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Autore: roberta_everdeen    05/01/2016    0 recensioni
Franziska x Miles
One Shot a tema natalizio.
"(..) Rimasi a fissare le sue labbra e fu in quel momento che iniziai a pensare a cosa sarebbe stato, a come sarebbe stata la mia vita se io e Miles avessimo avuto un rapporto diverso. Se le nostre vite non si fossero divise fino al punto di considerarlo solo un collega, rivale tra l’altro. Se non fossi stata così fredda nei suoi confronti e avessi permesso di farlo entrare nella mia vita."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Present.





Edgeworth mi aveva chiamato quella sera di Dicembre subito dopo esser ritornata dal tribunale. Non era preoccupato né spaventato. Non mi aveva mai chiamato prima se non in caso di emergenza come quella volta che sir Wright finì in ospedale e Miles mi chiese di aiutare loro due in tribunale. Quella telefonata quindi mi aveva stranizzata.
“Che vuoi Edgeworth?” dissi stanca alla cornetta buttandomi sull divano verde scuro. “Non dirmi che ti sei cacciato di nuovo nei guai. Non sai proprio fare niente, è vero? Hai sempre bisogno di me”
Sentii un sospiro unito ai rumori della strada.
“Ciao Franziska, no non sono nei guai. Volevo solo chiederti una cosa: posso venire a casa tua?” Mi espose questa richiesta con un tono malinconico. Poche volte l’avevo sentito così. Di certo però, non era una richiesta di suo solito. Eravamo distanti dal punto di vista sociale, ognuno viveva la propria vita fregandosene dell’altro. Le nostre vite si univano solo al lavoro, non per altro. Era quasi come una regola che ad entrambi non dispiaceva non infrangere. Quella richiesta la violava completamente. “E perché mai dovresti venire a casa mia?” chiesi togliendomi gli stivali zuppi di neve e iniziando a passeggiare nel salotto. “Beh.. Ho dimenticato le chiavi di casa e sono vicino casa tua. Non mi va di rimanere solo a Natale.
Quella risposta mi spiazzò. Era Natale e non lo sapevo. Non che me ne importava ma una mente come la mia avrebbe dovuto intuirlo. Dall’atteggiamento ancora più scontroso dei miei colleghi che in quel giorno continuamente mi chiedevano di ritornare a casa, dai bambini che per strada giravano felici con dei giocattoli nuovi tra le braccia, dalle canzoncine che venivano suonate in piazza. Strano, alquanto strano.
“Franziska, ci sei?”
La voce di Miles mi riportò alla realtà. Guardai la neve fuori dalla finestra e mi appoggiai al davanzale.
“Si ci sono”
“Quindi? Posso? Naturalmente se non ti dispiace”
Fu una cosa immediata e involontaria rispondergli di sì. Mi resi conto della mie parole solo dopo averle pronunciate. In un minuto Miles mi ringraziò e chiuse la telefonata. Restai a guardare la neve che cadeva qualche altro minuto, poi andai a cucinare.
Miles arrivò dopo dieci minuti. Appena entrò né lui né io parlammo. Gli feci solo un gesto ampio con la mano destra per farlo accomodare. Mi sentivo violata delle mia privacy e dei miei segreti. Nonostante quella fosse casa mia e di mio padre e che quindi Edgeworth conosceva già e abbastanza bene, mi dette fastidio vederlo osservare la cucina mentre continuavo a cucinare. Nessuno dei due parlava. Tagliavo la carne delicatamente come mia aveva insegnato da piccola la mia cameriera, lui invece se ne stava lì ad osservare la mia collezione di piatti porcellana russi riposti in modo impeccabile in un vetrina antica. Ad ogni suo passo, sentivo come se stesse per entrare nella mia mentre e privarmi di ogni mio ricordo e segreto. Perché Miles era così: un segreto con lui, non era più un segreto.
“Vedo che continui a mantenere la tradizione” disse a bruciapelo. Posai il coltello e fissai il muro davanti a me. “Sai, il non celebrare il Natale. Niente decorazioni, niente albero, nessuno a farti compagnia.” Sottolineò avvicinandosi alla collezione e dandomi le spalle.
“Le abitudini sono dure a morire. Mio padre non l’ha mai festeggiato quindi non l’ho mai fatto, io.” Risposi decisa continuando a tagliare la carne. Lo sentii schioccare la lingua e ridacchiare. Prese il libro di cucina vicino i contenitori delle spezie. Ne guardò la copertina, l’accarezzò e poi l’aprì. Lesse una ricetta velocemente con gli occhi.
“Mi ricordo questa ricetta. Era estate, io e tu avevamo finito di studiare con tuo padre. Ci siamo intrufolati in cucina e abbiamo provato a cucinare questa ricetta ma tu…
“E tu? Mantieni la tradizione?- chiesi interrompendolo senza guardarlo mentre mi lavavo le mani e iniziavo a cuocere la carne. Non mi andava di rivivere nel passato. Miles si era già abbastanza intrufolato nella mia vita in quel momento.
“Tuo padre non c’è più. Non sono costretto a sottostare ai suoi ordini e neanche tu dovresti.” Strinsi il manico della padella fortemente e serrai la mascella. Come osava giudicarmi? Lui non poteva dirmi di dimenticare mio padre. Io ci tenevo a lui anche se non avevo un buon rapporto padre-figlia. Io stavo mantenendo alto il nome dei Von Karma mentre lui lo stava infangando. “Eppure guarda, anche tu sei solo a Natale. Quindi anche tu stai rispettando la tradizione”
L’avevo colpito con quelle parole. Si poteva classificare proprio come un colpo basso, ecco e onestamente non mi dispiaceva. Ero sempre stata io la vittima, per la prima volta volevo tenere io il coltello dalla parte del manico. Miles strinse le labbra e guardò il pavimento incrociando le braccia. Nel frattempo impiattai e apparecchiai la tavola. Era della semplice carne, niente contorno. Volevo solo mettere qualcosa sotto i denti e rilassarmi un po’. Era un giorno come gli altri quindi preferii comportarmi come ogni giorno e cucinare del cibo semplice. Evitai i piatti della collezione. Anche se avevo un ospite, i piatti della collezione non erano certamente adatti visto la loro eleganza. Venivano usati solo nelle occasioni speciali.
“Hai fame?” chiesi fredda incrociando le braccia al petto. Miles accennò un leggero sorriso, come se fosse contento della domanda.
“Si, Franziska”. Sbuffai, presi un altro piatto con della carne e lo poggiai sul tavolo. Ci sedemmo in contemporanea senza dire una parola. Edgeworth stranamente non era a disagio, anzi dopo un vago tentativo di conversazione rimase totalmente in silenzio, gustando la carne con il sorriso sulle labbra. Presi anche del vino rosso che versai ad entrambi senza preoccuparmi se lui no volesse o no. Prese il bicchiere, lo amalgamò un po’ e lo alzò leggermente verso di me alzando un po’ il viso. Infine bevve, sfoggiando tutta la classe che mio padre gli aveva insegnato. Io feci lo stesso. Gli occhi di Miles brillarono sotto la luce del lampadario. Ma le sue iridi brillanti non erano dovute solo a questo: aveva gustato con piacere il vino e lo stava quindi apprezzando.
“Questo vino è ottimo” disse con voce profonda guardando il bicchiere e posandolo accanto il piatto. Sorrise soddisfatto e affondo il coltello nella carne lentamente.
“Naturalmente. Qui ogni cosa è ottima, perfetta.” risposi io tagliando altri piccoli pezzetti della carne. Tenni lo sguardo basso per evitare di creare una sensazione di disagio. Miles non avrebbe saputo sostenere uno sguardo deciso come il mio e di certo non mi andava di vestire i panni della salvatrice della situazione. Quel giorno ero stanca ed avere un ospite non era ni miei programmi. Il Natale non era nei miei programmi. Miles inclinò leggermente la testa verso destra, come se l’avessi stupito.
“Dimentico sempre la tua devozione alla perfezione“ disse sussurrando leggermente. Riprese a tagliare la carne, cosa che feci anch’io. Aveva un’espressione inusuale in viso; quasi un sorrisetto divertito, come se la situazione lo facesse ridere. Anzi come se io lo facessi ridere. Strinsi ancora di più il manico della forchetta argentata e presi un piccolo respiro. “Mantieni la calma Franziska, mantieni a calma. Tu sei perfetta, lei è un perdente” continuavo a ripetermi queste parole nella mente così da placare quella rabbia che minacciava di venir fuori. Guardai Miles con la coda dell’occhio e notai che il suo sorrisetto si era trasformato in un ghigno. Respirai ancora e con gli occhi chiusi continuai a ripetermi quella parole. “Lui è uno stupido, lui ha infangato il nome dei Von Karma. Tu invece continui ad essere perfetta. Tu padre sarebbe orgoglioso di te, tu..”
Il mio flusso di pensieri fu interrotto dalla risata fragorosa di Miles che aveva da poco finito la sua carne e che stava ridendo quasi sdraiato sulla sedia e con una mano nello stomaco. Non ricordavo la sua risata. Era come una sinfonia che si ascolta una volta nella vita e che dopo un po’ d’anni ritorna nelle orecchie gradevolmente. Ero comunque arrabbiata. Avevo forse scritto stupida nella fronte?
“Si può sapere la ragione di questa tua improvvisa risata? Forse il tuo amico porcospino ti ha fatto ritornare il senso dell’umorismo?” dissi lasciando le posate con un tono di voce che si stava lentamente alzando sempre di più. Miles si ricompose, mettendosi dritto e asciugandosi le lacrime.
“Devi scusarmi Franziska… Ma questa situazione mi diverte. Il che è difficile. Cerchi di fare la dura, serri la mascella e abbassi lo sguardo. Ma i tuoi occhi ti tradiscono. Cerchi di essere perfetta come tuo padre ma devi capire che ormai lui non c’è più. Devi crearti un obbiettivo concreto nella vita, non vivere nei ricordi”
Sentii il mio cuore iniziare a battere all’impazzata e le mie mani iniziarono a tremare per la troppa adrenalina che il corpo stava producendo. Miles sfoggiava un sorrisetto complice, come se capisse perfettamente cosa le parole che aveva appena pronunciato potessero provocare. Ma non lo sapeva veramente. Lui non era come me. O meglio, io non ero come lui. Strinsi i pugni e battendone uno con forza nel tavolo mi alzai in piedi. I piatti tremarono leggermente e Miles sussultò.
"Edgeworth…Dumm*! Non hai rispetto per la figura di mio padre e non rispetti me. Io ti ho aperto la porta di casa e tu mi infami così? Unehrlich*.. Lasciami sola, immediatamente” dissi tutto a denti stretti contenendo la voce che, se avessi continuato a parlare, avrei fatto rimbombare per tutta la casa. Tenevo la testa abbassata, per mascherare la debolezza che si stava manifestando in me. I capelli mi pizzicava la fronte e le palpebre. Continuai a tremare e iniziai a mordicchiarmi le labbra per trattenere le lacrime.
Miles deglutì, fece un gesto appena accennato della testa e si congedò lasciando la stanza. Capii subito che non se ne era andato poiché avevo sentito i suoi passi dirigersi verso il salotto. Presi un respiro profondo e distesi le dita delle mani. Guardai il soffitto esasperata e lasciai andare un singhiozzo che da troppo tempo era contenuto dentro di me. Mi guardai intorno in cerca della mia frusta. In quel momento ne avevo bisogno, in quanto fosse l’unica cosa che riuscisse a placare la mia rabbia. Non tanto l’agitarla o il colpire qualcosa. Ma solamente il fatto di averla tra le mani e l’accarezzare la pelle marrone che la ricopriva. Mi piaceva chiudermi in me stessa e accarezzarla. Mi piaceva rivivere i ricordi, i sogni infranti della mia infanzia. Mi piaceva averla tra le mani perché era un regalo di mio padre e ogni volta che l’avevo tra le dita, mi sembrava di rivederlo con gli occhi sgranati e la mascella serrata mentre mi rimproverava per aver rotto il vaso di porcellana azzurra e per averlo interrotto mentre si dedicava al suo lavoro. Ma ricordavo anche lo sguardo leggermente addolcito che sfoggiò non appena vide che la frusta sembrava il mio gioco preferito. Mi lascio lì, davanti i cocchi del vaso con la frusta in mano. In silenzio. L’accarezzarla mi faceva sentire al sicuro, come se lo sguardo di mio padre fosse sempre con me e mi potesse aiutare in ogni situazione. Guardai nel piano cottura ma non c’era traccia della frusta. Tirai con il naso e con le spalle dritte mi diressi verso il corridoio. Niente. Controllai nella valigietta che ero solita portami al lavoro ma anche lì, non ce n’era ombra. Chiusi gli occhi e rifeci mentalmente tutto il tragitto da lavoro a casa quando mi ricordai che l’avevo posata nel divano in salotto, subito dopo essere arrivata e poco prima della telefonata di Edgeworth.
Il solo pensiero di avvicinarmi a Edgeworth mi uccideva dentro ma il bisogno praticamente psicologico dell’avere la frusta tra le mie mani mi fece prendere coraggio. Mi avvicinai a passo deciso verso la porta del salotto e mi fermai sulla soglia. Mi appoggiai allo stipite e controllai con lo sguardo dove fosse la mia frusta. Era proprio lì, accanto Edgeworth. Rimasi per qualche minuto ferma a fissare l’uomo seduto, con la testa ripiegato all’indietro e gli occhi chiusi. Era rilassato e non sembrava per niente turbato dalla mia sgridata. Sembrava si stesse riposando perché vedevo l’alzare e scendere del suo petto.
“Si Franziska, è qui la tua frusta. Tranquilla, non l’ho neanche sfiorata”
Feci un passo indietro e portai una mano alla bocca. Vidi sul volto di Miles un piccolo sorrisetto e notai che non si era mosso dalla sua posizione. Mi avvicinai lentamente, come per paura di svegliarlo e mi sedetti sul divano, proprio accanto a lui. Presi la frusta, continuando ad osservare Miles che sembrava impassibile e mi lasciai travolgere dal calore del fuoco del camino che riscaldava tutta la stanza. Appoggiai leggermente la schiena allo schienale e accavallai le gambe. Presi ad accarezzare la frusta, come si accarezza un gatto. La strinsi tra le dita e feci passare la corda per ogni singolo dito, così da sentire a pieno contatto la pelle fredda dell’arma. Sentii la rabbia pian piano andarsene e sentii dentro di me quella pace interiore che solo in poche occasioni aveva provato. Mi girai e posai la frusta sul tavolino accanto il divano, dove tenevo un piccolo lume cinese e appoggiai il gomito al ginocchio. Ripresi a guardare Miles che nel frattempo sembrava essere sprofondato tra le braccia di Morfeo. Guardai i suoi lineamenti e la pelle candida. Le sue ciglia lunghe e chiare, come il colore dei capelli. Gli zigomi leggermente rialzati e scendendo rimasi a fissare le sue labbra e fu in quel momento che iniziai a pensare a cosa sarebbe stato, a come sarebbe stata la mia vita se io e Miles avessimo avuto un rapporto diverso. Se le nostre vite non si fossero divise fino al punto di considerarlo solo un collega, rivale tra l’altro. Se non fossi stata così fredda nei suoi confronti e avessi permesso di farlo entrare nella mia vita. Forse mi sarei risparmiata tanti problemi come quelli riguardo la competitività o riguardo la mia aspirazione alla perfezione. Forse se fosse stato più vicino a me in questi anni, mi avrebbe guidato e mi avrebbe fatto capire come affrontare le delusioni. Forse, mi avrebbe aiutato a riprendermi dalla scomparsa di mio padre. Forse, avrebbe riempito la mia vita. Sobbalzai un attimo a questo pensiero, aprii la bocca e la richiusi immediatamente come se avessi detto qualcosa ma subito dopo me ne fossi pentita. Capii immediatamente in cosa mi ero sbagliata. Miles infatti, riempiva già la mia vita. Era lì, dentro i miei giorni e non mi lasciava. Mi soffermai a pensare a come involontariamente, ogni giorno, il mio pensiero fosse rivolto a lui. “Cosa farebbe Miles? Cosa mi direbbe?” erano delle domande che mi risuonavano spesso nella mente durante qualche caso. E questo mi aiutava ad andare avanti nel mio lavoro, ad andare fino in fondo e rischiare. Mi morsi il labbro inferiore e arrivai ad una conclusione che mai e poi mai avrei pensato. Miles era forse, la ragione per cui andavo avanti. Lui era l’unica persona che mi aveva toccata profondamente e che, anche se in modo implicito, dimostrava sempre di esserci.
Delle lacrime pungevano i miei occhi e capii che di nuovo, stavo per scoppiare a piangere. Strinsi i miei occhi e presi un respiro profondo. La voce di Miles mi raggiunse lievemente.
“Franziska…”
“Si..?” risposi con la voce spezzata dal pianto. A Miles però non sembrava importagli che io piangessi.
“Scusami per come mi sono comportato” mi disse aprendo gli occhi e voltando la testa verso di me. MI fissò negli occhi intensamente aspettando una risposta da parte mia, che non arrivò. “Sappi che non ho detto quelle cose di prima per cattiveria. Ma solamente perché io ti capisco, ci sono passato e so che in questo momento hai delle emozioni dentro che ti stanno divorando l’anima. Franziska, lascia andare il passato. Lascia ciò che non ti appartiene. Lasciati andare.” Si avvicino verso di me senza smettere di fissarmi. Piegai le labbra per cercare di trattenere le lacrime ma tutto fu vano perché una lacrime mi tradì e scivolo lungo la mia guancia. Abbassai lo sguardo e notai che le nostre mani erano vicine. Lentamente feci intrecciare le mie dita tra le sue. Era il mio modo per lasciarmi andare.
“Si, Miles Edgeworth” sussurrai riportando lo sguardo ai suoi occhi. Le sue dita avvolsero le mie e i suoi lineamenti si addolcirono, regalandomi un sorriso soddisfatto. Chi l’avrebbe mai detto? Non avevo mai visto Edgeworth sorridere a qualcuno. O meglio, non avevo mai visto Edgeowrth sorridermi. Di certo quel sorriso non l’avrei mai dimenticato. Mi portò sicurezza e mi fece capire che lui era lì per me e ricambiando quel sorriso, gli feci capire che anch’io ero lì per lui e non l’avrei mai allontanato.
La suoneria del suo cellulare interruppe il momento. Mentre Miles rispondeva al cellulare, io mi girai leggermente dandogli le spalle, presi un gran respiro e mi asciugai le lacrime che ormai scendevano a fiumi sul mio viso. Mi ricomposi sistemandomi il gilet nero che ancora indossavo e mi riscaldai le mani. La telefonata durò meno e del previsto e non appena ebbe finito, si scusò e mi disse che doveva andare. Ci alzammo insieme, quasi in contemporanea.
“Devi già andare quindi?” chiesi, rendendomi solamente dopo del tono infantile che avevo usato per porre la domanda.
“Si, purtroppo si. Come ben sai, il nostro lavoro non ha limiti e i criminali vanno accusati anche a Natale” rispose con tono ironico. Ci dirigemmo verso l’ingresso in silenzio. Prese il suo cappotto e prima di indossarlo mi lanciò un ultimo sguardo, accompagnato da quel sorrisetto che aveva imparato a conoscere durante la serata.
“Grazie Franziska, grazie della serata e grazie della compagnia”
“Oh…ehm.”
Ridacchiò non tanto stupito dalla mia risposta. “In questi casi si dice prego, signorina Von Karma”
“Ah si. Prego, Miles Edgeworth” replicai cercando di sembrare più convincente possibile. Nel frattempo il procuratore stava per indossare il cappotto facendolo girare attorno le sue spalle ma nel modo di girarlo, qualcosa cadde dalla tasca atterrando a terra con un suono metallico.
“Edgeworth, sempre il solito imbranato. Ti sono cadute le…. Chiavi” dissi più che sorpresa fissando prima le chiavi e poi lui. Miles non replicò, prese le chiavi e infilò una mano in tasca. Mi si avvicinò così tanto da riuscir a sentire il suo profumo. Il suo viso era vicino al mio così chiusi gli occhi. Sentii le sue labbra calde appoggiarsi sulla mia guancia e subito dopo si avvicinarono al mio orecchio. “Buon Natale Franziska” mi sussurrò mettendomi tra le mani un pacchetto rosso con un fiocco bordeaux e scappando



* le parole in tedesco sono "idiota" e "disonesto". Non studio tedesco quindi mi affido a Google Traduttore






Uuuh, salve gente! È praticamente un anno che non pubblico su Efp e questo un po' mi rattrista. Ma comunque, è la prima volta che scrivo su questo fandom e devo dire che ne sono veramente orgogliosa. L'ho iniziata a scrivere l'anno scorso ma per vari motivi non l'ho più continuata ma quest'anno mi sono impuntata e ce l'ho fatta. E scusate se ho pubblicato non proprio nel periodo natalizio ma vabbè. Fatemi sapere che ne pensate! Un bacio


Roberta
  
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