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Autore: ornylumi    28/12/2015    6 recensioni
1. Sorrisi: Il viaggio da New York a Storybrooke di Emma, Killian e Henry, relativo alla puntata 3x12. Una possibile esplorazione di ciò che non ci è stato detto, tra scuse, richieste di sorrisi e ricordi dell'anno precedente.
2. Tasselli: Una breve parentesi mai raccontata, ma possibile, durante il viaggio nel passato della 3x21. Quando rabbia, gelosia e amore si confondono, le conseguenze potrebbero essere imprevedibili.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sorrisi

 
(missing moment 3x12)

Procedevano in quel modo da alcune ore. Su una strada dritta e sempre uguale, tanto lunga da sembrare infinita, stipati in quella strana carrozza gialla che, un anno prima, aveva condotto Emma e Henry fuori dal confine della città, lontani dalla famiglia e dai loro veri ricordi. Adesso, in circostanze opposte, li stava riportando a casa: la differenza era in un ospite in più su uno dei sedili, e nel fatto che non tutti i presenti avessero piena coscienza di cosa stava succedendo. Qualcuno, anzi, era stato strappato dalle sue abitudini in maniera tanto repentina quanto sospetta, e non aveva mancato di esternare i propri dubbi fin dall’inizio di quel viaggio.

In altre parole, il ragazzino l’aveva riempito di domande. Voleva sapere chi era, da dove veniva, cosa faceva nella vita e di quale caso dovessero occuparsi. Non era stato semplice tenergli testa, bisognava ammetterlo: nei momenti in cui l’aveva messo in seria difficoltà con i termini tipici del suo mondo, era stata Emma a intervenire, inventando scaltramente bugie che erano anche delle mezze verità. Mentire a suo figlio le pesava, era evidente dal tono di voce e dallo sguardo spento, ma sapeva di star facendo la cosa giusta nonché l’unica possibile. Era lo sceriffo a parlare, la donna tenace che aveva imparato a farsi scudo da sola mettendo da parte le proprie fragilità, affinché Henry non dovesse mai bastare a se stesso com’era stata costretta a fare lei. Killian aveva imparato a conoscere questo lato di Emma dal giorno in cui l’aveva incontrata, quando aveva riconosciuto nei suoi occhi ciò che tutti i bimbi sperduti condividono: l’amarezza di essere cresciuti da soli. Ciò che non le aveva detto, allora, era che quella consapevolezza non gli veniva solo dall’aver incontrato decine di orfani sull’Isola Che Non C’è; lui stesso era stato un bambino abbandonato e, come tale, aveva avvertito un’immediata connessione con lei. Era lo stesso motivo per cui, quando intravedeva il dolore e la solitudine dietro la maschera della leader, avrebbe voluto essere per lei ciò che quella bambina non aveva mai avuto: qualcuno a cui appoggiarsi, la possibilità di mostrarsi deboli e lasciare che un’altra persona, per una volta, si prendesse carico dei suoi fardelli. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia e lasciarla sfogare, ma sapeva che lei non l’avrebbe permesso; non Emma Swan, non in quel momento. O forse, come pensava negli attimi di maggiore pessimismo, non l’avrebbe mai concesso a lui.

In qualche modo, erano poi usciti da quell’imbarazzante situazione. Dopo aver appurato che Killian era un marinaio quasi perennemente in viaggio e che i dettagli di quella faccenda erano troppo complessi perché Henry se ne dovesse preoccupare, il ragazzino aveva smesso di fare domande. Si era messo a giocare con quel suo arnese dal nome impronunciabile e poco più tardi avevano sentito il suo respiro farsi pesante, segno che si era addormentato. Emma gli aveva lanciato uno sguardo carico d’amore attraverso lo specchietto e finalmente aveva iniziato a rilassarsi, pur se non aveva più parlato. Fissava la strada davanti a sé come se fosse l’unica cosa che contasse, arrivare a quella maledetta destinazione che per dovere, più che per volontà, si stava impegnando a raggiungere.

Se c’era una cosa Killian che aveva imparato, dopo i momenti vissuti a contatto di quella bellissima quanto ostinata donna, era che ad aspettare una sua mossa si rischiava di diventare vecchi. Bisognava darle una spinta, un’apertura verso ciò che entrambi volevano prima ancora che comprendesse di volerlo; per questo, anche quella volta, fu lui il primo a parlare.

“Tuo figlio non è cambiato di una virgola. Curioso e testardo come lo ricordavo! Mi chiedo da chi abbia preso…”

Emma gli lanciò solo un’occhiata veloce, prima di rispondere evitando completamente la sua allusione: “Gli ho detto senza tante spiegazioni che partivamo e che avrebbe saltato la scuola, è normale che sia confuso. E io non voglio sconvolgergli la vita più del necessario.”

“Lo so, ma se può consolarti, a me sembra sereno. Qualunque ragazzino è entusiasta di fare un viaggio, non importa da quale mondo provenga. Se non altro, sorride molto più di sua madre.”

Altra occhiata, più fugace e spazientita della precedente. Questa volta aveva colpito nel segno. “Uncino, se vuoi dirmi qualcosa, fallo e basta.”

“Dico solo che da quando siamo entrati in questa…” oh, accidenti, “macchina non hai sorriso nemmeno una volta. È così terribile per te tornare a Storybrooke?”

“Be’, scusa se non faccio i salti di gioia all’idea di tornarci in queste condizioni. Non so se troverò i miei genitori, come li troverò o se ricorderanno chi sono. Fino a ieri ero una madre con una vita normale, adesso dovrò affrontare un nuovo sortilegio scagliato da chissà quale cattivo delle fiabe. Ci farò l’abitudine, ma mi serve tempo.”

Ogni sua parola era intrisa di amarezza, e fece male. Ma tirare fuori le sue emozioni era già un primo passo. “Guarda il lato positivo… quella che ti aspetta non sarà la vita ideale, ma almeno è vera. Niente più ricordi costruiti da Regina.”

Emma aprì la bocca per ribattere e la richiuse immediatamente, come se ci avesse ripensato. Poi tagliò corto: “Ne abbiamo già parlato.” Quando esordiva così, l'argomento per lei era chiuso. Killian non insisté.

“E tu, invece? Hai quel sorriso stampato in faccia da stamattina, cosa ti rende così contento?”

Cosa? Accidenti, tutto si era aspettato meno che lei gli rigirasse la domanda. E nell’esatto istante in cui l'ascoltò, capì che aveva ragione: non si sentiva così felice da molto, molto tempo.

Che motivo avrebbe avuto per esserlo? L’ultimo anno era stato poco più che una lotta per sopravvivere, un disperato tentativo di tornare alla vecchia vita da pirata che chiaramente non gli bastava più. Si era illuso, dopo aver ritrovato la Jolly Roger, che le cose sarebbero pian piano tornate al loro posto, il tempo e l’abitudine avrebbero vinto sui suoi dolorosi pensieri e gli avrebbero fatto a guardare a quel passato come una semplice parentesi della sua lunghissima vita. Ma non era successo, mai; l’aver intravisto, anche solo per un attimo, la possibilità di dare un senso alla sua esistenza che non includesse vendetta e battaglie gli aveva reso miserabile la sua condizione attuale. L’opportunità di amare di nuovo, di tornare a essere una persona di cui suo fratello Liam sarebbe stato fiero aveva un volto e un nome, capelli dorati come la luce ed era inesorabilmente, insopportabilmente lontana da lui. Per sempre.

Aveva promesso che l’avrebbe pensata ogni giorno, sul maledetto confine di quella città. L’aveva fatto davvero. Ogni volta che il sole sorgeva o calava all’orizzonte, si era impegnato a rievocare un ricordo di lei. Non perché non lo facesse comunque, anche più di una volta al giorno e contro la sua volontà, ma per evitare che la sua mente impazzisse rivivendo sempre la stessa scena: una frase provocatoria, prontamente seguita da una risposta; le mani di Emma sul bavero della sua giacca, il suo viso di colpo così vicino; le labbra che si incontravano, dopo settimane di sguardi intensi e malcelate allusioni, iniziando una vera e propria lotta per il possesso, senza cautela o tentennamenti ma solo una straripante passione; e infine, prima ancora che lui avesse il tempo di pensare sì, è accaduto davvero, Emma era già distante, respirava a pochi centimetri dalla sua bocca come se cercasse di riprendere il controllo, prima di allontanarsi del tutto e precisare che non sarebbe più accaduto. Quel momento era stato la sua rovina, l’assaggio di qualcosa che, fino ad allora, non si era accorto di desiderare a tal punto. Credeva di volerla come aveva voluto altre donne, perché era bella, tenace e in grado di tenergli testa; pensava che un momento con lei non gli sarebbe dispiaciuto affatto, ma nel caso non fosse successo, si sarebbe semplicemente rassegnato. Quel bacio aveva rivelato quanto si sbagliasse, portando alla luce una spaventosa consapevolezza: si stava innamorando di lei. Dopo duecento anni, il suo cuore arido e annerito stava riprendendo a funzionare, e un nuovo tormento era appena iniziato.

Quel ricordo, per quanto bello, era diventato ancor più doloroso dopo che la possibilità di conquistarla era svanita con lei, insieme a ogni memoria dalla mente di Emma. Anche gli altri momenti che avevano condiviso meritavano di restare vivi, almeno dentro di lui, così non li aveva lasciati andare: la loro prima avventura sulla pianta di fagioli, quando l’aveva definita un libro aperto e le aveva fasciato una mano; lo scontro con le spade, la tentazione irresistibile di flirtare con lei e l’ammirazione provata quando Emma l’aveva sconfitto; quel giorno in ospedale, il suo tono autoritario e attraente mentre gli chiedeva di Cora; il momento in cui era tornato da lei, con quel fagiolo magico, per essere “parte di qualcosa”; quando le aveva dato la spada di Baelfire per infonderle coraggio; quando le aveva passato una noce di cocco e lei aveva sorriso; quando le aveva detto che avrebbe vinto il suo cuore, lo sguardo stupito ed emozionato che era riuscito a strapparle; e quelle lacrime sul suo viso, l’ultimo giorno a Storybrooke, che parlavano di qualcosa che poteva essere e non sarebbe mai stato, per un motivo che andava oltre la loro volontà. Quando poi i ricordi si erano esauriti, le fantasie avevano preso il loro posto, stuzzicandogli la mente con mille possibili scenari che la realtà non gli aveva ancora presentato. A volte, pensava alle piccole cose: come sarebbe stato rimanere con lei nel suo mondo, uscire una sera a cena, raccontarle della propria vita e conoscere qualcosa in più della sua; immaginava di farla ridere, cancellare i dolori del loro passato con qualche sorso di rum e una battuta allusiva che lei avrebbe finto di non apprezzare. Altre volte, si spingeva oltre e sognava una possibile evoluzione del loro rapporto: gli approcci del suo ex che si risolvevano in un nulla di fatto, perché lui le aveva fatto troppo male ed Emma non poteva dimenticarlo, né fingere di essere la stessa ragazzina ingenua che l’aveva amato anni prima. Così, una notte, i suoi passi la portavano sulla Jolly Roger e nella cabina del capitano, lasciando che i sentimenti a lungo sopiti vedessero finalmente la luce. Conoscendola, non gli avrebbe neppure parlato: si sarebbe limitata a baciarlo, un bacio lento e sensuale da togliere il fiato, diverso dal fuoco dirompente dell’Isola Che Non C’è e in qualche modo migliore, un bacio pieno di promesse. Forse, si sarebbe lasciata andare; gli avrebbe concesso di scoprire quella sua pelle perfetta e adorarne ogni centimetro, avrebbe gridato il suo nome, il suo vero nome sotto le carezze della sua mano esperta. Lui l'avrebbe trattata come la principessa che era, spingendo nell'oblio ogni giorno in cui si era sentita sola e smarrita. Ma quello, di solito, era il punto in cui era costretto a frenarsi: il sangue ribolliva di passione e tormento, il desiderio diventava rabbia e colpiva ogni cosa attorno a sé, un cassetto, un cero, un doblone delle sue razzie. Si sforzava di tornare alla realtà e convincersi che nulla di tutto ciò sarebbe successo, che lei era lontana, legata a una nuova vita e magari a un nuovo amore. Fino a quando, dopo aver bevuto al punto da sentire la testa girare, si stendeva sul letto e la vedeva lì, di nuovo, seduta in un angolo della cabina; il suo sorriso dolce e beffardo, quello scuotere il capo con aria scettica come a volergli dire: “credevi davvero che bastasse così poco a dimenticarmi?” Allora si rassegnava, voltandosi verso la parete e abbracciando il suo corpo invisibile, pronto a calarsi nei sogni che avevano ancora come protagonista lei.

Quello era stato l'anno del prode Capitan Uncino nella Foresta Incantata, un uomo che aveva sperimentato sulla propria pelle cosa voleva dire essere stato un eroe e tornare un cattivo, un guscio vuoto senza più l’anima. Solo quando quell’uccello si era avvicinato alla sua nave, portando con sé un messaggio e una pozione, la realtà era tornata ad avere un senso: finalmente aveva di nuovo un obiettivo, uno di cui gli importasse davvero. Se c’era anche solo una speranza di riunire il suo destino a quello di Emma, allora l’avrebbe inseguita ad ogni costo, non importava quanto alto. E l’aveva fatto: ciò che di più caro possedeva era stato sacrificato in suo nome, ma rivederla sull’uscio di quella porta era bastato a ripagarlo di tutto. Certo che era felice, dunque, di trovarsi lì con lei, poterla di nuovo guardare e toccare e imprimersi nei suoi ricordi. Davvero non lo capiva? Forse sì, ma ammetterlo avrebbe causato una voragine a quei muri dietro i quali si proteggeva. Non stava a lui sgretolarli, non in una maniera così netta che avrebbe potuto destabilizzarla.

“Be’, non è ovvio? Sono un pirata, tesoro. Vivo di avventure, e cosa c’è di meglio di una visita a una città incantata senza avere la minima idea di cosa ci aspetta? In più, sono con la salvatrice: ho praticamente la vittoria in tasca.”

Emma si voltò di nuovo, questa volta distogliendosi dalla strada più a lungo per scrutare le sue espressioni. Se capì che stava mentendo, non lo diede a vedere.

“Vorrei avere il tuo stesso ottimismo” disse soltanto. Nessuno stimolo o alzata di sopracciglio sembrava avere effetto sul suo umore.

“Ce la farai, Swan, come sempre. Ti avevo detto che avresti salvato Henry da Pan e così è stato. Devi solo avere fiducia.”

Emma strinse le labbra, in un gesto che non era propriamente un sorriso ma assomigliava a un tentativo di farsi forza. Dopo qualche istante di silenzio, aggiunse: “A proposito… credo di non averti ancora chiesto scusa. Per averti fatto arrestare e… per il calcio.”

Per un momento, Killian fu così sorpreso che non seppe come risponderle. Non ci pensava neanche più a quelle reazioni, anzi, le aveva considerate normali data la situazione in cui erano. Doveva essere serio o stuzzicarla? Gli stava servendo la battuta su un piatto d’argento… e un gentiluomo non poteva rifiutare una così gentile offerta.

“Oh, questo è interessante. Quindi, la prossima volta che ti bacerò non dovrò aspettarmi nessun contraccolpo violento?”

Lo shock di Emma sembrò riversarsi anche sul veicolo, che sobbalzò durante la corsa. “Non ci sarà una prossima volta! Ho recuperato i miei ricordi e tu non hai più scuse.”

“Ma io non ho bisogno di scuse per baciarti, Swan…”

“Ah, no? Eppure ricordo una certa richiesta di ringraziamenti dopo aver salvato mio padre. Una richiesta specifica.”

“Felice di notare che la tua memoria è tornata perfettamente. Ma quella scusa non serviva a me… serviva a te.”

Lo scrutò ancora sotto le sue lunghe ciglia, incredula davanti a ciò che aveva appena ascoltato. Forse era un pazzo o un masochista, ma adorava sorprenderla e farla anche un po’ arrabbiare. “Cosa vuoi dire?”

“È semplice, tesoro. Per quanto ti ostini a negarlo, sappiamo entrambi che non sei mai stata indifferente al fascino del qui presente pirata… non lo eri sull’Isola Che Non C’è e tantomeno prima. Ma naturalmente, sarebbe stato poco appropriato saltarmi addosso mentre eravamo impegnati a cercare tuo figlio. Quello che ti serviva era un pretesto, ed io te l’ho fornito.”

“Ah, questa è bella!” gli sembrò di avvertire una nota divertita nel suo tono, più che indignata. “Quindi, secondo la tua brillante teoria dovrei anche ringraziarti?”

“Non serve, Swan. È stato un vero piacere.” Calcò volutamente sull’ultima parola, ammiccando. Poi si sporse leggermente verso di lei e aggiunse in un sussurro: “Sempre che tu non abbia in mente un ringraziamento specifico.”

Quella volta non poté sbagliarsi: le labbra di Emma si inarcarono in maniera più che evidente e la sentì persino ridacchiare, per qualche miracoloso secondo. Era una prima quanto importante conquista.

“E siamo a uno” commentò, senza nascondere un certo autocompiacimento.

“Uno cosa?”

“Sorriso, naturalmente.”

“Aspetta, hai intenzione di contare tutti i miei sorrisi?”

“Sperando che una mano non mi basti, sì. E magari che i prossimi durino più a lungo.”

Emma scosse la testa, ma non era realmente esasperata. Doveva essersi accorta che, in effetti, quello stupido battibecco l'aveva distratta da tutte le sue preoccupazioni. Era stato quello l’unico scopo di Killian, fin dall’inizio.

“Emma… ” le disse poi, dopo che entrambi erano rimasti in silenzio, “sono sicuro che alla fine di questa storia avrai mille motivi per sorridere. Sorridere davvero.”

Lei annuì, ma non sembrava meno spezzata di un attimo prima. Killian provò il forte impulso di prendere la sua mano e stringerla nella propria, per scaldarla e posarle un lieve bacio sulle nocche, ma sapeva che non era il momento giusto – e non solo perché lei era impegnata a guidare. Fortunatamente era un uomo paziente; un giorno sarebbe stato lui la causa di quei sorrisi e, per riceverli, non sarebbe dovuto ricorrere a qualche gioco di parole. Avrebbe potuto essere sincero fino in fondo, nella speranza che il sorriso più bello arrivasse in un momento speciale: quando le avrebbe detto che l’amava. Ma adesso era troppo presto, Emma doveva riabituarsi alla sua vecchia vita, accettare la propria famiglia e la realtà da cui proveniva come ancora non era riuscita a fare e solo allora – forse – avrebbe potuto aprirgli il suo cuore.

“Grazie, Killian.” La sua voce flebile lo colse alla sprovvista, giacché si era ritirato nei propri pensieri. “Dico davvero.”

Non trovando parole adatte, si limitò a sorriderle con tutta l’emozione che quella semplice frase gli provocava. E, nel mentre, neppure fece caso al dettaglio più importante: per la prima volta in assenza di Henry, Emma l’aveva chiamato con il suo vero nome.


Note:

Ciao a tutti! Dopo un'assenza dal sito di più di sei mesi, almeno come scrittrice, torno finalmente a pubblicare qualcosa, perché si sa che troppo tempo senza scrivere non ci so stare. Nuovo fandom, un missing moment e per protagonista la coppia che mi ha rubato il cuore, l'OTP delle OTP, la ship suprema e ineguagliabile e... Insomma, avete capito. E' una piccola storia senza molte pretese che va a riempire uno spazio lasciato alla nostra immaginazione, quel viaggio da New York a Storybrooke in cui un po' tutti - credo - ci siamo chiesti cosa mai possono essersi detti i nostri beniamini. Questa è la mia versione, partita dall'idea che Emma avrebbe potuto chiedere scusa a Killian per il calcio e arricchita poi da tutti gli altri dettagli, compresi i ricordi di lui dell'anno precedente. Dato che è la prima volta che scrivo di loro e li amo immensamente, vi pregherei, se vi va di lasciare un commento, di dirmi se vi risultano IC o meno. Nel caso lo fossero e se l'ispirazione mi aiuterà, potrei trasformare questa shot in una raccolta e aggiungere almeno un altro paio di missing moments che ho in mente.
Giusto due piccole note prima di lasciarvi: la questione dei sorrisi e lui che li conta si rifà un po' al finale della 3x20, quando Emma finalmente sorride e Killian è felice di notarlo. Mentre il sorriso più grande che in questa storia lui spera di ottenere ***SPOILER 5a stagione*** sappiamo bene che l'ha ottenuto, e proprio in QUEL particolare momento.
Che dire di più? Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di allegro e che rimandasse ai vecchi tempi dopo tutto il dolore che abbiamo subito - e che stiamo ancora subendo, sigh. Spero che questa piccola storia sia servita allo scopo! Grazie di aver letto.

   
 
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