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Autore: LawrenceTwosomeTime    29/11/2015    1 recensioni
Lei è arrivata nella mia vita e l'ha resa migliore, mi ha reso migliore. O magari parlo così solo perché sono felice. La felicità è un bene effimero: la desideriamo ogni singolo momento della nostra vita, e quando arriva diamo per scontato che durerà per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stavo passeggiando lungo il fiume quando la incontrai.
Ero in un momento di crisi. Mi sentivo solo e non riuscivo a ritrovare la spensieratezza che da sempre associavo a quella condizione.
Per una volta, volevo qualcuno che mi capisse. Tutto l’odio, la tristezza, il rancore che mi facevano sentire vivo e motivato, erano scomparsi per lasciare il posto a un inopportuno senso di vuoto.
Avevo ventisei anni, ma mi sembrava di essere molto più vecchio. Non sapevo che volesse dire amare ed essere ricambiati.

C’era un gruppo di ragazzi che dipingevano murales con la bomboletta spray.
Facevano bene, tanto quelle macerie fatiscenti non avrebbero mai più ospitato nessuno, e dunque meglio dare una ritinteggiata.
Alcune delle scene rappresentate erano di cattivo gusto, altre sorprendentemente evocative. I ragazzi, in linea di principio, si potevano classificare quasi tutti nella categoria dello skater o del painter - di rasta ce n’era uno soltanto - con alcune incognite intabarrate in una più sofisticata tenuta street.

Lei stava ritoccando un cigno impegnato a pulirsi le piume, e ogni tanto indietreggiava per valutare l’impatto complessivo. La notai con la coda dell’occhio mentre avanzavo.
La sua era come una danza. Si avvicinava, si allontanava. Inclinava la testa, poi correva in avanti. E con un balzo era di nuovo lontana dal muro. Capelli corti e lisci, neri con una punta di viola al centro, una canottierina nera corredata da pantaloni troppo larghi e una giacca di jeans legata in vita.
Il sole delle cinque le incorniciava il volto, impedendomi di vedere il profilo del viso. La sua sagoma circonfusa di luce arancione e quei movimenti ipnotici che rendevano tutto sfuocato la facevano assomigliare a un elfo.

Mi ero perduto a contemplarla e il mio corpo si muoveva col pilota automatico. Come il suo.
Indietreggiò mentre le passavo accanto e feci appena in tempo a vedere il colibrì tatuato sulla nuca. Poi mi finì letteralmente addosso.

“Scusa tanto, stavo…”
“Si, ho visto. Bel cigno”
“Ti piace?”
“…”
“…”
“Molto”
“Hai fatto una pausa troppo lunga. Di’ la verità!”
“Non ne sono sicuro. Non stavo guardando il cigno”

Aveva una spruzzata di lentiggini sul naso e i denti bianchissimi. Non capivo di che colore fossero gli occhi, ma erano pervasi da un entusiasmo quasi infantile.

E così, dopo quel pomeriggio, io e Giulia ci amammo come mai mi era capitato prima d’ora.

Vorrei poter dire “per sempre”, ma purtroppo lei non c’è più. È morta.
Faccio fatica a scorgere la mia stanza perché in questo momento ho la vista offuscata.
Ho già pianto tutte le lacrime che potevo, e poi sono passato alla bottiglia. E pensare che nei mesi scorsi continuavo a ripetermi: “Se lei dovesse mollarti, sii uomo. Non protestare. Non frignare. Va’ avanti senza soffrire”
Ma chi se l’aspettava che mi lasciasse così?
Non posso fare a meno di sentirmi responsabile per l’accaduto. Io la amavo, lei forse amava me, uno dei due non s’impegnava abbastanza.
Altrimenti Giulia non avrebbe continuato a prendere quella merda che l’ha uccisa.

Forse sto equivocando. In fondo siamo stati insieme solo quattro mesi. Magari lei era felice e dal suo punto di vista una punturina ogni tanto l’aiutava a godersi ancora meglio la felicità. Non era una tossica. Era… incosciente e sconsiderata. Ma non era una tossica.

Il funerale si è svolto la settimana scorsa, e ora io mi sento come se quel vuoto inopportuno fosse tornato a ghermirmi l’anima. Solo che questa volta, il vuoto è l’assenza di una persona.

Avverto un suono ovattato che proviene da dietro la finestra. La apro per curiosità e per respirare un po’ d’aria fresca.
Guardo in basso e i miei occhi incontrano quelli di un gatto arancione dal pelo corto. Lui si strofina il muso e poi ricambia lo sguardo. Miagola una volta, convinto.

“Ehi, piccolo, che ti prende? Sei solo anche tu?”
Miagolio.
“Hai fame?”
Non risponde, ma si capisce che ha fame.
“Anch’io sto morendo di fame. Non so perché. In questo momento dovrei essere steso a letto a fissare il soffitto. Buffo”

Non so davvero cosa mi passa per la testa, ma avverto l’impulso di uscire, l’impulso di fare qualcosa che non ho fatto per una settimana intera.

Lascio la porta di casa aperta, scendo le scale.
Quando arrivo nel vicolo, lui è ancora lì. Volta la testa e mi fissa con quegli occhi di un colore indefinito. Sembra una statua d’argilla.
Non protesta quando lo sollevo e scende con un morbido balzo quando lo deposito nell’entrata di casa mia. Non ho cibo per gatti, ma per adesso una ciotola di latte dovrà bastare.
Domani penserò a comprare qualcosa di adatto per lui. Per lei. È femmina.
L’indomani penserò a comprare qualcosa di buono per Giulia.
Se lo merita, dopo tutta la strada che ha fatto per tornare da me.



Sono passati all’incirca quattro mesi, e io non riesco a smettere di piangere.
Ho sempre il naso chiuso e piango copiosamente, ma sono felice.
Nelle ultime settimane ho avuto degli accessi di tosse da lasciare senza fiato, eppure è un prezzo piuttosto esiguo da pagare per vivere con Giulia.
Il dottore dice che dovrei prendere questo antistaminico, e all’inizio gli ho dato ascolto, ma la differenza era minima e allora ho deciso che non ne valeva la pena.

Giulia è sempre con me. Quando dormo. Quando lavoro. Quando sogno a occhi aperti o me ne sto per i fatti miei.
Le piace farsi grattare la pancia e dietro le orecchie, e mi ricambia strofinandosi contro le mie gambe ed emettendo il suono di un vecchio calorifero che si accende.

Giulia… Come avrei fatto senza di te?
Anche ora che la tosse mi scuote al punto da impedirmi di respirare, anche ora che cado in ginocchio con le lacrime agli occhi e le narici bruciano come se andassero a fuoco. Anche ora, tu mi guardi serafica, e benevola, e i tuoi occhi sembrano dire: “Sta tranquillo. Andrà tutto bene”

Finalmente capisco. Capisco perché sei qui.
Non sei tornata per darmi conforto, ma per portarmi via. Vuoi che rimanga con te.

Dall’altra parte.

Giulia… Scusami se ci ho messo tanto.

Ormai non vedo più niente, ma sento distintamente il tuo morbido collo sotto le mie dita, anche tra gli spasmi convulsi che mi scuotono il petto.
Sento le tue unghie, le tue proteste quando lo torco assaporando la resistenza delle ossa e della carne.

Sta tranquilla. Andrà tutto bene.
  
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