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Autore: Nocturnia    01/12/2015    5 recensioni
Regalarono una casa di carta a un bambino, molto tempo fa.
Era grande e bianca e rossa e si disfece sotto le sue dita prepotenti.
Gli regalarono allora una villa, piena di mostri e soldatini di stagno.
La strinse nel pugno, schiacciandola come un insetto fastidioso e putrido.
Afflitti, gli regalarono allora grattacieli infiniti e città intere, la bellezza esotica di luoghi sconosciuti e lontani.
Sorrise il bambino e disse
tutto qua?
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Chris Redfield, Excella Gionne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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Vermilion
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne, Jill Valentine, Chris Redfield, Spencer e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Liam e Pung sono invece una creazione dell'autrice stessa. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"Now I'm become Death, the destroyer of worlds."

- J. Robert Oppenheimer -




The Devil within


Regalarono una casa di carta a un bambino, molto tempo fa.
Era grande e bianca e rossa e si disfece sotto le sue dita prepotenti.
Gli regalarono allora una villa, piena di mostri e soldatini di stagno.
La strinse nel pugno, schiacciandola come un insetto fastidioso e putrido.
Afflitti, gli regalarono allora grattacieli infiniti e città intere, la bellezza esotica di luoghi sconosciuti e lontani.
Sorrise il bambino e disse tutto qua?
Disperati, i genitori gli chiesero allora cosa volesse; cosa, oltre tutto quello che già gli avevano offerto.
Il bambino rise e indicò il mondo intero.


Sonata # 14,  Moonlight Sonata, Adagio sostenuto


"All extremes of feeling are allied with madness."
- Virginia Woolf -



You won’t see me in the mirror, but I crept into your heart.

Il potere è conquista.
Il potere è un concetto astratto, eppure terribilmente fisico - carnale.
Excella ha fame.
È una ragazzina che reclama il suo posto nel mondo a gran voce, in quel suo modo ancora un po' adolescenziale.
Sbatte la porta, lascia tremare i vetri.
"Maiali." è la prima cosa che dice "Stupidi figli di puttana."
Rompe un bicchiere, fa sentire agli altri che lei c'è; che sarà il volto e il futuro della Tricell e fanculo quello che vogliono i membri più anziani.
Cammina avanti e indietro, si passa una mano tra i capelli.
"Deduco che l'incontro con il consiglio d'amministrazione non sia stato proprio un successo."
Excella digrigna i denti, lo fulmina con lo sguardo.
"No." mastica, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona "No, e non intendono ascoltarmi."
Albert sorride, disarmante - mistificatore.
"Ma tu non glielo permetterai."
Excella rilassa la piega rigida della schiena, sospira.
"No." concorda "No." e apre l'ultimo cassetto della scrivania "Las Plagas sarà il mio successo, il mio progetto vincente."
Albert annuisce, rassicurante - bugiardo.
"Ovviamente."
Excella lo fissa in tralice, lo studia; ne percorre il profilo con occhi curiosi e attenti.
S'inclina poi in avanti, raddrizzando le spalle e stringendosi le braccia sotto al seno.

Esibizione. Offerta. Desiderio.

Wesker amplia il sorriso, reclinandosi all'indietro e divaricando leggermente le gambe.

Ambizione. Voglia. Reciprocità.

Il giorno si consuma ed Excella compie un passo in più verso l'abisso.


I’m learning all your tricks, I can hurt you from inside.

Fuori, il sole sta morendo.
Excella lo stringe tra dita sottili e pallide, lasciando che sanguini sulla sua pelle.
Sorride al mostro che porta nel cuore, perché quello che ha nel letto è una bestia esigente e terribile, un uomo ossessionato e ossessivo.
Gli sfiora la nuca; percorre con l'indice una cicatrice vecchia e scolorita, memoria di una vita ormai morta.
Wesker la fissa con occhi che non sono umani, uno sguardo così vuoto da spezzarle quasi l'anima.
Quasi.
Sorride, e accarezza il mostro senza paura.
Le ha dato tutto Albert; le ha portato via tutto.
Eppure per Excella non è mai abbastanza.


You can’t make me disappear, until I make you.

Yersinia Pestis: l'avanguardia delle infezioni; il mostro oscuro che aveva cambiato il mondo intero, stritolando un terzo della popolazione nella sua morsa spietata.
Coccobacillo Gram - negativo, immobile e psicrofilo. Un piccolo cilindro incapace di fermentare nel lattosio, ridicolmente piccolo, straordinariamente forte.
Excella alza un sopracciglio, ride  tra i denti serrati - gocciola ambizione e colpa.
"Tempo trascorso tra l'inoculazione e lo sviluppo dell'infezione?"
Secoli, mio caro Albert vorrebbe rispondere Forse settecento anni, se non vado errata.
"Due ore." replica invece la voce dell'uccellino, meccanica - asettica.
"Troppo poco."
Troppo e basta ribatte nella sua testa Excella.
L'uccellino abbassa il capo, s'inclina in avanti; si spegne come una bambola a cui hanno strappato la corda.
"Dobbiamo stabilizzarlo."
Ed Excella già s'immagina il male nero che irrompe nelle case, dilaga tra le strade.
Si immagina la gente correre via dalle città in cerca di una salvezza, una qualsiasi; abbandonare tutto, credere in tutto.
Può vedere chiaramente le pustole nerastre e livide spaccare la loro pelle, i polmoni collassare in una poltiglia sanguinolenta e senza più ordine.
Può sentire le loro grida, le loro suppliche, le accorate richieste di aiuto.

E io adesso sono diventato Morte, il distruttore di mondi.

"Excella." chiama il mostro, e lei risponde - come sempre.
"Me ne occuperò personalmente; probabilmente sono da alzare i livelli di anticorpi sierici e il coadiuvante. Nulla che non possa risolvere in un paio di giorni."
Arroganza. Supponenza. Intelligenza. Orgoglio.

Forse amore. Forse speranza. Forse.

Un sorriso; la linea sottile tra giusto o sbagliato già varcata - cancellata.

Yersinia Pestis.

Curioso come il futuro sia solo un passato già vissuto.


I made myself a promise, you would never see me cry.

Excella è una donna di parola.
Osserva il sito d'inoculazione come incantata, grottescamente affascinata.
"Mi hai infettata."
E non c'è alcuna inflessione nella sua voce; nessuno stupore.
"Sì."
Excella sorride senza alcuna allegria, scopre i denti perfetti e bianchissimi.
C'è consapevolezza nei suoi occhi quando lo guarda.
C'è una serietà così profonda da fare male.
Excella percepisce il parassita aggrovigliarsi tra i suoi intestini e tirare, pronto a venire al mondo come l'oscena parodia di una nascita.
Non piangerà Excella, perché ha una promessa da mantenere.
Cadrà in ginocchio e morirà gridando il suo nome, ma non piangerà.
Non chiederà scusa, non tornerà indietro, non si pentirà di nulla.
Non farà niente Excella, perché Albert l'ha svuotata un poco alla volta, pezzo per pezzo, fino a quando non è stata altro che crudele ambizione e spudorata voglia tra le sue mani.
Brucerà Excella, ma non piangerà; non fino a quando ci sarà lui a guardarla.

"Stai forse piangendo?"
"No."
"Bugiarda."
"E se anche fosse?"
"Le regine non piangono, Excella; si rialzano e spezzano la mano che le ha colpite, ma non piangono. Non quando può essere il mondo a farlo al posto loro."

Il mondo non verserà una sola lacrima alla notizia della sua morte.


Sonata # 14,  Moonlight Sonata, Allegretto


"I shall continue to exist.
I may assume other disguises, other forms, but I shall try to exist."
- Vladimir Nabokov -



I made myself at home in the cobwebs and the lies.

Chris ha imparato che la storia non si cambia; che per quanto tu voglia - per quanto ti sforzi - lei rimane sempre lì dove l'hai lasciata, immutata.
Fissa un riflesso che non riconosce, risponde a un titolo che non vuole.

Capitano.

Stringe il bordo del lavandino fino a a far sbiancare le nocche, ingoia bile e gin scadente.
La lampadina dondola sopra la sua testa, disegna archi di luce e buio nei quali vede...

Lui.

"Tu sei morto." dice, e lo fa ad alta voce, come per rassicurarsi "Io ti ho ucciso."
Cuoio e sostanze chimiche; un vago sentore di sangue e sudore.
"Lasciami in pace: questa non è più la tua storia."

No, hai ragione.

Chris alza la testa di scatto, sobbalza.

È la nostra.

Certi mostri hanno fatto del nostro cuore la loro arma e della nostra anima la loro casa.


You’ll never know what hit you, won’t see me closing in.

È importante sapere cosa si vuole raccontare; cosa, oltre la propaggine del nostro ego.
Per un istante, una frazione di secondo, Chris lo sa: lo sente.
Il tempo si dilata sotto le sue dita ed è allora che stringe, cercando di trattenere Piers.

No.

Nivans forza la chiusura del portellone, la spezza.
"No!" grida allora Redfield "No, non lo fare, Piers! Possiamo curarti; posso salvarti!"
Piers scuote la testa, sorride.

E dio, se fa male.

Chris batte i pugni chiusi sul doppio vetro rinforzato, si aggrappa a quella flebile che speranza che anima sempre i condannati.

Adesso succederà qualcosa per cui Piers cambierà idea.
Fra qualche minuto tutto si risolverà e la morsa che mi stritola il cuore diventerà sollievo e allora piangerò e riderò e...

"Nulla vale più del sacrificio del tuo soldato più fedele."
La capsula d'evacuazione si stacca dal suo perimetro, acquisisce potenza.
"Nulla, se non quello che comporterà."
Chris sbatte i piedi contro il portellone, osserva Piers farsi sempre più piccolo, più distante.
"Onore."
La struttura collassa su se stessa, il mare trema.
"Dedizione."
La pressione lo schiaccia al suolo, gli impedisce quasi di respirare.
"Abnegazione."
Il contraccolpo lo sbalza in avanti, facendogli sbattere il naso e la mascella.
"Perseveranza."
Chris annaspa, ingoia sangue e lacrime.
"Fedeltà."
Il mare ruggisce, vomita macerie e ombre.
"Questo io prometto; questo io giuro. Questo..."
"Questo simbolo io scelgo di servire, ora e qui, domani e per sempre." lo anticipa Chris, digrignando i denti "Semper Fidelis."
Il sole sta sorgendo all'orizzonte e tinge il cielo di rosa, un'alba inaspettatamente delicata - derisoria.
Wesker sorride, mutevole e sfocato come un sogno - un incubo.
"Bravo ragazzo."
Lo stemma del BSAA della S.T.A.R.S brucia come le promesse che non è mai riuscito a mantenere.


Sonata # 14,  Moonlight Sonata, Presto agitato


"And suddently, the monster in him falls silent as he rests his head in her lap."
- Anonimo -



I’m underneath your skin, the devil within.

È tornato.
Alex annusa l'aria, si umetta le labbra.
La bacia - la morde - ed è brutale e frustrato e disperato.
Alex reprime un gemito e grida quando affonda in lei, sulla pelle ancora i vestiti e tra le cosce un dolore sordo.
"Mi fai male." gli dice, e Albert nasconde il viso tra i suoi capelli, passandole le dita sugli zigomi, lungo la curva pallida del collo, sulla bocca.
"Lo so." e quasi grida anche lui quando viene, stringendosela al petto come se potesse frantumarsi da un momento all'altro.
Alex rilassa le gambe attorno ai suoi fianchi, respira il suo odore, cuoio e ghiaccio.
"È così brutta la situazione?" gli chiede, e tace Wesker, la lingua blandire un morso vorace e che sanguina ancora.
Alex chiude gli occhi, annuisce impercettibilmente.

Plic, plic, plic.

Il rumore del silenzio ha lo stesso suono del suo cuore.


My love is your disease, I won't let it set you free.

Alex non sa cosa sia successo e non è neppure sicura di volerlo sapere.
Si arrotola sotto il lenzuolo e sospira nel cuscino, aprendo un occhio e fissando pigramente le porte della terrazza spalancate.
"È presto." esordisce, soffocando uno sbadiglio "Troppo." e affonda ulteriormente sotto le coperte "Sushestvovanie non è un'isola appagante di primo mattino."
Albert fissa l'orizzonte, lo smembra.
Alexandra si solleva sui gomiti, cerca di metterlo a fuoco.
"Se devi andare..."
"No." dice all'improvviso, spostando il peso da una gamba all'altra "Non ancora."
Alex gli regala un'espressione interdetta, curiosa.
"Non ancora." ripete, e Alex ascolta le parole di un uomo già morto.


I tried to be the lover to your nightmare, look what you made of me.

Due giorni; tanto Albert si è preso lontano da Kijuju.
Il telefono giace inerte sul tavolo, spento.
Alex lo blandisce con un'occhiata in tralice, si porta la tazza di caffè alle labbra, umettandosele appena.
Alle sue spalle Albert è una sagoma confusa sotto le lenzuola, un profilo a cui la notte aggiunge nuovi spigoli.
Alex gli si avvicina in punta di piedi, scostando le coperte e scivolando al suo fianco; lo fissa per qualche istante, gli occhi chiusi, il respiro regolare.
Il virus di Albert è debole, la sua forza pallida, esangue.
Può tracciarne i contorni frastagliati e spezzati con la punta delle dita, ascoltarne i lamenti e percepirne la fragile resistenza.
Lo osserva sospirare nel sonno, muoversi appena; gesti imprecisi, a tratti violenti - spaventati.
"Da quanto non riposavi come si deve, Albert?" chiede al silenzio e questo, sorprendentemente, risponde.
"Troppo."
Alex sorride, rovescia la testa all'indietro quando lo sente sfiorarle il seno con la punta della lingua, sfregarle il viso contro l'addome e scivolare più in basso, la pupilla rilassata, l'iride una sfumatura liquida - morbida.
Alex schiude le cosce senza vergogna, soffoca in gola il battito del suo stesso cuore.
Studia i suoi movimenti, li asseconda; le mani sui fianchi, la piega elegante del collo, le sue labbra che si aprono e chiudono per lei - su di lei, in lei.
Viene sulla sua bocca con un abbandono che ha tutto - troppo - di umano e serra le dita tra i suoi capelli, costringendolo a guardarla.
Non le dirà cosa è successo, non le spiegherà il motivo della sua permanenza.

Non ne ha bisogno.

Respira nell'incavo del suo collo e le stringe una natica, impaziente.
Alex geme, lo accoglie in un'unica spinta.
Il virus ruggisce, perché quando è con lei - dentro di lei - riconosce più di un suo simile, di un suo pari.

Forse amore, forse desiderio. Forse qualcosa di più.

Il virus gli racconta un sentimento che non può deve avere nome e lo spinge sempre più avanti, sempre più a fondo, fino a quando Alex non s'inarca sotto le sue mani e cede e...

Ah.

Alex snuda i denti, si aggrappa alle sue spalle; bellissima e disperata e immorale come la loro stessa esistenza.
Un respiro; mozzato, roco. Disinibito.

Famelico.

Albert è umido tra le sue gambe, ma non accenna a spostarsi: annusa la sua pelle, il loro orgasmo, leccando un filo sottile di sangue che le percorre la curva delicata del seno.
"Uhm." dice solo Alex, continuando ad accarezzargli le vertebre della schiena una per una "Bentornato." e Albert annuisce, nascondendo il viso tra i suoi capelli.
Alex sorride e chiude gli occhi.


Now I’m a heavy burden that you can’t bear, look what you made of me.

A volte glielo vorrebbe chiedere.
A volte vorrebbe afferrarlo per il bavero della giacca e urlargli perché?
Non ti basta quello che abbiamo? Non ti basta quello che potremmo avere?

Non ti basto io?

Alex si tormenta le dita, infila le unghie una sotto l'altra fino a quando non sanguinano.
"Quando?" chiede, e Albert le dà le spalle.
"Presto."
"È un errore."
Wesker irrigidisce la mandibola, continua a catalogare gli oggetti del laboratorio.
"È un..."

Morirai.

Alex solleva lo sguardo, trattiene le lacrime.

Perché noi non piangiamo, noi non amiamo. Perché noi siamo l'avanguardia del nuovo mondo, la razza eletta. Perché noi non esistiamo.

"Quando?" ripete, e Albert si ferma, spalle curve e occhi chiusi.
"Tra una settimana."
Alex annuisce, scuote la testa da destra e sinistra - nega ogni speranza.
"E poi?"
Albert sospira - rantola.
"E poi saremo finalmente liberi, Alexandra."

Liberi di vivere; liberi di morire.

Alex si passa una mano tra i capelli, lo cerca.
"Aspetterò." mormora solo, perché non c'è altro che possa essere detto "Ti aspetterò, Albert."
Wesker sorride, soffoca quel resta in un bacio esigente e affranto.  
"Lo so, Alexandra; lo so."
Una settimana dopo di Alex Wesker rimarranno solo macerie e rimorsi.


I will keep quiet, you won’t even know I’m here.

I mostri non sono diversi da noi.
Ridono quando qualcosa li diverte, soffrono quando viene fatto loro del male.
Vogliono vivere, vogliono prosperare, vogliono essere felici.
I mostri vogliono, e tanto basta a renderli uguali a chiunque altro.
Claire si protende in avanti, non chiude gli occhi.
Moira arretra, si protegge il viso da uno schizzo di sangue e materia cerebrale che non può davvero colpirla.

Overseer.

Claire aveva conosciuto molti mostri.
Alcuni erano vecchi marcescenti, altri spietati guerrieri d'oro e sangue.
I più erano grottesche mutazioni, orride parodie di corpi che, un tempo, avevano ospitato più di bocche voraci e deformità tentacolari.

Perchè?

"Dobbiamo andare." le dice Moira, strattonandola per la manica della giacca "Qui sta per crollare tutto."

Ma per te erano già solo macerie e polvere, uhm, Overseer?

Claire fissa un mostro che non le è mai sembrato più umano.


I’m gonna make you suffer, this hell you put me in.

I mostri sono umani, anzi; sono il vero ritratto dell'umanità, il bel volto nel quale coesistono grandezza e miseria.
Claire ha visto abbastanza merda da bastarle per due vite intere, eppure...

Eppure.

Ciò che resta dell'Overseer si contorce sotto i suoi occhi, spinto in avanti solo dalla fame e dalla rabbia e dalla...

Solitudine. Chiamala con il suo nome, Claire.

Imbraccia il fucile, prende la mira.

Cosa ti è successo per renderti così, Overseer?

Alex grida, ed è un suono orribile.
Claire calcola la traiettoria, il vento, lo spostamento dell'elicottero e...

Addio, Overseer; chiunque tu sia davvero.

Non chiederti mai come è nato un mostro; sarebbe come domandarsi come è nato un uomo.
Non ti fare domande inutili, la cui risposta riposa già negli angoli bui della tua mente, sotto il letto della tua coscienza, dentro l'armadio dei tuoi segreti più sporchi.
I mostri sono il Babadook moderno: bellissimi, intelligenti, vincenti.
Portano l'orrore nel cuore, ma non sul viso - non su quella stessa bocca a cui Excella aveva affidato tutto.
Coltivano la loro natura nel silenzio dei sogni, illusioni nelle quali Alex aveva creduto sperato fino all'ultimo istante.
Si nutrono della tua fiducia tradita, di una promessa infranta; di un patto sciolto nel sangue e nelle ossa.

"Da quanto sei sul libro paga dell'Umbrella?"
"Oh, Chris, io credo che tu non abbia capito bene la situazione; io ho sempre lavorato per l'Umbrella."

Tramutano l'acqua in veleno, il cibo in fiele.

"Noi?"
"Così lento, Chris; così stupido."

Prosperano nelle tue incertezze, colpiscono dove fa più male.

"Jill! Ti prego, ascoltami! Jill!".

L'aria si riempie di polvere, Claire sospira.
Il mostro è caduto, la favola è salva.

Allora perché mi sento così male?

L'eroe si cerca nello specchio e vede solo...

Noi.


Requiem Mass in D minor (K. 626); Lacrimosa


Regalarono a un bambino una casa di carta e menzogne.
Era rossa e bianca e troppo piccola per le sue ambizioni.
Gli regalarono allora una villa, con tutti i suoi orrori e tutti i suoi mostri.
Aggiunsero poi città sconfinate e grattacieli d'argento e vetro, ma nulla era mai abbastanza.
Cresceva il bambino e diventava un uomo spietato, crudele, esigente.
Angosciati - impauriti - i genitori gli donarono allora l'unica cosa che non possedesse ancora; un cuore.
Ma si imputridì quel cuore, diventando un pugno nerastro e appiccicoso, sfibrato.
Morirono i genitori di quel bambino, insetti nella sua lunga esistenza di uomo e dio.
E, per molto tempo, fu solo la propria voce a fargli compagnia.

"L'ho ucciso."
"Lo so."

Poi, arrivò una donna.
Aspetta disse Devo mostrarti una cosa e gli porse la stessa casa di carta (bianca e rossa e piccola) della sua infanzia.
Gli porse la stessa villa, con gli stessi mostri e gli stessi orrori.
Dispiegò sotto il suo sguardo incuriosito grattacieli infiniti e città d'acciaio, pedoni sacrificabili e persino qualche raro alleato che aveva avuto.
L'uomo la guardò, interdetto.
La donna sorrise, indicando la prima casa.
C'ero anche io, sai? disse Ero proprio lì, con te.
Il tempo si fermò, la donna cominciò a raccontare.
La voce dell'uomo non fu più l'unico suono a propagarsi nel silenzio.

"Ti aspetterò."
"Lo so."

Passarono gli anni, passò una vita.
Giunse la principessa, giunse il cavaliere.
Caddero preda di una maledizione l'uomo e la donna, e la loro favola si accartocciò tra le spire di un destino ingrato.
Il fuoco fu la maledizione dell'uomo, la solitudine quella della donna.
Nel buio, la casa, la villa, tutte quelle città e quei grattacieli erano solo ricordi troppo dolorosi, oggetti senza importanza.
La donna pianse, poi si rialzò; la favola, d'altronde, non era ancora finita.

"Ti ho lasciato morire."
"Non è colpa tua."

Si spezzò la maledizione; si spezzò un mondo intero.
Giunse una strega in quel reame solitario e disse sì, c'è un modo per rivederlo; sì, potrete stare di nuovo insieme.
La donna le credette; la donna affidò ciò che era rimasto di lei all'oblio.
Sorrise la strega bambina e pronunciò il suo incantesimo.

"La morte è stata la via di fuga di mio fratello; presto sarà anche la mia."

Giunsero il cavaliere, la principessa e la strega bambina.
Osservarono l'orizzonte insanguinato e seguirono la sua scia fino a un fuoco ormai spento, preda dell'inverno.
Guarda, disse la principessa ha funzionato.
Il cavaliere annuì, la strega bambina pianse.
Tra le ceneri di quel fuoco, nella polvere di una storia troppo vecchia per essere ancora raccontata, giaceva tutto ciò che era rimasto dell'uomo e della donna; di due bambini che non erano mai stati tali davvero.

"Sei tornato."
"L'avevo promesso."

Due cuori che avevano ripreso a battere.



"It's our oldest deadliest impulse.
The need to protect our own at the expense of any other living thing.
And we give that impulse such a nice name, don't we?  Love.
And love is a psychopath."
 - Sophia Hyde -




Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
La canzone usata per i paragrafi è "The Devil within"  dei Digital Daggers.

   
 
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