22 dicembre - compleanno di Seifer Almasy
I pensieri di Seifer appena prima della battaglia fra i
due Garden di Galbadia e Balamb:
"Un tempo mi giudicavano.
[...]
Ora guardatemi".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Seifer Almasy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Un tempo mi giudicavano.
Un tempo dicevano che ero diverso, troppo deforme rispetto allo stampo
che avevano predisposto per me. Che altri avevano
predisposto per me.
Un tempo la mia colpa era aver deciso chi essere, chi accettare se
non me stesso.
Un tempo io
ero il mio Ego
e per questo dicevano che ero pieno di me.
Dicevano che la mia superbia non sarebbe stata la chiave per tutte le
porte che avrei potuto aprire, che la mia forza sarebbe stata cieca
senza la mente a guidarla, che il mio braccio sarebbe stato un inutile
e avventato prolungamento della mia egocentrica personalità,
che vivevo perennemente sul mio piedistallo al di sopra della
realtà.
Un tempo dicevano che i miei passi di corsa all'inseguimento del mio
glorioso destino mi avrebbero portato a fallire ripetutamente, a
inciampare continuamente, a cadere inesorabilmente.
Dicevano che avrei sognato all'infinito la mia meta irraggiungibile, la
mia gloria intangibile, le mie parole alate.
Un tempo nessuno
mi conosceva.
Un tempo nessuno
mi ha mai creduto veramente. Ora
guardatemi.
Il Garden di Galbadia si solleva appena sopra le chiome del bosco in
cui è rimasto nascosto finora, come un cacciatore che
attende silente l'arrivo della preda.
Ed eccola lì la sua preda,
ad appena poche centinaia di metri di distanza.
Il Garden di Balamb si sta avvicinando via mare, senza sfiorarne la
superficie ma abbastanza vicino da incresparne profondamente le acque,
generando onde che scivolano via le une con le altre in un turbinio di
schiuma bianca.
Quando il Garden di Galbadia comincia ad avanzare in direzione del
mare, la sua aura luminosa attraversa le foglie degli alberi,
crepitanti sotto l'aria sollevatasi nello spostamento, e la sua figura
emerge improvvisamente dal bosco.
Posso immaginare l'effetto che fa una simile immagine: il rosso sangue
del nostro Garden che si staglia minacciosamente contro l'azzurro
perfetto del cielo, quasi a indicare che non dovrebbe affatto essere
lì, che è tutto uno sbaglio. Un tempo lo ero anche
io, un terribile errore in un mondo che non era abbastanza grande per
me.
Il Garden di Balamb ha nel frattempo raggiunto la spiaggia e
lì si è fermato, fluttuando appena sopra la linea
dell'orizzonte; il suo azzurro lucido invece non è una nota
stonata, non contrasta minimamente con il cielo sopra di lui o con il
mare alle sue spalle. Un tempo conoscevo una
persona che era perfettamente adatta a quel mondo che invece rigettava
me.
Combattere o ritirarsi?
Un tempo mi dicevano che un buon comandante trovava sempre difficile
rispondere seccamente a questa domanda: le alternative erano
completamente opposte, così come le conseguenze che ne
derivavano.
Dal canto mio, l'ho sempre trovato un mare di stronzate.
Un comandante è uno stratega e uno stratega deve saper
giocare con la situazione sempre a proprio vantaggio, svelando e
celando le proprie carte al momento opportuno, senza esitare.
Un comandante non spreca mai tempo in futili previsioni, inutili
accortezze, vane preoccupazioni.
Un comandante sa già qual è la decisione migliore
per poter sfruttare al meglio ciò che la situazione gli
offre.
Io mi auguro che, chiunque sia, il comandante del Garden di Balamb
consideri anche il fatto che la ritirata non sia un'opzione facilmente
realizzabile; perlomeno, non con tutti i nostri cannoni pronti ad
aprire il fuoco. Chiunque sia...ho
un vago sospetto al riguardo, sospetto che ha un'alta percentuale di
vicinanza alla realtà. Ciò renderebbe la
situazione alquanto divertente, devo ammetterlo.
Sì, non è divertente il fatto che io stia
attaccando quella che fino a pochi mesi fa era, mio malgrado, casa mia?
Dovrei vergognarmene.
Quale ingratitudine, voltare le spalle e andarsene, anzi fuggire
precipitosamente senza ringraziare, come un animale che cerca la
libertà dal recinto che gliel'ha sempre negata; e poi
ricomparire all'improvviso nelle vesti del nemico, fedele a tutt'altro
nome, per esigere il pagamento di un debito per cui le scuse non sono
più sufficienti.
Sul serio, dovrei
vergognarmene; ma io non so cosa sia la vergogna, uno come me non ne ha
mai avuto bisogno.
Uno come me ha passato la prima parte della sua vita a sentirsi
elencare tutto ciò che non andava nel suo carattere, ma
senza cambiare di una virgola. Questa è stata chiamata
testardaggine, un tempo. Io preferisco definirla integrità,
il che implica qualche differenza.
E' l'integrità di chi rifiuta di cambiare per gli altri,
certo che ci sia comunque un posto preparato per lui da qualcuno
che non cercherà mai di scavare nel profondo del suo essere
per dileguare tutti i fantasmi che lo ossessionano, ma che, al
contrario, li alimenterà al punto da renderli vivi e
sussurranti dentro di lui, al punto da dargli il potere di diventare
chiunque vorrà.
Allora guardate, guardate
chi sono diventato.
Un tempo vi riempivate la bocca del mio nome, sputando per terra quando
lo pronunciavate, deformando il vostro viso in una smorfia di
disprezzo, emettendo il fiato in sospiri rassegnati, scuotendo le teste
per dissimulare i pregiudizi, sbattendo i pugni per farmi battere
ciglio.
Volete vedere dove sono finiti tutti i vostri pregiudizi, volete vedere
i segni che hanno lasciato sulla mia pelle, dentro la mia anima
inaccessibile?
Dovete avvicinarvi, cari miei. Dovete venire molto vicino.
Il Garden di Balamb ha un improvviso sussulto prima di scivolare
leggermente in avanti, accolto con soddisfazione dal mio sguardo.
A quanto pare non sono
l'unico a voler dimostrare qualcosa, oggi.
Cosa devo mettere in mostra, io? Solo me stesso.
E' vero, ho passato tutta la mia vita a mettermi in mostra e l'ho fatto
nel modo migliore possibile: eccellendo.
Tuttavia, qualcuno
mi ha rubato la scena giocando a fare l'innocente, la vittima,
sfruttando il buonismo facile di chi è stato tanto ingenuo
da crederci.
Mi sono guadagnato una reputazione praticamente perfetta, alimentata
dal sudore della mia fronte e dal clangore incessante del metallo del
mio fedele Gunblade, per vederla cadere semplicemente a terra come un
drappo o il sipario di un palco, senza nemmeno fare rumore e
così vicina al terreno da poter essere calpestata e coperta
di sputi, di insulti, di umiliazioni...di rifiuti. Quante bocciature, da
allora.
Detesto ripensarci, ma l'ultima è stata la più
umiliante, una macchia enorme sul tessuto della mia reputazione.
L'ultima mi ha persino tolto le parole di protesta dalla bocca, ha
versato solo veleno nelle mie vene e ha estirpato tutte le mie radici,
chiamandomi non più a lottare per la sopravvivenza ma ad
andarmene per ciò che mi aspettava.
E ad aspettarmi erano altro sudore, altre lotte, altre notti in bianco
a fissare il soffitto, altre imposizioni sul mio Ego smisurato.
Ma alla fine...ecco la
mia ricompensa.
Annientare il Garden di Balamb non rappresenta il mio traguardo ultimo,
ma la prima tappa per infliggere il colpo di grazia a un passato che
non ho mai interiorizzato, che è sempre rimasto distante ed
estraneo a me, pur avendolo conosciuto molto bene; ed è
proprio per questo sottile quanto fastidioso legame che ora sono qui in
piedi al comando dell'esercito di Galbadia, in attesa di dare l'ordine
d'attacco.
In attesa di poter infrangere veramente quell' "un tempo" in un "ora" che
è sempre più impellente ogni secondo che passa e
in cui mi scopro a scrutare la sagoma del Garden davanti a me per
cercare di intravedere il viso della figura che si trova sul ponte di
comando.
Un tempo io
ero sempre fuori posto. Un tempo
lui non era mai dalla parte del torto. Ora mi
viene da ridere nell'assaporare l'ironia di un destino a cui
evidentemente piacciono molto le coincidenze.
Questo perché mentre il Garden di Galbadia, scintillante di
rosso, sfreccia dritto verso l'obiettivo, del suo immacolato azzurro,
le distanze si allentano tanto quanto basta perché io possa
distinguere la figura del comandante abbastanza da riconoscerla.
Non è passato molto tempo da quando ci siamo rivisti, comandante
Leonhart. Spero che nel frattempo tu non ti sia scordato i passi della danza degli opposti.
Me lo ricordo bene quel giorno. Ogni volta che mi guardo allo specchio,
per la precisione.
Ma la sai una cosa, Squall? Io non me ne sono mai pentito una volta e
non potrei immaginare un esito diverso da quello che abbiamo
effettivamente ottenuto. Eravamo entrambi arrabbiati, entrambi curiosi
l'uno dell'altro, entrambi certi di essere il lato giusto dello
specchio in cui l'altro diceva di riflettersi.
Ho riflettuto a lungo, Squall. Ho riflettuto dopo il nostro ultimo
scontro, in cui hai prevalso tu sul mio furore cieco e ancora
incontrollato; ho riflettuto mentre osservavo il tuo corpo in preda
alle convulsioni, nella sala delle torture della Prigione del Deserto. Un tempo
credevo di essere io
quello dal lato giusto dello specchio, quello che in esso vedeva te, il
riflesso di ciò che sarebbe dovuto essere. Ora non ne
sono più convinto e lo sai perché?
Perché anche se io e te sembriamo provenire dallo stesso
stampo, io
sono il lato più oscuro della nostra medaglia; di
conseguenza, nello specchio non vedo più la tua immagine
perché non è te ciò che dovrei essere.
Io non devo
più essere te perché sono già
me stesso in un mondo che mi vuole così come sono. Un tempo
non sapevo distinguere tra essere
e dover
essere. Mi dicevano semplicemente di dover essere, come
se il passaggio dal primo al secondo fosse univocamente in quel senso. Ora basta
guardarmi per capire che ho trovato la mia strada, che mi dà
l'ardire di rinnegare il mio passato persino quando me lo ritrovo
davanti. Specialmente
quando me lo ritrovo davanti.
Guardatemi,
dunque.
Preside Cid, prof.ssa Trepe, SeeD Shu, Dott. Kadowaki, guardate il
ragazzo fallito di un
tempo, il SeeD perennemente mancato, la pecora nera del
Garden.
E poi tutti voialtri SeeD, gallinaccio, portaordini, damerino...guardate anche voi
quanto sia inutile il titolo di cui vi fregiate, quanto vicina sia la
gloria, la ricompensa di chi non ha mai rinnegato se stesso per
accontentare gli altri.
Chiamatemi traditore, ve lo concedo pure.
Chiamatemi codardo perché sono fuggito, chiamatemi servo
perché sono il Cavaliere della Strega, chiamatemi fallito
perché non sono un SeeD.
Chiamatemi anche nemico, nella vostra folle ottica di difensori della
pace. Il bene o il male per me sono concetti relativi,
perché sono rimasto sempre lo stesso egoista che combatte
prima per se stesso.
Chiamatemi come volete insomma, ma guardatemi.
Guardatemi e fate i conti con la realizzazione, a vostro discapito, del
mio sogno romantico.