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Autore: Pheronia    04/12/2015    2 recensioni
"Mi sentivo umiliata, prosciugata quotidianamente di ogni voglia di aprire gli occhi e vivere la mia vita. Come davo per scontata la libertà, finche non avevo messo piede in questa maledetta villa! La morte sembrava il paradiso in confronto a questo limbo di prigionia e sangue. Sì, morire avrebbe significato avere finalmente una scelta, avere un potere sulla mia vita, fosse anche per porle fine. Mi ero già trafitta il petto una volta, potevo farlo ancora, e questa volta l'avrei fatto per salvare me stessa".
Buona lettura e recensite:)
Pheronia
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ayato Sakamaki, Kanato Sakamaki, Laito/Raito Sakamaki, Yui Komori
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dopo poco meno di un anno di permanenza alla villa Sakamaki, realizzai di aver perso completamente le redini della mia vita. Non me ne sarei neanche resa conto se non fosse stato per i miei sadici, dannati coinquilini.
Era una fredda sera di dicembre, durante uno dei pasti mensili che i fratellastri erano soliti concedersi. Ayato era scomposto sulla sedia con il suo fare annoiato, il capo lievemente reclinato all'indietro; Raito come al solito non la smetteva di alzarsi dal tavolo, subendo i rimproveri dello stoico Reiji. Shu, con gli occhi fissi sul piatto, mangiava ascoltando la musica sotto lo sguardo indifferente di un Subaru parecchio accigliato e Kanato, beh, come sempre finiva col disintegrare con la forchetta ogni cosa nel piatto, stringendo al petto Teddy e dondolando con leggerezza le gambe sulla sedia. 
Non fosse stato per la pelle diafana e i canini pronunciati, sarebbero parsi quasi umani. Arroganti e violenti, certo, ma pur sempre lacerati da un passato terribile, con cui sfortunatamente ero venuta in contatto. Ciò che mi distingueva da loro, un cuore di carne pulsante nel petto, non era certo sufficiente per definirmi diversa, 'viva'.
Quando tutto ciò in cui avevo fede mi aveva abbandonata, quando quelli che amavo mi avevano ceduta a dei sanguinari esseri che manco credevo esistessero, vidi il mio mondo frantumarsi al suolo e da quei cocci sparsi non potei creare niente di più che un guscio vuoto di paura in cui nascondermi.
Mi avevano succhiato via la vita, oltre a una non indifferente quantità di sangue. 
E manco a dirlo...
"Chichinashi, non vedi che manca il dolce? Vieni qui e dammelo" la voce di Ayato tuonò per tutta la sala da pranzo, facendomi sussultare sulla sedia e stringere nelle spalle. Non mi mossi di una virgola, sperando che quella frase si dissolvesse nell'aria come il delicato profumo di rose che proveniva dal centrotavola.
Alzai lo sguardo e due occhi di smeraldo mi fissavano sprezzanti e fiammeggianti di rabbia. Per quel poco che avevo imparato a conoscerlo, mi resi conto che sarebbe finita veramente male se non fossi stata accondiscendente. Mi voltai per cercare il supporto di qualcuno degli altri fratelli, ma il tentativo credo mi avesse resa ancora più patetica: Raito e Kanato mi fissavano con un mezzo sorriso godendosi la scena, Shu e Reiji continuavano a mangiare e Subaru, ehi, quando aveva lasciato la stanza?
Il fatto che non ci fosse il dolce alle mele che di solito Reiji preparava con dedizione ad ogni cena mi fece pensare che forse la portata finale fossi io fin dall'inizio.
"Sei sorda oltre che piatta? - Ayato sbatté forte i pugni sul tavolo di mogano - Non mi ripeterò ancora. Vieni. Qui. Adesso". 
Quel rumore forte mi spaventò, riportandomi alla mente le altre innumerevoli volte in cui era accaduto lo stesso, da parte di ciascuno dei demoniaci fratelli. Quanto sarebbe ancora andata avanti questa convivenza forzata da cui ero l'unica a non trarre vantaggio? Mi sentivo umiliata, prosciugata quotidianamente di ogni voglia di aprire gli occhi e vivere la mia vita. Come davo per scontata la libertà, finché non avevo messo piede in questa maledetta villa! La morte sembrava il paradiso in confronto a questo limbo di prigionia e sangue. Sì, morire avrebbe significato avere finalmente una scelta, avere un potere sulla mia vita, fosse anche per porle fine. Mi ero già trafitta il petto una volta, potevo farlo ancora, e questa volta l'avrei fatto per salvare me stessa.
Ma l'avrei mai fatto sul serio? 
I fratelli Sakamaki non avrebbero lasciato andare così facilmente la loro dolce preda e con questo gesto non avrei fatto altro che dare loro l'ultima grande conferma della mia debolezza. Così decisi che se proprio era giunta la mia ora quella sera, se fossi stata morsa e lacerata ovunque da sei paia di zanne che ormai potevo distinguere, l'avrei affrontata per la prima volta a testa alta. 
"No - la mia voce ruppe il silenzio più forte di quanto pensassi - ora basta". 
Mentre mi alzavo, la sedia cadde a terra, portando ancora di più l'attenzione dei presenti su di me. Credo che avessero notato le leggere scosse che mi attraversavano il corpo e mi portavano a stringere convulsamente i pugni lungo i fianchi. Sembrava assurdo pure a me, ma in quel momento non tremavo per la paura, ma per la rabbia e il nervoso di aver aspettato così tanto per dire quella frase. 
Poi ad un tratto sentii il suono di un applauso.
"Complimenti, Bitch-chan! Che interpretazione magistrale... Non pensavo che anche tu avessi del talento! La tua scenetta ci ha davvero divertiti".
Raito si mosse verso di me continuando ad applaudire, il suo sguardo tagliente fisso nel mio, dipingendo sulle labbra quel solito ghigno sardonico che potevo ammirare fin troppo spesso. In un istante scomparve dalla mia vista e dopo pochi secondi sentii il suo fiato caldo sulle spalle scoperte, mentre due morse micidiali mi bloccarono le braccia in una presa ferrea.
Sentii il cuore quasi schizzarmi via dal petto: osservai i miei sadici coinquilini uno per uno e mi accorsi che tutti, persino l'impassibile Shu, avevano negli occhi quel bagliore dorato e terrificante che accompagna ogni plenilunio e che per me ha il suono di una sentenza di morte. 
"Non credo di aver sentito bene - la voce di Ayato era bassa e calma - che cosa hai detto, inutile umana?".
Provai a liberarmi inutilmente dalla presa di Raito e lo sentii ghignare divertito, poi presi un bel respiro e urlai tutta la mia rabbia. 
"Hai sentito benissimo, invece!  Io non sono una inutile umana, anzi mi sembra che vi faccia piuttosto comodo avermi viva per i vostri bisogni! Io non appartengo a nessuno, tanto meno a voi sadici mostri, e preferirei essere morta piuttosto che sentirmi anche solo sfiorare un'altra volta da uno di voi".
Una calma lugubre e inquietante calò nella sala da pranzo, il silenzio che piombò dopo le mie grida era spezzato solo dal mio respiro affannoso. Avevo imparato da tempo a temere i vampiri più nella quiete che nel delirio; la loro calma era paragonabile alla neve che vedevo scendere dalle ampie vetrate della sala: bastava un alito di vento in più per trasformare il morbido calare dei fiocchi in una gelida bufera. 
Con la coda dell'occhio, vidi rovinare a terra il povero Teddy. Kanato mi fissava con gli occhi sgranati e fissi e lo stesso faceva Shu, sfilandosi con leggerezza le cuffie dalle orecchie. Reiji aveva accostato garbatamente le posate al piatto, si era alzato in silenzio e aveva mosso pochi passi verso la grande vetrata sul giardino. 
Ayato pareva impassibile, ma leggevo nei suoi occhi che qualcosa delle mie parole lo aveva ferito nel profondo, per quanto fosse possibile ferire un immortale. Stranamente vidi le sue spalle rilassarsi e il suo collo piegarsi morbido verso destra nella sua solita posa. C'era qualcosa di maledettamente strano: perché nessuno mi aveva aggredita, fisicamente o a parole, dopo quanto avevo detto? 
Le mani di Raito mollarono la presa improvvisamente e non ebbi neppure il tempo di voltarmi verso di lui che era già scomparso, ritrovandolo pochi istanti dopo al fianco di Kanato.
"E così, sciocca umana, pensi davvero che la morte sia meglio di tutto questo?". Reiji parlò guardandomi con freddezza, distrattamente, come se non meritassi manco il suo tempo.
"Sei solo una stupida" continuò Shu, alzandosi dal tavolo. 
"Se le cose stanno così, Chichinashi -la voce di Ayato si fece gelida- non vedo perché dovremmo deludere le tue aspettative. Come hai detto tu, non siamo che mostri, vero?".
D'un tratto compresi l'inizio della mia fine. Vidi gli occhi dorati dei miei carnefici diventare color  sangue, famelici, bramosi, ma soprattutto carichi di odio. Eccoli in tutta la loro umanità. 
Non avevano mai fatto altro che tentare alla mia vita e questa notte ce l'avrebbero fatta. 
Sentii l'adrenalina e l'istinto di sopravvivenza pomparmi sangue nelle vene all'impazzata, il battito cardiaco rimbombarmi nelle orecchie impedendomi di sentire altro. Le gambe scattarono da sole in direzione della porta principale proprio alle mie spalle. La aprii con forza, correndo a perdifiato lungo la scalinata d'entrata.
Un brivido di freddo mi raggelò, la tempesta di neve mi travolse bloccandomi il respiro e le articolazioni. Ignorai il gelo di dicembre e ordinai mentalmente alle mie gambe di fuggire il più lontano possibile da quella sanguinosa villa dell'orrore. Nonostante fossero ricoperte da una spessa coltre di ghiaccio e neve, riconobbi le alte siepi del giardino Sakamaki. Il vento sferzante mi feriva gli occhi, impedendomi di capire la mia esatta posizione; tuttavia l'istinto mi spinse a voltarmi per controllare se i fratelli mi avessero inseguita ma nulla, ero completamente sola.
Il cuore mi balzò nel petto e per la prima volta credetti di potercela fare. Mi spinsi ancora oltre, procedendo con passo svelto sulla strada scivolosa. Sentivo un'energia che credevo assopita attraversarmi il corpo come una scarica elettrica mentre nella mente si delineava, per quanto flebile, il ricordo della libertà incondizionata, della vita quotidiana e noiosa, ma pur sempre vita. 
Più nessuna cripta, nessuna moglie sacrificale, nessun ordine e nessuno sfregio all'altezza della giugulare. Il mio corpo e il mio spirito sarebbero appartenuti solo a me e anche se non fossi tornata a casa tra le braccia di coloro che avevano venduto la mia fede al demonio, avrei trovato comunque un modo per ricominciare vivere, dopo interminabili mesi di mera sopravvivenza. 
Guidata da questi pensieri, ripresi a correre senza meta nel buio della notte, attraversando la bufera. Completamente in ipotermia per il gelo, quasi non mi accorsi del momento in cui il ghiaccio si frantumò sotto i miei piedi e venni inghiottita dalle acque del lago. Non ebbi neanche il tempo di emettere un grido.
La neve aveva coperto ogni cosa, impedendomi di distinguere la strada che costeggiava il lago dalla sua superficie ghiacciata. 
E' impossibile descrivere il dolore che provai in quel momento. Era come essere morsa da centinaia di vampiri per tutto il corpo e nello stesso istante e anche se fossi stata capace di nuotare, le braccia e le gambe erano così livide e rigide da non poterle neanche più sentire.
Stordita dai gelidi e calmi flutti, la mia mente assopita cominciò a vagare tra i ricordi evanescenti e ne visualizzò uno in particolare: tornai col pensiero ai miei primi giorni alla villa quando Ayato mi aveva gettata con rabbia nella piscina. Risentii sulle labbra viola sapore di quel bacio: mi era parso quasi caldo, dolce, necessario come l'ossigeno che mi aveva spinto a forza nei polmoni. Era inumano, ed era sbagliato. Ma era splendido. 
I polmoni mi facevano un male terrificante e la mancanza di aria mi spinse con tutte le forze a dimenarmi nella speranza di tornare a galla. Rivolsi istintivamente la testa in alto verso la voragine aperta nella lastra.
Solo allora li vidi.
I miei sanguinari coinquilini erano lì a fissarmi impassibili sulla superficie ghiacciata del lago. Riconobbi immediatamente la sagoma di Ayato, anche se distorta dal movimento dell'acqua. La mia mano si allungò d'istinto verso di lui, proprio come quella volta, ma lui non si mosse. Il mio mostro mi stava offrendo la salvezza.
I miei occhi si persero nei suoi fino alla fine. 
Ogni cellula del mio corpo si assiderò, il sangue smise di scorrere nelle vene e la notte eterna mi chiuse dolcemente gli occhi, trascinandomi con sè nella profonda oscurità dell'oblio.
   
 
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