Rieccomi qui,
cari lettori! Dopo l’esplosione iniziale nel fandom di Attacco dei Giganti, la
mia ispirazione sembrava essersi messa nuovamente in pausa, invece è riuscita a
cogliermi di sorpresa con questa breve storia estemporanea: è stata scritta all’improvvisata,
di getto, ma l’esperienza mi ha mostrato che, a volte, sono proprio queste le
storie che riescono più vere, e sono anche tra le più apprezzate. Ed eccomi
dunque qui, a incrociare le dita presentandovela.
Il punto di
partenza è stato l’episodio 9 della serie spin-off “Shingeki Chuugakkou” (non
credo la conosciate, ma vi consiglio di cercarla, è carina e spassosa XD),
incentrato appunto su questa coppia da un po’ di tempo nei miei pensieri, ma su
cui finora non avevo ancora scritto. In questo episodio ho ritrovato quelli che
potrebbero essere considerati i “cardini” di questo pairing, che qui ho deciso
di riproporre ed espandere un po’.
Mi auguro
apprezzerete: buona lettura!
Non capisco,
davvero non lo capisco.
Eppure
Berthold si è innamorato di me: perché mai ha fatto una cosa tanto stupida, mi
chiedo.
Ho mai fatto
qualcosa per meritarmi i suoi sentimenti? Ho mai dimostrato di essere una
persona bisognosa, o quantomeno degna, dell’amore di qualcuno?
D’altro canto,
chi sono io per parlare d’amore? Non me ne sono mai interessata, non credo
proprio faccia per me, e, almeno fino a poco tempo fa, nemmeno credevo di poter
interessare a qualcuno in tal senso.
Lo sguardo con
cui mi fissava comunque non lasciava adito a dubbi al riguardo: chiunque se ne
sarebbe accorto, credo ci sia arrivato persino quel bestione di Reiner. E dal
primo momento ho subito cominciato ad arrovellarmi il cervello su quel suo
assurdo invaghirsi di me, come un rompicapo che diventa presto l’assillo delle
tue giornate.
Come già
detto, non mi ritengo per nulla una persona capace di far innamorare qualcuno:
non è un caso se non ho amici, o rapporti di alcun genere, all’infuori di
quelli personalissimi che mi legano a Berthold e Reiner. Di cose come la
simpatia altrui non ho mai saputo che farmene, non ho mai rincorso
l’approvazione del prossimo, né ho mai sentito l’esigenza del suo bene: sono
perfettamente conscia di questo mio modo di essere, dell’istrice che sono, e la
distanza che esso pone con le persone intorno a me non mi ha mai preoccupato. Con
un carattere del genere, non vedo proprio come qualcuno possa arrivare a
nutrire simili sentimenti nei miei confronti.
Eppure quello
spilungone era riuscito nell’impossibile, e a quel punto allora non mi è
rimasto che chiedermi “A che mi serve
questo amore?”, c’è qualche modo in cui può giovarmi?
La prima
risposta che ho trovato è stata la più semplice, logica ed animale di tutte:
sfruttarlo per il mio corpo.
È cominciata
così, come un semplice modo per sfogare i miei bisogni di donna con un uomo che,
per qualche motivo che ancora non riuscivo a comprendere, smaniava per starmi
vicino: quindi che male ci poteva essere nell’accontentarlo? Io ne ricavavo
qualcosa, e lui pure ne era contento, superato l’iniziale momento di sgomento, chiaro…
Berthold si è
rivelato essere l’esatta immagine che già avevo di lui: enorme quanto
impacciato, gigantesco quanto timido, imponente nell’aspetto quanto morbido
all’interno. In quella sua disperata goffaggine mi sembrava di scorgere un
riflesso dell’autenticità dei sentimenti che aveva prima mostrato e poi detto
di avere per me; il suo buffo arrossire, il suo ridicolo balbettare, i
movimenti a singhiozzo con cui cercava di dare il massimo di sé per poter dare
piacere alla donna amata mi ispirarono da subito quel misto di tenerezza e di
pena che sanno ispirare le persone come lui. Forse era in fondo quel qualcosa
che mi piaceva di lui, e fatto sta che il mio corpo non può mentire sul fatto
di aver apprezzato davvero i suoi sforzi…
Ma lui, da
ragazzo innamorato, da povero idiota qual’era, non poteva certo accontentarsi
di quello.
Voleva di più:
camminare al mio fianco, guardarmi apertamente, non più di nascosto, vivere le
nostre giornate insieme, conoscermi, farsi conoscere, farsi amare.
Come se
potessi esserne capace.
È stato ciò su
cui mi sono interrogata dopo ovviamente. Al di là della sua dabbenaggine e
tutto il resto, non lo considero un ingenuo, né uno stupido: ha sempre saputo,
fin da subito, che i sentimenti che provava non erano corrisposti, e che
probabilmente non lo sarebbero mai stati. Allora perché, mi chiedo, è stato
tanto folle, da farsi avanti, e, dopo aver visto, giorno come giorno, le cose
restare così com’erano, da rimanere?
Anche adesso,
con le gambe penzoloni dal ciglio del muro, seduti vicini a contemplare il
mondo esterno spandersi sotto di noi, che lo sovrastiamo dall’altro del limite
che tramiamo di cancellare.
Perché sei qui
con me, non riesco a fare a meno di chiedermi, se sai che non sono capace di
amarti come desideri, e come penso tu meriti.
Sei una
persona buona Berthold, non dovresti nemmeno trovarti qui, non dovresti essere
dentro i tuoi panni, vestiti di scena di un ruolo per cui non sei fatto. Invece
sei seduto al mio fianco, malgrado io sia la persona più fredda e scostante che
tu abbia mai avuto la disgrazia di conoscere ed amare, e tanto ti basta, questa
mia presenza, neanche ti importa se non parliamo, se quasi mai tra noi apro
bocca per prima.
Ecco, anche
questo mi piace di te.
Non ti
importa. Con te non serve che io mi sforzi di parlare, di trovare un qualunque
argomento di conversazione quando non ho niente da dire, non serve ti faccia il
favore di sembrare meno solitaria con te di quanto lo sono con tutti gli altri:
sai che sono fatta così, e per questo per te non sono l’asociale del gruppo.
Sono solo Annie.
Accanto a te
posso essere me stessa, e non è nulla di diverso dal solito, ma posso esserlo
sapendo di avere al mio fianco qualcuno a cui va più che bene, che non giudica,
che dinanzi al cancello sbarrato delle mie mura non si allontana indifferente,
ma aspetta paziente il momento in cui quelle porte si apriranno, se e quando
desidereranno farlo.
Ho perso il
conto del tempo da cui siamo qui in silenzio: potrei rimanere così fino a
stanotte e tu, sciocco, rimarresti al mio fianco senza protestare e aprir
bocca, aspettando il momento in cui io, stufa, mi alzerò per tornarmene a casa,
accompagnata da te tutt’altro che stanco di avermi tra i piedi.
Non ti
comprendo, Berthold. Non lo comprendo, come tu abbia fatto a gettarti, di tua
volontà, in questo strazio, in questa relazione che definirla tale sembra così
difficile. Mi spiace, per me questo amore non è che una caterva di illogicità,
io stessa, in certi momenti, mi prenderei a schiaffi se mi avessi di fronte,
eppure, e questo è un altro motivo valido per schiaffeggiarmi, ho scoperto che
tutto ciò mi piace.
Una parte di
me, questa me che non si innamorerà mai di te, adora il fatto di essere amata,
esulta solo al pensiero che ci sia qualcuno capace di apprezzarmi e sopportarmi
tanto.
Sono così
felice e così in colpa per il fatto che mi ami.
Mi scopro così
essere nient’altro che una grande egoista, e contraddittoria, e illogica.
E mi chiedo se
questo egoismo non sia proprio quell’amore che anche tu cerchi da me, sotto
mentite spoglie.
Che idiozia.
Si può davvero accostare qualcosa che uomini, donne, poeti, scrittori e
benpensanti di ogni dove ed epoca non han fatto che decantare, come un coacervo
di tutte le positività dell’animo umano, a qualcosa di tanto basso? Dopotutto, io
di amore non ne capisco un accidente.
“Berthold.”
–apro bocca- “Tu pensi che l’amore possa essere egoista?”
Alza lo
sguardo e riflette sulle mie parole, ma a un certo punto si acciglia, e poi
assume un espressione strana.
“Annie,
aspetta, non è che è un modo per chiedermi se io ti consideri egoista, vero?”
–strabuzza gli occhi preoccupato, ed eccolo in un istante ritrasformarsi nel
mio personale, tenero e penoso spasimante, dalla parlata trafelata e lo sguardo
imbarazzato e sfuggente- “N-no, niente affatto se è così, sappilo! Non potrei
mai! Non è che pensi io sia arrabbiato o annoiato perché non dici una parola,
vero? A-a me va bene anche così, non ti ritengo…”
La mia risata
lo pietrifica.
E mentre il
suo eco si spegne nell’aria, e il mio sorriso rimane, ancora un solo attimo,
come l’ultimo tizzone a testimoniare del fuoco divampato poco prima, guardo la
sua espressione dolce di chi non ha mai visto un incendio tanto bello, e in
cuor mio capisco.
Di amore non
ne capisco niente, e non mi interessa capire, ma non ho mai riso davanti a
qualcuno.
Né lo farei
davanti a chiunque altro al mondo.
Torno a
guardare davanti a me, e lui, anche se dopo un po’, fa lo stesso. Forse desidererebbe
altro, sentire ancora la mia voce, parlare ancora un po’.
Ma sono una
tipa silenziosa, e una immane egoista. E a lui sta bene anche così.
E ancora un’altra
delle mie coppie preferite di questa serie ha ricevuto il mio tributo! Devo
dire che, avendo scritto principalmente LeviHan, ne mancano ancora parecchie
all’appello… Poco alla volta magari… XD
Intanto, se,
come dice il poeta, “Amor che a nullo
amato amar perdona”, sembra proprio che, sebbene per ora tra questi due sia
ancora a senso unico, Annie stia iniziando ad accorgersi del fascino che ha
questa cosa tanto strana che è l’amore, e che, a dispetto delle convinzioni che
ha di sé, qualcosa possa nascere anche in lei.
Spero di aver
fatto un buon lavoro con l’introspezione, e di esservi riuscito a farvi
intenerire ed apprezzare questi due assieme ^_°
Alla prossima!