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Autore: Vale11    02/01/2016    3 recensioni
In cui Peter Hale è decisamente protettivo, Stiles non ci ha capito niente, Scott è assente e Derek non si sente molto bene. Anzi, per niente.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stiles non era li per fare il fattorino, no grazie. Scott non riusciva a raccapezzarsi su qualcosa che concerneva la sua doppia personalità pelosa, Stiles gli aveva chiesto come poteva aiutare e si era sentito dire potresti andare a chiederlo a Derek?
Derek. Derek Hale, che aveva deciso che il suo nuovo hobby fosse mandarlo a sbattere contro ogni superficie piatta o meno che fosse. Derek Hale che aveva minacciato di aprirgli la gola con i denti, gli aveva fatto conoscere anche troppo da vicino il volante della sua jeep e gli aveva chiesto di tagliargli un braccio con un machete come fosse la cosa più semplice del mondo. Derek Hale, che viveva in un loft più vuoto che altro, cosa che lo rendeva ancora più inquietante. Derek Hale, che aveva uno zio psicopatico, morto e resuscitato, che bazzicava fin troppo spesso casa sua, la stessa casa in cui Scott gli aveva chiesto di andare. Avrebbe voluto dirgli Non sono il tuo gufo!, ma non era sicuro che Scott avrebbe capito il riferimento. 
Parcheggiò la jeep davanti al loft, maledicendo l’udito da lupo del padrone di casa che, a quel punto, doveva già averlo sentito arrivare. Se fosse arrivato e ripartito nel giro di cinque secondi Derek si sarebbe incuriosito e sarebbe andato a cercarlo, e lui se lo sarebbe ritrovato sul davanzale della finestra e…no. Era già abbastanza terrorizzato senza bisogno di altri incentivi, grazie. 
Non aveva mai capito perché uno come Derek, coi soldi che aveva, vivesse in un posto del genere. Certo, era grande e spazioso, ma la parola chiave che Stiles trovava fondamentale era isolato. Non c’era un cane, li intorno, battute ovvie a parte. Picchiò con le nocche contro il bandone di metallo facendo più rumore di quanto desiderasse e incassò la testa nelle spalle aspettando di trovarsi davanti un lupo infastidito e di pessimo umore pronto a staccargli la testa; quello che successe, invece, fu che ad aprire venne Peter Hale in jeans e maglietta, con la barba di tre giorni e delle occhiaie da record.
“Stiles - gli chiese, passandosi una mano sugli occhi e affogando uno sbadiglio - che ci fai qui?”
Per la prima volta nella vita, Stiles si sentì la bocca secca. Non era da lui restare senza parole come un cretino, con le mani in tasca e gli occhi grandi come padelle, ma non capitava tutti i i giorni di vedere Peter Hale versione domestica. Si schiarì la gola quando si accorse che il lupo davanti a lui iniziava a dare segni di impazienza.
“Ascolta, Stiles - disse Peter appoggiandosi al bandone con un gomito - non è un buon momento. Se hai bisogno di qualcosa potresti…”
“Ho bisogno di Derek - gli scappò di bocca senza volerlo - Scott ha delle difficoltà e mi ha chiesto di passare per chiedere qualche informazione”
Peter alzò un sopracciglio senza smettere di fissarlo.
“Derek. Hai bisogno di Derek perché Scott ha bisogno di Derek. Quindi è Scott ad aver bisogno di Derek, non tu. Che ci fai qui, quindi, Stiles?”
Fu in quel momento che Stiles si ricordò perché odiava così tanto Peter Hale.
“Non lo so nemmeno io, va bene? Ascolta, ho solo bisogno di parlare con lui, poi vi lascerò liberi di tornare a mangiare bambini, rincorrere scoiattoli o tutto quello che vi va di fare”
Strinse gli occhi aspettandosi almeno un ruggito in piena faccia. Si sarebbe cucito la bocca, ma ormai l’aveva detto. Invece Peter buttò fuori un sospiro non indifferente.
“Derek. Vedi, parlare con Derek potrebbe essere un problema, al momento - Peter si allontanò dalla porta muovendosi verso la cucina, facendogli cenno di seguirlo - vuoi un caffè, Stiles?”
Stiles entrò nel loft, cercando Derek in ogni angolo senza trovarlo da nessuna parte.
“Stiles?”
Oh, il caffè. Peter Hale gli stava offendo un caffè. Sicuramente era avvelenato.
“No, no. Grazie. Dov’è Derek?”
Peter non si voltò nemmeno, indaffarato com’era ai fornelli, e gli indicò l’immenso letto matrimoniale con un cenno della testa. Stiles si avvicinò e si rese conto che quello che pensava essere un mucchio di coperte in realtà era Derek, addormentato e appallottolato sotto il piumone. Non lo vedeva bene, ma quello che vedeva non era positivo: era pallido, sudato, coi capelli sparati in ogni direzione e il respiro corto.
“Che cos’ha? - chiese a Peter - l’hanno avvelenato? E’ strozzalupo? Che è successo? Sta bene?”
“Stiles. Stiles - Peter lo bloccò prima che scivolasse in un attacco di verbosità potenzialmente infinita - nessuno l’ha avvelenato. E’ malato. Ha la febbre.”
“Ha la febbre? E basta la febbre a ridurlo così?”
“Dieci punti per la delicatezza, ragazzino”
“Ma io credevo che voi, insomma, che voi aveste superanticorpi e altri superpoteri del genere. Che non vi ammalaste mai. No?”
Non riusciva a staccare gli occhi da Derek, mezzo affogato da solo in quel letto enorme. Gli sembrava impossibile che una banale febbre potesse stendere uno come lui.
“Non è così semplice - Peter si avvicinò con le mani dietro la schiena. Ogni volta che lo faceva Stiles si aspettava che avesse con sé un coltello, un accetta o una sega elettrica. Tipo. - è esausto. Non dorme da giorni, non mangia decentemente da giorni, è troppo impegnato a preoccuparsi di tutto quello che succede qui intorno, a preoccuparsi per voi, per sua sorella e, probabilmente, anche per il resto dell’umanità intera. Si è praticamente distrutto, Stiles”.
Lo sguardo di Stiles rimbalzava dal viso di Peter a quello di Derek come lo spettatore di una partita di tennis: era la prima volta che vedeva i sopravvissuti della famiglia Hale come due persone e non solo come macchine assassine dotate di zanne e artigli, pressoché indistruttibili. Derek si era ammalato anche per colpa sua, in un certo senso. L’idea non gli faceva piacere. Peter si avvicinò a sui nipote e gli tirò su le coperte fino alle spalle, Derek non si svegliò nemmeno. Uno col sonno leggero come il suo. Non mosse un muscolo. 
“Da quanto sta così?”
Peter si voltò verso di lui, poi spostò subito lo sguardo sulla forma immobile nel letto.
“Tre giorni. Se consideriamo il fatto che stava già male prima che lo obbligarsi a stendersi forse anche quattro o cinque”
Stiles si tormentò le dita delle mani, mordendosi il labbro inferiore.
“Non ha mangiato niente?”
“Poco e nulla. Devo praticamente cacciargli il cibo in gola. Cosa che mi fa pensare, Stiles, che ho bisogno di fare la spesa se voglio riuscire a fargli mangiare qualcosa anche oggi. Tu - lo indicò con un indice fortunatamente privo di artigli - resti qui, chiaro? Non lasciarlo solo. Non mi piace l’idea che si svegli e non ci sia nessuno.”
“No, ehi, no. Aspetta. Peter, aspetta - Stiles lo rincorse fino all’ingresso del loft - che faccio se peggiora? E se si sveglia e da di matto? Non sono in grado di prendere in mano una situazione del genere”
“Sei un ragazzo sveglio, Stiles - Peter stava già uscendo - sono sicuro che ti inventerai qualcosa. Ho fatto del tè, se ti va. Cerca di fargliene bere un po’.”
“No no no. No. Aspetta. Non puoi lasciarmi qui con lui. Mi odia, d’accordo? Non può vedermi. Non mi sopporta. Non credo che sarà felice di vedermi qui quando si sveglierà”
Gli occhi di Peter si illuminarono di un blu metallico.
“Ti odia, dici? - gli chiese con un sibilo - ti odia? Non salvi la vita a qualcuno che odi. Non ti distruggi a quel punto per qualcuno che odi. Non affidi la tua vita in mano a qualcuno che odi, Stiles. Tu non hai idea di quello che fate - Peter chiuse gli occhi, sforzandosi di calmarsi. Quando li riaprì erano del loro solito azzurro. Un azzurro umano. - Tutta la nostra famiglia che brucia viva. Paige. Scott che gli rinfaccia di avergli rovinato la vita, quando in realtà sono stato io a morderlo, in ogni caso. Scott che gli dice sei un alfa, ma non sei il mio alfa. Allison che gli dice che ha trasformato dei ragazzi in mostri, accusando anche lui, e me, di essere mostri. Che lo incolpa della morte di sua madre, e il cretino di mio nipote che non apre bocca perché ha già deciso che tanto è colpa sua. Tu, che gli butti in faccia Jennifer e Kate come niente fosse. Erica, morta. Boyd, morto. E morto in quel modo, poi. Cora, che gli dice senza tanti giri di parole quanto sia delusa da lui, da suo fratello, che ha dato letteralmente tutto per lei. Kate che lo tiene in cantina per giorni, lo tortura, lo obbliga a rivivere tutto quello che gli ha fatto. E Allison, di nuovo. Lo sapevi che Allison era perfettamente al corrente del fatto che sua zia avesse Derek sotto chiave, e sapeva cosa gli stava facendo, Stiles? - Stiles vide Peter letteralmente sgonfiarsi - e poi ci sono io, che sto in coma sei anni, impazzisco, uccido sua sorella, faccio fuori mezza città, gli pianto le unghie nella schiena e cerco di ammazzare voi. Ora dimmi, Stiles - ringhiò, gli occhi di nuovo fluorescenti - secondo te, tutto questo come lo fa sentire? Tu come ti sentiresti?”
Stiles restò impietrito a fissare il lupo davanti a lui, con gli occhi metallici e i canini di quattro centimetri a pochi millimetri dalla faccia. Non aprì bocca.
“Quindi, Stiles, se si sveglia e succede qualcosa conto su di te. Inventati qualcosa. Hai il mio numero in caso di emergenza.”
Il bandone si chiuse con un suono tanto metallico quanto definitivo.
Stiles si avvicinò alla cucina, versò il tè in due tazze piuttosto anonime e si avvicinò di nuovo al letto, appoggiandole sul comodino cercando di non fare rumore. Aveva l’impressione che Derek non si sarebbe svegliato nemmeno con le cannonate, in ogni caso. Si sedette sul lato libero del letto e cercò di fare mente locale.
Aveva davanti la prova inconfutabile del fatto che Derek Hale fosse una persona, tale quale a lui, Scott o Lydia. E che non fosse indistruttibile. La cosa che gli dava più da pensare era che avesse trovato da solo il modo di ridursi in quello stato anche se, a detta di Peter, anche loro gli avevano dato una bella mano. Si tormentò il labbro inferiore con gli incisivi per una manciata di secondi prima di decidersi a togliersi lo zaino dalle spalle e appoggiarlo a terra il più silenziosamente possibile, tirare fuori il libro che stava leggendo e togliersi le scarpe, appoggiandosi alla testiera del letto, pronto a reagire ad ogni evenienza. Peter gli aveva detto di stargli vicino, più vicino di così e gli sarebbe finito in braccio. E non ci teneva. 
Ma Peter non aveva tutti i torti.
Tu, che gli butti in faccia Jennifer e Kate come niente fosse.
Certo, aveva paura in quel momento. Era arrabbiato. Suo padre era stato rapito e rischiava di essere ucciso, e lui aveva sfogato tutta la sua frustrazione su Derek. Non era colpa sua se la donna di sui si era innamorato era risultata essere un druido oscuro con manie vendicative da manuale e poteri soprannaturali di prim’ordine. E non era colpa sua nemmeno che Kate Agent fosse una psicopatica omicida. Ma aveva l’impressione che Derek non la pensasse allo stesso modo. Alzò gli occhi dal libro e fissò la schiena del lupo, il triskele che si alzava ed abbassava seguendo il ritmo del suo respiro, quindi fin troppo velocemente.
“Che ci fai qui, Stiles?”
Non era la voce di Derek, sembrava più quella di qualcuno che ha ingoiato solo sabbia per una settimana. Stiles si schiarì la voce, cercando di non andare nel panico.
“Peter è uscito - rispose, tenendo il segno al libro con l’indice - non voleva lasciarti solo, quindi sono qui a fare da baby sitter al grosso lupo cattivo”
Il silenzio si allungò per qualche secondo, poi la massa di coperte si voltò e Stiles si trovò davanti Derek Hale in tutta la sua gloria, che al momento era davvero poca: le occhiaie che aveva erano quasi nere, accentuate dal pallore malsano e i capelli scuri, e gli occhi chiari erano arrossati e lucidi.
“E tu - gli chiese, interrompendosi per tossire - tu sei venuto qui per tenermi d’occhio? Ti prego, Stiles.”
“Cosa c’è di strano?”
Il sopracciglio alzato che Derek usò come risposta fu più che sufficiente a far capire a Stiles che non l’avrebbe bevuta. In effetti nemmeno lui l’avrebbe bevuta, era una situazione troppo fuori di testa perché avesse un senso. Sospirò, infilando il segnalibro al suo posto e appoggiandosi il libro sulle gambe incrociate.
“Scott aveva bisogno di qualche informazione, mi ha chiesto di passare”
Derek lo guardò, genuinamente confuso.
“E non poteva passare lui?”
“Me lo sono chiesto anch’io. Ma ero già fuori, e visto che c’ero…”
Terminò la frase alzando le mani, indicandosi col pollice.
“Cosa sei - chiese Derek, schiacciando la fronte sul materasso. Se farsi vedere in quelle condizioni gli dava fastidio non lo stava dando assolutamente a vedere - il suo gufo?”
Stiles lo fissò a bocca aperta, finché non iniziò ad aver paura che avrebbe ingoiato qualche mosca.
“Tu hai letto Harry Potter?”
La risposta gli arrivò a spizzichi e bocconi, resa incomprensibile dal fatto che il padrone di casa continuava a cercare di entrare con la testa nel materasso.
“Non leggo solo Zanna Bianca e trattati di etologia, Stiles - tossì di nuovo, fermandosi un attimo per riprendere fiato - ho letto anche Tolkien, Narnia e altra roba. E prima che tu me lo chieda si, ho visto Star Wars.”
“Non ci posso credere. Tu hai letto Harry Potter, come una persona qualunque. Non ti facevo il tipo da Harry Potter”
Derek alzò la testa dal materasso e la depositò sul cuscino con una certa esasperazione, voltandosi e iniziando a fissare il soffitto.
“Sono una persona qualunque, Stiles - rispose, iniziando a giocherellare con un filo della federa - e nessuno mi fa tipo da niente, quindi sei giustificato.”
Due gaffe in una, bella media. Stiles avrebbe dovuto imparare a frenare il suo entusiasmo da cucciolo di golden retriver e mettere un filtro fra cervello e bocca, prima o poi. Si schiarì la gola, cercando disperatamente qualcosa da dire a Derek, che nel frattempo aveva deciso che il soffitto fosse enormemente interessante e degno di essere fissato per l’eternità. O, per lo meno, finché Stiles non si fosse tolto dai piedi. Poi si ricordò del tè di Peter.
“Vuoi del tè? E’ ancora caldo”
La voce gli era uscita quasi decentemente. Bravo Stiles. Derek girò la testa verso di lui, prima di gettare un’occhiata infastidita dalla finestra dalla quale entrava il sole del primo pomeriggio. La luce lo infastidiva, evidentemente. Stiles si alzò dal letto senza aspettare la risposta, raccolse un panno scuro e lo appese davanti a uno dei finestrini del loft; quando si voltò gli parve che Derek fosse un po’ più rilassato. Prese la tazza dal comodino e appoggiò un ginocchio sul materasso.
“Dovresti berlo prima che raffreddi - gli disse, allungando la tazza verso di lui - ti ho sentito parlare, e non mi pare che la tua gola sia in ottima forma. E poi magari tuo zio rientra e mi uccide perché non ti ho fatto bere questa roba.”
Sentì Derek grugnire qualcosa di non meglio identificato, poi lo vide voltarsi di nuovo verso di lui e puntellarsi sul gomito sinistro per tirarsi su, sfoderando un ghigno quasi sinistro.
“E non possiamo permettere che succeda, giusto?” 
Gli rispose, allungando il braccio verso la tazza; Stiles stava per rispondere che, si, era ovviamente giustissimo, ma si rese conto della pelle d’oca che era venuta fuori sul petto di Derek nel momento stesso in cui la coperta gli era scivolata via di dosso. Era giugno, si crepava di caldo, e Derek aveva i brividi. Non era un buon segno. Aspettò che finisse di bere prima di aprire bocca di nuovo.
“Hai freddo?”
Derek restò con la tazza a mezz’aria, sospesa nel tragitto fra la sua bocca e il comodino, corrugò la fronte e si passò una mano sul mento. Scosse la testa.
“No”
“Derek, hai i brividi”
“Sto bene - rispose facendo atterrare la tazza sana e salva sul comodino - non c’è bisogno che tu ti preoccupi”
“Certo come no - Stiles cacciò fuori un sospiro esasperato - stai tremando, hai la pelle d’oca e hai i brividi. Fatti un po’ più in la, lupo.”
Non sapeva dove avesse trovato il coraggio di fare una cosa del genere, ma se si fosse fermato a pensarci non avrebbe più mosso un dito. Alzò il piumone, ci si infilò sotto ignorando il caldo feroce che lo assalì all’istante e fece per avvicinarsi a Derek.
Che lo fulminò con un’occhiata assassina e si allontanò da lui il più possibile, larghezza del letto permettendo.
Ovviamente.
“Cosa credi di fare?”
C’era un ringhio, di sottofondo? Stiles era sicuro che ci fosse un ringhio, di sottofondo.
“Sono il tuo calorifero a domicilio, solo per oggi - alzò un braccio, cercando di convincerlo ad avvicinarsi. Se l’avesse fatto, acchiapparlo e obbligarlo a stendersi non sarebbe stato difficile. Forse. - smettila di fare storie e torna qui.”
Derek lo fissò come se gli fosse spuntata una seconda testa.
“Stai scherzando”
Tossì di nuovo, con un rantolo costante che dava fastidio anche solo ascoltare. Stiles non voleva pensare a cosa significasse avere i polmoni che facevano quel rumore. Non doveva essere piacevole.
“Ascolta - gli disse. Lo stava quasi pregando, a quel punto - ormai sono qui, tu stai morendo di freddo e io posso aiutarti. Quella tosse non mi piace per niente e il tè non ti è bastato per scaldarti: sto cercando di offrirti una soluzione”
Derek lo fissò di sottecchi per un po’, poi la rassegnazione si fece strada in quel paio di occhi arrossati e si avvicinò di un paio di spanne: quanto bastava a Stiles per buttargli un braccio intorno alle spalle e tirarselo addosso. Finì con la fronte sul suo petto, e Stiles si ritrovò a passargli le mani sulla schiena cercando di fermare i brividi di freddo che lo attraversavano a intervalli di pochi secondi. Parve funzionare, perché dopo qualche minuto Derek era decisamente più tranquillo e parecchio più assonnato.
“Cosa voleva sapere Scott?”
Biascicò contro la maglietta di Stiles.
“Dopo, lupo - gli rispose stringendogli le coperte addosso - adesso dormi. E poi non sono il suo gufo.”
Derek affogò una risata nel cotone, si addormentò poco dopo.




 
  
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