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Autore: Ink Voice    06/12/2015    0 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XVII
Un racconto, un’identità

Andai a prendere il pigiama, la cintura con le Poké Balls e poche altre cose prima di trasferirmi, per qualche giorno, nella stanza di Sara, prendendo momentaneamente il posto di Angelica.
Appena la ragazza mi aprì la porta, la sua Vaporeon fece per uscire, venendomi incontro come se volesse farmi le feste. «Torna dentro, Vapu. Almeno falla entrare!» la rimproverò - ma sapevo che la viziava tantissimo, infatti il Pokémon non le diede retta.
Riuscii a mettere piede dentro la stanza, notevolmente più ordinata della mia - tra me e Chiara era una gara a chi lasciasse più cose in giro; poi ci toccava passare un’intera serata a mettere a posto, visto che l’Accademia non era dotata pure di un servizio di uomini delle pulizie. Gli altri Pokémon della ragazza, non aspettandosi che già dal primo giorno di pace sarebbe arrivata una sostituta di Angelica, stavano in giro per la camera: la più piccola era la sua Vulpix, poi già aveva fatto evolvere Luxio ed un’altra Eevee in Leafeon. C’era pure il suo Lucario, probabilmente l’unico membro maschile della sua squadra del tempo.
«Scusa, c’è un po’ di confusione» mi disse subito Sara.
«Stai scherzando?»
«No, prima di andare a cena li ho lasciati liberi per la stanza, perché non ci metto tanto per mangiare! Adesso li faccio rientrare nelle sfere… però se vuoi puoi far uscire i tuoi» rispose, serissima.
«Guarda che è tutto in ordine, ed è carino se ci sono i Pokémon! Non credo ti farebbe piacere vedere le condizioni della mia stanza, e dire che in mezza giornata da sola ho già fatto parecchio disordine… la tua stanza è perfetta, davvero!» esclamai, cercando di farle capire in tutti i modi che non c’era niente di cui preoccuparsi. Quasi non riuscivo a credere al fatto che stesse prendendo il tutto sul serio.
«Ma no, no, poi quando Vapu ci si mette inizia a dare fastidio… libera i tuoi Pokémon» ribatté, richiamando uno ad uno i suoi compagni di squadra. Esitò quando si ritrovò di fronte a Luxray. «Tu hai una Luxio, giusto? Magari lei la lascio, così giocano… mi raccomando, Lu’, non dare fastidio…»
Mi arresi al suo zelo: feci uscire solo Pearl, che in un attimo individuò l’altro membro della sua famiglia evolutiva e gli andò vicino. Non feci molto caso alle coccole che si scambiarono, ancora stupita per le preoccupazioni di Sara. Sedetti sul letto di Angelica, chiedendomi se fosse il caso di abbandonarci alla rinfusa la cintura, il pigiama e tutto o se, in quel modo, avrei urtato la mia nuova compagna di stanza. La ragazza, dopo aver richiamato tutti i suoi Pokémon e messo le Balls di ognuno sopra il comodino, si mise sul suo letto e mi guardò sorridente. Subito mi chiese se non volessi liberare gli altri miei Pokémon; le risposi che non ne sentivo il bisogno. Anche lì mi prese estremamente sul serio, nonostante il mio tono fosse stato ironico.
«Allora, ti va di ascoltare?» domandò tranquillamente. Annuii, e lei cominciò.
«Sono orfana. Non ho mai conosciuto i miei genitori. O meglio, per un po’ di tempo almeno uno di loro mi ha accudita, ma non ho alcun ricordo né di mio padre, né di mia madre. Avrò avuto poco più di due anni, una volta che sono stata abbandonata, e il motivo non lo so ancora, ma potrebbero essercene così tanti…»
Come inizio era già alquanto triste, eppure Sara parlava con molta naturalezza di ciò che le era successo. Non doveva essere la prima volta che ripercorreva con un estraneo la sua vita. «Non so bene quanto tempo passai in quello stato di totale abbandono. Ero sola, gli orfanotrofi sono una cosa da Primo Mondo, ma i miei genitori non hanno cercato un’altra struttura a cui affidarmi… ad ogni modo, non trascorsi molti giorni da sola: nemmeno mi ricordo se iniziai a rischiare la vita, per i morsi della fame o del freddo. Era inverno.
«Comunque, furono i genitori di Angie a trovarmi. Non mi hanno mai voluto spiegare bene le circostanze del nostro primo incontro e non vorrei farla troppo lunga, non penso che sia necessario. In poche parole, mi accolsero nella loro famiglia: avevano già una bambina e fin da subito iniziammo a considerarci a vicenda delle sorelle. Non avevo un nome, non sapevano quando fossi nata, né avevo documenti, ovviamente… perciò è come se fossi nata una seconda volta. Il giorno del mio compleanno è quello in cui mi hanno portata a casa loro e il mio nome è una loro veloce scelta in un momento in cui dovevano sbrigarsi a farmi avere un’identità. Credo abbiano dovuto impegnarsi parecchio, la burocrazia in questi casi è davvero scomoda, o sbaglio?»
Sara sorrise, con un’espressione ingenua, da bambina, e io ricambiai meccanicamente. Mi aveva ammutolita con la sua storia: non avrei mai pensato che avesse potuto nascondere un passato del genere, e che me ne parlasse senza essere quasi depressa perché era praticamente orfana. Le chiesi, infatti: «E adesso come stai?»
«Benone» fece con allegria. «Non ho mai conosciuto i miei genitori e per questo non posso né odiarli, né sperare di incontrarli perché voglio loro bene, per chissà quale motivo dettato dal mio inconscio. Non mi mancano per niente e mi sono sempre fatta una ragione del mio stato. Con Angie sto benissimo e ho passato degli anni stupendi, prima di venire all’Accademia.»
«Come siete arrivate qui?» Angelica aveva fatto dei riferimenti, in passato, ma senza mai entrare nei dettagli.
«Abbiamo ficcanasato un po’ troppo nei dintorni di Arenipoli, la città in cui abbiamo vissuto. Avevamo dodici anni… Corrado ci trovò quando si era fatto tardi. Avevo portato Angelica dentro alcune barriere e uno Shinx non si mostrò affatto dispiaciuto della nostra presenza, eravamo un po’ spaventate per i suoi poteri ma ci piaceva già moltissimo, passammo minuti interi a coccolarlo e Corrado ci raggiunse!»
«E come hai fatto ad oltrepassare delle barriere?» fu la mia spontanea domanda.
Sara inarcò le sopracciglia e sembrò un po’ spaesata. Aprì bocca per parlare e la richiuse poco dopo; intanto la mia, di espressione, si era fatta interrogativa. Trovò una risposta: «Non lo so, sinceramente. Non me lo hanno mai spiegato, ma in effetti le barriere sono efficaci su chi non conosce i Pokémon…»
«Non hai mai chiesto spiegazioni a Bellocchio o a qualcun altro?»
«Non l’ho mai ritenuto importante, con il senno di poi.» La ragazza scrollò le spalle magre e tornò a sorridere in modo innocente. «Ero troppo occupata a pensare ai Pokémon per preoccuparmi del resto!»
Anche le mie labbra si curvarono - più pensierosamente delle sue. «Ti capisco… anche io ho avuto la mente tutta impegnata con la squadra che mi stavo costruendo, avevo davvero poco tempo solo per pensare alla guerra o a qualsiasi cosa che non fosse star dietro ad Altair…»
«Ma se è lei a starti sempre dietro» ridacchiò Sara, «senza abbandonarti neanche un momento!»
«Almeno ha smesso di farmi da cappello, ora che si avvicina l’evoluzione! Stando al Pokédex, mancano pochi livelli. Immagino che si stia preparando a non potersi più appollaiare sulla mia testa senza rischiare di spezzarmi l’osso del collo!» ribattei, suscitando le risate dell’altra.
«A me non piace molto lottare» disse. «Quasi nessuno dei miei Pokémon, fatalità, si evolve salendo di livello.»
«Questa si chiama fortuna, cara.»
Continuammo a chiacchierare del più e del meno per il resto della sera: non avevamo mai parlato così tanto, soprattutto da sole, perciò non mi stupii se per più due ore riuscimmo a farlo senza mai fermarci. Avrei voluto chiedere alla ragazza come facesse ad avere i capelli bianchi, apparentemente senza farsi la tinta o simili, e perché il colore dei suoi occhi sfumasse in un modo così evidente in tutti i toni del blu; ma rimandai quel particolare ad un’altra seduta di chiacchiere. Mi rispose un po’ imbarazzata, quando glielo domandai, che era sempre stata così, nonostante i look singolari come il suo non fossero facilmente reperibili nella realtà umana - in quella dei Pokémon, invece, spopolavano, grazie a tecniche e quant’altro si aveva di più avanzato: si era solo tinta qualche ciocca di blu e di celeste.
Non ero dotata di un particolare acume a quei tempi e ancora dovevano passarne, di mesi, perché perdessi la proverbiale ingenuità che mi caratterizzava; perciò non le feci tante altre domande che, andando sul personale, mi avrebbero fatto notare sicuramente qualcosa di strano.

Una settimana scarsa era bastata per farmi abituare a quell’inaspettato silenzio dell’Accademia semideserta. Al ritorno dei miei amici, insieme al resto della giovane popolazione del luogo, mi sentii, sulle prime, un po’ oppressa dai rumori delle chiacchiere e dei Pokémon che non si facevano troppi problemi a schiamazzare.
La prima questione che dovetti risolvere fu impedire a Sara e Chiara - e anche a Gold - di parlare agli altri di quello che mi era successo. Non avrei retto le domande sul mio stato d’animo e simili che mi sarebbero piovute addosso da Ilenia e dagli altri, soprattutto da chi era un po’ apprensivo e parecchio affezionato, come Daniel e Angelica. La mia migliore amica non sapeva cosa mi fosse accaduto nei dettagli e per tutta la settimana passata a Nevepoli non aveva fatto altro che scervellarsi in cerca di una spiegazione.
«Bianca mi ha detto fin da subito di non parlare di te ai miei genitori. Nemmeno di nominarti» mi disse appena le raccontai cos’era successo e cosa avevo fatto in quei giorni. Fu molto comprensiva e stranamente delicata, con me, per molto tempo: non mi aspettavo tanto tatto da parte sua. Non l’avrei mai ringraziata abbastanza per come si comportò con me in quel periodo: era davvero l’unica persona con cui mi sentivo in grado di parlare in libertà di cosa mi passava per la testa, senza avere la minima vergogna ad esporre i miei pensieri o a descrivere emozioni.
Mi disse che aveva passato una settimana davvero bella, tranquilla e riposante, lontana anni luce dalla routine che aveva avuto fino ad allora - aveva visto pochissimo pure i suoi Pokémon, lasciando le loro Balls a casa di Bianca; tutto questo nonostante si fosse posta molte volte il problema della mia assenza.
Ai suoi genitori non era stato spiegato nulla del mondo Pokémon, Chiara avrebbe voluto dare loro chiarimenti, anziché inventarsi di essere stata ammessa in una scuola speciale a causa del suo talento nelle arti figurative. «Ti rendi conto? Bianca mi ha detto di trovare una giustificazione, ma che razza di giustificazione vuoi trovare in una situazione del genere?» sbuffò mentre me lo raccontava. «Comunque mi ha fatto avere un finto documento ufficiale in cui il sedicente preside parlava della mia condizione e del perché dovevo stare lontana da casa. Non ho letto il foglio, ma i miei genitori sono diventati docili docili grazie a quello!»
Appena furono rientrati tutti i ragazzi che erano andati via - Daniel, per esempio, fu tra gli ultimi ad essere di ritorno, Bellocchio convocò una sorta di riunione straordinaria di tutti noi giovani, assistito da Rocco e Camilla. Ci ritrovammo nella sala sotterranea che ospitava i campi per le lotte Pokémon; tutto sommato costituivamo un gruppo affatto sfoltito, noi studenti dell’Accademia.
Bellocchio, senza troppi preamboli, arrivò presto a parlare del motivo per cui eravamo stati tutti chiamati lì. «Abbiamo ragione di pensare che questo edificio, ora come ora, non sia più un luogo sicuro. Siamo sempre più convinti che il Victory Team stia aspettando l’occasione perfetta per attaccare l’Accademia, una delle strutture più sensibili delle Forze del Bene, per ovvi motivi.»
Nonostante la notizia del rapimento di alcuni ragazzi, tra cui io, non fosse stata diffusa tra tutti gli abitanti dell’Accademia, la nostra organizzazione aveva avuto modo di ufficializzare il nome del nemico, ovvero Victory Team. La notizia non aveva sortito molto stupore, anzi, era passata praticamente inosservata: difatti i più si erano abituati a riferirsi alla fazione avversa come “Nemico” e ancora non avevano abbandonato quel modo di chiamarlo. Ora che si aveva intenzione di farci trasferire altrove e abbandonare l’edificio - Bellocchio mi aveva anticipato quella novità, non sarebbe stato difficile far passare il tutto come un’altra scoperta. Tra noi giovani c’era il mito delle missioni segrete, compiute da spie e combattenti, che raccoglievano informazioni o mettevano fuori gioco un covo nemico: tutti avrebbero pensato, sicuramente, che il nome Victory Team fosse stato trovato in quel modo, così come gli indizi su un possibile piano d’attacco rivolto all’Accademia.
«Per questo motivo» riprese Bellocchio, «vi consigliamo di tenervi pronti per un trasferimento tempestivo, che avverrà il prima possibile e senza preavviso. La meta è ancora da decidere, probabilmente verrete divisi in gruppi e smistati in più delle nostre basi: il progetto è ancora in una fase embrionale. Voi iniziate a fare i preparativi, ricordatevi come si usano i teletrasporti in caso di evacuazione, perché potrebbero tornare utili. Il tempo stimato perché vi venga chiesto questo spostamento è meno di una settimana.
«Tenetevi stretti i vostri Pokémon, ormai è diventato obbligatorio, per voi, avere un contatto costante con la vostra squadra: non separatevene mai! Non ci sarebbe modo di perder tempo, in caso di pericolo, a cercare dove avete messo le Balls nelle vostre camere. Tutte le sfere devono essere riposte nelle apposite cinture e queste ultime dovete averle con voi in ogni momento, addosso quando non dormite e vicinissime quando siete a letto.»
Dopo le ultime raccomandazioni, Bellocchio se ne andò, accompagnato dal Campione Rocco. Molti ragazzi se ne andarono a recuperare le proprie squadre di Pokémon visto l’ordine di uno dei vertici delle Forze del Bene; io non feci in tempo a voltarmi per cercare Chiara che sentii qualcuno picchiettarmi una spalla. Mi girai e riuscii a non arrossire nell’incontrare il bel sorriso gentile di Daniel; le mie gote però non poterono fare a meno di colorarsi un po’ di rosso quando il ragazzo mi abbracciò.
«Ehi! Come stai? Com’è andata?» mi chiese subito, senza darmi il tempo di salutarlo.
«Tutto a posto» risposi. «Com’è andata dove?»
«A casa tua, no?»
Mi ci vollero due lunghi secondi di tempo per controllarmi e mentire, dicendo: «Bene.»
In giornata avevo incontrato Angelica e Melisse e con loro mi ero inventata qualcosa: gli raccontai le stesse balle - appena avessi incontrato altri amici, come Ilenia, avrei fatto lo stesso con loro - e gli raccontai molto vagamente del mio inesistente ritorno a casa, mentre la sala sotterranea si svuotava lentamente. Sperai che quelle poche parole lo soddisfacessero e gli chiesi come fosse andata a lui. Non prestai troppa attenzione al suo lungo e dettagliato racconto; nel frattempo uscimmo anche noi e, senza sapere cosa fare, andammo all’aperto, sul prato verde e ben curato della collina su cui si trovava l’Accademia.
 «Sinceramente, sono contento di andare da qualche altra parte» esordì dopo qualche momento di silenzio. Ci eravamo seduti sull’erba.
«Ti sei stancato di stare qui?»
«Perché, tu no?» sbuffò. «Va be’ che sei arrivata da neanche un anno… però a volte è davvero insopportabile, per me, stare qui a far finta di prepararci alla guerra. Come se ci stessero insegnando a combattere!»
«Una cosa che non capisco» mormorai, «è perché siano così incuranti nei nostri confronti. Non dovrebbero concentrarsi di più sui ragazzi che presto andranno a fare la guerra, anziché chiederci soltanto di fare amicizia con i Pokémon senza insegnarci niente di utile? Non che non sia buono tutto quello che ci fanno fare, eh… ma se penso che fuori dalle barriere in cui ci troviamo c’è la guerra tra i nostri e i Victory, anche se non a cielo aperto, la nostra mi sembra una situazione ridicola.»
«Bah! Non so cosa abbiano in mente Bellocchio e i suoi colleghi. Voglio solo sperare che sappiano cosa stanno facendo. Magari non ci stanno troppo con il fiato sul collo perché, dopo nove anni di guerra, finalmente stiamo arrivando alla sua fine… ma a questo punto mi aspetterei una spiegazione, delle novità, qualcosa di più.»
Annuii. Né io né Daniel eravamo esperti di strategie di guerra: per quanto mi riguardava, la mia ignoranza mi metteva in imbarazzo; però i movimenti delle Forze del Bene, che pure non ci erano affatto chiari, non mi parevano molto decisi. Avevo sempre più paura dei Victory, che ci avevano rapiti e avevano fatto sembrare la cosa poco meno di un gioco, uno scherzo fatto giusto per spaventarci. Bellocchio mi aveva detto che la mia partenza verso casa era stata un errore perché in quel periodo erano tutti molto impegnati sul fronte della guerra, pertanto non avevano effettuato controlli capillari nell’Accademia per decidere chi lasciar partire e individuare chi, come me, non doveva andare. Ma in che modo lo erano? Cosa stava succedendo e perché ci veniva detto poco e nulla?
Non potevo riferire a Daniel le parole dell’uomo, perché altrimenti avrei dovuto spiegargli perché ci eravamo incontrati e parlati. Non avevo voglia, non ancora perlomeno, di raccontare al ragazzo cosa fosse successo in realtà - ovvero che non ero affatto tornata a Nevepoli e che avevo versato innumerevoli lacrime per quello che le Forze del Bene mi avevano fatto. Non che non riponessi fiducia in lui, anzi, era una delle persone che ritenevo più affidabili, tra i miei amici: ma proprio non me la sentivo ancora di parlare a qualcun altro di cos’era accaduto. Lo avevo fatto con Sara, senza sapere bene cosa mi avesse spinta a farlo, e con Chiara, che era la mia migliore amica.
D’altronde, chi era Daniel se non il mio migliore amico? Non mi piaceva per niente l’idea di accontentarmi di una relazione d’amicizia, erano mesi che quella cotta persisteva. Era anche vero, però, che negli ultimi tempi era andata scemando: un po’ perché ero stata occupata a pensare al rapimento, il cui ricordo aveva impegnato la mia mente per settimane, un po’ per aver scoperto cos’era successo ai miei genitori, da almeno un mese non pensavo con insistenza e con tanto batticuore al ragazzo. Era stata solo una cottarella tipicamente adolescenziale? Quasi sicuramente sì, e poi, in quel caso, non era neanche la prima del suo genere.
Da un lato cercavo di convincermi che Daniel non mi piacesse più, ormai; dall’altro mi faceva stare proprio male il pensiero di rifiutare i miei sentimenti, nonostante fossero sicuramente ingenui. Non sapevo dirmi perché, ma più provavo ad allontanarmi da lui, più sentivo di star sbagliando, di dover provare ancora.
“Ma quando mai ho ‘provato’?” sbuffai tra me e me, mentre rispondevo distrattamente a qualche parola detta da Daniel. Infatti non ero il tipo di ragazza che cercava di avere avventure, che faceva di tutto per fare colpo su qualcuno, anzi: goffa e sensibile com’ero, sarei risultata ridicola. Non era nel mio carattere un modo di fare del genere: avrei aspettato che fosse stato qualcun altro, Daniel o chi dopo di lui, a fare il primo passo. Il mio migliore amico però non sembrava affatto interessato ad andare oltre. Almeno ricambiava pienamente i sentimenti di amicizia - magra consolazione! D’altra parte, non c’erano altre ragazze con cui era espansivo e disponibile come con me, e questo mi inorgogliva un po’: Melisse mi era sempre sembrata la sua più cara amica, ma stando a quanto mi dicevano Ilenia, Chiara e i miei stessi occhi, da moltissimo tempo l’avevo “superata”.
Mi ci volle un po’ per convincermene, ma alla fine ci riuscii. Dissi addio ai miei sentimenti per Daniel bollandoli come una banale cotta, magari non del tutto effimera: avrei sempre avuto dei riguardi nei suoi confronti.

Consultai il Pokédex e vidi che, secondo le sue statistiche, ad Altair mancava molto poco per evolversi. Perciò decisi di reclutare Gold per degli allenamenti giornalieri: volevo assolutamente che raggiungesse l’ultimo stadio prima che fossimo trasferiti chissà dove. Prima di lei ero riuscita a far evolvere Pearl, che si era trasformata in una Luxray forte e volenterosa; dopo aver fatto lo stesso con la mia prima compagna di avventure, mi sarei occupata di Diamond perché diventasse uno Staraptor. Avrei avuto finalmente una squadra completa.
Mi feci aiutare anche da Sara, Melisse e Angelica - nessuna delle tre era molto interessata alle lotte ed ero così riuscita, in un anno, ad eguagliarle; ma fu durante una lotta con il mio rivale per eccellenza che Altair raggiunse il suo obbiettivo. Era difficile tenergli testa con Swablu, lui aveva Pokémon molto potenti; mi assecondava e basta. Quando facevamo lotte serie, invece, il più delle volte aveva la meglio.
Così, mentre io andavo giù di mosse d’attacco, lui si impegnava per pazientare e ordinare solo mosse di stato non troppo minacciose: immaginai che i suoi Pokémon dovessero odiarmi. Appena Swablu si fosse evoluta, ero certa che me l’avrebbero fatta pagare con gli interessi.
Ciò non toglieva che Gold si divertisse, a volte, a farmi sudare i punti esperienza.
«Altair, usa Canto!»
«Ma anche no, Dragonair» rise durante una lotta in un giorno di metà luglio. Erano passate quasi due settimane dai fatti accaduti a Nevepoli. «Schiva e usa Tuononda.»
Non ricordo come, ma ne uscii vittoriosa - sempre grazie al buon cuore di Gold, certo; ma, pur tirandola molto per le lunghe, Dragonair recitò la sua parte e cadde esausto a terra.
Non guardai il Pokédex per avere rassicurazioni. Anche perché, prima che potessi fare qualsiasi cosa per accertarmi che stessimo come minimo sfiorando l’obbiettivo, il corpicino di Altair si illuminò. Trattenni il fiato, nonostante fossi sicura da tempo che, il giorno in cui fosse arrivata la sua evoluzione, non mi sarei fatta prendere dall’emozione. Dovetti ricredermi e infrangere l’ennesima promessa fatta a me stessa.
Portai le mani alla bocca mentre l’ormai conosciuta - ma sempre gradita - sfera di luce catturava la sagoma altrettanto brillante di Altair e si sollevava in aria, vorticante, acquistando sempre più velocità. Gold esclamò qualcosa a cui non prestai nemmeno attenzione, occupata com’ero a contemplare il momento, che per me aveva qualcosa di mistico. Non penso di essere mai stata tanto agitata ed euforica per l’evoluzione di un mio Pokémon.
Il rapporto che avevo con Altair era speciale, non solo perché era stata la mia prima compagna in quella realtà: a volte il suo schiamazzare mi risultava fastidioso, i primi tempi era stato difficile costruire un rapporto con lei, che era così iperattiva e rumorosa. Ma alla fine mi ero praticamente innamorata di lei: non mi importava se non era portata per le lotte come avrei voluto, i suoi difetti apparivano insignificanti se pensavo all’affetto e alla fiducia che riservava in me, la sua Allenatrice. Mi ero affezionata pure perché era un Pokémon cantante, gli Swablu e soprattutto gli Altaria erano conosciuti per l’eccezionale voce da soprano, e in un certo senso mi ricordava me e la mia abilità nel cantare, che possedevo per un motivo sconosciuto - nessuno nella mia famiglia aveva quel talento.
La sfera di luce, screziata di celeste e di blu, che era molto aumentata di dimensioni negli ultimi secondi, si frantumò in una miriade di schegge iridescenti. L’Altaria, la mia Altaria, spalancò le ali ricoperte molto più da cotone che da piume - queste ultime sembravano non essere presenti, sommerse dal resto della morbida, calda massa bianca. Subito il Pokémon si voltò verso di me, strillando e cantando di felicità; dopo essersi posata per un momento a terra, Altair mi volò incontro, incurante della paralisi che avrebbe dovuto ostacolarla nei movimenti, e mi cinse con le grandi ali. La strinsi forte: era sorprendentemente leggera.
«Ma come siamo belle» mormorai, ridendo piano, continuando ad accarezzarla. Avrei potuto continuare a vivere in quel momento, in quel preciso minuto, per molti giorni a venire, finché non mi fossi stancata anch’io - se mai fosse successo - della felicità che entrambe sembravano irradiare. O almeno, questo fu quello che mi disse Gold in un’occasione successiva.
Il ragazzetto ci raggiunse, tutto sorridente. «Allora, se non ti è di disturbo…» esordì, ma io lo interruppi.
«Adesso io e Altair andiamo in infermeria e riprendiamo la lotta. Penso che anche Dragonair abbia bisogno di essere rimesso in sesto!» Gold dovette essere più contento per la mia decisione di ricominciare a lottare che per l’evoluzione della mia compagna. 
Facemmo avanti e indietro dall’infermeria ed eravamo pronti a riprendere lo scontro tra Altair e Dragonair. Ma Gold non fece in tempo ad impartire il primo ordine che la terra iniziò a tremare.









Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ho appena iniziato a leggere le scan - tradotte in una maniera canina, ma vbb - di One Punch-Man, in un'ora e poco più ho letto parecchi capitoli. Continuavo a vedere immagini di Genos su internet, soprattutto su instagram, e mi ispirava un sacco di fangirlamento... quindi lo sto leggendo quasi solo per lui, il cyborg-biondino. Faccio pena? è una domanda retorica? Può darsi.
Devo ancora cominciare il prossimo capitolo, che sarà l'ultimo, e non vedo l'ora di finirla qui con questa storia. Non ce la faccio più ;; anche se ho una paura terribile a cominciare la terza parte...!
In uno dei primi capitoli ho detto che Sara arrivò all’Accademia tre anni prima di Eleonora, Angelica uno solo; non avevo minimamente pensato al fatto che avrei dovuto riscrivere la sua storia, per ragioni di trama… modificherò.
Btw vi saluto e più giù lascio un'altra nota per chi ha già finito anche la seconda parte, baci!






*NON LEGGERE NEANCHE QUESTO SE NON AVETE GIA’ FINITO LA SECONDA PARTE*
Sara ha sorpassato le barriere perché ha il Legame di Articuno; ovviamente sapeva già dell’esistenza dei Pokémon ma non ne aveva mai parlato con Angelica e family. Ha recitato, insomma, fingendo di non sapere cosa fosse lo Shinx di cui parla nel suo racconto.
  
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