Disclaimers:
Niente mi appartiene,
men che meno quelle due meraviglie di Brian Kinney e Justin Taylor
(mannaggia…). Queer as Folk è di
proprietà della Cowlip e della Showtime.
Note dell’autrice: Il titolo della storia è preso
dall’omonima canzone dei
Queen. Con questo mio scritto – frutto di un’idea
che risale a più di due anni
fa, ma che ho avuto il coraggio di mettere nero su bianco solo ora
– non voglio
offendere nessuno, tantomeno due personaggi del calibro di Brian e
Justin. Non
è mia intenzione metterli in ridicolo, prenderli in giro o
altro. Il mio unico
desiderio, mentre scrivevo, era quello di porli sotto una luce
totalmente
diversa da quella del telefilm, in chiave più leggera e
scherzosa e, per certi
versi, abbastanza assurda, per stemperare un po’
l’angst che da sempre
predomina questa bellissima coppia. Quindi, vi prego, non siate maligni
nei
miei confronti.
Nonostante il periodo in cui siamo, purtroppo non si tratta di una
storia
natalizia, non credo di essere portata per questo genere, ma ho voluto
comunque
provare a scrivere qualcosa di ‘comico’ che, per
me, è abbastanza raro da
trovare in questo fandom, per puro divertimento personale…
e, perché no, anche
per strapparvi qualche piccolo sorriso.
Due piccolissimi appunti riguardanti la shot: 1) Il rating è
arancione solo per
una questione di linguaggio perlopiù scurrile –
ma, dopotutto, stiamo parlando
di Queer as Folk, no? –, niente di così
sconcertante; 2) Ho deciso di non
inserirla nella mia “Together
we’re invincible”
semplicemente perché ho pensato che
una storia come questa avrebbe stonato col fino conduttore con cui sono
legate
le shots già presenti nella raccolta, che hanno un tenore
più drammatico… è un
motivo stupido, me ne rendo conto, ma ho preferito evitare e
pubblicarla a
parte.
In ogni caso, essendo periodo natalizio – e si sa che a
Natale si è tutti più
buoni, no? –, mi farebbe molto piacere ricevere in dono una
vostra opinione,
anche se di poche righe, giusto per sapere cosa pensate di
ciò che ho scritto.
Se la storia dovesse fare pietà od offendere in qualche
maniera, provvederò a
rimuoverla immediatamente.
Vi lascio alla storia. E a chi desiderasse lasciarmi un piccolo,
minuscolo
commento, regalerò un panettone – o un pandoro,
dipende dai vostri gusti –. Ne
approfitto per farvi i migliori auguri di Buon Natale – anche
se è appena
passato – e, già che ci sono, anche di un felice
anno nuovo! Buona lettura,
-Martina-.
Last but not
least: voglio dedicare questa storia a tre persone.
A Fede (fefi97), di cui posso dire che
l’input per la shot è scaturito
grazie a lei.
A Monica (mindyxx), che mi ha
regalato tante
risate con la sua ‘un giorno di ordinaria follia’ e
ho voluto contraccambiare.
E a Matilde (loveglee123), sperando di tirarle su un
po’ il morale.
Spero possa piacervi… e se non dovesse, beh, avete tutto il
diritto di mandarmi
a…!
I’M GOING SLIGHTLY MAD
Il
divanetto su cui sei seduto immobile da più di
mezz’ora sta cominciando
a diventare scomodo. Fottutamente scomodo. Talmente
scomodo che il tuo
bellissimo culo ha perso buona parte della propria
sensibilità, indolenzendosi
a poco a poco. L’ennesimo, malcelato sbuffo esce dalle tue
labbra dischiuse,
mentre allunghi le gambe sul parquet di quella saletta
d’attesa claustrofobica
per sgranchirle. Incroci le braccia sul ventre e reclini la testa
all’indietro,
appoggiandola contro il muro. Ti ritrovi a fissare il soffitto e pensi
che
abbia bisogno di una bella riverniciata. Cerchi di concentrarti su una
piccola
crepa all’angolo per estraniarti momentaneamente dalla
realtà, ma la musica che
proviene dallo stereo vicino al tuo divanetto – le cui casse,
ora, stanno
diffondendo il Nocturne Op. 9 No. 2 di Chopin ad un
volume che tu
ritieni indicibile – ti sta trapanando le orecchie. Per
quanto tu possa adorare
la musica classica – chi l’avrebbe mai detto?
–, adesso sei stufo di ascoltare
tutta quella miscellanea sinfonica a base di Beethoven, Schubert, Bach
e Wagner
e desideri ardentemente risentire la buona e vecchia musica dance del
Babylon.
Sospiri e chiudi gli occhi, nella vana speranza che una voragine si
apra sotto
di te e ti inghiottisca per sempre nel pavimento. Tamburelli le dita
sul
ginocchio e sbuffi di nuovo, seccato, percependo chiaramente lo sguardo
di
Justin su di te, che ti sta trapassando da parte e parte come una lama
affilata.
«Brian?», ti chiama il tuo biondo artista, con tono
evidentemente irritato. «È
da più di un quarto d’ora che sbuffi. Hai
intenzione di continuare ancora per
molto o devo infilarti qualcosa in bocca affinché tu la
smetta?»
In tutta risposta sbuffi nuovamente. Ma questa volta il tuo
è uno sbuffo
piuttosto divertito. Riapri le palpebre, voltando la testa nella sua
direzione
per guardarlo, lì, seduto sul divanetto di fianco al tuo, e
una luce maliziosa
pervade subito le tue iridi verdi. Ti sporgi verso di lui come un
felino
affamato, le labbra piegate in un sorriso provocante.
«E sentiamo, splendore: cosa vorresti infilarmi in
bocca?», gli soffi
nell’orecchio, abbassando apposta la voce per renderla roca e
sensuale, e la
tua mano percorre la sua coscia, risalendo lungo la patta dei suoi
jeans. «Io
avrei un’idea…»
Justin ti afferra bruscamente il polso, bloccandoti immediatamente.
«Ti sembra il momento e il luogo adatto?», esclama,
perentorio, raggelandoti
sul posto con la sola forza del suo sguardo. «Vedi che ho
ragione quando dico
che tu hai sempre e solo voglia di scopare?»
«Da quando sei così bigotto?»
«Non è questione di essere bigotti», si
difende lui, quasi oltraggiato.
«Semplicemente, io uso il cervello.»
«Davvero?», gli sorridi, di un sorriso che sai non
piacergli per niente, e
cominci a muovere la mano tra le sue gambe. «E quale cervello
stai usando,
adesso? Quello superiore o quello inferiore?»
Lo senti irrigidirsi da sopra la stoffa dei pantaloni e le sue pupille
si dilatano
dall’eccitazione.
«Brian…», sussurra a malapena.
«Sei piuttosto duro, in questo momento e
in questo luogo, per essere
così bigotto», sentenzi, scimmiottandolo ad un
centimetro dalle sue labbra,
aumentando la velocità delle tue carezze e spingendo
più forte il palmo contro
la sua virilità. «O sbaglio?»
«Non… non sono bigotto», soffia,
cercando di stringere le cosce per impedirti
qualsiasi altro movimento. «Ma non voglio che… che
qualcuno ci veda e…», non fa
in tempo a finire la frase che i suoi occhi sono già
sbarrati, completamente
fuori dalle proprie orbite.
La porta dello studio di fronte a voi si è appena aperta.
Nel tuo campo visivo
compaiono improvvisamente un uomo e una donna sulla quarantina, i
quali,
immobili come due statue di marmo, vi stanno fissando. Nonostante siate
stati
colti in flagrante in atti non propriamente consoni
al posto in cui vi
trovate, tu non accenni minimamente a ricomporti e renderti quantomeno
presentabile. Con sguardo di sfida, fissi di rimando i due disturbatori
mentre accentui la presa delle tue dita fra le gambe di Justin,
stringendolo
con vigore, e lui trasale subito, mugolando. La donna, livida in volto,
si
lascia scappare un urletto inquietante. Vi guarda in un misto tra
disgusto e
orrore, come se foste due appestati, premendo la mano contro le labbra
quasi
dovesse vomitare lì, davanti ai vostri stessi occhi. Sollevi
un angolo della
bocca e ghigni, maligno.
«Gli stavo rimettendo a posto il pennello»,
le dici, sarcastico,
indicando Justin con un cenno del capo. «Lui è un
artista. E posso giurarle che
ci sa fare parecchio con i pennelli, soprattutto se usa
il mio.»
A quella tua affermazione carica di doppi sensi, la faccia della donna
diventa
ancora più cianotica e sconvolta. L’uomo di fianco
a lei ridacchia,
sinceramente divertito, ricevendo però in cambio una
gomitata tra le costole da
parte di quella bisbetica omofoba. Squadri quel gran bel pezzo di
maschio con
sguardo da seduttore, facendogli una bella radiografia col solo potere
dei tuoi
occhi. Lui ricambia, guardandoti con desiderio, e tu sorridi come un
cacciatore
che ha appena conquistato un’altra preda. Un pizzicotto
piuttosto doloroso, ben
assestato sul dorso della tua mano, ti riscuote dalla trance in cui sei
appena
caduto. Sei costretto a levarla di scatto – lamentandoti con
un “ahi!”
che ha ben poco di virile – per massaggiarne subito la parte
lesa. Rivolgi
tutta la tua attenzione a Justin e ci manca poco – davvero
poco – che tu ti
metta ad urlare per il terrore. Troneggia su di te, improvvisamente in
piedi, e
la sua espressione minacciosa ed inferocita è una visione
terribile, così come
il fumo che gli sta uscendo dalle narici e gli occhi iniettati di
sangue che,
ridotti in due fessure colme di rabbia, paiono volerti tagliare a
fettine
sottilissime. Senti aria di tempesta imminente – nonostante
sia estate
inoltrata – ed un brivido gelato ti percorre la colonna
vertebrale, facendoti
rizzare i capelli in testa e pure i peli sulle braccia.
«Brian», sibila, digrignando i denti, e il suo tono
di voce sembra provenire direttamente
dall’oltretomba. «Come osi
provarci con un altro davanti ai miei stessi
occhi, lurido maniaco pervertito!»
Come il migliore degli attori, con un’alzata di mento degna
di nota, ostenti
indifferenza e serenità assolute –
benché tu sia quasi diventato un tutt’uno
con il divanetto, spalmandoti contro di esso con la schiena per la
paura – e
cerchi di calmarlo prima che possa ucciderti con la sola forza del
pensiero.
«Veramente era lui che ci stava provando
con il sottoscritto», ti
giustifichi, sperando di passarla liscia, ma un urlo improvviso, acuto
come lo
stridere delle unghie sulla lavagna, ti obbliga a tapparti con forza le
orecchie.
La bisbetica, bordeaux in volto e con le vene del collo gonfie, ti sta
puntando
l’indice contro e noti che la sua bocca si sta muovendo
freneticamente.
Nonostante tu sia un uomo dai molteplici talenti, purtroppo non sai
leggere il
labiale e così non afferri un accidente di ciò
che ti sta sbraitando addosso.
Solo quando la vedi zittirsi – agonizzante per lo sforzo con
cui ha urlato – e
capisci che il peggio è passato, decidi di togliere le mani
dalle orecchie. La
fissi con la fronte aggrottata ed un punto di domanda gigantesco che
fluttua
sopra la tua testa.
«Cos’ha detto, scusi?», le chiedi, e
sentendo la tua stessa voce risuonare
ovattata ti rendi conto che quella maledetta donna ti ha fatto perdere
parzialmente l’udito con il suo urlo tirannico.
Lei ti guarda, ancora un po’ ansimante, e ti accorgi di come
stia stritolando
la mano dell’uomo – bluastro in viso, che si sta
mordendo a sangue il labbro
inferiore per il dolore – nella sua.
«Ho detto che non è vero che mio marito ci ha
provato con te!», strilla, peggio
di un’aquila reale, senza neanche avere la decenza di
mostrarsi un pochino
educata nei tuoi confronti dandoti del lei. «Lui non
è come te e il tuo
amichetto biondo, perché lui non è un…
non è un… un…»
«Un frocio?», esclami,
ritrovando la sfrontatezza che da sempre ti
contraddistingue, e sorridi beffardo. «Mi dispiace deluderla,
ma suo marito è
gay», sentenzi, mentre lei ti guarda ad occhi sbarrati,
sconcertata. «Gli piace
il cazzo, solo che non ha abbastanza palle per ammetterlo. Ed anche
lei, pur
continuando a negarlo, è a conoscenza di queste sue,
chiamiamole così, tendenze.
Probabilmente è a causa
dell’omosessualità repressa di suo marito che il
vostro
matrimonio è infelice e sta andando a rotoli»,
snoccioli, sicuro di te, con un
sorriso trionfante sulle labbra.
Realizzi di aver parlato troppo solo quando due ceffoni, potenti e
funesti
quanto una cannonata, arrivano contemporaneamente ad abbattersi su
entrambe le
tue guance. Uno da parte della bisbetica non
domata, l’altro da parte
del marito finto etero. Per un attimo rimani interdetto. Poi,
d’un tratto, ti
senti come se ti avessero appena schiacciato la faccia tra due piatti
orchestrali. Hai la brutta sensazione che le tue mascelle ti stiano
lentamente
abbandonando per cadere e sfracellarsi al suolo e gli zigomi, i tuoi
poveri
zigomi, pare stiano sguazzando in un vulcano traboccante lava
incandescente. Il
deturpamento ai danni del tuo viso da dio greco è incombente
e tu, sgomento,
sbatti due manate su di esso facendole poi scivolare teatralmente lungo
le
guance, in una perfetta interpretazione del famoso Urlo
di Munch.
Trattieni a stento un ululato di dolore e ti lasci cadere sulle
ginocchia,
sprofondando in uno stato catatonico.
«Brian?», ti chiama Justin, dopo quella che a te
è sembrata durare un’eternità,
sventolandoti una mano davanti al naso. «Brian?»
Senti la voce del tuo biondo artista arrivarti come un’eco
lontana –
probabilmente perché l’udito è
peggiorato ancora – e gli rivolgi uno sguardo
vitreo, tetro. È lì, dinanzi a te, che spicca in
tutto quel mistico alone
bianco e dorato, circondato da qualche angioletto che suona la cetra ed
intona
un canto a te sconosciuto, in un’atmosfera celestiale e
divina, ultraterrena.
«Sono… sono morto?», gli chiedi.
Lui alza gli occhi al cielo e, afferrandoti un braccio, ti aiuta a sollevarti.
«Non sei morto, razza di idiota», sbotta, sbuffando
comunque una risatina.
Da perfetto narcisista quale sei, ti tocchi subito il viso, ne tasti la
compattezza e la morbidezza e, con un sorriso sollevato, constati che
tutto è
al proprio posto. Con un respiro profondo ti riprendi, ritornando
lentamente in
te, prima di guardarti intorno ed accorgerti che quei due
tipacci sono
improvvisamente spariti.
«Se ne sono andati già da un
po’», ti dice Justin, leggendoti nel pensiero.
«Lei ha continuato a strillare e ad insultarti in maniera
piuttosto colorita,
strappandosi i capelli e camminando su e giù come una pazza
per tutta la
stanza… così il suo caro maritino
ne ha approfittato per
lasciarti il numero di cellulare.»
«Davvero?», esclami, le iridi verdi che scintillano
come fossero glitter.
«Sì. Te l’ha scritto sul palmo della
mano destra con una penna.»
Esaltato, volti subito la mano ma, non appena posi gli occhi su di
essa, noti
che sopra non vi è scritto niente.
«Ma cosa…?»
«Ovviamente, io ho provveduto subito a
cancellarlo», ti informa la tua
testolina bionda, sollevando le sopracciglia e sorridendoti
canzonatore. «Spero
non ti dispiaccia», aggiunge, mentre il suo sorriso si spegne
in un baleno, lasciando posto ad un’espressione colma di perfidia.
«Ma non dovresti esserne
dispiaciuto dal momento che sei sposato con me,
dico bene?»
Cerchi di ribattere incenerendolo con lo sguardo quando,
all’improvviso, la
porta dello studio si apre come se fosse stata sospinta da una violenta
e
fortissima raffica di vento. Sulla soglia, in un nugolo di fumo denso e
grigiastro, compare un uomo. Tossicchia e, a fatica, lo scorgi dimenare
con
foga le braccia per disperdere tutta quella coltre di vapore.
«Scusate il ritardo», esordisce, avanzando di
qualche passo verso di voi. «Mi
ero perso.»
Finalmente riesci a vederlo chiaramente, mentre si spolvera le spalle e
si
pettina all’indietro i capelli biondo cenere. Si pulisce gli
occhiali da vista
con un lembo della giacca e, di sfuggita, ti guarda. Ha gli occhi
grigi,
tendenti al verde, e mostra una fila di denti perfettamente bianchi
quando ti
sorride. Neanche a dirlo, senti i tuoi pantaloni farsi immediatamente
più
stretti. Ci proveresti con lui se non fosse per Justin che, sfruttando
l’occasione
in cui il nuovo centro dei tuoi pensieri erotici è troppo
impegnato ad
esaminare le lenti in controluce, ti ha rifilato una tremenda strizzata
alle
palle – o meglio, alla palla –.
Ci proveresti con lui se non fosse per
un piccolo, enorme difetto: è uno specialista nel campo
della terapia di
coppia.
Terapia di coppia.
Scuoti la testa e ci manca poco che tu ti metta addirittura a ridere di
te
stesso. Tu, Brian Kinney, il re di tutti i froci di
Pittsburgh, che
finisci in terapia di coppia sotto la minaccia – sei mesi
senza sesso e divieto
assoluto di farlo con altri, pena l’evirazione – di
quella maledetta testolina
bionda! Hai toccato il fondo, ne sei sempre più convinto.
Lanci un’occhiataccia
letale a Justin e lui, in tutta risposta, ti sorride soddisfatto,
gongolando.
Imprechi internamente e, in quel momento, vorresti solo avere in mano
una pala
per scavarti la fossa e scongiurare quel supplizio imminente.
«Siete i signori Kinney?», vi chiede quella
sottospecie di strizzacervelli,
psicologo, terapeuta, consulente o come cazzo tu voglia chiamarlo.
«No, io neanche conosco questo ragaz…»,
cerchi di obiettare, ma Justin è più
svelto e, senza essere visto dall’altro – troppo
occupato, questa volta, a
scacciare una zanzara che gli ronzava intorno –, ti molla
un’altra strizzata,
spezzandoti il fiato.
«Sì, siamo noi», risponde lui.
«Bene. Se volete essere così gentili da
seguirmi…»
«No, non si disturbi, noi ce ne stavamo giusto
andan…», l’ennesima strizzata ai
danni del tuo unico ed ormai malandato testicolo stronca sul nascere
anche il
tuo ultimo tentativo di svignartela. L’evirazione, di questo
passo, non sembra
essere poi così lontana.
Tu e Justin vi guardate in cagnesco, mentre il consulente vi fa strada
nel suo
anfratto. Superate la nube di fumo – di cui non hai la
benché minima idea da
dove esca fuori – e, non appena giungete a destinazione,
venite inghiottiti dal
buio più buio che esista. Non vedi più niente.
Alla cieca, cerchi la mano di
Justin e, una volta trovata, la stringi. Lui ricambia la stretta e tu
non puoi
fare a meno di lasciarti sfuggire un sorriso. Improvvisamente senti i
passi del
consulente allontanarsi adagio e, dopo qualche secondo, odi un tonfo
sordo.
«Tranquilli, ho solo sbattuto l’anca contro la
scrivania», dice,
rassicurandovi.
Un altro passo, un altro rumore.
«Niente di grave, solo qualche penna cascata a
terra.»
Un altro rumore ancora, come di qualcosa che si rompe in mille pezzi.
«Adesso è caduta la lampada che avevo sulla
scrivania.»
Il fragore che giunge subito dopo è peggio di una valanga
nei pressi di Aspen.
«Tutto bene?», chiedi, fingendoti preoccupato.
«S-sì, sì…», ti
risponde lui, ansimante, la voce ridotta ad un bisbiglio. «Ho
solo… ho solo urtato la libreria e sono stato travolto da
tutti i tomi sulla
dottrina psicoanalitica in mio possesso.»
“Ben ti sta!”, pensi,
ridacchiando sommessamente per non farti sentire.
Dopo alcuni minuti, la luce del giorno invade pigramente la stanza. Il
consulente è finalmente riuscito ad arrivare fino alla
finestra per aprirla e
tirare su la tapparella. Fa lo slalom tra i libri che sono crollati sul
pavimento e, mettendosi comodo dietro la propria scrivania, si spolvera
di
nuovo la giacca. Capisci che, purtroppo, è giunto il momento
di farsi giudicare
da un perfetto sconosciuto e di essere seri. Molto
seri.
«Lei è parecchio svampito, sa?», gli fai
notare. «Non poteva premere
l’interruttore della luce ed evitare di combinare tutto
questo casino?»
Lui ti guarda un attimo, sbattendo ripetutamente le ciglia.
«Lo sa che ha ragione?», risponde, leggermente
imbarazzato, e tu alzi gli occhi
al soffitto. «Non ci avevo pensato.»
«Prima di psicanalizzare gli altri, dovrebbe psicanalizzare
sé stesso, non le
pare?», gli consigli, sorridendo vittorioso.
Con la mano ancora stretta nella sua ti volti verso Justin e per poco
non ti
prende un infarto. I suoi lunghi e biondissimi capelli, a causa
dell’umidità
provocata dal vapore, sono sparati in aria come dei raggi luminosi che
vanno in
tutte le direzioni possibili ed immaginabili, neanche avesse infilato
le dita
nella presa della corrente. Nonostante quella nuova pettinatura
estemporanea
gli doni un aspetto molto, come dire, solare, sei
costretto ad ammettere
che sia uno spettacolo inguardabile.
«Perché mi stai fissando?», ti chiede
lui, con un sopracciglio alzato. «Ho
qualcosa in faccia?»
Trattieni a stento una risata e fai spallucce.
«Non hai niente, splendore», gli rispondi, esibendo
un sorrisino di
circostanza. «Non in faccia, perlomeno», mormori
pianissimo e, tirandotelo
addosso, pressi il suo viso contro il petto, quasi soffocandolo,
accarezzandogli brutalmente la testa più e più
volte per far ritornare al loro
stato originale quelle sottospecie di spaghetti imbottiti di viagra che
si
ritrova per capelli.
«Scusate l’interruzione», la voce del
consulente ti ridesta dal tuo lavoro di
parrucchiere provetto. «Prego, accomodatevi pure»,
vi invita gentilmente,
indicando con una mano le due poltroncine sgangherate.
Liberi Justin dalla tua presa e, con un sospiro, chiudi la porta dello
studio
dietro le tue spalle, firmando così la tua condanna.
La prima cosa che hai pensato non
appena ti sei seduto è stata: “Come cazzo
ha fatto questo idiota di uno
strizzacervelli a perdersi se il suo studio è grande quanto
un buco di culo?”.
E lo hai pensato con cognizione di causa, dal momento che ne hai visti
un sacco
di buchi di culo durante la tua vita. Ma un buco di culo così
no, non
l’hai mai visto. Probabilmente perché quello
non è un vero e proprio
culo.
Lo studio è ancora più claustrofobico della
saletta d’attesa. È piccolo, talmente
piccolo che ti chiedi come abbiano fatto scrivania e libreria a starci
dentro.
Non che ti importi veramente, ma devi pur pensare a qualcosa mentre il
vostro caro
consulente ha deciso di prendersi qualche minuto per limarsi le unghie.
Hai
l’ennesima prova del fatto che sia davvero uno svampito
cronico. Lo guardi di
sottecchi e, appoggiandoti completamente con la schiena contro la
poltroncina –
che speri tanto non si rompa sotto il tuo peso –, accavalli
una gamba sopra
l’altra. Ti giri i pollici, sospirando, e dai
un’occhiata a Justin. I suoi
capelli, per fortuna, sono ritornati alla normalità e lui
non sembra più la
ruota di una bicicletta. Si stiracchia, mettendosi a sbadigliare e, per
riflesso condizionato, sbadigli anche tu. È proprio il caso
dirlo: ‘che
noia, che barba, che barba, che noia!’.
«Ecco fatto, ho finito», esclama
all’improvviso il consulente. «Scusatemi, ma
non posso scrivere se non ho tutte le unghie della stessa
lunghezza», vi fa
sapere, gettando tutta l’artiglieria pesante
per una perfetta manicure
dietro le proprie spalle, la quale finisce fuori dalla finestra
spalancata.
Si ode uno schianto, poi il frastuono di un vetro che si frantuma e
l’antifurto
di un’auto che suona all’impazzata. Infine, un urlo
che ti fa perdere anche
l’ultimo briciolo d’udito che ti era rimasto. Puoi
giurare che quel grido
disumano sia partito direttamente dalle corde vocali della bisbetica di
prima.
Tu e Justin fissate il consulente e lui, con nonchalance, si stringe
nelle
spalle ed afferra un modulo.
«Gli incidenti sono all’ordine del giorno, qui di
sotto», vi informa,
cominciando a scribacchiare con la penna.
«Scommetto che succedono sempre quando
c’è lei nei paraggi», gli dici,
sogghignando.
Lui ti guarda con un sopracciglio inarcato.
«Sì. Ma lei come fa a saperlo?»
«Mah… intuito, suppongo.»
Il consulente si stringe di nuovo nelle spalle e riprende a scrivere
sul
foglio.
«Allora, cosa vi ha…»
«Mi scusi se la interrompo subito», lo fermi,
sollevando una mano. «Posso
sapere quali problemi aveva la coppia prima di noi?»
«Veramente, signor Kinney, io sono vincolato dal…
dal... aspetti, com’è che si
chiama?», getta un’occhiata fugace ad un post-it
giallo attaccato al computer
che pare essere venuto dal dopoguerra. «Ah, sì!
Dicevo, sono vincolato dal segreto
professionale. Non posso dirle niente riguardo al fatto che
il matrimonio
dei signori Cooper, così si chiamano, stia andando a
scatafascio a causa
dell’omosessualità di lui. Sarebbe ben poco
professionale, da parte mia, dirle
i fatti privati degli altri miei pazienti, non crede?»
Justin si sbatte una manata sulla fronte e tu pieghi le labbra
all’interno
della bocca per non scoppiare a ridere. Metti su
un’espressione seria e lo
fissi negli occhi.
«Certo, ha assolutamente ragione», concordi con
lui, pensando che dovrebbero
darti un Oscar per la miglior interpretazione.
«Non mi permetterei mai
di mettere in dubbio la sua autorità ed il suo
riserbo.»
«La ringrazio… dopotutto, mi ritengo uno
specialista molto serio e scrupoloso»,
afferma, senza alcuna modestia. «Dunque, vi stavo giusto
chiedendo cosa vi
avesse spinto a volere una mia consulenza.»
«L’incompatibilità di carattere,
principalmente», sostiene subito la tua
testolina bionda.
«Capisco. E da quanto tempo siete sposati?»,
chiede, rivolgendoti lo sguardo.
Justin ti osserva con la coda dell’occhio mentre tu,
picchiettandoti l’indice
sul mento, cerchi di fare mente locale. Ti metti a contare con le dita
come un
bambino delle elementari e lo vedi alzare gli occhi al cielo con uno
sbuffo
piuttosto sonoro.
«Da due anni», risponde infine lui, e tu annuisci
fingendo di saperlo. «Ma
stiamo insieme da sette.»
«Ah, la classica crisi del settimo anno», esclama
il consulente, ridacchiando,
credendo di fare il simpaticone. «Scherzi
a parte… signor Taylor, cosa
intende precisamente per ‘incompatibilità di
carattere’?»
«Intendo dire che ci scontriamo su tutto, perché
ci sono cose che Brian vuole
sempre fare ed io no.»
«Mi faccia un esempio.»
La tua testolina bionda abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro e
tormentandosi nervosamente le mani. Resta qualche secondo in silenzio,
poi
rialza improvvisamente il viso.
«Vuole sempre fare sesso con me», esordisce infine,
la voce leggermente
isterica.
Il consulente abbassa gli occhiali sul naso e lo guarda da sopra le
lenti.
«E questo è un male?», gli domanda, e tu
ridacchi sotto i baffi.
«Direi di sì, dal momento che pensa sempre e solo
a quello», afferma Justin,
alzando di un’ottava la voce. «Che sia mattino,
pomeriggio, sera o notte, il
suo primo pensiero è il sesso! È sempre stato il
suo chiodo fisso, sin da
quando l’ho conosciuto, e posso assicurarle che la sua libido
non è minimamente
calata!»
«Non riesco a capire dove sia il
problema…»
«Il problema, dottore, è che non mi lascia un
attimo di tregua», sospira,
esasperato e disperato al contempo.
«Non mi sembra che tu ti sia mai lamentato delle mie
prestazioni. Ti scopo per
bene, anche più volte al giorno, come ogni buon marito
dovrebbe fare, e i tuoi
gemiti e le tue urla sono un chiaro segnale di quanto io ti soddisfi
appieno»,
sostieni, abbozzando un sorriso furbo, e vedi le guance del tuo biondo
artista
tingersi di rosso a causa dell’imbarazzo. «Dico
bene, splendore?»
«Non è questo il punto!», sbotta, mentre
il rossore sul suo bel volto aumenta,
propagandosi fino alla punta del naso.
«E quale sarebbe il punto, allora, signor Taylor?»,
interviene il consulente.
Justin lo fissa con lo stesso sguardo di un condannato al patibolo.
«Il punto è che… che non facciamo altro
che… che… che…»
«… che scopare!»,
completi per lui, ribadendo nuovamente il concetto e
trattenendo a stento una risata nel vederlo così impacciato
e balbettante.
«Lo sente?», esclama, indicandoti con il pollice.
«Sente come è volgare?»
Con un sorrisetto stampato sulla bocca, ti appoggi saldamente ai
braccioli
della poltroncina ed allunghi il collo verso di lui, sfiorandogli quasi
lo
zigomo con il tuo naso.
«Ma tu adori quando ti sussurro cose
sconce all’orecchio mentre ti sco…»
«Basta, Brian!», esplode improvvisamente Justin, e
le sue guance, ora, hanno
raggiunto una gradazione di colore tendente al porpora.
Il consulente, sentendosi vagamente a disagio di
fronte ad un simile
siparietto, richiama la vostra attenzione con due colpi di tosse, per
poi
schiarirsi rumorosamente la gola.
«Scusi se glielo chiedo, signor Taylor, ma, essendo voi una
coppia a tutti gli
effetti, ci dovrà pur essere qualcos’altro che
fate oltre a… beh, ecco… ad
avere solamente rapporti sessuali, no?»
«Certamente.»
«Mi faccia un altro esempio, allora.»
«Litighiamo, mi sembra ovvio!», sbotta lui, e al
consulente cadono le braccia.
«E se non litighiamo, lui si comporta male con me!»
«Sì, ma questo succede un po’ in tutte
le coppie sposate che…»
«Lascia sempre la tavoletta del water alzata quando sa che mi
dà fastidio,
mangia sul letto riempiendolo tutto di briciole, non fa mai la
lavatrice, non
pulisce mai il pavimento», comincia ad elencare il tuo biondo
artista, ormai
partito in quarta, e sembra non volersi più fermare.
«Ci prova spudoratamente
con ogni uomo che entra nel suo campo visivo, non mi fa mai un regalo,
non si
ricorda mai quand’è il mio compleanno se non
glielo dico io, non sa quale
dentifricio uso, non sa nemmeno quanti nei ho sulla schiena e, dulcis
in
fundo, non gli va mai bene niente di quello che faccio,
neanche di quello
che gli cucino nonostante io ci metta tutto l’amore e
l’impegno possibili…»,
dichiara, tutto d’un fiato, abbassando lo sguardo e
disegnando dei cerchi
invisibili sulla scrivania con l’indice, e puoi giurare di
aver sentito la sua
voce incrinarsi da un principio di pianto imminente.
«Cristo, ti stai comportando come una povera checca
isterica!», esclami,
trovando tutta quella situazione a dir poco assurda. «Anzi,
sei peggio di una
casalinga disperata, frustrata e repressa!»
«Come osi darmi della casalinga disperata?»,
prorompe, offeso. «Non ho fatto
altro che dire la verità, tutta la verità,
nient’altro che la verità!»
«Lo giuri?»
«Lo giuro!»
«Allora sei un gran bugiardo», sentenzi,
incrociando le braccia sul petto.
«Innanzitutto, al contrario di ciò che dici, io ti
faccio un sacco di regali…»
«Certo, perché uno gigolò
per il mio compleanno può essere considerato
un regalo, vero?», sbraita, sarcastico.
«Beh, se proprio non lo vuoi, la prossima volta ne faccio
buon uso io stesso,
d’accordo?»
È un attimo. Si alza in piedi come una furia, facendo cadere
la poltroncina a
terra – che subito si rompe – e mollandoti un
sonoro ceffone.
«Basta, sono stanco del tuo comportamento! Non ti sopporto
più, hai capito? Non
ti sopporto più!», grida, gli occhi che lanciano
fiamme. «Voglio il divorzio!»
Lo fissi un attimo, allucinato, poi gonfi le guance ma, non riuscendo
più a
darti un contegno, infine scoppi in una risata piuttosto fragorosa.
«Cos’è che vorresti tu?»
«Voglio il divorzio!», ripete, e dal suo sguardo
capisci che non sta affatto
scherzando.
«Justin, cerca di ragionare e…»
«Ho già ragionato fin troppo, con te, e adesso ne
ho piene le scatole», ti
interrompe, sfilandosi la fede dall’anulare sinistro e
sbattendola così forte
sulla scrivania che il consulente – il quale vi sta guardando
esterrefatto –
sobbalza per lo spavento. «Ho fatto la mia scelta: ritorno
con Ethan.»
«Tu cosa?», ora stai gridando
anche tu e, di riflesso, scatti subito in
piedi come una molla.
«Mi hai sentito! Ritorno con Ethan, il dolce e romantico
Ethan, che mi dedica
serenate col violino, mi prepara deliziosi pic-nic al lume di candela
sul
pavimento e non pensa sempre e solo al mio povero culo!»
«Tu non puoi lasciarmi di nuovo per quel
fottuto tortura gatti!»,
protesti, sentendo una morsa orribile annodarti lo stomaco.
«E chi me lo proibisce?»
«Io te lo proibisco!»
Il consulente si alza dalla poltrona e mette le mani avanti.
«Signori, vi prego di calmar…»
«Stia zitto, lei!», sbottate all’unisono
sia tu che Justin, e lui obbedisce
immediatamente, rimettendosi seduto e facendo il segno di chiudersi la
bocca
con una cerniera.
«Ormai ho deciso», dice il tuo – ex?
– biondo artista, categorico.
«Ethan è giù che mi aspetta e io non
voglio farlo attendere oltre.»
Lo fissi a bocca aperta, sbigottito, mentre apre la porta e, girandosi
verso di
te un’ultima volta, ti sussurra un gelido “addio”.
Cerchi di bloccarlo,
ma ti accorgi che hai della colla vinilica sotto la suola delle scarpe,
fuoriuscita dal barattolo caduto a terra per colpa di quel coglione di
un
consulente. Ti levi le tue costosissime scarpe
firmate e, come un
uragano, ti scaraventi verso la finestra per guardare giù in
strada. Segui
Justin con lo sguardo mentre lui, leggiadro come una farfalla, saltella
allegramente attraversando sulle strisce pedonali in direzione del
marciapiede
opposto.
Ed è in quel preciso istante che i tuoi occhi intercettano
un’anomalia.
Un’anomalia tremenda, che causa scompensi disastrosi
nell’intero universo. Ian.
Lui, quel maledetto violinista dall’odioso pizzetto nero che
lo fa tanto
assomigliare ad una capretta e gli occhi da triglia strafatta, che
sorride
vittorioso e felice come una pasqua, a braccia aperte. Justin gli si
catapulta
addosso e tu stringi subito i pugni, conficcando dolorosamente le
unghie nei
palmi. Resti lì impalato a fissarli, senza riuscire a
distogliere lo sguardo,
ed Ethan alza improvvisamente la testa nella tua direzione. I vostri
occhi si
incrociano e tu, usando un’antichissima tecnica di
meditazione che ti ha
insegnato Ben, richiami la forza micidiale del Furore
che è nascosto dentro
di te. Così, invano, cerchi di ridurlo in cenere
scagliandogli contro fulmini e
saette che però provocano solo un cortocircuito, scatenando
un blackout
dall’altra parte di Pittsburgh. Provi con un rito voodoo
improvvisato,
ma nemmeno quello funziona. Sbuffi, irritato, appuntandoti mentalmente
di
mandare a quel paese sia il professore che i suoi
fottuti ed inutili
rituali. Vedi Ethan ghignare divertito. Ti fa ciao-ciao
con la manina,
prendendosi gioco di te, e tu vorresti solo avere il braccio
allungabile per
mollargli un pugno su quel muso odioso. Chiudi la finestra e, dal
nervoso, tiri
le tende così forte da strapparne il tessuto a fantasie.
«Le mie tende nuove!», strilla il consulente,
mettendosi le mani tra i capelli.
«Me le dovrà rimborsare insieme alla parcella che
mi spetta!»
«Se la ficchi nel culo la sua parcella!», esclami,
puntandogli l’indice contro.
«È tutta colpa sua! Lei è un buono a
nulla che non sa neanche fare il suo
lavoro!»
«Non vedo come possa essere colpa mia dal momento che
è lei il marito
stronzo!», ti schernisce, con un sorriso derisorio che non fa
altro che
accrescere il tuo istinto omicida. «Ora, se proprio non vuole
pagarmi
l’onorario, mi lasci almeno le sue scarpe.»
Lo fissi, impettito, con le mascelle contratte e i tic nervosi ad un
occhio.
«Se le tenga pure le mie scarpe Armani Jeans
da uomo in pelle e camoscio
nero!», dai in escandescenze, furibondo, prima di voltargli
le spalle e
spalancare la porta, scardinandola a causa della forza erculea che ci
hai
messo. «Vaffanculo e a mai più
rivederci!»
Con la rabbia che ti fuma dalle orecchie, ti piazzi davanti
all’ascensore per
chiamarlo, rendendoti conto solo dopo dieci minuti che è
fuori uso. Sei
costretto a farti cinquanta piani a piedi – con annessi trecentouno
fottuti gradini – e, una volta arrivato all’ultimo,
ti accorgi che l’ascensore
è ritornato in funzione. Sconsolato, sudato e con la morte
nel cuore, ti dirigi
verso la tua amata Corvette verde bottiglia e ti ci butti dentro a
capofitto.
Appoggi la testa contro il volante, suonando involontariamente il
clacson per
un paio di minuti, poi la rialzi di colpo. Guardi il tuo riflesso nello
specchietto retrovisore e, cazzo, quelle che vedi sulle tue guance sono
lacrime. Ti copri platealmente il volto con le mani e, come una
perfetta checca
alla stregua di Emmett, ben presto diventi un impianto di irrigazione.
Singhiozzi e piangi, un po’ per Justin che ti ha mollato
un’altra volta per
Ethan, un po’ per le scarpe ed i calzini che, ora, ti ritrovi
bucati. Ormai è
finita, davvero finita…
Le tue
palpebre si aprono di scatto,
con il cuore che ti sta andando a mille. Fissi il soffitto sopra di te
e ti
rendi conto di essere comodamente disteso sul letto del tuo loft. Ti
passi una
mano sulla fronte imperlata di sudore, sospirando. Hai fatto solo un
sogno. Un
brutto sogno. O meglio, per essere più precisi, il peggior
incubo di
tutta la tua vita. Ti sfreghi le palpebre con i palmi delle mani e poi
ti
gratti forte la testa, cercando di dimenticare tutto, di dimenticare la
bisbetica, suo marito, quello strizzacervelli incompetente e la
versione
ridicola, grottesca e completamente surreale di te e Justin. Ma
soprattutto,
cerchi di dimenticare lui, Ian. Il tuo viso si
contrae subito in una
smorfia schifata, piena di disgusto e repulsione per quel violinista
maledetto.
Senti un vago senso di nausea ed un peso insopportabile che ti opprime
lo
stomaco. Ti chiedi subito quale possa essere la ragione del tuo
malessere. Poi,
ad un tratto, arriva l’illuminazione. Capisci immediatamente
che cosa ti
ha causato quell’incubo tremendo e anche di chi
sia la colpa. Così,
strofinandoti il mento, mediti vendetta.
Ti alzi dal letto e, lentamente, cammini senza fare il
benché minimo rumore.
Scendi i gradini della zona notte e, finalmente, scorgi Justin.
È girato di
spalle e sta preparando la colazione mentre, a ritmo di una musica che
solo lui
pare sentire, ancheggia e muove il suo bellissimo sedere in maniera a
dir poco
sensuale. È una visione che ti mette i brividi, ma cerchi di
calmare i tuoi
bollenti spiriti: non ci tieni affatto che il tuo piano vada in fumo
ancora
prima di essere messo in atto. Lo raggiungi silenziosamente e lo
afferri per un
braccio, voltandolo verso di te con uno scatto. I suoi occhi azzurri ti
fissano
subito, sorpresi, mentre un sorriso distende le sue labbra carnose, ora
sporche
di un leggero sbaffo di cioccolato. Ridacchi interiormente: certe volte
ti
sembra proprio un bambino. Lo spingi contro il bancone della cucina e
non gli
lasci il tempo di dire niente. Ti avventi sulla sua bocca, sentendo
subito
sulla tua lingua il suo sapore mischiato a quello dolce del cioccolato.
Inoltri
le mani sotto la sua canotta, accarezzando e tastando quanta
più pelle
possibile. Lui non obbietta alla tua irruenza, lasciandosi manovrare
docilmente
da te e cingendoti la vita con le braccia. Continui a baciarlo,
succhiandogli e
mordendogli di tanto in tanto le labbra, infilando poi un ginocchio tra
le sue
gambe per divaricarle e strusciarti addosso a lui. Senti qualcosa
premere
contro il tuo basso ventre e capisci che sta cominciando ad ardere di
desiderio
per te. Ti separi dalla sua bocca solo il tempo necessario per
spogliarlo.
Ritorni a stuzzicargli le labbra, vezzeggiandolo con la lingua, e non
ci vuole
poi molto prima che vi ritroviate distesi sul parquet, l’uno
sopra l’altro,
vinti dalla foga. Gli mordi una spalla nuda, poi il collo, e lui ti
passa le
dita tra i capelli, assuefatto dalle attenzioni che gli stai dedicando.
Ti alzi
con la schiena e gli abbassi i pantaloni della tuta e gli slip fino
alle cosce,
in un colpo solo. Ti concedi qualche minuto per guardarlo, ansimante,
con i
capelli biondi scarmigliati e la bocca umida della tua saliva, e non
riesci a
capire come faccia a diventare più bello ogni giorno che
passa. Scuoti
impercettibilmente la testa e cerchi di non capitolare a causa di tutta
quella
sua avvenenza eterea.
Di nuovo, ti avventi sulla sua bocca mentre, con una mano, cominci a
toccarlo
in mezzo alle gambe. Geme nella tua bocca e tu sorridi internamente.
Con
movimenti sicuri, ti muovi esperto su tutta la sua lunghezza turgida,
facendolo
inarcare dal piacere. Lo stuzzichi per svariati minuti, intervallando
tocchi
lenti a tocchi veloci e, quando gli sfiori la punta col pollice,
irrigidisce il
corpo. Senti che è pronto a raggiungere il culmine e sai che
è arrivato il
momento ideale. Così, all’improvviso, togli la
mano e smetti di baciarlo.
Justin protesta un po’, ma poi allunga di qualche centimetro
la testa per
arrivare a baciarti il collo. Infila ancora le dita tra i tuoi capelli,
tirandoteli piano, ma poi cessa di toccarti ed accarezzarti quando si
rende
conto che tu non stai più muovendo un solo muscolo,
rimanendo completamente
immobile. Ti guarda negli occhi, con fare interrogativo.
«Perché ti sei fermato?», ti chiede, la
voce roca e sporca di brama.
Rimani a fissarlo per qualche secondo, con i palmi delle mani
appoggiati sul
parquet. Infine sorridi canzonatore, facendoti beffe di lui.
«Vaffanculo tu e la jambalaya indigesta che mi hai preparato
ieri sera per
cena», sibili, ad un soffio dalla sua bocca, lanciandogli
un’occhiataccia
eloquente, prima di alzarti e lasciarlo lì, eccitato ed
insoddisfatto,
conquistando la tua piccola, meritata rivincita.