Capitolo
26:
I can’t believe that I had to see
The girl of my dreams cheating on me
The pain you cause has left me dead inside
I’m gonna make sure you regret that night
I feel you close, I fell you breath
And now it’s like you’re here
You’re haunting me
You’re out of line
You’re out of sight
You’re the reason that we started this fight!
(Warzone
by The Wanted)
Per
tutto il pomeriggio avevo ascoltato la loro storia, anche se molti dettagli
decisero di emetterli per il mio bene. All’inizio mi ero opposta, ma poi avevo
lasciato perdere: era una guerra persa quando si impuntavano su qualcosa.
Tuttavia ero abbastanza entusiasta nell’intendere il loro volere di mettermi
all’occorrente della mia vecchia vita. Mi parlarono della mia relazione di
Louis e di come di nostro padre l’ebbe disprezzato fin dall’inizio; della mia
amicizia con Perrie e in essa fecero un nome abbastanza familiare: Amelia. In
un primo momento la mia mente portò a galla la ragazza della casa discografica
di qualche mese fa, eppure non ci diedi tanto peso. In aggiunta anche cosa
avevano fatto dopo il mio incidente. Elisabeth confessò di aver aiutato il
cantante ad entrare nella mia camera d’ospedale nel momento in cui stavo
dormendo e non c’era nessuno a controllarmi. Non ci riuscì poiché i miei
decisero di restare perciò il piano non arrivava mai al fine.
Comunque
il pomeriggio proseguì normalmente visto che ci eravamo chiariti per bene.
In
quel momento Seth ed io eravamo al supermercato per comprare qualcosa per la
cena. Io e mia figlia avevamo proposto la pizza, però Elisabeth si era fissata
sul fatto che doveva cucinare lei. Così con una lista della spesa alla mano,
cercammo i vari ingredienti. Ci dividemmo il compito: lui carne e affettati,
invece io frutta e verdura.
Stavo
raccogliendo qualche pomodoro, quando udii un sono sbuffo di fronte a me. Alzai
gli occhi e li incrociai con quelli chiari sbalorditi della ragazza. Sorrisi e
le allungai il cetriolo, che era finito nella cassa dei pomodori
-Questo
è incredibile-
mormorò stupita, accettandolo. -Non è possibile! Ti incontro ovunque-
-La
pazienza non ti si addice proprio- scherzai, ricordando la faccenda
delle macchinette.
-Già..
forse è questo che ha rovinato le cose tra di noi- sussurrò
sconsolata. Inarcai un sopracciglio confusa. Io e lei eravamo amiche? -Senti,
io non posso portarmi avanti questa cosa. Louis è stato molto chiaro l’altra
volta e lo capisco anche.. però, Brooke, non mi sembra giusto. Lui ti ha dato
la sua versione, ed è ora che anch’io ti dica la mia.. sempre se mi vorrai
ascoltare- esclamò, raddrizzandosi e inspirando bene. Non capivo un
accidente di ciò che stava parlando. Lei e Louis erano stati insieme alle mie
spalle? Impossibile poiché con quel poco che mi ero ricordata insieme alle cose
raccontate da Perrie ed Elisabeth, lui non mi aveva mai tradito. Mi interruppe
dal formulare altre domande il suo tremolio. -Quando tu e tua madre ci avete
scoperti, Davis ha rotto definitivamente con me. Ha scelto voi e io l’ho
rispettato. Anzi, è stato meglio perché adesso sono sposata con un uomo che mi
ama seriamente e.. mi dispiace di come sono andate le cose tra di noi: ho
distrutto i nostri anni di amicizia in un giro di due mesi.. Mi dispiace- concluse,
scuotendo la testa e lanciandomi un’ultima occhiata. Al contrario io ero basita
sul posto. Forse era per questo che mi ero trasferita a Londra, allontanandomi
da tutti. Le mani mi cominciarono a tremare e il sacchetto con la verdura mi
cadde da esse. Delle persone mi fissarono impotenti e arrivò pochi istanti dopo
anche mio cugino Seth, il quale mi svolazzò una mano davanti agli occhi per
farmi riprendere.
-Brooks,
tutto ok?-
mi chiese gentilmente. Posai lo sguardo su di lui intontita.
-Esco
a prendere un po’ d’aria- mormorai, mollando il sacchetto e impugnandomi
bene la borsa.
L’aria primaverile serale soffiò sul mio viso dolcemente per
farmi riprendere, e fu cosi. Sbuffai e rifocalizzai le parole di Amelia, si
l’avevo riconosciuta, nella mia mente, collegandola con qualche possibile
ricordo. Ripensai istintivamente ai miei litigi con lui e ai pianti di mia
madre. Ecco perché si rinchiudeva sempre in camera.
Mi
mordicchiai il labbro e sospirai. Ora capivo molte cose e mi dispiaceva un
sacco per averla trattata in quel modo: non se lo meritava.
-Brooke,
che ti prende?-
mi domandò Seth, raggiungendomi con una piccola busta di carne e affettato.
-L’aveva
tradita, vero?-
bisbigliai con lo sguardo fisso davanti a me.
-Come?- boccheggiò,
non capendo.
-Davis
aveva tradito la mamma con Amelia. Ecco perché me ne sono andata- mi spiegai
meglio e lui si rattristì, annuendo semplicemente.
-Meglio
andare-
si limitò, appoggiandomi una mano sulla schiena e dandomi un leggero colpetto
per incitarmi a muovermi. Mi misi sotto il suo braccio e con un dispiacere
immenso ci allontanammo. Salimmo subito in macchina e ci dirigemmo a casa,
impiegandoci una quindicina di minuti.
Una
volta arrivati, Seth si occupò di scaricare le borse, invece io mi fiondai
dentro. Avevo bisogno di tranquillità per qualche secondo, tuttavia il destino
pareva contro di me quel giorno. Svoltando l’angolo per la cucina, notai la
figura di mia madre bere il thé con mia sorella, la quale non appena mi vide mi
fece un sorriso intenditore: non era colpa sua. Mi volle trasmettere.
-Brooke- mi chiamò,
attirando l’attenzione di Clare, che si alzò e giocherellò nervosamente con le
dita.
-Senti..
so che non mi vuoi parlare e, fai anche bene, ma..-
Non
la feci terminare visto che l’abbracciai di scatto, nascondendo il viso nella
scapola. Non aveva più senso darle contro dato che lei non era mai stata
l’artefice di tutto ciò. O meglio lei aveva un fine giustificato: voleva avere
le sue due figlie vicino a lei. Al contrario di Davis, il quale aveva agito
solo per disprezzo verso una persona.
-Mi
dispiace-
esclamai, stringendola.
-No,
a me-
singhiozzò. -è stato un gesto talmente egoista.. e..-
-Facciamo
una cosa, ok?-
le proposi, staccandomi e sorridendole leggermente. -Non ci pensiamo più. È
passato-
-Va
bene-
acconsentì, carezzandomi dolcemente il viso.
-Ora
che è tutto apposto, mi date una mano?- sdrammatizzò Seth dietro di noi con
tante buste alla mano. Ridemmo e lo aiutammo.
In
fin dei conti non passammo una brutta serata, anzi tutto il contrario. La parte
più bella, secondo me, fu quando mia madre iniziò a giocherellare con Sheyleen,
trattandola come Will, ossia da sua nipote e membro ufficiale della famiglia.
Passammo
altri due giorni con loro. Ci divertimmo molto e mi dispiacque un sacco
lasciarle, però in cuor mio sapevo che le avrei riviste molto presto: infondo
il matrimonio era solamente tra dodici giorni!
*Louis*
Mi
svegliai svogliatamente quella mattina a causa del cane dei vicini, che
continuava ad abbaiare probabilmente al postino. Mi girai, nascondendo la testa
sotto il cucino per ricavare un po’ d’oscurità, però non dirò molto la
tranquillità della mia stanza poiché udii la porta della camera aprirsi
completamente e qualcosa di pesante salirmi sul fianco.
-Fanny- mi lamentai
del gatto di Georgia. Schioccai la lingua sul palato e, sbarazzandomi del
soffice oggetto, l’accarezzai. -Sei una bellissima micetta, ma non venirmi a
rompere le scatole alle..- mi allungai per vedere l’ora sul comodino. -Nove
di mattina- terminai. Lei mi fissò intensamente con i suoi occhi azzurri
cristallini. Scossi la testa e mi alzai definitivamente. Sistemai velocemente
la stanza visto che Troy era stato fin troppo gentile ad ospitarmi in quei tre
giorni. Non volevo passare da sfruttatore.
Dovevo
ammettere che lentamente mi stavo rimettendo anche perché il cellulare per
contattare i ragazzi l’avevo nascosto e i ricordi dei giorni precedenti erano
sempre meno vivi. Ad eccezione della frase di Sheyleen, la quale mi uccideva
ancora. Tentavo di non pensarci tanto e di svagarmi, passeggiando oppure
guardando qualche film. Tuttavia, nel profondo, mi sentivo solo impotente.
Sistemato
il letto, scesi le scale per andare in cucina e con mia grande sorpresa ci
trovai la mia sorellastra.
-E
tu che ci fai qui?-
domandai, facendola sobbalzare. Non si aspettava di trovarmi lì poiché ieri
avevo annunciato che sarei andato a comprare qualcosa nella cittadina affianco.
-Non devi essere a scuola?- aggiunsi.
-T’importa
qualcosa?-
rigirò la domanda con strafottenza.
-No,
però sono molto curioso- ribattei, entrando e dirigendomi ai fornelli
per farmi un po’di thé.
-Non
sono affari tuoi-
rispose, terminando la sua merenda al cioccolato e concedendomi un piccolo
sorriso sfacciato.
-Diciamo
che Troy..-
-Non
riesci proprio a chiamarlo papà- esclamò, lasciando un pugno sul
tavolo. -Ti sta ospitando dopotutto-
-Fai
quel che vuoi-
la liquidai in pochi secondi, ritornando a trovare una bustina per la bevanda.
Cadde il silenzio e di certo non mi andava spezzarlo. L’acqua bollì e la versai
in una tazza con qualche cucchiaino di zucchero e l’infuso. Lo pucciai per
qualche secondo, mentre udii un sospiro da parte della ragazza.
-Farai
la spia?-
mi chiese, lasciando il cellulare sul tavolo.
-Come
hai detto tu: non sono affari miei- risposi, gettandolo e andandomene
dalla stanza.
-Louis- mi chiamò
prima di salire le scale. Mi girai e constatai la sua figura nascosta dallo
stipite e un piccolo sorriso riconoscente sul volto. -Grazie- aggiunse,
mutando subito espressione in una tosta. Scossi la testa e annuii, salendo in
camera mia. -E per chiarire: se avessi detto qualcosa, ti avrei tolto la possibilità
di procrearti!- urlò, facendomi ridere. Era proprio una ragazza strana.
Ero
uscito per fare un po’ di spesa visto che il frigo era quasi vuoto a causa del
fatto che i due adulti erano sempre al lavoro e non avevano avuto tempo.
Passeggiavo camuffato poiché se le fans mi avessero riconosciuto, i ragazzi
avrebbero scoperto il mio rifugio. Ci misi più o meno un’oretta a comprare la
spesa e fortunatamente nessuno mi riconobbe. Avevo cercato di seguire l’istinto
e comprare più o meno quello che potrebbe piacere ad ogni persona e,
soprattutto, quello che avevano cucinato durati quei tre giorni. Così a piedi,
ritornai lentamente a casa per il pranzo. Dato che Georgia era a casa, m’imposi
di cucinare qualcosa per entrambi, sebbene avrei passata molto volentieri. Non
avevo fame, però sapevo era una cosa giusta da fare. Ci impiegai circa un
quarto d’ora poiché il supermercato era nel centro della cittadina e la casa
era in periferia. Entrai dalla porta secondaria, la quale dava al garage, che a
sua volta portava nel corridoio alla cucina. Salito l’ultimo gradino e sulla
soglia, sgranai gli occhi e mi paralizzai alla scena imbarazzante e poco
appropriata a cui fui obbligato ad assistere: vi era la mia sorellastra quasi
mezza nuda sopra un ragazzo senza maglietta.
-Per
l’amor del cielo, Georgia!- urlai, voltandomi immediatamente.
-Louis!- mi imitò
stupita, riponendosi la maglia davanti al corpo.
-è
per questo che sei stata a casa? O santo cielo!- continuai,
proseguendo il percorso verso la cucina per mollare le borse sul tavolo. Feci
un sospiro profondo e provai a cacciare dalla mia mente la scena, ma non fu
possibile poiché la ragazza entrò in reggiseno e si parò davanti a me. -Oddio-
mormorai, abbassando il viso.
-Non
è come sembra.. aspetta mi sto giustificando?-
s’interpellò da sola, drizzando la schiena.
-Vai
a indossare qualcosa, per piacere- la pregai, deviando lo sguardo sul
suo corpo snello. Mi portai le dita sugli occhi per sfregarmeli lentamente.
-No,
vai via tu. Hai interrott..-
-So
benissimo cosa ho interrotto! Avrai neanche sedici anni, cazzo- strillai,
rimbambito. Sollevai il viso e lo incrociai con i suoi occhi seri.
-Ne
ho sedici e mezzo-
precisò con un tono fastidioso. -Sono abbastanza grande- si giustificò,
gonfiando il petto e incrociando le braccia al petto, le quali, posizionandosi
sotto il seno, lo sollevò.
-Che
mi tocca sentire-
farfugliai, scuotendo la testa. -Vai subito a vestirti- imposi,
indicandole le scale.
-Chi
sei tu per darmi ordini?- dichiarò con disgusto. Incassai velocemente il
colpo, e strinsi i pugni. Comprendevo benissimo la sua ira e ammettevo che
aveva ragione a dirmi quelle parole, però percepivo che dovevo intervenire in
qualche modo. Infondo, per quanto possa essere scorbutica, maleducata e acida
nei miei confronti, lei meritava di meglio.
-Chi
cavolo è quello? Oddio, ma l’hai visto? Pensi davvero che non appena ha
ottenuto quello che vuole, resterà a tuo fianco?-
-Mi
ama-
sibilò duramente.
-Certo
come no! Da quanto tempo state insieme?-
-Due
mesi-
rispose con fierezza. Ciò mi fece intendere o che non aveva mai avuto una reale
storia d’amore, oppure che ne aveva avute troppe di poco tempo che le
considerava come un record. Mi dispiacque per lei poiché non aveva ancora
compreso cosa fosse realmente l’amore. Un ragazzo, seriamente innamorato, non
avrebbe mai osato così tanto in poco tempo.
-Due
cosa?-
urlai ancora più meravigliato. -Motivo in più per andare di sopra a metterti
qualcosa- affermai.
-Amico,
lei fa quello che vuole- ci interruppe il ragazzo del salotto, però con
la decenza di essersi messo la sua t-shirt nera. Lo fulminai sul posto per quel
tono per nulla appropriato.
-Amico
lo dici a qualcun altro. E vattene prima che ti mostri davvero dov’è la porta- lo minacciai
senza indulgenza.
-Amico,
tranquillo. Non stavamo facendo nulla di male- si difese,
posando uno sguardo compiaciuto su Georgia, la quale si strinse meccanicamente
spalle imbarazzata.
-Stai
giocando con il fuoco, ragazzino. Vai fuori di qui- sibilai,
avanzando un passo.
-è
arrivato a rompere le palle- commentò, sbattendosi delicatamente
il palmo della mano sulla coscia.
-Come
scusa?-
chiesi con le mie mani, le quali iniziarono a prudermi dalla rabbia. Come si
permetteva a parlarmi così?
-Smettetela
entrambi!-
sbraitò la ragazza, sbattendo un bicchiere per catturare la nostra attenzione.
L’oggetto si ruppe in mille pezzi e la sua mano fu ferita, facendo colare
qualche goccia di sangue vivo. Ella assunse una smorfia dolorante, sebbene si
dimostrò più forte. Spalancai gli occhi e mi avvicinai subito per esaminare
quanto fosse grave. Tuttavia non me ne diede la possibilità perché si ritrasse
immediatamente. -Cole, vai- congedò bonariamente il suo ragazzo, il
quale alzò gli occhi al cielo e eseguì le sue parole. “Quanto amore”
commentai aspramente nella mia mente. Pochi secondi dopo, udimmo la porta
sbattere. -Sarai contento adesso?- mi disprezzò ironicamente.
-Smettila
e fammi vedere la mano- cercai di essere autoritario.
-Cosa?
Vuoi fare il fratello protettivo e preoccupato per me? Beh, scordatelo! Hai
perso l’occasione sedici anni fa per essere considerato tale- sbottò,
facendomi rimanere da solo in quella stanza da poco silenziosa. Sbattei un
pugno sul ripiano. Odiavo quando le persone criticavano senza una valida
motivazione: lei non ne aveva il diritto dato che non era a conoscenza di
nulla. Ma comunque non riuscii a sentirmi in colpa per ciò che era successo.
Abbassai
la testa, inspirando profondamente per tranquillizzarmi, e la posi tra le
braccia. Dei passi silenziosi si approssimarono dietro di me, facendomi
sussultare.
-Mi
puoi accompagnare in ospedale?- mi chiese la mia sorellastra con la
mano avvolta in un asciugamano, evitando il mio sguardo. In quel breve lasso di
tempo aveva indossato qualcosa e gliene fui molto grato. Almeno non vi era più
dell’imbarazzo.
-Certo- riuscii a
dire in un sospiro. Impugnai le chiavi della mia macchina dalla tasca del jeans
e uscimmo di casa, diretti in ospedale seguendo le sue indicazioni visto che
non ero del posto.
Spendemmo
un’ora e mezza in ospedale, tra l’attesa e la visita in cui il dottore le mise
dei punti sulla mano, rassicurandoci che non fosse nulla di grave. Così eravamo
in tragitto verso casa. Nessuno dei due toccò l’argomento e permettemmo al
silenzio. Non lo sopportai più di tanto; di conseguenza accesi la radio su
qualche stazione decente. Ne avevo scartate quasi cinque prima di trovarne una
decente.
-Ed
ecco a voi i One Direcion- annunciano su Radio1. -Salve ragazzi-
aggiunsero, bloccandomi nel cambiare. Avevamo un’intervista oggi? Avevo letto
il programma mandatomi da Simon e non vi era nessuna citazione di incontro in
radio. Perché l’aveva omesso? Forse voleva che mi concentrai solo su me stesso.
In ogni caso rimasi con il braccio penzolante assorto nei miei pensieri. -Ma
aspettate, ne manca uno! Che fine ha fatto Louis?- e fu in quell’esatto
momento che rimossi l’intervista e passai su un’altra stazione, dalla quale
partì una canzone di Elle Goulding. Non feci trasparire la mia tristezza e
delusione. Mi concentrai sulla strada, cinghiando fortemente il volante.
Perseguivo a sentire lo sguardo curioso e confuso di Georgia, la quale
reimpostò Radio1.
-Aveva
delle cosa da fare. Si dispiace molto per non essere qui con noi- rispose
Zayn con tono sicuro. Fulminai la ragazza accanto a me e girai di nuovo. Però
lei persistette nell’ascoltare quell’intervista.
-Senti,
macchina mia e decido io- mi opposi
-Non
capisco perché ti scaldi tanto. Infondo è..-
-Oh,
capisco. Sheyleen da molto da fare- l’interruppe e mi derise il
presentatore, facendomi sbarrare gli occhi, i quali si inumidirono prontamente.
Accostai la macchina e abbassai lo sguardo. Le parole, le lacrime di mia figlia
annebbiarono la mia mente. “Non posso! Devo reagire” m’imposi
nella mia mente, scuotendo la testa e respirando profondamente. Mi diedi dei
lievi pizzicotti alla gamba per smettere di pensarci. -Ma ditemi, è vero che
Brooke è venuta a riprendersela?- aggiunse con curiosità. Anche la bionda accanto
a me spalancò gli occhi, passandoli su di me impotenti e con compassione.
-Affatto!- intervenne
con tono serio Harry, attirando la mia attenzione. -Tanto per mettere in
chiaro, questi non sono affari in cui i giornalisti si devono impicciare e
siamo perennemente stanchi di ascoltare queste enormi stupidante- cominci.
Probabilmente si stava torturando i lembi della sua maglietta a causa del suo
nervosismo. E molto probabilmente i ragazzi, in particolare Liam, lo stavano
intimando di calmarsi. -Ma comunque, Brooke è in città per alcune
commissioni e hanno deciso, insieme, che era meglio che la bimba passasse del
tempo con lei. Tutto qui! nessuno è venuto a prendersi nessun altro- mentì
per me, sottolineando in modo atroce l’aggettivo insieme. Non riuscivo a non
essergli grato e aumentò il mio senso di colpevolezza nel non averli avvertiti
della mia fuga. Provavo una sensazione di rimorso e non era per nulla buona.
-Che
stai facendo, Hazza?-
mormorai privo di voce. Aprii la portiera e uscii dalla macchina per assumere
dell’aria buona per il mio cervello così che smettesse di meditare
sull’accaduto. Maledizione a me e a quando avevo acceso la radio. Posai le mani
sulla faccia, ripulendomi gli occhi dalle lacrime solitarie. “Forte,
forte! Dovevo essere forte!” mi calmai.
-Non
capisco perché non sei li con loro?- mi chiese cautamente.
-Non
sono affari tuoi-
ringhiai, mollando un pugno tettuccio.
-Ah
ma davvero? Neanche Cole era un tuo affare, ma ti sei impicciato lo stesso- dichiarò
duramente.
-è
diverso-
replicai prontamente con voce roca e con il nervosismo, il quale cresceva
sempre di più. Strinsi addirittura i pugni per rilassarmi.
-Non
credo proprio. Stessa c..-
-Mia
figlia mi odia, ok?-
esclamai, voltandomi verso di lei con uno sguardo infuocato. -Ho avuto un
fottuto crollo nervoso e mi sentivo troppo oppresso. Contenta ora?- chiesi
sarcasticamente, strillando.
-Mi
dispiace-
mormorò, sciogliendo la postura rigida e allungando le mani sui fianchi.
-Provi
pena, non dispiacere- chiarii, appoggiandomi sul veicolo.
-So
come ti senti-
mormorò, raggiungendomi e posandosi sulla portiera al mio fianco con lo sguardo
vago. -Prova ad essere all’altezza di un fratello superstar al quale tuo
padre vuole più bene che a te-
-E
tu prova ad essere sotto esame in ogni minima cosa che fai: non puoi scontentare
nessuno, non puoi commettere nessun errore. Prova a rimanere costantemente
perfetto in tutto ciò che fai- replicai, incrociando le braccia al
petto. -Si talmente perfetto che ho una bimba, la quale non mi parla più-
ripresi dopo una pausa amara.
-Sento
come se lo stessi deludere ogni volta- dichiarò apertamente, osservando la
fascia sulla sua mano.
Era
divento un momento di sfogo per entrambi e poteva essere anche ultimo visto che
aveva un carattere simile al mio. Quindi non avremmo mai più confessato certe
cose.
-è
per questo che ti conci in questo modo e ti comporti così?- mi
focalizzai su di lei per capire
-Delusione
rendiamola realtà-
rispose semplicemente, alzando le spalle. Scossi la testa e le diedi
un’occhiata fugace.
-Indossare
la maschera da dura non ti porterà da nessuna parte. Libera te stessa perché
sono sicuro che la vera Georgia vale molto di più rispetto a quella che ti ostini
a mostrare- dichiarai
sinceramente
-Non
credo. Sono una delusione per tutti- farfugliò con occhi lucidi.
-Provaci:
ti sentirai meglio essere te stessa- la consolai.
-E
te? è per questo che sei venuto a bussare alla nostra porta? Hai pensato che nessuno
ti potesse cercare qui- mi chiese, seppure conosceva benissimo la
risposta. Sospirai e mi strinsi le spalle.
-Sembra
aver funzionato-
annunciai amaramente.
-Scappare
non serve a molto-
mormorò e si posizionò davanti a me. -So che può essere difficile reagire,
ma a volte per stare meglio devi scendere tutto l’inferno per comprendere ciò
che si deve realmente sconfiggere- esclamò, accennandomi un piccolo sorriso
confortatore. Risi leggermente e sorrisi a mia volta.
-Visto?
La vera Georgia è migliore di quella vecchia- esclamai, allargando le
braccia. Lei incurvò un sopracciglio per intendere il mio gesto. Quando lo
fece, spalancò gli occhi e indietreggiò di un passo.
-Oh,
non ci provare-
disse, timorosa.
-Non
ne avrai di seconde possibilità- l’avvertì, provando ad essere serio,
eppure non durò per molto: la sua paura mi divertiva. -Andiamo, Austin, so
che lo vuoi- la provocai, avanzando un passo, al contrario di lei che si
ritrasse automaticamente.
-Ti
stai sbagliando di grosso, Tomlinson- negò con la testa e s’issò nel terreno.
Accennai una lieve risata nel notare che si stava mordicchiando il suo labbro
inferiore.
-E
perché ti stai mordendo il labbro?- le chiesi, facendole sbarrare di
poco la bocca.
-Per
non riderti in faccia. Ma guardati, sembri un pagliaccio- mi rispose,
passandosi la lingua sulle labbra. Assunsi un’espressione scherzosa.
-Vediamo
cosa può fare un pagliaccio- dichiarai, tirandomi su le maniche
di poco.
-Non
oserai- balbettò,
allontanandosi ancora di più da me.
-O
si che lo farò- approvai,
molto divertito dalla situazione. Non capivo perché faceva tutte queste storie
per un semplice abbraccio. E lo otterrò. Così, cominciammo a rincorrerci,
terminando a terra come due stupidi. Ma ciononostante ottenni ciò che
desideravo anche se ci sporcammo tutti i vestiti di fango a causa delle
pozzanghere di qualche giorno fa.
-Louis!-
strillò,
ridendo e toccandosi i suoi capelli biondi completamente bagnati. Gesto che
incrementò la mia risata. Restammo così finché non si parò di fianco a me a gambe
incrociate. Mi sollevai e mi sorressi con i polsi.
-Non
sei affatto male- confessò
con un piccolo sorriso.
-Neanche
te- l’appoggiai,
imitandola.
-Sheyleen
è molto fortunata ad avere un padre come te-
-E
qualsiasi ragazzo sarà onorato ad essere al tuo fianco.. solo.. non Cole-
Accennammo
una risata.
-Avevi
ragione su di lui-
-Come?-
-Non
lo ripeterò una seconda volta, sappilo-
-Sono
felice che tu l’abbia capito-
-Sono
semplicemente stanca di stare da sola- sbuffò.
-Il
principe azzurro arriverà quando meno te l’aspetti- la consolai,
sfregandole la mano sulla schiena, sporcando ulteriormente la maglia. Mi fucilò
con lo sguardo, però il secondo dopo scosse la testa
-Che
frase fatta!- esclamò,
facendomi ridere.
-Lo
so, ma è la verità-
-Scusa,
ho un tantino fame- cambiò argomento.
-Ho
visto un McDrive sulla strada di casa. Vuoi andarci?- l’interpellai,
alzandomi e poi aiutandola. Le accettò l’aiuto e si guardò intorno.
-Ma..-
-Perfetto
lo prenderò come un si-
-Però
la musica la scelgo io!- mise in chiaro, raggiungendo la mia macchina.
Feci un’espressine sconvolta e aprii la portiera del guidatore per mettermi al
volante.
-O
te lo scordi. Macchina mia, musica mia- replicai, continuando la
conversazione e la mezza litigata fino al luogo voluto. Era inutile aggiungere
la sorpresa dei commessi nel vederci in quello stato, però ce ne fregammo
altamente e ci dedicammo al nostro pranzo.
*Brooke*
Erano
le cinque quando io e Sheyleen varcammo la soglia del portone di casa. Ero
stremata; tuttavia dovevo ammettere che erano stati dei giorni, a parte il litigio
con mio padre, divertenti.
L’appartamento
era completamente vuoto, probabilmente non avevano ancora finito di lavorare
oppure erano semplicemente usciti. Mi stiracchiai e entrambe giungemmo nelle
proprie camere. Io mi buttai sul mio letto comodo. Quanto mi era mancato. Feci
le fusa e stavo per chiudere gli occhi se non fosse per un rumore proveniente
dal salone. Era rincasato qualcuno! Svogliatamente mi alzai e, liberandomi
dalle mie scarpe nere, aprii cautamente la porta, andando in giro per il
corridoio a piedi nudi. Speravo con tutto il cuore che fosse Dylan in quanto
avevo una voglia matta di abbracciarlo. Ovviamente non quanto volessi rivedere
Louis, però era abbastanza per me. Nel legarmi i capelli, innalzai il viso e mi
cedettero le braccia a quella scena tragica. Sbarrai gli occhi e le mie mani si
abbassarono, colpendo una fotografia sul comodino, attirando l’attenzione dei
due protagonisti. Dylan e Queen si stavano baciando e, non appena udirono il
rumore, si staccarono e si irrigidirono. Come aveva potuto? Come avevo fatto a
non accorgermene? Non avevo davvero più parole.
Ciaoo a tutti!
Okay, con il mio solito ritardo, vi presento il capitolo 26 :D
Ma mi stanno riempiendo come non ci fosse un domani D:
Comunque, si è scoperta l'importanza di Amelia, finalmente, dopo un'eternità ahah
Ebbene si, il padre ha tradito la famiglia e Brooke ha deciso
saggiamente di perdonare la madre. Tuttavia non ha un buon finale D:
Invece Louis nei panni del fratello protettivo, anche se non rionosce Troy come padre u.u
Mi sono divertita a scrivere la parte tra Louis e Georgia.
Spero che vi sia piaciuto, e se fosse cosi, mi lascereste un piccolo commento? Grazie a chi lo fa :D
A proposito, vorrei ringraziare le fantastiche persone che:
-l'hanno messe tra preferite/seguite/ricordate;
-l'ha recensita;
-la legge;
-Sara_Scrive per il meraviglioso banner.
Alla prossima!
Ciaoooo :D xx