o ma, giovane Khuzd. Basta rubare dalla sua cucina. Intesi?»

Gimizh fece un sospiro da martire. «Sì.»

«Bene» Bombur si tirò di nuovo la treccia, e poi sorrise «Ora, questo zio ti farà un giocattolo del tuo altro zio, così puoi andare a farlo vedere a Piccolo Thorin.»

«Grazie, Zio Bombur!» Gimizh lo abbracciò di nuovo – perché non si salta mai un abbraccio di Bombur «Grazie, grazie, grazie!»

«Oh, scendi, piccolo scalmanato» Bombur ghignò «Noto che non chiedi un giocattolo di me.»

«Ma te ti posso abbracciare, sei qui» fece notare Gimizh «Zio Gimli è da qualche parte e non so dove. Pensi che tornerà?»

Bombur parve molto serio per un momento, e poi prese in braccio Gimizh e se lo sistemò sul suo ginocchio buono. «Tornerà, Gimizh» disse con voce solenne «Hai ragione, è da qualche parte. Sta facendo una cosa molto importante. Ci sta proteggendo tutti.»

«Lotta contro il male!» gli occhi di Gimizh divennero molto grossi e tondi.

«Sì, proprio così» disse Bombur, un sorriso che gli tirava gli angoli della bocca «Lotta il male. È una missione, è in missione lui.»

Gimizh rimase in silenzio per il periodo di tempo più lungo che chiunque avesse mai visto, la bocca aperta a forma di “o” e il volto meravigliato. «Wow» disse infine «Wow.»

«Ma tornerà per vederti» disse Bombur, e passò una mano sulla schiena di Gimizh «Niente gli impedirà di tornare qui a vederti. Lo so. Distruggerà tutte le montagne che glielo impediranno.»


«ZIA DIS, NASCONDIMI!» urlò Gimizh mentre girava l'angolo.

«Arrangiati» disse Dís, senza nemmeno alzare lo sguardo dal suo tavolo.

Qualche secondo dopo, Dori entrò nella stanza, ansimando come un toro. «Dov'è andato quel pericolo coi capelli rossi!» ruggì.

«Prima è passato di qua, ma non stavo guardando» disse Dís tranquillamente, continuando a pulire e lisciare «Cos'ha fatto?»

«Sa quella pila di legna sui bastioni?» le mani di Dori si strinsero «Ebbene, ora non è una pila di legno.»

La bocca di Dís tremò. «Non è passato molto da quando è passato come se avesse un Mannaro alle calcagna, potresti ancora riuscire a prenderlo.»

Orecchie rosse per la rabbia, Dori si girò e corse via dalla stanza.

Dís continuò a lavorare per un momento, e poi disse: «Va bene, esci fuori, Gimizh.»

«Grazie Zia Dís»

«Se mai ti troverò un'altra volta a nasconderti sotto le mie gonne, ti lascerò nelle grinfie di Dori, capito?»


«No, dobbiamo andare in missione» disse Gimizh testardamente.

«Che genere di missione?» disse Piccolo Thorin.

«Mamma?» disse Frerin, guardandoli con occhioni enormi.

«Va bene» decise Gimizh «Una grande missione alla ricerca di Zia Orla. Andiamo! Sarà pericoloso e eccitante, e saremo dei grandi eroi.»

Piccolo Thorin sembrava colpito. «Va bene allora. Possiamo combattere Orchi? Mi piace quando combattiamo gli Orchi.»

«Centinaia e centinaia» disse Gimizh, annuendo «E anche Troll.»

«Io non sono un Troll!» disse Frerin, e masticò una delle trecce di Gimizh «Io sono un Nano, e un bravo bambino. Lo dice Papà.»

«Non tu, sassolino» Piccolo Thorin sbuffò, tirando via i capelli di Gimizh dal pugnetto di Frerin «Facciamo solo finta. Combatteremo Orchi e Troll per andare da Mamma.»

«Io sono un bravo bambino»

«Cos'altro combattiamo?» chiese Gimizh «Deve essere davvero spaventoso e incredibile. Sennò non è una missione.»

«Che dici di un pesce gigante! Tutto zanne» disse Piccolo Thorin.

«Sì, un enorme pesce gigante, abbastanza grande da ingoiare un Nano intero!» confermò Gimizh con entusiasmo «E magari un esercito di ragni giganti di Bosco Atro. E grossi Elfi puzzoni a cui piace mettere i Nani nei barili e non gli danno mai biscotti.»

Piccolo Thorin sembrava orripilato.

«Sarà fantastico e saremo grandi eroi, perché proteggeremo... eh, Frerin! E lotteremo con il male e proteggeremo Frerin, e quando troviamo Zia Orla e lo riportiamo al sicuro la missione è finita» disse Gimizh orgogliosamente.

«Mamma è solo ai campi di addestramento» disse Balin, facendo spallucce.

Gimizh picchiò un piede. «Ah, perché l'hai detto? Ora è rovinata!»


«No, Mamma! Noooooooo, levala, nooo...»

«Sta fermo, ti contorci come un serpente!» Gimrís si sedette sui talloni e si soffiò una ciocca di capelli via dagli occhi «Dietro le orecchie, e poi puoi uscire dal bagno.»

«Scommetto che Zio Gimli non si deve fare dei bagni in missione» borbottò Gimizh mentre sua madre gli passava un asciugamano dietro le grandi orecchie tonde.

Lei si fermò. «Dove l'ha sentito dire?»

«L'ha detto Zio Bombur» Gimizh fece scoppiare qualche bolla con il dito, e poi guardò la madre con occhi supplicanti «Posso uscire?»

«Sì» disse lei «Gimizh, sei...»

«Voglio andare in missione» disse Gimizh mentre scappava dalla vasca e prendeva l'asciugamano «Posso combattere bene il male, posso!»

«Gimizh, mezza Erebor pensa tu sia il male» disse Gimrís asciutta «Non ti sei tolto tutto il fango dal braccio.»

«Oh» Gimizh passò il braccio nella vasca e poi lo alzò perché fosse ispezionato «Meglio?»

«Meglio» disse lei, e si tirò vicino suo figlio avvolto nell'asciugamano e lo strinse «Gimizh, mio piccolo selvaggio guerriero. Sono sicura che manchi a tuo zio.»

Lui si lasciò andare contro di lei, la sua testa rosso scuro premuta contro la sua spalla e i capelli che lasciavano gocce d'acqua sul suo abito. «Starà bene, vero?»

Lei gli baciò la fronte e lisciò i peli ricci che stavano iniziando a crescere, sottili e morbidi, sulle sue guance. «Farà del suo meglio per rimanere vivo e sano, lo so. Ma amore mio, una missione è perigliosa. Sarà in pericolo. Non sarà un'avventura divertente che può essere messa da parte a fine giornata, come i tuoi giochi.»

Gimizh sospirò forte. Poi i suoi occhi andarono verso quelli di lei, e lei fece un sorriso tremulo alla cara, allegra faccetta che sembrava ora così solenne. «Mi manca tanto» disse Gimizh con una vocina piccolo.

«Lo so» disse Gimrís piano, abbracciandolo nuovamente. Lei deglutì, e poi disse con voce che era a malapena un sussurro: «anche a me manca.»

«Lui è davvero un grande guerriero» borbottò Gimizh «E il Nonno dice che il suo russare spaventerebbe un Troll.»

«Tuo nonno non ha torto»

«Nonno tornerà presto, vero?»

«Sì, Gimizh» disse Gimrís. Guardò su per vedere Bofur in piedi alla porta della stanza da bagno, il suo volto generalmente sorridente serio e triste. «Nonno sarà a casa presto.»

«Bene» Gimizh sbadigliò e strofinò la faccia contro la spalla di sua madre, e lei premette la guancia sulla sua testa per un momento «Gli farò vedere le cose che si muovono nelle pozzanghere.»

«Ne sarà affascinato» disse Bofur. Fece un passo avanti e prese in braccio suo figlio, il quale si girò verso di lui e gli mise le braccia attorno alle spalle. «Andiamo, piccolo ometto. A letto.»

«Non voglio» disse Gimizh stancamente.

«Aye, ho notato. Che libro vuoi?»

«Azaghâl!» disse Gimizh.

«Ah. Perché lo sospettavo?»

Gimrís rimase seduta accanto al bagno un altro momento, le mani bagnate e vuote.

«Stai al sicuro, rompiscatole testardo di un fratello» disse a se stessa «Stai al sicuro e torna a casa.»

Attorno a lei, Erebor si preparava per la guerra.

FINE

   
 
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