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Autore: EternallyMissed92_    30/12/2015    15 recensioni
Brian è convinto che il suo matrimonio non possa andare meglio di così.
Justin non è assolutamente d'accordo con lui e lamenta un sacco di problemi.
Una coppia etero, infelicemente sposata, metterà a dura prova la loro pazienza.
Un esperto che è tutto tranne che, appunto, esperto, chiamato ad aiutarli, non farà altro che peggiorare la loro già precaria situazione.
E questo è solo l'inizio di un siparietto tragicomico, grottesco, surreale e sì, ridicolmente patetico.
Perché tutti possono diventare un po' matti... anche uno come Brian Kinney.
Dedicata a fefi97, mindyxx e loveglee123.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: Niente mi appartiene, men che meno quelle due meraviglie di Brian Kinney e Justin Taylor (mannaggia…). Queer as Folk è di proprietà della Cowlip e della Showtime.
Note dell’autrice: Il titolo della storia è preso dall’omonima canzone dei Queen. Con questo mio scritto – frutto di un’idea che risale a più di due anni fa, ma che ho avuto il coraggio di mettere nero su bianco solo ora – non voglio offendere nessuno, tantomeno due personaggi del calibro di Brian e Justin. Non è mia intenzione metterli in ridicolo, prenderli in giro o altro. Il mio unico desiderio, mentre scrivevo, era quello di porli sotto una luce totalmente diversa da quella del telefilm, in chiave più leggera e scherzosa e, per certi versi, abbastanza assurda, per stemperare un po’ l’angst che da sempre predomina questa bellissima coppia. Quindi, vi prego, non siate maligni nei miei confronti.
Nonostante il periodo in cui siamo, purtroppo non si tratta di una storia natalizia, non credo di essere portata per questo genere, ma ho voluto comunque provare a scrivere qualcosa di ‘comico’ che, per me, è abbastanza raro da trovare in questo fandom, per puro divertimento personale… e, perché no, anche per strapparvi qualche piccolo sorriso.
Due piccolissimi appunti riguardanti la shot: 1) Il rating è arancione solo per una questione di linguaggio perlopiù scurrile – ma, dopotutto, stiamo parlando di Queer as Folk, no? –, niente di così sconcertante; 2) Ho deciso di non inserirla nella mia “Together we’re invincible” semplicemente perché ho pensato che una storia come questa avrebbe stonato col fino conduttore con cui sono legate le shots già presenti nella raccolta, che hanno un tenore più drammatico… è un motivo stupido, me ne rendo conto, ma ho preferito evitare e pubblicarla a parte.
In ogni caso, essendo periodo natalizio – e si sa che a Natale si è tutti più buoni, no? –, mi farebbe molto piacere ricevere in dono una vostra opinione, anche se di poche righe, giusto per sapere cosa pensate di ciò che ho scritto. Se la storia dovesse fare pietà od offendere in qualche maniera, provvederò a rimuoverla immediatamente.
Vi lascio alla storia. E a chi desiderasse lasciarmi un piccolo, minuscolo commento, regalerò un panettone – o un pandoro, dipende dai vostri gusti –. Ne approfitto per farvi i migliori auguri di Buon Natale – anche se è appena passato – e, già che ci sono, anche di un felice anno nuovo! Buona lettura, -Martina-.

 

Last but not least: voglio dedicare questa storia a tre persone.
A Fede (fefi97), di cui posso dire che l’input per la shot è scaturito grazie a lei.
A Monica (mindyxx), che mi ha regalato tante risate con la sua ‘un giorno di ordinaria follia’ e ho voluto contraccambiare.
E a Matilde (loveglee123), sperando di tirarle su un po’ il morale.
Spero possa piacervi… e se non dovesse, beh, avete tutto il diritto di mandarmi a…!

 

                                                
I’M GOING SLIGHTLY MAD

 

 
Il divanetto su cui sei seduto immobile da più di mezz’ora sta cominciando a diventare scomodo. Fottutamente scomodo. Talmente scomodo che il tuo bellissimo culo ha perso buona parte della propria sensibilità, indolenzendosi a poco a poco. L’ennesimo, malcelato sbuffo esce dalle tue labbra dischiuse, mentre allunghi le gambe sul parquet di quella saletta d’attesa claustrofobica per sgranchirle. Incroci le braccia sul ventre e reclini la testa all’indietro, appoggiandola contro il muro. Ti ritrovi a fissare il soffitto e pensi che abbia bisogno di una bella riverniciata. Cerchi di concentrarti su una piccola crepa all’angolo per estraniarti momentaneamente dalla realtà, ma la musica che proviene dallo stereo vicino al tuo divanetto – le cui casse, ora, stanno diffondendo il Nocturne Op. 9 No. 2 di Chopin ad un volume che tu ritieni indicibile – ti sta trapanando le orecchie. Per quanto tu possa adorare la musica classica – chi l’avrebbe mai detto? –, adesso sei stufo di ascoltare tutta quella miscellanea sinfonica a base di Beethoven, Schubert, Bach e Wagner e desideri ardentemente risentire la buona e vecchia musica dance del Babylon.
Sospiri e chiudi gli occhi, nella vana speranza che una voragine si apra sotto di te e ti inghiottisca per sempre nel pavimento. Tamburelli le dita sul ginocchio e sbuffi di nuovo, seccato, percependo chiaramente lo sguardo di Justin su di te, che ti sta trapassando da parte e parte come una lama affilata.
«Brian?», ti chiama il tuo biondo artista, con tono evidentemente irritato. «È da più di un quarto d’ora che sbuffi. Hai intenzione di continuare ancora per molto o devo infilarti qualcosa in bocca affinché tu la smetta?»
In tutta risposta sbuffi nuovamente. Ma questa volta il tuo è uno sbuffo piuttosto divertito. Riapri le palpebre, voltando la testa nella sua direzione per guardarlo, lì, seduto sul divanetto di fianco al tuo, e una luce maliziosa pervade subito le tue iridi verdi. Ti sporgi verso di lui come un felino affamato, le labbra piegate in un sorriso provocante.
«E sentiamo, splendore: cosa vorresti infilarmi in bocca?», gli soffi nell’orecchio, abbassando apposta la voce per renderla roca e sensuale, e la tua mano percorre la sua coscia, risalendo lungo la patta dei suoi jeans. «Io avrei un’idea…»
Justin ti afferra bruscamente il polso, bloccandoti immediatamente.
«Ti sembra il momento e il luogo adatto?», esclama, perentorio, raggelandoti sul posto con la sola forza del suo sguardo. «Vedi che ho ragione quando dico che tu hai sempre e solo voglia di scopare?»
«Da quando sei così bigotto?»
«Non è questione di essere bigotti», si difende lui, quasi oltraggiato. «Semplicemente, io uso il cervello.»
«Davvero?», gli sorridi, di un sorriso che sai non piacergli per niente, e cominci a muovere la mano tra le sue gambe. «E quale cervello stai usando, adesso? Quello superiore o quello inferiore?»
Lo senti irrigidirsi da sopra la stoffa dei pantaloni e le sue pupille si dilatano dall’eccitazione.
«Brian…», sussurra a malapena.
«Sei piuttosto duro, in questo momento e in questo luogo, per essere così bigotto», sentenzi, scimmiottandolo ad un centimetro dalle sue labbra, aumentando la velocità delle tue carezze e spingendo più forte il palmo contro la sua virilità. «O sbaglio?»
«Non… non sono bigotto», soffia, cercando di stringere le cosce per impedirti qualsiasi altro movimento. «Ma non voglio che… che qualcuno ci veda e…», non fa in tempo a finire la frase che i suoi occhi sono già sbarrati, completamente fuori dalle proprie orbite.
La porta dello studio di fronte a voi si è appena aperta. Nel tuo campo visivo compaiono improvvisamente un uomo e una donna sulla quarantina, i quali, immobili come due statue di marmo, vi stanno fissando. Nonostante siate stati colti in flagrante in atti non propriamente consoni al posto in cui vi trovate, tu non accenni minimamente a ricomporti e renderti quantomeno presentabile. Con sguardo di sfida, fissi di rimando i due disturbatori mentre accentui la presa delle tue dita fra le gambe di Justin, stringendolo con vigore, e lui trasale subito, mugolando. La donna, livida in volto, si lascia scappare un urletto inquietante. Vi guarda in un misto tra disgusto e orrore, come se foste due appestati, premendo la mano contro le labbra quasi dovesse vomitare lì, davanti ai vostri stessi occhi. Sollevi un angolo della bocca e ghigni, maligno.
«Gli stavo rimettendo a posto il pennello», le dici, sarcastico, indicando Justin con un cenno del capo. «Lui è un artista. E posso giurarle che ci sa fare parecchio con i pennelli, soprattutto se usa il mio.»
A quella tua affermazione carica di doppi sensi, la faccia della donna diventa ancora più cianotica e sconvolta. L’uomo di fianco a lei ridacchia, sinceramente divertito, ricevendo però in cambio una gomitata tra le costole da parte di quella bisbetica omofoba. Squadri quel gran bel pezzo di maschio con sguardo da seduttore, facendogli una bella radiografia col solo potere dei tuoi occhi. Lui ricambia, guardandoti con desiderio, e tu sorridi come un cacciatore che ha appena conquistato un’altra preda. Un pizzicotto piuttosto doloroso, ben assestato sul dorso della tua mano, ti riscuote dalla trance in cui sei appena caduto. Sei costretto a levarla di scatto – lamentandoti con un “ahi!” che ha ben poco di virile – per massaggiarne subito la parte lesa. Rivolgi tutta la tua attenzione a Justin e ci manca poco – davvero poco – che tu ti metta ad urlare per il terrore. Troneggia su di te, improvvisamente in piedi, e la sua espressione minacciosa ed inferocita è una visione terribile, così come il fumo che gli sta uscendo dalle narici e gli occhi iniettati di sangue che, ridotti in due fessure colme di rabbia, paiono volerti tagliare a fettine sottilissime. Senti aria di tempesta imminente – nonostante sia estate inoltrata – ed un brivido gelato ti percorre la colonna vertebrale, facendoti rizzare i capelli in testa e pure i peli sulle braccia.
«Brian», sibila, digrignando i denti, e il suo tono di voce sembra provenire direttamente dall’oltretomba. «Come osi provarci con un altro davanti ai miei stessi occhi, lurido maniaco pervertito!»
Come il migliore degli attori, con un’alzata di mento degna di nota, ostenti indifferenza e serenità assolute – benché tu sia quasi diventato un tutt’uno con il divanetto, spalmandoti contro di esso con la schiena per la paura – e cerchi di calmarlo prima che possa ucciderti con la sola forza del pensiero.
«Veramente era lui che ci stava provando con il sottoscritto», ti giustifichi, sperando di passarla liscia, ma un urlo improvviso, acuto come lo stridere delle unghie sulla lavagna, ti obbliga a tapparti con forza le orecchie.
La bisbetica, bordeaux in volto e con le vene del collo gonfie, ti sta puntando l’indice contro e noti che la sua bocca si sta muovendo freneticamente. Nonostante tu sia un uomo dai molteplici talenti, purtroppo non sai leggere il labiale e così non afferri un accidente di ciò che ti sta sbraitando addosso. Solo quando la vedi zittirsi – agonizzante per lo sforzo con cui ha urlato – e capisci che il peggio è passato, decidi di togliere le mani dalle orecchie. La fissi con la fronte aggrottata ed un punto di domanda gigantesco che fluttua sopra la tua testa.
«Cos’ha detto, scusi?», le chiedi, e sentendo la tua stessa voce risuonare ovattata ti rendi conto che quella maledetta donna ti ha fatto perdere parzialmente l’udito con il suo urlo tirannico.
Lei ti guarda, ancora un po’ ansimante, e ti accorgi di come stia stritolando la mano dell’uomo – bluastro in viso, che si sta mordendo a sangue il labbro inferiore per il dolore – nella sua.
«Ho detto che non è vero che mio marito ci ha provato con te!», strilla, peggio di un’aquila reale, senza neanche avere la decenza di mostrarsi un pochino educata nei tuoi confronti dandoti del lei. «Lui non è come te e il tuo amichetto biondo, perché lui non è un… non è un… un…»
«Un frocio?», esclami, ritrovando la sfrontatezza che da sempre ti contraddistingue, e sorridi beffardo. «Mi dispiace deluderla, ma suo marito è gay», sentenzi, mentre lei ti guarda ad occhi sbarrati, sconcertata. «Gli piace il cazzo, solo che non ha abbastanza palle per ammetterlo. Ed anche lei, pur continuando a negarlo, è a conoscenza di queste sue, chiamiamole così, tendenze. Probabilmente è a causa dell’omosessualità repressa di suo marito che il vostro matrimonio è infelice e sta andando a rotoli», snoccioli, sicuro di te, con un sorriso trionfante sulle labbra.
Realizzi di aver parlato troppo solo quando due ceffoni, potenti e funesti quanto una cannonata, arrivano contemporaneamente ad abbattersi su entrambe le tue guance. Uno da parte della bisbetica non domata, l’altro da parte del marito finto etero. Per un attimo rimani interdetto. Poi, d’un tratto, ti senti come se ti avessero appena schiacciato la faccia tra due piatti orchestrali. Hai la brutta sensazione che le tue mascelle ti stiano lentamente abbandonando per cadere e sfracellarsi al suolo e gli zigomi, i tuoi poveri zigomi, pare stiano sguazzando in un vulcano traboccante lava incandescente. Il deturpamento ai danni del tuo viso da dio greco è incombente e tu, sgomento, sbatti due manate su di esso facendole poi scivolare teatralmente lungo le guance, in una perfetta interpretazione del famoso Urlo di Munch. Trattieni a stento un ululato di dolore e ti lasci cadere sulle ginocchia, sprofondando in uno stato catatonico.
«Brian?», ti chiama Justin, dopo quella che a te è sembrata durare un’eternità, sventolandoti una mano davanti al naso. «Brian?»
Senti la voce del tuo biondo artista arrivarti come un’eco lontana – probabilmente perché l’udito è peggiorato ancora – e gli rivolgi uno sguardo vitreo, tetro. È lì, dinanzi a te, che spicca in tutto quel mistico alone bianco e dorato, circondato da qualche angioletto che suona la cetra ed intona un canto a te sconosciuto, in un’atmosfera celestiale e divina, ultraterrena.
«Sono… sono morto?», gli chiedi.
Lui alza gli occhi al cielo e, afferrandoti un braccio, ti aiuta a sollevarti.
«Non sei morto, razza di idiota», sbotta, sbuffando comunque una risatina.
Da perfetto narcisista quale sei, ti tocchi subito il viso, ne tasti la compattezza e la morbidezza e, con un sorriso sollevato, constati che tutto è al proprio posto. Con un respiro profondo ti riprendi, ritornando lentamente in te, prima di guardarti intorno ed accorgerti che quei due tipacci sono improvvisamente spariti.
«Se ne sono andati già da un po’», ti dice Justin, leggendoti nel pensiero. «Lei ha continuato a strillare e ad insultarti in maniera piuttosto colorita, strappandosi i capelli e camminando su e giù come una pazza per tutta la stanza… così il suo caro maritino ne ha approfittato per lasciarti il numero di cellulare.»
«Davvero?», esclami, le iridi verdi che scintillano come fossero glitter.
«Sì. Te l’ha scritto sul palmo della mano destra con una penna.»
Esaltato, volti subito la mano ma, non appena posi gli occhi su di essa, noti che sopra non vi è scritto niente.
«Ma cosa…?»
«Ovviamente, io ho provveduto subito a cancellarlo», ti informa la tua testolina bionda, sollevando le sopracciglia e sorridendoti canzonatore. «Spero non ti dispiaccia», aggiunge, mentre il suo sorriso si spegne in un baleno, lasciando posto ad un’espressione colma di perfidia. «Ma non dovresti esserne dispiaciuto dal momento che sei sposato con me, dico bene?»
Cerchi di ribattere incenerendolo con lo sguardo quando, all’improvviso, la porta dello studio si apre come se fosse stata sospinta da una violenta e fortissima raffica di vento. Sulla soglia, in un nugolo di fumo denso e grigiastro, compare un uomo. Tossicchia e, a fatica, lo scorgi dimenare con foga le braccia per disperdere tutta quella coltre di vapore.
«Scusate il ritardo», esordisce, avanzando di qualche passo verso di voi. «Mi ero perso.»
Finalmente riesci a vederlo chiaramente, mentre si spolvera le spalle e si pettina all’indietro i capelli biondo cenere. Si pulisce gli occhiali da vista con un lembo della giacca e, di sfuggita, ti guarda. Ha gli occhi grigi, tendenti al verde, e mostra una fila di denti perfettamente bianchi quando ti sorride. Neanche a dirlo, senti i tuoi pantaloni farsi immediatamente più stretti. Ci proveresti con lui se non fosse per Justin che, sfruttando l’occasione in cui il nuovo centro dei tuoi pensieri erotici è troppo impegnato ad esaminare le lenti in controluce, ti ha rifilato una tremenda strizzata alle palle – o meglio, alla palla –. Ci proveresti con lui se non fosse per un piccolo, enorme difetto: è uno specialista nel campo della terapia di coppia.

Terapia di coppia.
Scuoti la testa e ci manca poco che tu ti metta addirittura a ridere di te stesso. Tu, Brian Kinney, il re di tutti i froci di Pittsburgh, che finisci in terapia di coppia sotto la minaccia – sei mesi senza sesso e divieto assoluto di farlo con altri, pena l’evirazione – di quella maledetta testolina bionda! Hai toccato il fondo, ne sei sempre più convinto. Lanci un’occhiataccia letale a Justin e lui, in tutta risposta, ti sorride soddisfatto, gongolando. Imprechi internamente e, in quel momento, vorresti solo avere in mano una pala per scavarti la fossa e scongiurare quel supplizio imminente.
«Siete i signori Kinney?», vi chiede quella sottospecie di strizzacervelli, psicologo, terapeuta, consulente o come cazzo tu voglia chiamarlo.
«No, io neanche conosco questo ragaz…», cerchi di obiettare, ma Justin è più svelto e, senza essere visto dall’altro – troppo occupato, questa volta, a scacciare una zanzara che gli ronzava intorno –, ti molla un’altra strizzata, spezzandoti il fiato.
«Sì, siamo noi», risponde lui.
«Bene. Se volete essere così gentili da seguirmi…»
«No, non si disturbi, noi ce ne stavamo giusto andan…», l’ennesima strizzata ai danni del tuo unico ed ormai malandato testicolo stronca sul nascere anche il tuo ultimo tentativo di svignartela. L’evirazione, di questo passo, non sembra essere poi così lontana.
Tu e Justin vi guardate in cagnesco, mentre il consulente vi fa strada nel suo anfratto. Superate la nube di fumo – di cui non hai la benché minima idea da dove esca fuori – e, non appena giungete a destinazione, venite inghiottiti dal buio più buio che esista. Non vedi più niente. Alla cieca, cerchi la mano di Justin e, una volta trovata, la stringi. Lui ricambia la stretta e tu non puoi fare a meno di lasciarti sfuggire un sorriso. Improvvisamente senti i passi del consulente allontanarsi adagio e, dopo qualche secondo, odi un tonfo sordo.
«Tranquilli, ho solo sbattuto l’anca contro la scrivania», dice, rassicurandovi.
Un altro passo, un altro rumore.
«Niente di grave, solo qualche penna cascata a terra.»
Un altro rumore ancora, come di qualcosa che si rompe in mille pezzi.
«Adesso è caduta la lampada che avevo sulla scrivania.»
Il fragore che giunge subito dopo è peggio di una valanga nei pressi di Aspen.
«Tutto bene?», chiedi, fingendoti preoccupato.
«S-sì, sì…», ti risponde lui, ansimante, la voce ridotta ad un bisbiglio. «Ho solo… ho solo urtato la libreria e sono stato travolto da tutti i tomi sulla dottrina psicoanalitica in mio possesso.»
Ben ti sta!”, pensi, ridacchiando sommessamente per non farti sentire.
Dopo alcuni minuti, la luce del giorno invade pigramente la stanza. Il consulente è finalmente riuscito ad arrivare fino alla finestra per aprirla e tirare su la tapparella. Fa lo slalom tra i libri che sono crollati sul pavimento e, mettendosi comodo dietro la propria scrivania, si spolvera di nuovo la giacca. Capisci che, purtroppo, è giunto il momento di farsi giudicare da un perfetto sconosciuto e di essere seri. Molto seri.
«Lei è parecchio svampito, sa?», gli fai notare. «Non poteva premere l’interruttore della luce ed evitare di combinare tutto questo casino?»
Lui ti guarda un attimo, sbattendo ripetutamente le ciglia.
«Lo sa che ha ragione?», risponde, leggermente imbarazzato, e tu alzi gli occhi al soffitto. «Non ci avevo pensato.»
«Prima di psicanalizzare gli altri, dovrebbe psicanalizzare sé stesso, non le pare?», gli consigli, sorridendo vittorioso.
Con la mano ancora stretta nella sua ti volti verso Justin e per poco non ti prende un infarto. I suoi lunghi e biondissimi capelli, a causa dell’umidità provocata dal vapore, sono sparati in aria come dei raggi luminosi che vanno in tutte le direzioni possibili ed immaginabili, neanche avesse infilato le dita nella presa della corrente. Nonostante quella nuova pettinatura estemporanea gli doni un aspetto molto, come dire, solare, sei costretto ad ammettere che sia uno spettacolo inguardabile.
«Perché mi stai fissando?», ti chiede lui, con un sopracciglio alzato. «Ho qualcosa in faccia?»
Trattieni a stento una risata e fai spallucce.
«Non hai niente, splendore», gli rispondi, esibendo un sorrisino di circostanza. «Non in faccia, perlomeno», mormori pianissimo e, tirandotelo addosso, pressi il suo viso contro il petto, quasi soffocandolo, accarezzandogli brutalmente la testa più e più volte per far ritornare al loro stato originale quelle sottospecie di spaghetti imbottiti di viagra che si ritrova per capelli.
«Scusate l’interruzione», la voce del consulente ti ridesta dal tuo lavoro di parrucchiere provetto. «Prego, accomodatevi pure», vi invita gentilmente, indicando con una mano le due poltroncine sgangherate.
Liberi Justin dalla tua presa e, con un sospiro, chiudi la porta dello studio dietro le tue spalle, firmando così la tua condanna.

 

La prima cosa che hai pensato non appena ti sei seduto è stata: “Come cazzo ha fatto questo idiota di uno strizzacervelli a perdersi se il suo studio è grande quanto un buco di culo?”. E lo hai pensato con cognizione di causa, dal momento che ne hai visti un sacco di buchi di culo durante la tua vita. Ma un buco di culo così no, non l’hai mai visto. Probabilmente perché quello non è un vero e proprio culo.
Lo studio è ancora più claustrofobico della saletta d’attesa. È piccolo, talmente piccolo che ti chiedi come abbiano fatto scrivania e libreria a starci dentro. Non che ti importi veramente, ma devi pur pensare a qualcosa mentre il vostro caro consulente ha deciso di prendersi qualche minuto per limarsi le unghie. Hai l’ennesima prova del fatto che sia davvero uno svampito cronico. Lo guardi di sottecchi e, appoggiandoti completamente con la schiena contro la poltroncina – che speri tanto non si rompa sotto il tuo peso –, accavalli una gamba sopra l’altra. Ti giri i pollici, sospirando, e dai un’occhiata a Justin. I suoi capelli, per fortuna, sono ritornati alla normalità e lui non sembra più la ruota di una bicicletta. Si stiracchia, mettendosi a sbadigliare e, per riflesso condizionato, sbadigli anche tu. È proprio il caso dirlo: ‘che noia, che barba, che barba, che noia!’.
«Ecco fatto, ho finito», esclama all’improvviso il consulente. «Scusatemi, ma non posso scrivere se non ho tutte le unghie della stessa lunghezza», vi fa sapere, gettando tutta l’artiglieria pesante per una perfetta manicure dietro le proprie spalle, la quale finisce fuori dalla finestra spalancata.
Si ode uno schianto, poi il frastuono di un vetro che si frantuma e l’antifurto di un’auto che suona all’impazzata. Infine, un urlo che ti fa perdere anche l’ultimo briciolo d’udito che ti era rimasto. Puoi giurare che quel grido disumano sia partito direttamente dalle corde vocali della bisbetica di prima. Tu e Justin fissate il consulente e lui, con nonchalance, si stringe nelle spalle ed afferra un modulo.
«Gli incidenti sono all’ordine del giorno, qui di sotto», vi informa, cominciando a scribacchiare con la penna.
«Scommetto che succedono sempre quando c’è lei nei paraggi», gli dici, sogghignando.
Lui ti guarda con un sopracciglio inarcato.
«Sì. Ma lei come fa a saperlo?»
«Mah… intuito, suppongo.»
Il consulente si stringe di nuovo nelle spalle e riprende a scrivere sul foglio.
«Allora, cosa vi ha…»
«Mi scusi se la interrompo subito», lo fermi, sollevando una mano. «Posso sapere quali problemi aveva la coppia prima di noi?»
«Veramente, signor Kinney, io sono vincolato dal… dal... aspetti, com’è che si chiama?», getta un’occhiata fugace ad un post-it giallo attaccato al computer che pare essere venuto dal dopoguerra. «Ah, sì! Dicevo, sono vincolato dal segreto professionale. Non posso dirle niente riguardo al fatto che il matrimonio dei signori Cooper, così si chiamano, stia andando a scatafascio a causa dell’omosessualità di lui. Sarebbe ben poco professionale, da parte mia, dirle i fatti privati degli altri miei pazienti, non crede?»
Justin si sbatte una manata sulla fronte e tu pieghi le labbra all’interno della bocca per non scoppiare a ridere. Metti su un’espressione seria e lo fissi negli occhi.
«Certo, ha assolutamente ragione», concordi con lui, pensando che dovrebbero darti un Oscar per la miglior interpretazione. «Non mi permetterei mai di mettere in dubbio la sua autorità ed il suo riserbo.»
«La ringrazio… dopotutto, mi ritengo uno specialista molto serio e scrupoloso», afferma, senza alcuna modestia. «Dunque, vi stavo giusto chiedendo cosa vi avesse spinto a volere una mia consulenza.»
«L’incompatibilità di carattere, principalmente», sostiene subito la tua testolina bionda.
«Capisco. E da quanto tempo siete sposati?», chiede, rivolgendoti lo sguardo.
Justin ti osserva con la coda dell’occhio mentre tu, picchiettandoti l’indice sul mento, cerchi di fare mente locale. Ti metti a contare con le dita come un bambino delle elementari e lo vedi alzare gli occhi al cielo con uno sbuffo piuttosto sonoro.
«Da due anni», risponde infine lui, e tu annuisci fingendo di saperlo. «Ma stiamo insieme da sette.»
«Ah, la classica crisi del settimo anno», esclama il consulente, ridacchiando, credendo di fare il simpaticone. «Scherzi a parte… signor Taylor, cosa intende precisamente per ‘incompatibilità di carattere’?»
«Intendo dire che ci scontriamo su tutto, perché ci sono cose che Brian vuole sempre fare ed io no.»
«Mi faccia un esempio.»
La tua testolina bionda abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro e tormentandosi nervosamente le mani. Resta qualche secondo in silenzio, poi rialza improvvisamente il viso.
«Vuole sempre fare sesso con me», esordisce infine, la voce leggermente isterica.
Il consulente abbassa gli occhiali sul naso e lo guarda da sopra le lenti.
«E questo è un male?», gli domanda, e tu ridacchi sotto i baffi.
«Direi di sì, dal momento che pensa sempre e solo a quello», afferma Justin, alzando di un’ottava la voce. «Che sia mattino, pomeriggio, sera o notte, il suo primo pensiero è il sesso! È sempre stato il suo chiodo fisso, sin da quando l’ho conosciuto, e posso assicurarle che la sua libido non è minimamente calata!»
«Non riesco a capire dove sia il problema…»
«Il problema, dottore, è che non mi lascia un attimo di tregua», sospira, esasperato e disperato al contempo.
«Non mi sembra che tu ti sia mai lamentato delle mie prestazioni. Ti scopo per bene, anche più volte al giorno, come ogni buon marito dovrebbe fare, e i tuoi gemiti e le tue urla sono un chiaro segnale di quanto io ti soddisfi appieno», sostieni, abbozzando un sorriso furbo, e vedi le guance del tuo biondo artista tingersi di rosso a causa dell’imbarazzo. «Dico bene, splendore?»
«Non è questo il punto!», sbotta, mentre il rossore sul suo bel volto aumenta, propagandosi fino alla punta del naso.
«E quale sarebbe il punto, allora, signor Taylor?», interviene il consulente.
Justin lo fissa con lo stesso sguardo di un condannato al patibolo.
«Il punto è che… che non facciamo altro che… che… che…»
«… che scopare!», completi per lui, ribadendo nuovamente il concetto e trattenendo a stento una risata nel vederlo così impacciato e balbettante.
«Lo sente?», esclama, indicandoti con il pollice. «Sente come è volgare?»
Con un sorrisetto stampato sulla bocca, ti appoggi saldamente ai braccioli della poltroncina ed allunghi il collo verso di lui, sfiorandogli quasi lo zigomo con il tuo naso.
«Ma tu adori quando ti sussurro cose sconce all’orecchio mentre ti sco…»
«Basta, Brian!», esplode improvvisamente Justin, e le sue guance, ora, hanno raggiunto una gradazione di colore tendente al porpora.
Il consulente, sentendosi vagamente a disagio di fronte ad un simile siparietto, richiama la vostra attenzione con due colpi di tosse, per poi schiarirsi rumorosamente la gola.
«Scusi se glielo chiedo, signor Taylor, ma, essendo voi una coppia a tutti gli effetti, ci dovrà pur essere qualcos’altro che fate oltre a… beh, ecco… ad avere solamente rapporti sessuali, no?»
«Certamente.»
«Mi faccia un altro esempio, allora.»
«Litighiamo, mi sembra ovvio!», sbotta lui, e al consulente cadono le braccia. «E se non litighiamo, lui si comporta male con me!»
«Sì, ma questo succede un po’ in tutte le coppie sposate che…»
«Lascia sempre la tavoletta del water alzata quando sa che mi dà fastidio, mangia sul letto riempiendolo tutto di briciole, non fa mai la lavatrice, non pulisce mai il pavimento», comincia ad elencare il tuo biondo artista, ormai partito in quarta, e sembra non volersi più fermare. «Ci prova spudoratamente con ogni uomo che entra nel suo campo visivo, non mi fa mai un regalo, non si ricorda mai quand’è il mio compleanno se non glielo dico io, non sa quale dentifricio uso, non sa nemmeno quanti nei ho sulla schiena e, dulcis in fundo, non gli va mai bene niente di quello che faccio, neanche di quello che gli cucino nonostante io ci metta tutto l’amore e l’impegno possibili…», dichiara, tutto d’un fiato, abbassando lo sguardo e disegnando dei cerchi invisibili sulla scrivania con l’indice, e puoi giurare di aver sentito la sua voce incrinarsi da un principio di pianto imminente.
«Cristo, ti stai comportando come una povera checca isterica!», esclami, trovando tutta quella situazione a dir poco assurda. «Anzi, sei peggio di una casalinga disperata, frustrata e repressa!»
«Come osi darmi della casalinga disperata?», prorompe, offeso. «Non ho fatto altro che dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità!»
«Lo giuri?»
«Lo giuro!»
«Allora sei un gran bugiardo», sentenzi, incrociando le braccia sul petto. «Innanzitutto, al contrario di ciò che dici, io ti faccio un sacco di regali…»
«Certo, perché uno gigolò per il mio compleanno può essere considerato un regalo, vero?», sbraita, sarcastico.
«Beh, se proprio non lo vuoi, la prossima volta ne faccio buon uso io stesso, d’accordo?»
È un attimo. Si alza in piedi come una furia, facendo cadere la poltroncina a terra – che subito si rompe – e mollandoti un sonoro ceffone.
«Basta, sono stanco del tuo comportamento! Non ti sopporto più, hai capito? Non ti sopporto più!», grida, gli occhi che lanciano fiamme. «Voglio il divorzio!»
Lo fissi un attimo, allucinato, poi gonfi le guance ma, non riuscendo più a darti un contegno, infine scoppi in una risata piuttosto fragorosa.
«Cos’è che vorresti tu
«Voglio il divorzio!», ripete, e dal suo sguardo capisci che non sta affatto scherzando.
«Justin, cerca di ragionare e…»
«Ho già ragionato fin troppo, con te, e adesso ne ho piene le scatole», ti interrompe, sfilandosi la fede dall’anulare sinistro e sbattendola così forte sulla scrivania che il consulente – il quale vi sta guardando esterrefatto – sobbalza per lo spavento. «Ho fatto la mia scelta: ritorno con Ethan.»
«Tu cosa?», ora stai gridando anche tu e, di riflesso, scatti subito in piedi come una molla.
«Mi hai sentito! Ritorno con Ethan, il dolce e romantico Ethan, che mi dedica serenate col violino, mi prepara deliziosi pic-nic al lume di candela sul pavimento e non pensa sempre e solo al mio povero culo!»
«Tu non puoi lasciarmi di nuovo per quel fottuto tortura gatti!», protesti, sentendo una morsa orribile annodarti lo stomaco.
«E chi me lo proibisce?»
«Io te lo proibisco!»
Il consulente si alza dalla poltrona e mette le mani avanti.
«Signori, vi prego di calmar…»
«Stia zitto, lei!», sbottate all’unisono sia tu che Justin, e lui obbedisce immediatamente, rimettendosi seduto e facendo il segno di chiudersi la bocca con una cerniera.
«Ormai ho deciso», dice il tuo – ex? – biondo artista, categorico. «Ethan è giù che mi aspetta e io non voglio farlo attendere oltre.»
Lo fissi a bocca aperta, sbigottito, mentre apre la porta e, girandosi verso di te un’ultima volta, ti sussurra un gelido “addio”. Cerchi di bloccarlo, ma ti accorgi che hai della colla vinilica sotto la suola delle scarpe, fuoriuscita dal barattolo caduto a terra per colpa di quel coglione di un consulente. Ti levi le tue costosissime scarpe firmate e, come un uragano, ti scaraventi verso la finestra per guardare giù in strada. Segui Justin con lo sguardo mentre lui, leggiadro come una farfalla, saltella allegramente attraversando sulle strisce pedonali in direzione del marciapiede opposto.
Ed è in quel preciso istante che i tuoi occhi intercettano un’anomalia. Un’anomalia tremenda, che causa scompensi disastrosi nell’intero universo. Ian. Lui, quel maledetto violinista dall’odioso pizzetto nero che lo fa tanto assomigliare ad una capretta e gli occhi da triglia strafatta, che sorride vittorioso e felice come una pasqua, a braccia aperte. Justin gli si catapulta addosso e tu stringi subito i pugni, conficcando dolorosamente le unghie nei palmi. Resti lì impalato a fissarli, senza riuscire a distogliere lo sguardo, ed Ethan alza improvvisamente la testa nella tua direzione. I vostri occhi si incrociano e tu, usando un’antichissima tecnica di meditazione che ti ha insegnato Ben, richiami la forza micidiale del Furore che è nascosto dentro di te. Così, invano, cerchi di ridurlo in cenere scagliandogli contro fulmini e saette che però provocano solo un cortocircuito, scatenando un blackout dall’altra parte di Pittsburgh. Provi con un rito voodoo improvvisato, ma nemmeno quello funziona. Sbuffi, irritato, appuntandoti mentalmente di mandare a quel paese sia il professore che i suoi fottuti ed inutili rituali. Vedi Ethan ghignare divertito. Ti fa ciao-ciao con la manina, prendendosi gioco di te, e tu vorresti solo avere il braccio allungabile per mollargli un pugno su quel muso odioso. Chiudi la finestra e, dal nervoso, tiri le tende così forte da strapparne il tessuto a fantasie.
«Le mie tende nuove!», strilla il consulente, mettendosi le mani tra i capelli. «Me le dovrà rimborsare insieme alla parcella che mi spetta!»
«Se la ficchi nel culo la sua parcella!», esclami, puntandogli l’indice contro. «È tutta colpa sua! Lei è un buono a nulla che non sa neanche fare il suo lavoro!»
«Non vedo come possa essere colpa mia dal momento che è lei il marito stronzo!», ti schernisce, con un sorriso derisorio che non fa altro che accrescere il tuo istinto omicida. «Ora, se proprio non vuole pagarmi l’onorario, mi lasci almeno le sue scarpe.»
Lo fissi, impettito, con le mascelle contratte e i tic nervosi ad un occhio.
«Se le tenga pure le mie scarpe Armani Jeans da uomo in pelle e camoscio nero!», dai in escandescenze, furibondo, prima di voltargli le spalle e spalancare la porta, scardinandola a causa della forza erculea che ci hai messo. «Vaffanculo e a mai più rivederci!»
Con la rabbia che ti fuma dalle orecchie, ti piazzi davanti all’ascensore per chiamarlo, rendendoti conto solo dopo dieci minuti che è fuori uso. Sei costretto a farti cinquanta piani a piedi – con annessi trecentouno fottuti gradini – e, una volta arrivato all’ultimo, ti accorgi che l’ascensore è ritornato in funzione. Sconsolato, sudato e con la morte nel cuore, ti dirigi verso la tua amata Corvette verde bottiglia e ti ci butti dentro a capofitto. Appoggi la testa contro il volante, suonando involontariamente il clacson per un paio di minuti, poi la rialzi di colpo. Guardi il tuo riflesso nello specchietto retrovisore e, cazzo, quelle che vedi sulle tue guance sono lacrime. Ti copri platealmente il volto con le mani e, come una perfetta checca alla stregua di Emmett, ben presto diventi un impianto di irrigazione. Singhiozzi e piangi, un po’ per Justin che ti ha mollato un’altra volta per Ethan, un po’ per le scarpe ed i calzini che, ora, ti ritrovi bucati. Ormai è finita, davvero finita…

 

Le tue palpebre si aprono di scatto, con il cuore che ti sta andando a mille. Fissi il soffitto sopra di te e ti rendi conto di essere comodamente disteso sul letto del tuo loft. Ti passi una mano sulla fronte imperlata di sudore, sospirando. Hai fatto solo un sogno. Un brutto sogno. O meglio, per essere più precisi, il peggior incubo di tutta la tua vita. Ti sfreghi le palpebre con i palmi delle mani e poi ti gratti forte la testa, cercando di dimenticare tutto, di dimenticare la bisbetica, suo marito, quello strizzacervelli incompetente e la versione ridicola, grottesca e completamente surreale di te e Justin. Ma soprattutto, cerchi di dimenticare lui, Ian. Il tuo viso si contrae subito in una smorfia schifata, piena di disgusto e repulsione per quel violinista maledetto. Senti un vago senso di nausea ed un peso insopportabile che ti opprime lo stomaco. Ti chiedi subito quale possa essere la ragione del tuo malessere. Poi, ad un tratto, arriva l’illuminazione. Capisci immediatamente che cosa ti ha causato quell’incubo tremendo e anche di chi sia la colpa. Così, strofinandoti il mento, mediti vendetta.
Ti alzi dal letto e, lentamente, cammini senza fare il benché minimo rumore. Scendi i gradini della zona notte e, finalmente, scorgi Justin. È girato di spalle e sta preparando la colazione mentre, a ritmo di una musica che solo lui pare sentire, ancheggia e muove il suo bellissimo sedere in maniera a dir poco sensuale. È una visione che ti mette i brividi, ma cerchi di calmare i tuoi bollenti spiriti: non ci tieni affatto che il tuo piano vada in fumo ancora prima di essere messo in atto. Lo raggiungi silenziosamente e lo afferri per un braccio, voltandolo verso di te con uno scatto. I suoi occhi azzurri ti fissano subito, sorpresi, mentre un sorriso distende le sue labbra carnose, ora sporche di un leggero sbaffo di cioccolato. Ridacchi interiormente: certe volte ti sembra proprio un bambino. Lo spingi contro il bancone della cucina e non gli lasci il tempo di dire niente. Ti avventi sulla sua bocca, sentendo subito sulla tua lingua il suo sapore mischiato a quello dolce del cioccolato. Inoltri le mani sotto la sua canotta, accarezzando e tastando quanta più pelle possibile. Lui non obbietta alla tua irruenza, lasciandosi manovrare docilmente da te e cingendoti la vita con le braccia. Continui a baciarlo, succhiandogli e mordendogli di tanto in tanto le labbra, infilando poi un ginocchio tra le sue gambe per divaricarle e strusciarti addosso a lui. Senti qualcosa premere contro il tuo basso ventre e capisci che sta cominciando ad ardere di desiderio per te. Ti separi dalla sua bocca solo il tempo necessario per spogliarlo. Ritorni a stuzzicargli le labbra, vezzeggiandolo con la lingua, e non ci vuole poi molto prima che vi ritroviate distesi sul parquet, l’uno sopra l’altro, vinti dalla foga. Gli mordi una spalla nuda, poi il collo, e lui ti passa le dita tra i capelli, assuefatto dalle attenzioni che gli stai dedicando. Ti alzi con la schiena e gli abbassi i pantaloni della tuta e gli slip fino alle cosce, in un colpo solo. Ti concedi qualche minuto per guardarlo, ansimante, con i capelli biondi scarmigliati e la bocca umida della tua saliva, e non riesci a capire come faccia a diventare più bello ogni giorno che passa. Scuoti impercettibilmente la testa e cerchi di non capitolare a causa di tutta quella sua avvenenza eterea.
Di nuovo, ti avventi sulla sua bocca mentre, con una mano, cominci a toccarlo in mezzo alle gambe. Geme nella tua bocca e tu sorridi internamente. Con movimenti sicuri, ti muovi esperto su tutta la sua lunghezza turgida, facendolo inarcare dal piacere. Lo stuzzichi per svariati minuti, intervallando tocchi lenti a tocchi veloci e, quando gli sfiori la punta col pollice, irrigidisce il corpo. Senti che è pronto a raggiungere il culmine e sai che è arrivato il momento ideale. Così, all’improvviso, togli la mano e smetti di baciarlo. Justin protesta un po’, ma poi allunga di qualche centimetro la testa per arrivare a baciarti il collo. Infila ancora le dita tra i tuoi capelli, tirandoteli piano, ma poi cessa di toccarti ed accarezzarti quando si rende conto che tu non stai più muovendo un solo muscolo, rimanendo completamente immobile. Ti guarda negli occhi, con fare interrogativo.
«Perché ti sei fermato?», ti chiede, la voce roca e sporca di brama.
Rimani a fissarlo per qualche secondo, con i palmi delle mani appoggiati sul parquet. Infine sorridi canzonatore, facendoti beffe di lui.
«Vaffanculo tu e la jambalaya indigesta che mi hai preparato ieri sera per cena», sibili, ad un soffio dalla sua bocca, lanciandogli un’occhiataccia eloquente, prima di alzarti e lasciarlo lì, eccitato ed insoddisfatto, conquistando la tua piccola, meritata rivincita.

 

   
 
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