The light that shines down

Il ticchettio appena percettibile dell'orologio che Oz portava nella tasca sinistra della giacca bianca stonava, rispetto ad ogni altra cosa presente in quell'oscurità.
Masse irregolari di oggetti si estendevano in profondità, dando l'idea di una possibile infinità di spazio: cassetti, stoffe, bambole, carta. E proprio al centro del silenzioso caos, lui.
Su una rossa poltrona che ora chiameremmo 'd'altri tempi', Oz vi era seduto, con le mani sui braccioli in posizione retta, quasi immobile. La vuota espressione che aveva dipinta in volto risaltava grazie alla poca luce presente, e intento a guardare il nulla più assoluto sperava, nel suo subconscio, di vedere la luce.
La Volontà dell’Abisso rivolse il suo sguardo verso il basso, mescolando la sua triste espressione al lucido pavimento.
«Oz.» lo chiamò, poi terminò la sua folle richiesta «Voglio rivedere la luce del sole.»
Fu quella frase a scaldargli il cuore.
Non rispose, si limitò ad afferrare l’orologio da taschino che si trovava nella giacca.
Il coperchietto si alzò, velocemente. Ed altrettanto velocemente iniziò a riecheggiare nel silenzioso luogo una melodia.
I suoi occhi si spostarono verso l’alto, dove intanto si manifestava uno spettacolo incredibile; raggi di luce trapassavano le tenebre, a chissà quanti chilometri sopra di lui, proprio come i bagliori passano attraverso le colorate vetrate delle chiese. Uno gli illuminò il viso, mettendo in mostra le sue fantasiose iridi color smeraldo.

C’era una volta la guerra,
e la disperazione che portava con sé.